C'è un gran bisogno di ritrovare il senso della meraviglia,
nel giornalismo di oggi. Di fronte all'eccesso di rumore informativo (non di informazione), alla prepotenza delle fonti, allo schiacciamento della professione tra gli estremi del desk e del precariato estremo, la reazione più comune sembra quella di standardizzare tutto. Tutto è stato già visto, tutto era prevedibile, tutto è scontato. Tutto ciò che succede dev'essere urgentemente incasellato in pochi schemi già predisposti.
Lo sforzo di non aspettarsi niente che non si riveli già saputo appare inutile, insensato. La curiosità è un pregio il cui esercizio appare consentito a pochi eletti.
Eppure bisognerebbe tornare a meravigliarsi: a essere disponibili a farsi spiazzare; a non aver paura dell'inatteso; a non farsi imprigionare dall'ovvio; a scoprire che c'è qualcosa di "nuovo" dove non immaginavamo. Sperimentando anche modi inconsueti di meravigliarsi: quelli che ci rendono ancora capaci di inorridire, di cambiare idea. Di scoprire che ci sono miserie dentro il potere e la ricchezza, e "meraviglie" in mezzo agli scarti della società.
E che a volte raccontare il nulla o il normale può risultare molto interessante. La XII edizione del seminario di Capodarco prosegue la riflessione sulle "qualità perdute" del giornalismo. Nel 2004 l'ascolto, quest'anno la capacità di stupirsi. Qualità da recuperare partendo, come sempre, dal confronto con il punto di vista degli anelli deboli della società. Di chi non ha voce e nemmeno lo sa.
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