Intervento di Ennio Remondino
Ennio REMONDINO
Giornalista, ha lavorato per molti anni alla Rai come inviato in Italia e all’estero, occupandosi di cronaca e in particolare dei paesi dell’Europa dell’est.
ultimo aggiornamento 25 novembre 2011
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Stefano Trasatti
Oggi è una giornata di incontro con dei maestri. Iniziamo con un maestro del giornalismo quale è Ennio Remondino che ricorderà un altro grande maestro del giornalismo, quale era Roberto Morrione e lo ricordiamo qui perché era un nostro amico. È venuto a Capodarco diverse volte, alcune volte come relatore, altre così da semplice spettatore, si era coinvolto moltissimo, gli piaceva.
Nello zainetto avete un documento dove abbiamo riportato alcune frasi e pezzi che abbiamo selezionato dagli interventi fatti da Roberto Morrione durante i nostri seminari , in cui racconta della Rai, della sua concezione del giornalismo, della sua visione del mondo. Alcune cose che leggerete sono davvero preveggenti su quello che poi è successo. A ricordarlo abbiamo chiamato Ennio Remondino che lavorava con lui quando era capocronaca di Rainews24, l'incarico che lo ha segnato di più, dove Morrione era la mente e Remondino il braccio. Io ho avuto la fortuna di stare lì nella redazione cronaca per alcune settimane e ho visto il rapporto che c'era tra loro, questo continuo rilancio, questa intesa. Remondino ci racconterà di Roberto, ci parlerà delle cose che ha vissuto insieme a lui. Adesso vedremo un breve video che Rainews24 ha mandato nel maggio scorso quando Roberto è morto, è importante per inquadrare chi era.
VIDEO
Ennio Remondino
Questo è un colpo basso per una vecchio cronista come me , come per vezzo amava definirsi Biagi, come per sostanza amava definirsi Roberto, vedo questi filmati e vi accorgerete che ho qualche problema di groppo alla gola…
Morrione era un maestro involontario nella sostanza
Roberto è stato per molti di noi un compagno di banco e inoltre, senza volerne mai assumere il ruolo, perché aveva una capacità di avvicinare le persone con umiltà e con serietà , era un maestro involontario nella sostanza . Mi è toccato commemorarlo il giorno del suo funerale e per la prima volta da vecchio televisivo scafato a mille esperienze e a mille improvvisazioni, in una sala della Provincia a Roma sono andato con un testo scritto, perché ero sicuro che avrei avuto, come in questo incipit, il groppo alla gola, correndo quindi il rischio di papere e di lacrime.
Come si fa a diventare reporter di guerra? Basta che combini un casino abbastanza grosso in redazione
Il racconto che vorrei farvi è un pò insolito . Non vi racconto di me anche se una serie di passaggi legano la mia vita a quella di Roberto in maniera determinante. Probabilmente io sono per voi un narratore di guerre, in realtà io nasco cronista investigativo, grazie ed accanto a Roberto Morrione e proprio con l'inchiesta Cia-P2 per cui fu cacciato l'allora direttore del Tg1 Nuccio Fava, confesso pubblicamente che è mia la colpa per cui divenne direttore del Tg1 Bruno Vespa, non lapidatemi vi prego, comunque sempre meglio Vespa di Minzolini; anche il capo cronista Roberto Morrione fu cacciato ed io divenni reporter di guerra per esilio. Vi evito dunque la domanda che qualcuno mi accennava prima "ma come si fa a diventare reporter di guerra?"; basta che combini un casino abbastanza grosso in redazione. Mi piacerebbe raccontarvi di un mondo, raccontarvi una specie di fiaba, non gli aspetti tipici, classici. Vedo qui un sacco di giovani, quindi forse vi sarà utile sapere che è esistito sino a non troppo tempo fa una specie di jurassic park di galantuomini e vorrei parlarvi di questi dinosauri del giornalismo, di cui mi onoro di aver fatto parte, perché anch'io ormai sono un signore messo da parte.
Un aneddoto
Vi racconto un aneddoto tanto per alleggerire . Una sera dopo la fine dei bombardamenti sulla Jugoslavia, quando fu dichiarato il cessate il fuoco, presi tutta la mia banda di poveri cristi serbi che erano tre mesi che si facevano un mazzo così e andammo per la prima volta a mangiare fuori e bevemmo decisamente. Mi chiamò improvvisamente al telefono Bruno Vespa che voleva che commentassi la fine della guerra… Io sbronzo com'ero, rispondevo un po' sul balbettante e allora mi dissero "comprendiamo la tua commozione Ennio" … e io uscii in gloria da questo rischio di figuraccia terribile. Il giorno dopo, io ero a Belgrado, mi chiama quel disgraziato di Roberto Morrione, persona molto acuta e anche molto … cioè bravissima persona, ma anche malizioso "ma eri sbronzo ieri sera…", insomma aveva fatto tana.
Il jurassic park del giornalismo
Parliamo quindi di questo jurassic park di mondo del giornalismo radiotelevisivo pubblico , quando ancora era pubblico, anche se non era certo un club di vergini. Nella televisione di quegli anni, la lottizzazione era la regola ed era più o meno la ripartizione laddove avevi un Tg1 che era ufficialmente democristiano, con un approccio istituzionale e di riguardo rispetto al governo, il Tg2 di area socialista, il Tg3 di area comunista versione curziana; su questo mi piacerebbe una volta discutere, ma lo facciamo in famiglia e non in questa circostanza. A quei tempi ci sono stati dei risultati sorprendenti, incredibili, io non dico che fosse il sistema migliore comunque… Vi fu un tempo in cui la Rai tolse il veto ai comunisti per intenderci, parliamo chiaro, quindi consentì a dei professionisti che avevano un'opzione politico-ideologica di un certo tipo, di poter accedere anche a delle responsabilità di direzione, e qui vi fu la partita decisiva. Qualcheduno disse: il giorno che diventasse uno di noi direttore, quel giornale deve diventare la BBC, perché questo è il monito di ciò che deve essere servizio pubblico e questo scardinerà il meccanismo lottizzatorio di appropriazione da parte della DC e del PSI. Responsabile del settore informazione di quel grande partito di Berlinguer, era un giovanotto che si chiamava Walter. Di fatto il risultato fu che invece che la BBC facemmo Telekabul… Direi che gli errori sono stati molti ma in quella fase comunque c'era uno spazio che ad esempio consentì alla mitica cronaca del Tg1 di crescere. Quel periodo per Roberto Morrione è stato sostanzialmente ed essenzialmente il momento più forte, più caratterizzante delle sua vita, di imprinting professionale di capocronista del Tg1 quando la cronaca del Tg1 portò a segno una serie di colpi, ma non tanto in concetto di scoop, quanto di lezione di scuola di giornalismo, di approccio al giornalismo. Pensate che il direttore del Tg1 era Albino Longhi, un vecchio signore veramente dinosauro e davvero autentico, profondo democristiano nel midollo, che aprì gli spazi e la fiducia a questi personaggi strani di sinistra, non soltanto accettandoli.
Il giornalismo investigativo di Roberto Morrione
Arrivò poi Nuccio Fava. In questa fase il pallino segreto di Roberto Morrione, cioè il giornalismo investigativo, trovò lo spazio inatteso e inimmaginabile nel giornale dell'ufficialità, della democristianità e della rappresentante della voce del governo ! Potevi immaginarlo sul Tg3 che era all'opposizione, potevi immaginarlo in un altalenante Tg2 che poteva stare un po' di qua e un po' di là a seconda di come andava a collocarsi di volta in volta il PSI, sicuramente però nel Tg1 era inconsueto. Roberto Morrione mise a segno, e vorrei sottolinearlo, forse uno degli eventi più importanti di cui lui ed io eravamo orgogliosi, che non è noto o meglio non è ricordato: si tratta dell'intervista che facemmo alle Brigate Rosse. Quando dico intervista alle Brigate Rosse, non lo dico per modo di dire, in un colpo solo intervistammo assieme il fondatore Renato Curcio, Mario Moretti e il capo delle Brigate Rosse perdenti segnate dal pentitismo, Barbara Balzerani. Io feci quell'intervista e quando arrivai in redazione tremavano tutti, era una sorta di terremoto, cosa sognata da ogni giornalista, però era anche una bella bomba. Per tre giorni a limarla per fare lo speciale, che lo mise in onda. Il settore degli speciali del Tg1 era di competenza dei socialisti, non si sa bene perché, per via di lottizzazione apparteneva a loro, e c'era anche un giovane Enrico Mentana. Mandammo in onda questa intervista ed io e Roberto ci dicevamo che forse con questa intervista avevamo salvato qualche vita. A me è rimasto impresso il dettaglio che sino a che non uscì tre giorni dopo un commento positivo su Il Popolo, io non ricevetti la pacca sulle spalle perché ci voleva l'avallo, poi finalmente arrivò Nuccio Fava dicendo: va bene, stupendo, meraviglioso! Morione si impegnava davvero su molti fronti: fu il Tg1 a tirar fuori le prime rivelazioni sui segreti ancora irrisolti di Ustica, la probabile battaglia aerea svoltasi sui cieli, un aereo da caccia che probabilmente si è coperto dietro le tracce del volo civile, un missile francese o americano, non si sa, che ha abbattuto invece che l'aereo da caccia quello di Meridiana: accadde la fine del mondo, fu rivoluzionario. Alla fine poi tirammo fuori questa storiella del rapporto Cia-P2 e questo era veramente l'imprinting del meccanismo giornalistico di Roberto Morrione. Io mi ricordo che girai il mondo in 20 giorni, da Roma, a Ginevra, a Francoforte, in Svezia, poi New York, Washington, Los Angeles, la California ed infine addirittura a Portland e ritorni. E alla fine ti trovi con una manciata di dati da far paura.
C'è lo spazio e c'è stato uno spazio nell'ambito del servizio pubblico, pure interferito dalla politica, per fare del giornalismo coraggioso e di qualità
Con Roberto ci siamo visti fino a poche settimane prima che morisse, gli ultimi giorni ho voluto evitare di andarlo a trovare in ospedale, perché mi costava fatica, un po' di vigliaccheria di fronte alla prospettiva della morte, a vedertela di fronte , evitai, ma continuavamo a chiederci che cavolo di pepita d'oro c'era nascosta in quei documenti, pacchi di documenti segreti, che diffondemmo ovunque, disperdemmo, perché sennò ci venivano sequestrati. Ovviamente nella partita tra guardie e ladri, le guardie mirano a sequestrarti, tu occulti, e noi riuscimmo ad occultare parecchio. La cosa divertente è che io poi ho perso tutto, perché non mi ricordo più a chi li ho dati in giro. L'altro giorno il fratello di Roberto mi ha detto che ancora ha una scatola enorme di carte che Roberto gli chiese di tenere, e che probabilmente è roba mia, mi ha detto di andare a prenderla, magari troviamo lì in mezzo la pepita nascosta. Allora accadde la fine del mondo, interrogazioni parlamentari, 1 e 2 agosto riunione straordinaria del Parlamento per discutere del caso Rai, Tg1, Cia-P2. Ci massacrarono, saltò Nuccio Fava, saltò Roberto, ecc. Questo cosa significa? Significa che c'è lo spazio e c'è stato uno spazio nell'ambito del servizio pubblico, pure interferito dalla politica, per fare del giornalismo di qualità, del giornalismo coraggioso, del giornalismo che pone ovviamente a rischio coloro che lo dirigono. Assumersi delle responsabilità è essere anche disponibili a pagare dei prezzi personali.
Le regole che insegnava Roberto
Roberto insegnava poche regole, lavorare con lui era apparentemente facile, ma mica tanto… Tanto per iniziare ogni notizia andava verificata, non bastava pigliare l'agenzia e scopiazzare, fare copia e incolla, come abitualmente molti di voi adesso con il computer siete tentati di fare. Insegnava a curare la stesura e il problema del linguaggio specifico del mezzo radio-televisivo, con Roberto lo imparavi, perché altrimenti le pigliavi… Roberto aveva una scrittura piccolissima, quasi da medico e difatti a battuta l'ho detto anche al suo funerale, pensate un po' i pizzini non li ha inventati Provenzano, bensì Roberto Morrione che scriveva su dei fogliettini piccolissimi in una calligrafia incomprensibile e ti dava il messaggio di quale era la linea su quel pezzo. Un'altra cosa che insegnava e che io vedo un po' trascurata dai giovani che praticano giornalismo radio-televisivo: una cura attenta alle immagini, perché la televisione è una complessità, è una somma di elementi e l'immagine non è l'ultimo di essi e chi sa usare quello strumento risparmia parole perché in alcuni casi quelle immagini sono la base del racconto, per cui può risparmiarti di vendere e spendere parole.
Quella di Roberto era una scuola di questo genere. In quella cronaca vivevano dei personaggi matti come cavalli, cioè stiamo parlando di monumenti del giornalismo. Stagno che poi è passato in cronaca, ha raccontato lo sbarco sulla luna, Aldo Forbice, Paolo Frajese… sto parlando di professionisti, oppure i corrispondenti esteri di allora come Sandro Paternostro a Londra… certo anche lui ci faceva dei pezzi di mondanità però non erano le solite mutandine di Lady Diana che ci vediamo oggi da Londra; per quanto riesca a vedere nei telegiornali oggi, sembra che in Inghilterra non esistano più i minatori del Galles… Roberto era capace di interloquire con personalità di questo genere, con protagonisti del giornalismo alto, senza arrivare allo scontro. Da New York c'era Giuseppe Lugato che per alcuni di noi era direttamente il portavoce della Cia, era divertente perché tra le altre cose, era l'unico giornalista che invece che evitare i congiuntivi come si usa oggi, addirittura evitava i verbi per stare più sul corto, oddio poi quanto si capisce è un po' discutibile, ma si possono anche risparmiare i verbi; io vi suggerisco di segare gli aggettivi, però magari i verbi lasciateli…
Anche in questo Jurassic park c'erano dei meccanismi di controllo e anche di censura
Ovviamente tutto questo non era un mondo idilliaco, vi racconterei delle frottole, in questo jurassic park ovviamente c'erano dei meccanismi di controllo e non dico di controllo soltanto, ma anche di censura . Io mi occupavo allora di cronaca giudiziaria e di inchieste, quindi settore delicatissimi, eravamo nel pieno dei maxi-processi per mafia o delle brigate rosse, difatti ho frequentato tantissimo due città in alternativa per la P ossia Palermo o Parigi, dove c'erano tutti i latitanti, compreso il ragazzo che oggi se la passa tranquillamente in Brasile, anche se non so fino a quando gli dura.. Tutti si vedevano e si sapeva dov'erano e non so perché non lo sapeva la Digos. Erano quindi questioni delicate, trattarle nel telegiornale democristiano, torno a ripetere, era un po' delicatino. Io avevo il privilegio di avere quell'enorme, stupendo capocronista che era Roberto Morrione, che per abitudine e tradizione imponeva la rilettura del pezzo. Il passare il pezzo vuol dire evitare di scrivere degli strafalcioni perché tu che l'hai scritto l'errore non te lo leggi, non lo vedi, quindi il passare il pezzo è direi una delle regole base dell'esercizio del mestiere laddove c'è l'umiltà del dire: importante che la comunicazione che arriva al terzo sia il più completa possibile, non il mio orgoglio o la mia presunzione. Io avevo in aggiunta a Roberto Morrione, perché era una bella tigna, un vicedirettore addetto e nel caso di roba da prima pagina, proprio da apertura, mi toccava il addirittura il direttore Nuccio Fava che poi alla fin fine era un bestione alto così, calabrese, umano, insomma con lui era facile… Il censore invece era Pallino Guido, che non si chiamava Pallino ma ce lo chiamavamo noi per la testa completamente calva, nel senso che aveva la testa a pallino, anzi a boccia. Pallino Guidi era redattore de Il popolo, quindi una scuola democristiana perfetta ed io dovevo portare il mio pezzo a lui. Io mi scrivevo il pezzo, già allora iniziavano i primi sistemi computerizzati, mettendo ciò che io intendevo scrivere di quella fase del processo, dopodiché andavo da Roberto, ecc., ecc., concordavamo degli eventuali aggiustamenti, alla fine avevo imparato e non è che avessi tanto da aggiungere e tornavo al computer e aggiungevo una riga, una riga e mezza alla cavolo di cane, scusate l'espressione, cioè una forzatura evidente ben aggettivata; dopodiché andavo da Pallino Guidi, perché scusate al censore devi dargli qualcosa da censurare caspita, altrimenti si sentiva frustrato, e iniziava questo dialogo demenziale… è interessante… è un po' lungo… perché il primo approccio diciamo un po' lungo così tagliamo… ma su dai saranno un minuto e 15, un minuto e 20… si ma… ma che ne dici… ma questo qua… e ovviamente beccava subito le due righe messe lì appositamente in maniera forzata. Lì iniziava la comica, devi sapere un attimo recitare bene, ma no Pallino, ma sempre la solita censura, ma voi democristiani… ma no ma guarda là… va be' su dai non voglio litigare, dai leviamoli, e andava a registrare il mio pezzo tranquillamente.
Il giornalismo investigativo che aveva in testa Roberto Morrione era un po' il giornalismo di Redattore Sociale
Sostanzialmente vi posso dire che in venti anni di esercizio non ho mai subito una censura, mai… ho usato qualche furbata e ho imparato l'uso del linguaggio . La scuola del Tg1 è che puoi scrivere pure per Radio Vaticana, non dico Famiglia Cristiana che per me è un giornale ultra di sinistra come neanche Il Manifesto, ma con uso accorto del linguaggio così da evitare di offendere sensibilità, dicendo liberamente tutta la verità. La conoscenza del linguaggio quindi, mi ha insegnato Roberto Morrione, è uno strumento fondamentale per arrivare a quel giornalismo sociale che era il suo obiettivo. Il giornalismo investigativo che aveva in testa Roberto Morrione era un po' il giornalismo di Redattore Sociale. Voi andate a tirar fuori gli elementi rimossi, dimenticati, emarginati dall'attenzione giornalistica di prima pagina del giornalismo di moda, del giornalismo che tira, del giornalismo commerciale. Non è già quello andare a rompere uno schema? Il giornalismo che voleva Morrione era, in più, quello di andare anche a guardare dietro ai troppi misteri di stato, ai troppi segreti occulti e quindi sostanzialmente soltanto uno il percorso dell'altro. Vi leggo quello che ha detto qui a Capodarco nel '95: " Io credo al bravo giornalista e il bravo giornalista è redattore sociale, altrimenti non è un bravo giornalista, è il giornalista pro carriera, pro soldo, pro marchetta, pro servilismo, perché deve essere nella sua genetica questo essere redattore sociale, perché tutti gli elementi costituenti della sua formazione e direi della sua vocazione, se non ha questa vocazione, questo impegno a essere redattore sociale, è uno che tradisce innanzi tutto sé stesso e ahimè stiamo vivendo in un tempo in cui i giornalisti che tradiscono loro stessi e tradiscono anche il buon nome dell'essere giornalisti ce ne sono molti" .
Nel mondo del giornalismo non c'è la vocazione ad aprire ad un giornalismo plurale
Noi oggi non abbiamo colto il passaggio o almeno non abbiamo collegato tra di loro gli elementi di passaggio tra il sistema elettorale antico che era quello del proporzionale e che aveva prodotto nell'ambito del servizio pubblico, laddove l'interferenza dei partiti era comunque incombente e presente e dove vi era la proporzionalità, la lottizzazione, deprecabile passaggio da rimpiangere, come a volte può capitare di rimpiangere la Democrazia Cristiana , al nuovo sistema maggioritario che ha prodotto i Minzolini. Io, ragazzetto sinistro, dicevo di non voler morire democristiano, sotto Berlusconi non voglio morire berlusconiano, ridatemi la DC, più o meno con questo governo non è che siamo molto lontani da una formula di questo genere… cosa sarà domani, Inshallah… Dovrei però spiegarvi che i Minzolini e tutto ciò che di disgregazione della dignità della struttura dell'azienda Rai nell'adempimento di quel tanto di servizio pubblico che dovrebbe garantire, è avvenuto perché è scattato il maggioritario, la logica oggi sono i Minzolini, sono maggioritario, vinco piglio tutto. Così nei Tg1 e Tg2, lasciamo l'isola del Tg3 e anche lì sempre più fortilizio, non c'è la vocazione a pluralizzare, ad aprire, a dimostrare il giornalismo plurale, ma fai fortilizio, quindi ti riconfermi, ti richiudi sempre in Fort Apache, sempre Telekabul e poi ti pigli tutto il resto. Tutti questi meccanismi che travagliano il giornalismo di servizio pubblico e che stanno viziando il giornalismo di carta stampata diffuso, sono e nascono da tutta una complessità di vicende e su questo Roberto era un analista attento, con forte sensibilità che sapeva anticipare molto.
La dignità nella Rai di allora c'era
Tornando a quel giornalismo radiotelevisivo, a quel Tg1 da Jurassic Park di dinosauri, vorrei ricordare un episodio che a molti sfugge , successo durante i due anni di direzione di Bruno Vespa. Ovviamente sarebbe ingiusto nei confronti del mio nemico, caro nemico Bruno Vespa, paragonarlo ad attuali direttori, non gli faccio questo torto perché c'è dovere di rendere omaggio e distinguo tra professionalità ben distanti tra loro. Intanto Bruno Vespa è nato facendo televisione e quell'altro la televisione la conosce come elettrodomestico che è al servizio di qualcheduno che l'ascolta ma ad Arcore, non a te cittadina o a te pubblico. All'inizio degli anni '90 Bruno Vespa affermò pubblicamente che l'editore di riferimento del Tg1 era la Democrazia Cristiana e alla fine disvelò il segreto di Pulcinella, perché sostanzialmente era abbastanza vero, ma l'affermarlo e ritenere che ciò fosse la linea guida e fosse giusto, motivasse e giustificasse una serie di scelte, provocò nella redazione iperdemocristiana del Tg1 un soprassalto di dignità, che mobilitò persone inimmaginabili. Vi immaginate un'opposizione guidata da personalità modello, io vi parlo di gente che porta il cognome di Buttiglione, Frajese, chi di voi ha memoria, queste figure professionali può immaginare. Ebbene accadde che la redazione dell'allora Tg1, ebbe la dignità di sfiduciare Bruno Vespa e impose alla politica di toglierlo di mezzo. La dignità del ceto allora c'era, oggi la Rai di servizio pubblico invece è passata attraverso la macina di questo maggioritario del piglio tutto e ci metto chi voglio io, conosca o non conosca la televisione, sia più o meno corretto o corrotto e riusa le note spesa di qualcheduno, come 6mila euro per cene e missioni estere, io non faccio mai il nome, sto parlando di Minzolini, faccio il cognome direttamente… e allora capirete che forse qualche problemino oggi esiste.
L'alternativa è un giornalismo che è la dignità di sé stesso
A tutto questo però c'è l'alternativa. L'alternativa di un giornalismo che è la dignità di sé stesso, del giornalismo del redattore sociale come ce lo ha spiegato Roberto Morrione , ossia guardare oltre, non limitarsi a ciò che appare e poi andare a curiosare dietro. Il problema è che io nel futuro vostro, cari giovanotti, e voi dovete ribellarvi, darvi poi una smossa, vi vedo molto fermi, molto redazionali, io vi vedo inviati con le rotelle della seggiola della postazione del computer. Quindi gentilmente alzate un po' le chiappe e rimando ad un antico detto del maestro del giornalismo antico, Missironi, il quale diceva che il mestiere del giornalista è una missione: "Il 50% del mestiere di giornalista è fatto di testa, ma il 50% è fatto di gambe". Io, diciamo giornalista d'avventura nei 15-20 anni di guerre, ho aggiunto un terzo elemento perché anche lì insomma tante volte salvarsi la pelle è un valore.
Riassumendo:
1 - Porta la notizia a casa, quindi se ti fai ammazzare buchi la notizia. 2 - Peggior giornalismo è diventare tu notizia, cioè mi faccio ammazzare poi le notizie sono Remondino ammazzato, non va bene, errore gravissimo. 3 - Tornando a Missironi, io dico che il mestiere del giornalista d'avventura, d'assalto, d'inchiesta, quello che dovrete essere voi, ha dei componenti al 33%: testa, gambe e anche un po' di culo. Grazie.
Stefano Trasatti
A me in particolare ha colpito questo giornalismo jurassico di cui parla Ennio, a ripensarci a tutte queste carte che potevano essere solo fotocopiate o a questi messaggini che non passavano per Skype bensì su carta e anche a queste procedure, la rilettura del pezzo… mettendole oggi nel giornalismo che abbiamo chiamato delle bulimie, pare davvero preistorico. Ennio ha acceso subito il dibattito, quindi a voi la parola.
Intervento
Ci potrebbe dire del rapporto con le fonti nelle zone di guerra?
Ennio Remondino
Provo a sintetizzare. C'è un dibattito tra giornalisti, mai sanato, su usare lo zoom o il grandangolo , stiamo parlando di televisione ma vale anche per chi usa la penna e la carta cioè la carta stampata. Primo quesito: devi stare vicino o guardare da lontano per capire meglio lo scenario? Questo è un dibattito che abbiamo fatto con Rumiz, con Giulietto Chiesa, i quali pensano che è meglio stare lontano, perché preferiscono stare più comodi, anche perché probabilmente rischi anche un pochino di meno. Fare televisione invece ti impone di andare vicino. Io rispondo con questo ragionamento rovesciato: bisogna usare lo zoom, quindi entrare nei dettagli, purché il grandangolo l'abbia in testa il giornalista, cioè sappia inquadrare l'episodio, l'elemento di sofferenza sociale, il disadattamento, il bambino ferito, la donna violentata ecc, inserito nel quadro complessivo del dramma Bosnia. Le prime fonti garantite nelle situazioni di guerra sono ovviamente gli occhi e le orecchie ossia il parlare con la gente. Le fonti da escludere sono quelle delle parti in guerra, con una piccola accortezza: non state ad ascoltare la parte dei "buoni" ossia i vincenti, perché non è detto che siano meglio. Vedi ad esempio in Bosnia, si diceva che la guerra umanitaria si andava a fare contro il cattivo Milosevic, ma le balle, come le raccontava in maniera clamorosa la propaganda di Milosevic, in maniera molto più sofisticata le raccontava il portavoce della Nato da Bruxelles, giornalista della BBC che ha tradito il suo mestiere e la gloria della testata televisiva internazionale, per fare il portavoce e per ingannare. Lo fece ad esempio quando sbagliarono un bersaglio su un treno locale che andava pianissimo, lo fece diventare un euro express accelerando la proiezione e commentando che il pilota del cacciabombardiere non aveva avuto il tempo perché era passato come un missile tra due gallerie. Questo giornalista inventò questa clamorosa balla, ma la ricerca delle balle è infinita, quindi il problema delle fonti è un problema drammatico e allora l'unica soluzione a volte è raccontare episodi su cui si ha la certezza, cercando di dargli un'inquadratura d'insieme e allora lì hai la garanzia di fare buona, anche se non completa, informazione.
Nelle guerre il controllo dell'informazione è chiave. La regola è questa. Ogni guerra si può vendere soltanto attraverso l'ideal politique… Fosse anche il massacro più atroce, fosse Hitler, te la vendono sempre con una carica di ideal politique, peccato che le guerre si vincono col massimo di real politique e vincono coloro che ammazzano di più e meglio. Quindi guerra vuol dire bugia, ma vuol dire bugia come obbligo tecnico, sia per il politico che per la parte militare, devi ingannare l'avversario e l'opinione pubblica. Tu giornalista stai nel mezzo e allora devi scegliere se vuoi fare il trombettiere o vuoi tutelare la tua dignità e cercare di esercitare il senso critico. E lì ti giochi carriera e anche la pelle.
Un altro dei meccanismi più sofisticati viene però dalle redazioni ed è quello della truffa merceologica , come la chiamo io. Provo a spiegarvi: l'ultima guerra del Golfo, la guerra contro l'Iraq che fu definita la prima guerra in diretta televisiva seppur non vero, è' vero che l'emozione guerra, quei 7-8 giorni che è durata, ce la spalmarono su tutto il palinsesto da colazione alla buonanotte. Quale era la condizione del giornalista sul campo? Bravi giornalisti come Lilli Gruber, molte erano le donne, fu la guerra al femminile tra le altre cose, che erano in diretta permanente e continua, erano impossibilitati ad esercitare la regola n° 1 del giornalismo: la verifica. Era un continuo sembra, pare, Bassora è caduta cento volte… Erano giornalisti incapaci oppure hanno impedito loro di fare il proprio mestiere? La seconda è quella buona. Quindi, la gabolatura oggi, considerando guerra=bugia, è proprio la condizione della guerra impone l'uso della bugia e quindi avere giornalisti trombettieri, possibilmente complici o venduti o embedded. Altro errore è chiamare informazione quella che è comunicazione. Io ti intrattengo, ti suscito emozioni, te le faccio sviluppare nell'ambito della giornata, però in realtà non ti do nessuna certezza o verifica. Guardate che queste cose qua non sono una grande novità, adesso faccio il provocatore, il primo embedded della storia non è la rossa Maggioni, il primo embedded della storia si chiama Omero che ci ha gabolato una guerra classica di conquista, per il controllo della lotta dei dardanelli per arrivare ai commerci con l'impero persiano, attraverso le indubbie corna di Menelao e le molto labili virtù discutibili di Elena. Quello era un embedded, un narratore di corte, colui che racconta la storia dalla parte del vincitore. Se ve la rileggete la storia è tutta uguale, sempre raccontata dalla parte del vincitore e soltanto verso la metà dell'800 iniziamo ad intervenire noi gente del nostro mestiere, testimoni terzi, altrimenti se la cantavano e se la suonavano… pensate a Giulio Cesare no? Il De Bello Gallico io l'amavo per la traduzione latina rispetto a un Cicerone che era decisamente indigesto e difficile se mi arrivava un De Bello Gallico… eureka… ce la facevo a pigliare sei meno meno…
Intervento
Rispetto ai social network che sono il futuro, se non l'unica novità attuale, oggi darebbe tanto peso a quello che viene fuori su facebook, su twitter, su youtube? Altra domanda: il giovane Mentana ha censurato qualche cosa dell'intervista delle Br?
Intervento
Io gradirei avere un'opinione sulle origini, sullo svolgimento e su come è stato raccontata l'ultima guerra della Libia, grazie.
Ennio Remondino
Io credo che i meccanismi di fonte alternativa siano attuali e siano assolutamente rilevanti e interessanti da seguire, però sono anche forieri di potenziali inganni come lo erano prima le fonti di agenzia. La fonte ufficiale del regime di Gheddafi raccontava balle come le può raccontare un blogger all'interno della struttura, laddove non sai se sta dalla parte di Gheddafi o Bengasi o di quale Cabila particolare che in realtà fa il doppio o il triplo gioco. Posso darvi certezza perché mi è capitato alla fine di frequentare molti sbirri, ma anche molte barbe finte quindi spie, che ad esempio la struttura di intelligence italiana aveva messo in piedi due siti, due blog libici, allora ti puoi immaginare quanti ce n'erano in quel calderone di falsi, discendere nel mucchio è difficile. Internet non è la soluzione, è un grande calderone dove ci stanno dieci verità e potenzialmente dieci bugie o cento o mille, dentro ci butti tutto quel che vuoi. Questo richiede esercitare da parte nostra la volontà di iniziare a pensare a un modello nuovo di professionalità. Sapersi districare è e sarà un mestiere nuovo e questo ve lo dovete inventare, io sono troppo vecchio per venirti a dare risposta.
Riguardo a Mentana e alla sua intervista alle BR, siccome io guardo La7 dopo aver ovviamente rifiutato di riguardare il Tg1, il mio vecchio amato Tg1 che non guardo più salvo cambiamenti che potrebbero anche determinarsi a breve, considerate che in un pezzo di questo genere, in un'intervista a tre, con doppia telecamera, ecc., fai due, due ore e mezza di registrazione, poi il pezzo comunque sono 50 minuti, allora quanto taglio tecnico e quanta prudenza ci metti nel concordare quel taglio è come discutere di una virtù teologica…
La questione Libia e i meccanismi di racconto . Intanto c'è stata un'interferenza sostanziale già in partenza sulla necessità o meno di quell'intervento militare. Una delle gabole è stato assimilare quello che stava accadendo all'interno della Libia, quindi disaccordi e rotture tra Cabile nella spartizione tra i redditi di petrolio, con quella che è stata chiamata la Primavera araba, quindi confondere Tunisia, Egitto, Algeria e quello che stava succedendo in Libia e con un grosso controllo delle fonti… Io so per certo ad esempio che l'intelligence italiana aveva le sue strutture là, molto attente, molto preparate, anche perché c'erano dei forti interessi, poi da cronista malizioso mi viene in mente che il primo obiettivo colpito dai cacciabombardieri francesi, quando non c'era ancora la Nato, stiamo parlando dei primi 5-7 giorni di azione unilaterale anglo-francese, guarda caso furono una serie di impianti petroliferi, legittimo bersaglio civile-militare, però erano tutti quelli delle concessioni Eni… Qualcuno dice che può essere un caso, io che son nato malizioso penso che forse non era un caso, considerando chi bombardava e gli obiettivi delle bombe, che partono sempre intelligenti e arrivano sempre cretine, perché fanno un sacco di morti in giro. Sul racconto successivo, credo che abbiamo osservato tutti il trionfo della Tripoli liberata, quando Tripoli col cavolo che era liberata. Diciamoci che abbiamo anticipato le emozioni o voluto anticipare, così però, per applausi, per tifoseria un evento che doveva ancora accadere. Ci hanno raccontato per esempio la frottola che Tripoli è stata liberata da quelli di Bendasi invece no, la Cirenaica non ci ha messo piede perché se entravano quelli di Bengasi i tripolitani avrebbero fatto scoppiare la seconda guerra che già c'era all'interno. Un dettaglio: è stata un partita tra Cabile tradizionalmente alleate con Gheddafi, che hanno fatto delle scelte diverse sollecitate probabilmente da alcune garanzie internazionali. A me personalmente da cittadino che ormai la televisione non la pratica più ma la guarda soltanto, ha indignato come è stata raccontata la indegna immonda fine, il linciaggio immondo e vergognoso di Gheddafi. Allo stesso modo mi colpì, quando ancora esercitavo il mestiere di giornalista, l'impiccagione di Saddam. Sarà che noi italiani cresciamo in questa cultura di rispetto per le idee della vita, di sacralità della vita, più o meno da credenti, ma comunque questa base di cattolicità ci caratterizza mentre per gli americani vale di più la biblica occhio per occhio, dente per dente, è una legittima visione, ma quello che è accaduto a Gheddafi io l'ho visto raccontato poco e male. Ad esempio, non ho visto raccontato da nessuno, tranne ne Il Giornale e in qualche sito web, l'episodio del figlio di Gheddafi a cui è stata salvata la vita, evidentemente c'è stata una trattativa e uno scambio molto poderoso di benefits da parte dei ribelli. Quando lo hanno catturato, avrete notato che aveva le tre dita con cui solitamente compariva in televisione ad esibire la W di vittoria, che improvvisamente sono venute ad accorciarsi, qualcheduno le ha mozzate e la colpa è stata data ad una bomba a mano… ora che esista una bomba così intelligente che fa un taglio chirurgico che taglia proprio quelle tre dita e non ti ferisce il resto, la mano, il braccio… sinceramente non riesco ad immaginarlo. Tutto ciò era alla portata degli occhi di tutte le televisioni, tutti i giornalisti presenti o anche lontani… Direi che il giornalismo sulla questione Libia non ha brillato, non ha esaltato le sue migliori qualità…
Stefano Trasatti
Grazie mille a Ennio Remondino per questo ricordo di Roberto e questa attualizzazione, staremmo ad ascoltarlo a lungo perché tutti noi lo abbiamo ascoltato anche quando ci raccontava della crisi tra Belgrado e la Turchia , un grande raccontatore e lo ha dimostrato stasera. Volevo dire che è stato bandito recentemente dal Premio giornalistico televisivo Ilaria Alpi, il Premio dedicato a Roberto Morrione per il giornalismo investigativo, dietro c'è Rai News e vari enti e tre giornalisti che sono appunto Ennio Remondino, Maurizio Torrealta e Sigfrido Ranucci che fanno da tutor ai partecipanti.
Ennio Remondino
E' un'occasione per chi di voi si cimenta, anche in maniera non totalmente professionale, da freelance nel campo televisivo, infatti il premio è televisivo dato che Roberto Morrione era un giornalista televisivo. Non credo che esistano altri premi sulla base di uno scritto, di una proposta d'inchiesta; il premio finanzia tre tra i progetti-proposte inviate e selezionate in anticipo e fornisce 3mila euro ad ognuno affinché il pezzo venga realizzato. La realizzazione dei tre pezzi verrà guidata da un tutor, da uno dei tre vecchiotti che insomma possono dare consigli, non è che comandano, danno consigli, ci sarà poi un primo, un secondo e un terzo e questi pezzi saranno poi trasmessi sicuramente da Rai News e potenzialmente da altre emittenti che ne facciano richiesta. Quindi credo che sia un premio che valorizza un lavoro da fare, su cui sperimentare la propria professionalità, quindi una bella sfida ragazzi. Il vincitore poi piglia altri 3mila euro, il secondo ne piglia 2mila, il terzo mille, quindi insomma male che vada il più sfigato dei tre per dire, il meno bravo o il meno fortunato dei tre sviluppa un lavoro in 2-3 mesi e viene compensato in maniera dignitosa direi, mi sembra originale come meccanismo di premio.
* Testo non rivisto dagli autori.