Incontro con Renato Soru. Conduce Marino Sinibaldi
Renato SORU
Fondatore e presidente di Tiscali, è stato presidente della Regione Sardegna.
ultimo aggiornamento 25 novembre 2011
Marino SINIBALDI
Direttore di Rai Radio Tre, dove ha lavorato per molti anni inventando e conducendo, tra l’altro, la trasmissione “Fahrenheit”. Dalla prima metà degli anni 1980 collabora in veste di autore e conduttore a programmi culturali radiotelevisivi della Rai. Dal 2014 al 2017 è stato Presidente del Teatro di Roma. È tra i fondatori della rivista "Linea d'ombra"; è autore di saggi di storia e di critica letteraria, collabora con quotidiani e periodici. Ha pubblicato nel 2014 per Laterza il libro “Un millimetro in là. Intervista sulla cultura” (a cura di Giorgio Zanchini).
ultimo aggiornamento 10 ottobre 2018
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Marino Sinibaldi
Buonasera. Quando mesi fa mi dissero di chiudere questi due giorni di incontri, di riflessioni, di testimonianze sul tema della bulimia con Renato Soru, senza nemmeno dircelo, era evidente che si pensasse di invitare una figura imprenditoriale, politica, anche personale, che si è sempre contrassegnata per una sorta di radicale austerità, di sobrietà . Soru è uno parco, laconico persino. Ho pensato che ci fosse un po' di contrasto nel prendere una delle figure pubbliche meno bulimiche, apparentemente, anche fisicamente, che abbiamo a disposizione. Ho controllato sulla biografia di Renato Soru e mi son detto che forse c'era un'altra ragione dato che ha studiato all'università Bocconi e dunque ancora una volta il leggendario fiuto politico di don Vinicio e di Stefano Trasatti, li portava a salire su un carro di vincitori, non sapendo ancora che ci sarebbe stato un governo bocconiano.
Visto che abbiamo l'occasione straordinaria di avere qua un bocconiano, cioè di un'università bulimica per definizione, fin nel nome, Bocconi, vorrei sapere se esistono i bocconiani, se li conosci, se siete una rete, se complottate in politica o in economia come dicono…
Renato Soru
La Bocconi: un'università fondata da Ferdinando Bocconi e da sua moglie Javotte Manca de Villahermosa, donna di origine sarda
In realtà io ho fatto l'università Bocconi quando era meno nota di quanto non sia adesso, alla fine degli anni '80, ho fatto un corso di laurea in Discipline economiche e sociali con l'idea di fare l'economista. Mi sarebbe piaciuto fare l'economista, non ci son riuscito e ho fatto altre cose, ho ripiegato su altre cose. In effetti ho avuto la fortuna di avere Mario Monti come professore, te lo dicevo prima, all'epoca era giovane pure lui, quando ho fatto il suo esame aveva 37 anni, mi sembrava già molto adulto ed era in effetti così con questo stile asciutto, severo, ho fatto anche un gran bell'esame, poi una volta sono andato a parlargli perché pensavo di aver trovato un errore in un famoso teorema, però forse avevo sbagliato io, mi aveva trattato con molto distacco e quindi ho cambiato corso.
Spendo una parola sulla Bocconi per raccontare una storia poco conosciuta. L'università è intitolata a Luigi Bocconi e venne fondata dai suoi genitori, Ferdinando Bocconi e donna Javotte Manca de Villahermosa quando questo ragazzo morì giovane nella battaglia di Adua. Donna Javotte Manca de Villahermosa era una giovane nobile sarda di un paesino dove i Bocconi venivano a caccia e vennero ospitati da questa famiglia, Ferdinando conobbe questa ragazza, la sposò e andò a Milano. Fondarono l'università, ma subito dopo pochissimi anni Ferdinando morì e rimase solo donna Javotte e fu lei che fece crescere l'università, fece progettare a Terragni un'architettura del razionalismo fascista, che poi è la sede dell'università di oggi. Quindi questa donna sarda ha responsabilità e il merito di aver portato l'Università Bocconi fin dov'è ora.
Marino Sinibaldi
L'altro tratto di Soru è l'orgoglio sardo che conoscerete…
Renato Soru
L'università Bocconi è piena di pezzi d'arte di due giovani artisti sardi : è interessante sapere che all'ingresso dell'università si trova il busto dell'artista sardo, lo scultore Costantino Nivola, che poi è stato il primo Art Director della Olivetti..
Marino Sinibaldi
In quale regione è nato Nivola? C'avete dei dubbi?
Renato Soru
Era per parlare della Bocconi da un altro punto di vista.
Marino Sinibaldi
"Quando c'è un'alluvione la prima cosa che manca è l'acqua potabile": lo stesso avviene nell'informazione
La prima cosa che mi è venuta in mente quando appunto mi hanno detto che il tema di quest'anno sarebbe stato la sobrietà e la bulimia nell'informazione, è stato quel proverbio credo catalano, ma comunque spagnolo, che dice che quando c'è un'alluvione la prima cosa che manca è l'acqua potabile, un paradosso idrico e tragico che in realtà abbiamo visto anche, ad esempio, nelle giornate dell'alluvione genovese, dove la prima cosa che è mancata per alcune ore dopo l'alluvione è stata proprio l'acqua potabile. Mi sembra una bellissima metafora per indicare il rapporto tra quantità e realtà dell'informazione. Anche l'informazione corre continuamente questo rischio: esattamente come l'acqua dell'alluvione inquina le fonti dell'acqua potabile, dunque per un paradosso la quantità di acqua alluvionata impedisce di bere, appunto così può accadere all'informazione e sta forse già accadendo ora. C'è una quantità che a sua volta avvelena o confonde le fonti, c'è anche questa ambivalenza del termine fonti che aiuta, che rende più stringente la metafora.
Può esistere una "docile" bulimia?
Altro aspetto un po' più contraddittorio, invece, emerge da una citazione molto bella che ieri faceva Giulio Marcon di un brano di un testo di Ivan Illich dal suo controverso testo sulla convivialità, dove diceva di vedere nel campo della comunicazione quella che definiva una docile bulimia, dove importante è l'aggettivo più che il sostantivo. Ecco un po' la decrescita felice di cui si parlava. La decrescita c'è oppure uno può scegliere di decrescere individualmente o anche collettivamente, il problema è farlo in modo che sia, come dire, felice, utile o compatibile. Mi viene in mente, allora, se può esistere una bulimia indocile. Di fatto la bulimia che noi vediamo, come ad esempio quella della rete, non è che sia docile, acquietata, pacificata, non sarà critica ma inquieta, una bulimia che non conduce all'acquiescenza o al conformismo bensì ad una sorta di nervosa, nevrotica attività.
Allora la domanda è: possiamo salvare l'informazione dentro l'alluvione? Come fare informazione o comunicazione dentro l'alluvione in un'epoca in cui non c'è scarsità bensì abbondanza?
La seconda domanda: può esistere una sobria bulimia?
Renato Soru
Le cose non vanno solamente fatte, vanno anche comunicate
Sapevo che sarebbe stata un'intervista difficile e infatti ne avevo anche timore. Già sono stato sorpreso per questo invito, vi ringrazio, sono onorato di essere qui e di avere quest'opportunità, perché non afferravo il senso di questa conversazione. In effetti si, io mi sono occupato e mi occupo di comunicazione, avendo partecipato a fondare una società di internet e avendo visto la nascita di internet in Italia. Poi mi sono occupato di politica e ancora me ne occupo seppure ho perso le elezioni, però non ho perso la responsabilità di stare in Consiglio Regionale dalla parte di chi è in minoranza e non al governo. Penso persino di aver perso le elezioni molto per la mia scarsa propensione a comunicare, a comunicare tanto, per cui non sempre la sobrietà o comunque la difficoltà a comunicare è un merito. Parlando oggi a pranzo con don Vinicio gli ho chiesto come mai, partendo dal sociale, hanno fatto nascere un'agenzia giornalistica, Redattore Sociale. Don Vinicio mi ha detto: le cose non vanno solamente fatte, ma vanno anche comunicate. Vero. Le cose non vanno solo fatte, ma vanno anche comunicate e io ho cercato di concentrarmi nel fare le cose invece che nel comunicarle. Penso anche che forse ci sia una responsabilità diversa tra chi le deve fare e chi le deve comunicare e forse è anche bene che siano separate queste cose, perché se comunico io le cose che faccio, magari cerco di raccontarle solamente in una luce che a me fa piacere. Non sempre, però, c'è questo tipo di attenzione e a volte chi comunica ha anche bisogno dello stimolo di chi questa comunicazione vuol far nascere. Nel mio impegno politico io ho comunicato molto poco, ho cercato di comunicare con le cose, di far parlare le cose e poi ho scoperto che uno ci ha scritto pure un libro "Lasciate parlare le opere". Non è che ci abbia ragionato molto su questo, non è che sia stata una decisione, semplicemente fa parte del mio carattere e penso che nasca da una timidezza giovanile, che poi diventi più grande e così rimane. Avendo, invece, visto internet, lavorandoci ancora oggi, è vero che un computer, una tastiera, un bel video, una stampante, già ti permette di ordinare la tua scrittura in un modo in cui nel passato non era possibile. Steve Jobs, come è stato raccontato cento volte, grazie a quel corso di calligrafia, ci ha pure aggiunto la scelta dei caratteri, per cui chiunque voglia può impaginarlo bene e alla fine il testo diventa bello, ordinato e già quello sembra dargli un valore, una dignità che nel passato non era così scontata, così immediata. Noi abbiamo studiato all'università quando le dispense erano proprio brutte, sembravano dattiloscritte. Son bastati pochi anni per dare valore anche all'oggetto del testo scritto che risulta molto diverso.
Il giornale non è la somma dei singoli articoli, ma è proprio la visione del mondo di quel giornale
Internet ha subito, immediatamente, dai primi siti fino ai blog, reso tutto sempre più facile, dando a tutti la possibilità di aprire una propria finestra e di raccontare. Ho sentito dire qui: ma io sono un blogger, non sono un giornalista. Io penso che ci sia differenza tra blogger e giornalista, anche importante, perché un blogger è quasi unone man show , i giornali in una sola persona, che ha il suo punto di vista che viene riproposto su ogni argomento, al massimo si apre alla conversazione, al dibattito coi suoi lettori, ma è il suo, la sua visione del mondo. Il giornale non è la somma dei singoli articoli, ma è proprio la visione del mondo di quel giornale anche nella selezione, nel racconto che ne dà ogni giorno. Insomma, internet ha riempito le opportunità di lettura, in una maniera che può portare alla bulimia, anche se poi in molti abbiamo messo nella barra dei preferiti 10 siti e guardiamo sempre i soliti 4 o 5 canali televisivi, e così, da lì non ne usciamo, almeno la mia esperienza è questa, clicco sui miei preferiti, vado a vedere le mie cose; solamente quando ti capita di dover fare una ricerca allora ti allarghi un pochino. In questa bulimia, io credo che sia molto importante il lavoro di selezione che fa il giornalista. Io faccio a fidarmi di chi fa un lavoro di selezione prima di me, di approfondimento e anche di sforzo, di riassumere, di raccontare una visione e quindi son cresciuto con gli articoli dei miei giornalisti preferiti, Scalfari fra questi. Son cresciuto e continuo anche ad andare avanti così. Ho una visione diversa rispetto ad altri che ho sentito stamattina che dicono che poi gli approfondimenti se li fanno da soli, saltano da un link all'altro, in tempo reale hanno già fatto, appena c'è la notizia. Io, invece, vedo le mille opportunità o le tante diverse opportunità di approfondimento e sono incapace di fare da solo e così mi difendo dalla bulimia in quel modo leggendo gli approfondimenti dei giornalisti.
Il motore di ricerca di Google come principale colpevole della bulimia nell'informazione
Un colpevole o comunque al centro di questa bulimia, il protagonista principale dobbiamo riconoscerlo, è il motore di ricerca. È lui il responsabile della bulimia, è lui che ci permette di mettere una parola chiave sul rettangolino bianco, una, due parole, tre se sei bravo o se sei più sofisticato nella ricerca e ti dà una risposta che ti porta alla bulimia, alla possibilità di leggere, di rileggere, di vedere e di confrontare. L'ultima volta che ho sentito un numero eravamo a 70 miliardi di pagine web, oggi avremo sicuramente superato i 100 miliardi di pagine web che google indicizza. È incredibile, però, che al di là di questa quantità sproporzionata di pagine e di una quantità enorme di utilizzatori di internet, ci sia questa sola ragione sociale, questa sola società, questo solo motore di ricerca e questo solo Consiglio di Amministrazione che alla fine ha la responsabilità di questa società che permette di selezionare e di muoversi dentro questo mare. È strano che non sia nato un dibattito politico importante sulla responsabilità di questo motore di ricerca e sulla debolezza di un mondo di lettori acritici e inconsapevoli del modo con cui questi link vengono selezionati.
Marino Sinibaldi
Uno apre una compagnia di telecomunicazioni e la intitola come un villaggio di silenzio...
Renato Soru ha lavorato in finanza. Ieri citavamo la tecnologia, la finanza e il mercato, poi si è parlato pure della politica e mi sembra che Soru abbia praticato tutti i quattro luoghi della bulimia , anche con un ruolo fondante, come nel caso della Internet Company, cioè di Tiscali che ha aperto nel '97, quindi ai primi passi della bolla di internet. E però scegli come nome di questa compagnia Tiscali che è un villaggio nuragico vicino a Dorgali, un posto nascosto della Sardegna, in mezzo ai monti e alle grotte dove nel corso dei secoli i sardi si rifugiavano per difendersi ogni volta dagli invasori, e qui devo citarlo letteralmente, "dove il silenzio ha sempre regnato sovrano per millenni". Uno apre una compagnia di telecomunicazioni e la intitola come un villaggio di silenzio... C'è un altro caso più recente che ci descrive bene la figura di Soru nei confronti del silenzio: dovete sapere che Renato Soru è stato implicato in una lunga vicenda giudiziaria in Sardegna abbastanza nota che si chiama Saatchi & Saatchi dal nome della compagnia di comunicazione, c'è stato un lungo processo che Renato Soru ha seguito giorno per giorno, in silenzio, dicendo che avrebbe parlato alla fine, so che andava a tutte le udienze, praticamente stava lì ad aspettare la fine. E' stato assolto per fortuna e questa è la sua dichiarazione, la leggo: "Tutto ciò che è da dire è stato detto dal giudice". Tu dici che è il tuo carattere, la tua timidezza, non so se si tratta di una strategia.
Renato Soru
Il silenzio è alla base di ogni comunicazione
Vi spiego la scelta del nome Tiscali . Io sono sempre stato appassionato di archeologia. Sono andato via dalla Sardegna da ragazzino, avevo 19 anni, sono rimasto fuori almeno 15-16 anni e come succede a tutti gli immigrati di questo mondo, mi è venuto un po', come dire, di affetto quasi infantile rispetto alla terra di origine. Poi c'era Gramsci, che è stato citato poco fa, che diceva "Un sardo si porta sempre dietro la polvere della Sardegna sulle scarpe nel suo cammino". Per farla breve, una volta ho conosciuto Aldo Rossi, quell'architetto importante che veniva spesso in Sardegna e che ha scritto il libro "La città dell'uomo" e tra le città che descrive c'è il villaggio nuragico di Tiscali portato come esempio di un popolo che si nasconde, che costruisce la sua casa dentro una grande grotta, cava, dentro una dolina carsica e la costruisce nel posto più impervio possibile, effettivamente chi ci sale si accorge che è in mezzo ad una pietra, non ci cresce un filo d'erba, l'acqua è lontana. Quindi ognuno si costruisce la città di cui ha bisogno, loro avevano costruito una città con cui nascondersi. C'è, poi, uno scrittore sardo che si chiama Sergio Atzeni che ha scritto un bellissimo romanzo "Passavamo sulla terra leggeri" che è una specie di poema epico nazionale dei sardi che dice essere un popolo feroce, terribile, ma felice, e che poi, vedendo arrivare i fenici, iniziano a nascondersi e poi arrivano a nascondersi sempre più al centro e soprattutto dentro questa grotta; Atzeni dice che i sardi stanno lì in silenzio, sentono il rumore dei cavalli che li inseguono e stanno lì, in silenzio, per non farsi trovare. Nel momento in cui c'è stato da dare un nome a questa società mi è piaciuto dargli questo nome, un po' perché ero affezionato ad Aldo Rossi, e poi per Sergio Atzeni, per titolarla al contrario. Mi piaceva il fatto che una società di comunicazioni avesse il nome del silenzio che poi è la forma di comunicazione alla base di ogni comunicazione, io credo, no?
Marino Sinibaldi
Che il silenzio sia alla base di ogni comunicazione è un'idea…
Renato Soru
Eravamo lì per rompere il silenzio
Credo, non il rumore… E poi mi piaceva l'idea di andare lì per rompere il silenzio, non andavamo più lì a nasconderci, ma volevamo parlare . Internet è nato in Sardegna intorno al '93-'94, io ho fatto nel '94 il primo internet provider nella Repubblica Ceca, è stato il primo internet pubblico fuori dell'università offerto ai cechi. In effetti avevamo un vantaggio tecnologico ossia che sapevamo fare alcune cose, poi non siamo riusciti a proteggere quel vantaggio tecnologico, siamo stati superati, altri son venuti, altre università, altre competenze, altre aziende, ma all'epoca avevamo un vantaggio tecnologico sicuramente. Eravamo orgogliosi di partire dal luogo del silenzio, perché volevamo rompere questo silenzio, non eravamo più disposti a nasconderci.
Marino Sinibaldi
Le culture da cui è nato internet
All'inizio era un piccolo gruppo di sardi . Mi viene in mente, sentendo la tua storia, oltre Steve Jobs, il pezzo dell'ultimo numero della rivista Internazionale a cura di Jaron Lanier sull'evoluzione della Silicon Valley, e il bel libro di Steven Johnson che si intitola "Dove nascono le grandi idee". Non so se sia una coincidenza che escano tutte insieme queste cose che ricostruiscono la cultura da cui è nato internet a partire dalla Silicon Valley che era una cultura di hippy, di idee nevrotiche del mondo, euforiche, fantascientifiche, utopiche. Voi sembravate molto diversi, non venivate da questa cultura così famelica piena di sole, di idee, di università, di capitalisti che investivano, che era quella della Silicon Valley. Com'è che dopo un po' di esperienza in finanza hai pensato di entrare in un mondo come quello di internet?
Renato Soru
Io sono rimasto in finanza, ho avviato una carriera, a 33 anni volevo per forza mettermi in proprio. In finanza mi son capitate due cose: ho incontrato Michael Bloomberg che venne in Italia a presentare il servizio Boomberg, dopo essere stato un trader della sala Salamon Brothers, una delle Merchant Bank più famigerata di origine ebraica e poi si è perso quel nome, non mi ricordo con chi sia stata fusa. Bloomberg esce dalla Salamon Brothers e capisce per primo la possibilità di mettere assieme il dato finanziario coi numerini, le quotazioni, con le spreadsheet ossia le tabelle nell'epoca in cui ancora non esistevano le tabelle excel. I trader dovevano fare velocemente i calcoli, prendere i numeri e metterli dentro le tabelle e Bloomberg ha inventato quella roba lì e ha chiamato il suo sistema, siccome era megalomane, con il suo nome. Quindi ha iniziato ad andare in giro a vendere, a convincere le banche ad usare il suo sistema. All'epoca c'erano altri sistemi come America Online e Prodigy ma erano sistemi chiusi che poi prima di internet era una cosa tutta con la sintassi, bisognava mettere i punti, slash e cose di questo genere. Io per diletto mi ero abbonato, bisognava pagare, fare delle telefonate a un nodo che era in Svizzera, perché dall'Italia non ci si poteva connettere. Mi ero un po' appassionato a quella roba lì e quindi quando è arrivato internet e ho visto che la Sardegna aveva un ruolo, l'ho voluto fare, è stato proprio naturale, avevo una forte passione. Andai a parlare con Grauso che nel frattempo aveva avviato una società di internet in Sardegna. Vale la pena ricordare che internet è nato in Sardegna, è cresciuto in Sardegna, grazie alla buona politica. C'è stato, infatti, un momento in cui la Regione sarda ha fatto nascere un centro di ricerca, lo ha chiamato CRS4, doveva essere un centro di ricerche nel super calcolo e chiamò a fare il Presidente Onorario Carlo Rubbia che all'epoca era al CERN a Ginevra. Rubbia venne e disse: si lo facciamo però dimenticatevi il super calcolo, occupatevi di internet e del web. Rubbia disse questa cosa nel 1990 su suggerimento del suo collaboratore Tim Berners-Lee, che ha per primo coniato il nome di World Wide Web (W.W.W), e che lo aiutava a fare i calcoli per il quale poi ha vinto il Premio Nobel. Prese un po' di giovani di buone speranze, qualche sardo che era andato a Pisa, qualche altro e iniziarono a fare questo, questo nel '91. Nel '93 Grauso mise l'Unione Sarda su internet e lo fece mentre ce ne erano 3 o 4 in tutto il mondo, un mio amico ha messo radio X che era una radio locale, l'ha messa su internet usando una versione beta di Real quando ancora non c'erano radio. Ad un ragazzo di Cagliari, Luca Manunza, che lavora ancora con me, che non ha trasformato questa sua idea geniale in un successo economico, gli va dato atto che ha inventato la webmail, perché all'epoca la prima webmail nel mondo prima di quella che poi comprò Microsoft che si chiama Hotmail, l'ha fatta lui nel '94. Ancora oggi è un bravissimo programmatore, fa delle cose importanti. Insomma, Internet è nato per quel motivo lì. Io mi sono appassionato, ho provato a farlo nella Repubblica Ceca, è andato molto bene e poi l'ho venduta a un fondo d'investimento tedesco, poi i tedeschi l'hanno venduta agli austriaci, insomma così è nata. Poi però mi è passata in mezzo la politica, forse nel momento in cui sarei dovuto stare nella società: alla fine del 2003 ho avuto la possibilità e la responsabilità di decidere, era quasi un momento come questo, in 16esmi, in 32esimi in Sardegna accadeva quello che sta accadendo oggi in Italia, la politica va in corto circuito e chiamano qualcuno da fuori. In quel caso l'hanno proposto a me, non con una nomina come è capitata a Monti, perché poi io ho dovuto fare le elezioni.
Marino Sinibaldi
Al tempo si faceva così, bisognava fare le elezioni prima di essere nominati, una bizzarria della democrazia…
Renato Soru
O cerchi di fare qualcosa oppure stai zitto
Io ero assolutamente un rompiscatole, brontolavo, insomma non ero contento di quello che accadeva in Sardegna, soprattutto non ero contento della velocità con cui si stava consumando l'ambiente, si stavano consumando le coste dove vedevo proprio questa bulimia, bulimia vera di cemento e pensavo che questa Sardegna insomma, sarebbe sparita molto in fretta. Forse non è la molla migliore, però devo dire la verità, è stata quella che mi ha fatto propendere per il si. Mi sono impegnato per cercare di interrompere la bulimia del cemento e per provare ad immaginare una possibilità diversa di sviluppo per la regione. Pensavo che, se non l'avessi fatto, in futuro non avrei avuto più il diritto di lamentarmi, perché comunque un'occasione mi stava passando davanti, o la prendi ed eserciti la responsabilità oppure stai zitto per sempre e non avevo voglia di star zitto.
Marino Sinibaldi
Di bulimia del territorio, è veramente l'unica domanda politica che ti volevo fare, quindi l'anticipo, perché appunto in questi giorni è uscito il dato sul consumo di suolo in Italia e sembra che consumiamo ogni giorno 160 ettari di territorio fertile , così dicono le ricerche sul consumo di suolo che diventa cemento, che diventa edificabile. L'unico altro dato che conosco è quello della Germania dove il consumo è di 60 ettari al giorno. Il progetto della Merkel è di ridurlo almeno a 30, cioè di non superare i 30 ettari al giorno. Noi siamo leader in Europa nei consumi di territorio, i nostri luoghi turistici, quelli della Sardegna sono leader in Italia, e quella è stata la tua principale battaglia politica ed è una battaglia che effettivamente riguarda un dato di bulimia autentica, anche perché lì si consuma qualcosa che non è reversibile…
Renato Soru
Ho fatto due battaglie politiche.
Marino Sinibaldi
Quella sul lusso, vuoi citare quella?
Renato Soru
No, voglio citare il fatto che abbiamo invitato 3mila giovani sardi ad andare a specializzarsi fuori con il Progetto Master and Back e quindi da una parte abbiamo cercato di limitare il consumo del territorio e rispettare l'ambiente e dall'altra abbiamo investito sui giovani e sulla possibilità di istruirsi, di investire sul proprio cervello e sullo sforzo fatto nell'educare e nell'educarsi, che credo davvero importante.
Marino Sinibaldi
Sul consumo di territorio c'è stato uno scontro appunto culturale…
Renato Soru
E' come dicevi tu, in altri paesi ne consumano di meno e stanno pensando di dimezzare…
Marino Sinibaldi
Nelle analisi politiche o continentali che son diverse da quelle sarde, hai perso le elezioni per quello…
Renato Soru
La battaglia nella difesa del territorio
E' anche abbastanza vero perché in un territorio dove le imprese sono poche e tendono a diminuire, in cui passano anni senza che nasca una nuova industria o un'impresa manifatturiera, l'agricoltura è in crisi per fenomeni legati anche agli errori nel governo, di mercati agricoli e modalità sbagliate di consumo e di commercio mondiale , sembra che l'unica economia possibile sia l'economia del mattone, tant'è che anche Berlusconi per rilanciare l'economia che cosa si è inventato? Il Piano Casa. In Sardegna per rilanciare l'economia prendono il Piano Casa e cercano di elevarlo al cubo. Il consumo del territorio, il mattone, sembra essere l'unica possibilità di creare lavoro. In realtà è un modo per distruggere il lavoro definitivamente, perché si tratta di un impoverimento per il futuro ed è un impoverimento definitivo. Io credo che sia pericoloso per due motivi: innanzi tutto perché distruggi l'ambiente, il giardino del creato, la qualità della vita per quelli che verranno dopo, distruggi anche il fattore più importante forse in competitività dell'industria turistica, quella della qualità ambientale, perché se non importi modelli che in Sardegna non hanno senso poi il modello della qualità ambientale va sostenuto con la difesa dell'ambiente appunto; ma soprattutto è importante, perché io credo che in futuro non rimarrà questo modello economico per il quale le patate le importiamo dal sud Africa, le arance arrivano dal Cile, ogni cosa arriva da fuori e noi non produciamo più nulla. Credo che non passerà molto tempo che ogni paese tornerà a consumare quello che è capace di produrre, mangerà quello che è capace di produrre, non troppo distante da casa, non è sostenibile che le patate e l'uva volino in aereo, non è sostenibile che rimaniamo senza lavoro e ci siano delle regole di mercato che fanno si che comunque non è conveniente seminare o coltivare il grano, macinarlo sotto casa, nemmeno fare più il pane… In molti paesi non esiste più un panettiere, arriva il pane surgelato che poi viene dorato nei supermercati. È una specie di condanna alla povertà, la condanna alla privazione del lavoro. E allora sottrarre anche un solo metro quadro al terreno fertile io penso che oggi sia un crimine ed è una serissima ipoteca per il futuro.
Marino Sinibaldi
Questa è una descrizione della globalizzazione che non coincide con quella degli altri bocconiani… Ancora due domande, in realtà sulla politica. Una riguarda la politica e la comunicazione dal vero, la politica e la rete. L'altro giorno mi hai detto: io avevo 30mila amici su Facebook e Cappellacci 500 e quello ha vinto…
Renato Soru
Poi io ho spento Facebook… No, non l'ho spento per quello, però è vero che l'ultimo post che ho messo su Facebook è stato qualche giorno prima di Pasqua, quello precedente l'avevo messo per dare gli auguri di Natale, quindi ne metto effettivamente molto pochi…
Marino Sinibaldi
Una domanda importante sulla politica. Renato Soru, oltre a una certa sobrietà, ragiona, fa queste pause, c'è l'aneddoto per cui durante una conferenza stampa ha fatto 30 secondi di pausa, uno ha provato a fargli una domanda e lui hai detto: "Per favore, non mi interrompa". Mentre la politica sembra essere ormai soprattutto il regno della velocità, insieme alla bulimia ne parlammo qui a Capodarco, tra l'altro in cartella proprio sulla velocità dell'informazione ci sono delle cose molto belle di Roberto Morrione, ieri lo abbiamo ricordato, è bello che casualmente i testi che sono stati raccolti hanno proprio a che fare col tema della velocità. La politica è una cosa velocissima, no? Ricordo che Aldo Moro leggeva i quotidiani il pomeriggio, c'entra qualcosa con questo della velocità…
Renato Soru
Aldo Moro li leggeva il pomeriggio, Margaret Thatcher diceva di non leggerli mai, anch'io qualche giorno non li ho letti per dire la verità, così per non farmi del male, per soffrire un po' di meno…
La politica è mettere insieme le persone attorno a un progetto comunitario
Certamente in televisione o in un'occasione come questa magari faccio delle pause, prima le facevo più lunghe… Però poi nella comunicazione, invece, nelle occasioni pubbliche della politica, anche negli interventi pubblici, si forse anche lì faccio qualche pausa, però ho meno problemi, ho meno imbarazzo, vado sufficientemente bene. La politica certamente implica parlare in pubblico, è anche intervenire, anche in televisione, però la politica alla fine è fare le cose, ancora prima è avere un'idea, una visione di società, un progetto, una promessa, un percorso da indicare. Questo bisogna averlo chiaro ed essere coerenti. Credo che sia questa la politica: mettere insieme le persone attorno a un progetto comunitario. Io credo che questo noi l'abbiamo avuto, avevamo un'idea di Sardegna, avevamo un progetto chiaro che abbiamo voluto portare avanti, quando mi è sembrato che quel progetto fosse impossibile da portare avanti, anzi rischiavamo di cancellarne qualche pezzetto, non ho avuto difficoltà a interrompere la legislatura, per altro solo 4 o 5 mesi prima della scadenza naturale. E poi la politica è il lavoro di ogni giorno, l'amministrazione, fare in modo che le cose accadano.
Marino Sinibaldi
Cos'è la sconfitta in politica? Perché mi ha colpito che tu sei rimasto in Consiglio Regionale, sei lì, fai gli interventi, li vedo ogni tanto su youtube…
Renato Soru
La politica non è solo governare, la discussione, la paziente opera di convincimento di una buona idea
Intanto se ti candidi non ti stai candidando soltanto a fare il Presidente della Regione, ti stai candidando a partecipare, il che vuol dire che se vinci fai il presidente, se perdi difendi quell'idea in un ruolo di minoranza in consiglio regionale e lo devi fare con altrettanto impegno e altrettanta passione. Io credo che perdere non abbia giovato alla Sardegna, perché francamente non credo che questo governo sia migliore del nostro, però a me ha dato la possibilità di tornare a Tiscali e credo che sia importante. Devo dire che come politico perdere mi ha migliorato e l'esperienza in Consiglio Regionale mi è stata utile. La politica non è solamente il governo, comandare poi un governo un po' autocratico nel caso di un presidente di una regione a statuto speciale che erroneamente chiamano anche governatore, per indicare proprio un presidente eletto direttamente. La politica è anche il parlamento, la discussione, la paziente opera di convincimento di una buona idea. In effetti, c'è una grande soddisfazione qualche volta, quando ci capita di parlare dalla parte della minoranza e vedersi riconosciuta un'idea, cambiata una proposta di legge e migliorata una posizione che viene dalla maggioranza. Nel momento in cui perdi però è dura, io non so come sia stato per gli altri, per me è stato un vero dispiacere, un lutto, e ci vuole tempo per metterlo da parte.
Marino Sinibaldi
Mi ha sempre colpito la storia del fallimento della Enron per cui si racconta che uno dei motivi fu dovuto al fatto che ad un certo punto un un giovane amministratore delegato, un giovane rampante, truccò un po' i dati per comprarsi un atollo nel pacifico, non so se poi se l'ha comprato. Mi ha sempre colpito questa storia, perché lì c'è il vero nodo della bulimia, cioè un'esplosione del desiderio. Quella è bulimia secondo me. La finanza, campo dove tu hai lavorato, sembra proprio questo, perché produce continuamente crescita…
Renato Soru
Non è sempre stato così.
Marino Sinibaldi
Non capisco che ci faceva uno come te in quell'ambiente…
Renato Soru
La finanza deve servire per creare lavoro
Mi è capitata la fortuna di lavorare in finanza, all'epoca ci entrò anche Monti, erano famosi i suoi articoli sul Corriere della Sera dove diceva: la finanza italiana deve abbandonare questo sistema di lacci e laccioli… Allora c'era ancora l'ufficio italiano cambi e c'era una regola semplice per cui, in materia di cambi e di finanza, era tutto proibito tranne quello che non era espressamente autorizzato. Ci fu un giorno dell'anno 1982, mi sembra, in cui cambiò tutto, da quel momento tutto era autorizzato tranne quello non espressamente proibito. Caddero così le autorizzazioni preventive dell'ufficio italiano cambi, un cittadino italiano poteva avere un deposito in lire, ma anche in valuta. In più si superò un altro principio, di cui oggi forse siamo pentiti, che era la separazione tra banca e industria, la specializzazione del sistema bancario, cioè le banche che fanno da banca commerciale, che prendono i soldi, i depositi dai privati, li trasformano per scadenza e li devono prestare alle imprese in contrapposizione alle altre banche d'affari americane che invece prendono i soldi e li usano per fare altri soldi, investendo nelle imprese, oppure investendo in derivati ossia soldi che servono per fare altri soldi. Il sistema delle banche commerciali è un lavoro straordinario, perché prendono il risparmio dei privati e lo danno a chi quel risparmio vuole investire in attività produttive, quindi in lavoro, se non ci fossero le banche sarebbe impossibile mettere assieme il risparmio con l'investimento, quindi fanno un lavoro sacrosanto e in finanza in Italia abbiamo avuto gente come Beneduce, Mattioli, abbiamo avuto, quando ancora non si chiamava Project Financing, questi che prendevano il risparmio e lo trasformavano anche in grandi opere di bonifica, la prima industrializzazione, le prime dighe, la nascita dell'idroelettrico, l'energia elettrica, che era altrettanto sbalorditiva. Insomma, a me è capitato quindi di vivere questa cosa e di iniziare a far finanza in quel mondo lì, ho fatto i primi Swop che erano i primi derivati in Italia, poi però me ne son voluto andare proprio perché non mi piaceva di lavorare in questi servizi, volevo tornare in Sardegna e fare la mia impresa.
Senza la finanza non potrebbero nascere le imprese
Oggi lo semplificherei così: la finanza è necessaria perché altrimenti i risparmi dei privati finirebbero sotto il materasso o in una buca e non sarebbero remunerati e ugualmente gli imprenditori non avrebbero di che investire, non avrebbero le risorse per investire e non potrebbero nascere le imprese. Il lavoro della banca è un lavoro nobile, prende questi risparmi, fa in modo che in qualunque momento vengano richiesti indietro, li trasforma per scadenze e li dà agli imprenditori, selezionandoli, stando attenti al loro progetto d'impresa affinché glieli restituisca e possa onorare il debito che ha verso i risparmiatori. È un lavoro che serve a far nascere o a far crescere imprese e dietro l'impresa, insieme all'impresa, c'è subito un'altra parola fantastica che è lavoro. Poi c'è stato un modo di fare finanza che se ne frega delle imprese, ancor di più se ne frega del lavoro, trova che c'è un modo più facile di fare soldi e si concentra su quello. In questi ultimi anni c'è stata una polarizzazione della ricchezza che non si concentra più laddove c'è produzione e lavoro bensì laddove c'è la finanza e il gioco della finanza, fine a sé stesso, e questa è la contraddizione che emerge, sta nel denaro che investe sul denaro, prima ha toccato le azioni, ora sta toccando i debiti dello stato e i titoli pubblici dello stato. Così la finanza mette in crisi gli stati, mette in crisi addirittura un disegno politico formidabile come quello di uscire dagli stati nazionali e mettere assieme una Comunità europea. Questo sta facendo il male della finanza.
Marino Sinibaldi
Anche qui la parola bulimia è utile, assume delle dimensioni. Tu hai fatto un'esperienza molto particolare…
Renato Soru
Ho fatto tutte piccole esperienze…
Marino Sinibaldi
No, no, hai fatto un'esperienza importante: quando Tiscali nel '99 è stata collocata in borsa, il titolo valeva 46 euro e poi nel marzo del 2000 mi sembra sia arrivato a 1197…
Renato Soru
C'è stato un giorno in cui ero più ricco di Agnelli, erano un sacco di soldi…
Marino Sinibaldi
Però dopo…
Renato Soru
Tiscali l'unica impresa industriale nata in Sardegna negli ultimi 20 anni
Lo racconto perché è un altro mondo ed è una storiella . In effetti io lavoravo con molta passione, con molto impegno e con pochi soldi, poi facciamo la quotazione, in effetti nel giro di pochi mesi la finanza dice che questo titolo vale tot e quindi virtualmente sono finito nelle prime 60 fortune al mondo. Non so che cosa sia successo, se una educazione cattolica, un'educazione repressiva, quello che sto per dire è semplicemente che io guardavo con molto rispetto questo lavoro, ho usato le azioni per far crescere Tiscali, però non ho venduto le azioni e non l'ho fatto non perché pensavo che sarebbero potute valere un po' di più e che avrei potuto guadagnare di più, non le ho vendute perché mi sembrava una cosa non mia, non mi sembrava vero, non mi sembrava denaro lavorato e quindi sembra una cosa pazzesca. Avevo fatto un ragionamento: se Tiscali produrrà ricchezza, se la società andrà bene, io andrò bene con la società, se la società deve andar male, non voglio io andar bene con una società che va male. Quindi con questi fagiolini dorati che erano le azioni di Tiscali, con cui in tanti ci han fatto fortuna e hanno venduto e comprato tra di loro, io non ho mai fatto una sola operazione di trading in 10 anni e le azioni che avevo ancora ce le ho, valgono molto meno, non valgono quasi niente soprattutto da quel punto di vista lì, però ci sono ancora 1000 persone che prendono lo stipendio e in 10 anni hanno preso oltre mezzo miliardo di euro di stipendi a Cagliari. A memoria mia, Tiscali è l'unica impresa industriale nata in Sardegna negli ultimi 20 anni. E con un po' di fortuna e un po' di caparbietà io spero che possa ripartire, che abbia successo e il successo di Tiscali poi è sempre il successo dei suoi azionisti alla fine. L'economia della finanza, di cui abbiamo parlato, faceva sì che le società nascessero, rendessero ricchi alcune persone, poi chiudessero. Io però non l'ho potuto fare, la Sardegna era troppo piccola, se avessi chiuso mi avrebbero sparato…
Marino Sinibaldi
Non so se è mai stata citata, come analogia un po' alla tua vicenda, al tuo modo di pensare, la figura di un altro sardo austero che era Enrico Berlinguer . Adesso Goffredo Fofi, con le edizioni Lo straniero, ha ripubblicato quei 2 discorsi che Berlinguer tenne tra il '77 e il '78, mi sembra al Teatro Eliseo a Roma, agli intellettuali e poi agli operai di Milano. Furono due discorsi che ai ragazzi, ai giovani dell'epoca, parvero abbastanza indigeribili e ancora per certi aspetti lo sono, perché tentavano di introdurre nuovi princìpi, non nella politica, ma nella politica di un momento particolare, quello in cui si costituivano i valori che hanno dominato questa società negli ultimi 30 anni, cioè dalla fine degli anni '70, quando inizia quel trentennio dei valori collettivi diciamo della ricostruzione, quel trentennio che ha avuto i suoi campioni in Margareth Tatcher e in Ronald Reagan all'inizio, in Italia negli anni '80 con Craxi e poi con i suoi eredi che hanno governato fino a pochi mesi fa. Proprio in quella congiuntura, Enrico Berlinguer cita la parola austerità che apparentemente non c'entrava nulla e che ha effettivamente, oggettivamente, costretto in un angolo la sinistra italiana che è stata in minoranza in questo paese, un minoranza non solo e non sempre numerica, ma una specie di minoranza intellettuale, culturale, come fosse estranea ai sentimenti che invece dominavano il paese.
Renato Soru
Io, naturalmente, in politica Berlinguer l'ho citato spesso su alcune cose, perlopiù per la questione morale di cui spesso si parla. Certamente lui ha anticipato anche il discorso di questi ultimi mesi sulla sobrietà e credo che sia stato profetico alla fine, perché credo che sia necessario imparare ad essere più austeri, più sobri, meno bulimici. Il mondo non ci può contenere così bulimici, così consumatori…
Marino Sinibaldi
Ma tu pensi che quel trentennio lì, che nacque anche sulla sconfitta aperta da ciò che diceva Berlinguer, sia finito?
Renato Soru
Non decrescita bensì l'unico modo per continuare a vivere, a crescere, l'unico modo sostenibile dal punto di vista ambientale, ma anche sociale
Berlinguer nello stesso periodo parlò di austerità e anche della necessità, rispetto ad alcuni temi, di un qualche governo internazionale, sovranazionale, pensava che il mondo su alcuni temi avrebbe dovuto riflettere e concordare tutti insieme. Mi pare che è quello che sta accadendo, oggi è più evidente questa necessità in termini di tutela ambientale, di diritti, di grandi migrazioni, in tema addirittura di governo finanziario. La parola austerità allora non piacque, forse l'Italia non era pronta, si aspettava il Craxi della Milano da bere, che invece vinse e sostituì Berlinguer, no? Forse non fu una parola fortunata, come non lo è stata quella che abbiamo citato anche prima, la decrescita, bisognerebbe chiamarla in maniera diversa perché non si tratta di tornare indietro, si tratta dell'unica possibilità che abbiamo di continuare a stare su questo pianeta e di continuare a soddisfare i nostri bisogni senza pregiudicare il soddisfacimento dei bisogni di chi verrà dopo di noi. Penso che oggi con questi temi ci dobbiamo confrontare, a questi temi dobbiamo dare una soluzione. Quasi il 70% delle popolazioni che vivono sulle coste del Mediterraneo depurano le acque e il resto, invece, immettono le acque reflue, immettono qualunque cosa senza depurarla; ci accontentiamo di occuparci delle prime venti miglia di acqua territoriale e subito dopo invece trascuriamo e facciamo sì che ad esempio in Sardegna vietino la pesca e contingentiamo con le norme europee i quintali di tonno che possiamo pescare nelle peschiere della Sardegna, mentre oltre le venti miglia ci sono le grandi navi che intercettano i branchi di pesci, i branchi di tonno, i branchi di qualunque cosa con gli aerei e poi mandano lì i loro pescherecci piccolini e poi dietro la grande nave industriale che saccheggia tutto. Quanto tempo potremo ancora andare avanti tra acque non depurate e saccheggiate delle coste del Mediterraneo, ad esempio? È totalmente evidente che forse non resistiamo altri 20anni che sono niente, lo vediamo nella nostra vita, sono un istante e quindi che razza di Mediterraneo, ad esempio, consegneremo ai nostri figli, ai nipoti? E questo vale per tutto il mondo. Così come non è che ci sia solo la Silicon Valley e bisogna riempire di Silicon Valley il mondo per dare un lavoro a tutti. È certo che non si può vivere senza lavoro. Il lavoro è la possibilità di vivere liberi, di bastare a sé stessi, di poter rientrare a casa e pensare ai propri figli e questa necessità di lavoro come la soddisferemo? Non solamente con internet e con le tecnologie, non solamente grazie alle nostre città d'arte o al turismo, magari al turismo del sole di un solo mese e mezzo all'anno. Si è pensato che si potesse rinunciare a questo lavoro di gestione ambientale, della campagna, della trasformazione dei prodotti della terra in prodotti alimentari, tutto ciò che abbiamo pensato facesse parte del passato e che la modernità stesse solamente sulle chiavette da mettere nel computer. Forse dobbiamo ripensare a tutto questo e sicuramente ci sarà da consumare di meno, meno acqua, meno energia, ci sarà da consumare meno cose. E non basta. Una mia amica mi ha raccontato di un esperimento che ha fatto in una sua classe; ha chiesto ai bambini "Che frutta state consumando in questo periodo? I mandarini. Ditemi qualche tipo di mandarino. E un bambino gli ha detto i clementini. Bene e che cosa c'è di speciale nei clementini? Che non hanno semi. E allora come si riproducono i clementini se non hanno semi?". I clementini sono stati la prima pianta brevettata che devi comprare per produrre e lo stesso ora vale per quasi tutto, per i pomodori, per il grano, per il granturco, per ogni cosa. Si potrà andare avanti così? Dove un uomo non è nemmeno libero di prendere un seme, di piantarlo in terra e di sfamarsi? Non ci sta. Quindi non direi decrescita, lo chiamerei l'unico modo di continuare a vivere, di continuare a crescere, l'unico modo sostenibile dal punto di vista ambientale, ma anche sociale.
Marino Sinibaldi
Una domanda, secondo me più complicata, sul tuo rapporto con l'informazione e la politica: anni fa hai comprato L'Unità per farne un giornale diverso . Perché l'hai comprata? Non mi rispondere perché era di Gramsci, perché mi ricordo ci siamo incontrati una volta, avevi comprato L'Unità, ti ho chiesto perché l'avessi comperata e mi hai risposto "perché era di Gramsci", che è una bellissima risposta era una spiegazione all'inizio sufficiente, adesso no. Te lo chiedo soprattutto perché si fa così tanta fatica a fare un giornale così, cioè un giornale politico che vuole essere popolare, dimmi proprio il tuo punto di vista, visto che un po' questa fatica sta ancora pesando su di te sostanzialmente e sul tuo investimento.
Renato Soru
L'esperienza come editore de L'Unità
Io ho comprato L'Unità nei giorni in cui c'era la campagna elettorale di Veltroni nel 2008, che ha visto vincere Berlusconi. L'Unità ha rischiato di chiudere proprio nel momento in cui finalmente stavo vendendo Tiscali e quindi pensavo di poterlo fare e pensavo anche che mi sarei potuto impegnare in un'iniziativa di questo genere. Poi in realtà è successo di tutto nel 2008, tra cui la prima grande crisi finanziaria, la vendita di Tiscali non accadde più e a me è rimasto questo impegno. Fare l'editore credo che sia un mestiere difficile, io soprattutto nei primi mesi non ho potuto far nulla, anzi avevo lasciato le azioni in un Blind Trust, come anche quelle di Tiscali, dato che c'era una legge sul conflitto d'interessi in Sardegna. Quindi non me ne occupavo, poi me ne sono dovuto occupare nel 2009, dopo le elezioni. Quando l'ho presa io, L'Unità, in un solo anno, perdeva oltre 7milioni di euro. Effettivamente costava troppo, non vendeva neanche tante copie, stava scemando, diminuendo e si è provato a rilanciarlo. Con Concita De Gregorio è stato fatto un lavoro importante, il giornale si è presentato in maniera diversa, abbiamo percorso la strada dell'innovazione tecnologica, il sito va piuttosto bene, è andato subito sull'iPhone, sull'iPad ed ha certamente una quota di mercato molto più importante su internet di quanto non abbia sulla carta stampata. E' un giornale che ha un finanziamento pubblico, ma non ha assolutamente pubblicità e d'altronde ha sofferto anche per colpa di Berlusconi che ha indicato agli investitori pubblicitari, come per La Repubblica, di non investirci. Ora, non investire su L'Unità è facile, non investire su La Repubblica è meno facile, e quindi non ci hanno investito. L'Unità vive delle vendite delle sue copie e del finanziamento pubblico di cui stamattina abbiamo parlato. Non è facile. Oggi non perde più quei soldi, è in un equilibrio precario e andrebbe molto meglio se avesse un'attenzione migliore da parte degli investitori pubblicitari però ad esempio se viaggiate su Alitalia c'è Libero, ma L'Unità non c'è, se andate sulle Ferrovie dello stato ci sono giornali anche impensabili, ma L'Unità non c'è perché appunto è considerato un giornale di partito e semplicemente non c'è. Che cosa c'è nel futuro de L'Unità? Io l'ho detto tante volte, spero che qualcuno finalmente mi avvicendi in questa avventura, si prenda la responsabilità. Sembra assurdo ma non c'è la fila, anzi, non c'è tanta gente che è disposta a prendersi questa responsabilità. L'Unità tocca punte di 350mila utenti unici, una quota e un fatto importanti. Bisognerebbe dare i finanziamenti pubblici ai giornali veri eventualmente, che vendono in edicola e quindi calcolare i lettori che son disposti a pagare, e calcolare anche gli utenti unici che ogni giorno vanno sul sito e s'informano. È giusto finanziare i giornali di partito? Non lo so, comunque è un'altra storia…
Marino Sinibaldi
In genere si dice si faccia una domanda e si dia una risposta, invece ti sei fatto la domanda e ti sei rifiutato di rispondere.
Intervento (Giornalista freelance)
Chiediamo spesso ai direttori, ai giornalisti, quanto sono importanti i collaboratori per i giornali, a lei che è un editore, volevo chiedere quanto sono importanti i collaboratori per il suo giornale. Tra l'altro abbiamo saputo che non sono pagati da molto tempo e quindi le volevo chiedere se si può prendere questo impegno pubblico di pagare i collaboratori, grazie.
Renato Soru
La domanda è fantastica, vorrei sapere, innanzitutto, se si riferisce a Tiscali o a L'Unità, perché ad esempio a Tiscali abbiamo 14 Articoli 1 e neanche un collaboratore precario, nemmeno un Articolo 2 e sono naturalmente pagati puntualissimamente. A L'Unità mi risulta che sono tutti pagati. Quando il giornale dovette pensare al riequilibrio di bilancio non ha rinnovato i contratti a tempo determinato però ha onorato tutti i contratti che aveva coi suoi giornalisti ossia con gli Articoli 1. Quindi la sua domanda veramente mi sembra sorprendente. Non sono l'amministratore delegato della società, quindi non conosco collaboratori di Tiscali né de L'Unità, che non siano pagati, so che paghiamo gli stipendi regolarmente. Mi sono impegnato nella gestione di Tiscali e de L'Unità, sono un azionista con un grandissimo sacrificio economico, ho già detto che non vedo l'ora che qualcuno compri L'Unità, sono anche andato a chiederlo con molta insistenza in tante occasioni. Se ci sono dei collaboratori che non hanno ricevuto lo stipendio e che hanno scioperato a ottobre, me ne scuso, me ne scuso come azionista di questa società. Questo comunque è il segno di un giornale che ha difficoltà, che c'è difficoltà a mandare avanti un'azienda che si sta tentando di non chiudere. Qualche volta mi sono anche chiesto se non sia meglio chiuderla, potrebbe anche essere una cosa da prendere in considerazione, anche per evitare domande come questa, ad esempio. Io mi sento innanzi tutto responsabile di Tiscali e ho anche l'orgoglio di dire che in questo momento, su mille lavoratori, non abbiamo uno solo precario, abbiamo meno di 5 lavoratori assunti a tempo determinato e non abbiamo nemmeno un lavoratore assunto dalle agenzie interinali; quando vengono assunti, hanno tutti un contratto a tempo indeterminato, senza troppi giri e senza troppi contratti atipici o flessibilità. I giornalisti de L'Unità sono tutti iscritti all'ordine e tutti Articoli 1, hanno un contratto integrativo aziendale che viene rispettato, hanno persino un asilo aziendale con ulteriori benefit. Quindi ho cercato di fare impresa rispettando i diritti e creando il miglior ambiente di lavoro possibile. Sono azionista de L'Unità, è vero, ma non mi raccontano tutto, fortunatamente, e il mio impegno come azionista, deve capire, che è quello di aver finanziato il capitale sociale e aver cercato di fare in modo che questo capitale bastasse. E infatti l'ho finanziato inizialmente e rifinanziato e rifinanziato e rifinanziato enne volte, tante, più forse di quanto potessi permettermi, ma è un'azienda che, nonostante il finanziamento pubblico, fa molta fatica. Io credo che forse sarebbe più opportuno che si facesse il giornale con le persone che è possibile pagare puntualmente ogni mese, senza nessuno in più e anche con una foliazione inferiore, se necessario.
Intervento
Buonasera, lei prima parlava del monopolio di Google, volevo chiederle se gli operatori della comunicazione hanno fatto qualcosa per evitarlo e se era eventualmente possibile questo.
Renato Soru
No, i singoli operatori della comunicazione no. C'è qualcuno che ci ha provato . La storia di Google e dei motori di ricerca nel mondo è una storia interessantissima. Il primo motore di ricerca in Italia, Arianna , lo fecero un gruppo di ragazzi e un professore dell'Università di Pisa. All'epoca c'era un altro motore di ricerca che si chiamava Overture e c'è stato un motore di ricerca in Norvegia che si chiamava Fast . Successivamente, un ricercatore italiano, Massimo Marchiori, ebbe l'idea di inventare un algoritmo che si chiamava Page Rank per dare un'importanza alle pagine e ordinare le risposte, sulla base di quell'algoritmo; in effetti i giovani fondatori di Google innovarono il motore di ricerca e furono in grado di migliorare la qualità della risposta. Lo innovarono, poi, anche in un altro modo, mettendo l'indice non più nei dischi rigidi, che avevano una velocità di risposta molto lenta, ma mettendolo direttamente nella memoria Ram, quindi Google, in maniera prodigiosa, ti dava le risposte giuste e te le dava in maniera istantanea, perché tutto era nella Ram. Sì fece così piazza pulita di tutti gli altri. Noi stessi, partendo da Arianna, avevamo fatto un motore di ricerca che chiamavamo Jonas che chiudemmo anche perché non avevamo capito come monetizzarlo, come farne profitto. Poi venne Google e ci offrì 10milioni di euro per mettere il loro motore di ricerca sui nostri portali e noi passammo da un motore che ci costava dei soldi a uno che non ci costava niente e finalmente ci dava profitto. Una volta che questi hanno acquisito un quasi monopolio di fatto, è risultato pressoché impossibile tornare indietro. C'è stato un tentativo americano che è fallito, un secondo tentativo importante che si chiama Bing di Microsoft, anche quello ha nel team di sviluppo del prodotto un giovane italiano che si chiama Gullì. Microsoft sta facendo molta fatica, non sta avendo successo. C'è stato un tentativo europeo che fu promosso dal presidente francese Chirac, ci ha investito un bel po' di soldi eppure quel progetto è fallito. Esattamente proprio in questi giorni in Italia si sente parlare di un nuovo possibile motore di ricerca che dovrebbe segnare un'esperienza di ricerca diversa e che verrà lanciato nelle prossime settimane. Ci fu un altro progetto politico, altrettanto importante, paragonabile a quello francese fatto nell'Europa ai tempi di Prodi, ossia il progetto Galileo: c'è stato un momento in cui le tecnologie di trasmissione via satellite erano tutte in mano all'industria americana e l'Europa non aveva una sua costellazione satellitare che è importante non solamente per le comunicazioni e le telecomunicazioni così come possiamo intuire, ma addirittura perché fa da clock, batte il tempo agli apparati che illuminano la fibra ottica, se non ci fossero i satelliti non ci sarebbe nemmeno la fibra ottica. La fibra ottica si muove col tempo scandito dalla costellazione satellitare. Per questo motivo l'Europa pensò che non poteva essere dipendente solamente dall'industria americana. Su tutto questo è stato promosso il grande programma Galileo della industria dei satelliti europei che ha avuto successo e ha successo. Allo stesso modo io credo che l'Europa non possa vivere solo contando sul lavoro di una sola industria americana che è capace di farci trovare le cose di cui abbiamo bisogno su internet. Il problema è immaginare internet senza Google o internet senza motore di ricerca. Noi avremmo dei meravigliosi computer, delle meravigliose chiavette o delle meravigliose adsl o fibra ottica, ma non sapremo che farcene perché semplicemente non sapremmo dove andare a cercare le nostre cose e oggi tutto il mondo è così legato a questo filo sottile.
Cinzia Gorini(Televideo Rai)
Chi lavora a questo nuovo motore di ricerca italiano e quando sarà lanciato? Qualche particolare in più se possibile.
Renato Soru
E' una notizia che è stata già data nei giorni scorsi, ci lavora lo stesso Massimo Marchiori che è questo ricercatore che ha presentato l'algoritmo di Page Rank ai due fondatori di Google. Marchiori, insieme a un mio amico sardo, hanno fatto questo motore che si chiama Volunia . In questo momento è chiuso, viene testato su inviti, è stato riportato da alcuni siti italiani e so che si è iscritta un sacco di gente e speriamo bene.
Volevo dedicare questi ultimi istanti per dirvi che dobbiamo svegliarci, perché comunque internet non è finito, è nato pochi anni fa ed è ancora tutto da fare. Non dobbiamo vivere questa rassegnazione pensando che in Europa e in Italia non saremo mai in grado di produrre un'applicazione che abbia successo, che sia un'applicazione globale. Se ci pensate stiamo tutti utilizzando l'internet americano dei social network, del commercio elettronico, del motore di ricerca, delle comunicazioni, non c'è un servizio che utilizziamo ogni giorno che sia prodotto e che sia lavoro europeo o italiano. Questa cosa non è per sempre, naturalmente va ribaltata, ci sono un sacco di intelligenze, ci sono un sacco di persone che le possono fare, se solo avessimo più coraggio. Forse nel passato abbiamo pensato che l'unica carriera possibile è quella sportiva o nello spettacolo, se pensassimo anche noi che una carriera possibile può essere quella dell'invenzione, di inventare un servizio, un prodotto, una tecnologia, magari avremmo più successo. Credo, comunque, che il peggio sia passato.
* Testo non rivisto dagli autori.