XVIII Redattore Sociale 25-27 novembre 2011

Bulimie

Il giornalista di quartiere

Intervento di Dario Paladini

 
Durata: 22"
 
 
 
 
Dario PALADINI

Dario PALADINI

Giornalista, corrispondente da Milano di Redattore sociale, fa parte della redazione di Terre di mezzo.

ultimo aggiornamento 07 novembre 2016

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Stefano Trasatti

Dario Paladini è un giornalista di Terre di Mezzo e di Redattore Sociale, in particolare negli ultimi anni ha fatto il giornalista di quartiere, perché è stato in via Padova, conoscete questa lunghissima via di Milano di cui si parla spesso, via problematica, così viene presentata, via degli immigrati, dei casini, delle risse, ecc. Dario tutte le mattine va lì, scrive notizie, notizie vere, insomma la sua è una storia giornalistica professionale interessante che adesso ci racconta.

Dario Paladini

La storia di Via Padova a Milano

Riassumo brevemente che cos'è via Padova, per chi appunto Milano non la bazzica o non la conosce. Via Padova è una via multietnica, come si suol dire, qualcuno dice la più multietnica di Milano, sono 4km e mezzo, parte da Piazzale Loreto che è una zona quasi centrale di Milano e arriva fino alla tangenziale est, attraversa tutta la città. In questa via, come dire, si susseguono diversi paesaggi, partiamo da una zona simile a quelle tipiche dello shopping del centro di una grande città, fino ad arrivare alla campagna a ridosso di una tangenziale, quindi quel degrado che spesso accompagna queste zone periferiche. Ovviamente non è l'unica via multietnica di Milano e soprattutto Milano non è l'unica città in Italia, tanto meno del mondo, che ha un quartiere multietnico, quindi tutto sommato è nella normalità che ci sia una zona così. Quello che ha caratterizzato via Padova soprattutto per la storia di Milano è quello che è successo il 13 febbraio del 2010, quando un giovane egiziano viene ucciso da un giovane ecuadoriano per una banale lite che scoppia sull'autobus 56 che percorre tutta la via avanti e indietro. Tra l'altro si è trattato di un normale accoltellamento come possono capitare nelle grandi città. Quello che cambia la storia di via Padova, però, non è questo accoltellamento, fra l'altro avvenuto fra due giovani che non abitavano in quella zona, anzi l'assassino abitava in un paese fuori Milano, a San Donato Milanese, quindi una zona lontana da via Padova. Quello che cambia la storia rispetto a questo fatto di cronaca è quello che succede subito dopo. L'accoltellamento avviene nel tardo pomeriggio di sabato, ovviamente viene transennata tutta la zona dove c'è il corpo di questo giovane egiziano, pian piano si forma una folla di giovani egiziani che a un certo punto chiedono il corpo del ragazzo ucciso. Lo chiedono per tante ragioni, anche religiosi, almeno così sembra emergere, perché il corpo non può essere lasciato a sé stesso. Ma soprattutto, quello che mi ha raccontato il responsabile della Casa della Cultura Islamica che c'è in via Padova, questi giovani hanno avuto come l'impressione che il corpo era stato abbandonato e che nessuno stesse facendo indagini, nessuno stesse facendo qualcosa per trovare l'assassino, perché ovviamente questo era scappato. Quindi cominciano a chiedere il corpo, a protestare, ovviamente i vigili urbani, polizia e carabinieri non lasciano passare nessuno e la rabbia che man mano nelle ore monta si sfoga nelle vie intorno; succedono tutta una serie di atti di violenza molto forte, auto rovesciate, vetrine spaccate, che cambiano quindi la storia di via Padova che fino ad allora era una delle tante vie multietniche di Milano. Tra l'altro questi giovani egiziani vanno a caccia di latino-americani, sfasciano le vetrine dei negozi gestiti da latino-americani, quindi sembra, e tutto sommato in quel momento lo è, una guerra fra etnie. Questa cosa qua, come dire, scatena in tutta la città una reazione molto forte perché io penso non fosse mai successo prima un episodio del genere.

Il clima in via Padova testimoniato dalle riprese fatte in quella giornata

Vi faccio vedere solo un breve filmato preso da youtube per dar l'idea del clima che si era creato quella sera. Vi faccio vedere queste immagini perché poi sono quelle che in quei giorni hanno girato di più sia sulla rete che sui mezzi d'informazione e che hanno etichettato quella zona, diventata la zona più pericolosa di Milano.

Proiezione video

Via Padova diventa il ghetto

Nei giorni successivi via Padova diventa un quartiere pericoloso, il ghetto, sono vari gli aggettivi con cui si inizia a chiamare questa zona di Milano . In questo frangente ci mette del suo la politica perché circa due settimane dopo il comune di Milano emette due ordinanze sicurezza su via Padova e il quartiere intorno. La prima ordinanza è stata soprannominata "l'ordinanza coprifuoco" e in sostanza anticipa la chiusura dei negozi, dei bar, dei kebab, ecc., di un paio d'ore, come dire andate a casa prima. Questo ha l'effetto tra l'altro di rendere deserta la via tanto che, racconteranno alcuni residenti, il fatto che la via fosse deserta incuteva ancora più paura. Con l'altra ordinanza si obbligano tutti i residenti in via Padova e nelle 25 vie limitrofe di autodenunciarsi al comando dei vigili urbani della zona: dovevano sostanzialmente dire nome, cognome, dove abitavano, quanti erano in quell'appartamento, questo per combattere i dormitori abusivi.

Fare il giornalista di quartiere

Noi, come corrispondenti di Redattore Sociale , abbiamo deciso di assegnare uno di noi a questa zona di Milano, perché volevamo e vogliamo fare un giornalismo che cercasse anche,come dire, dei punti di vista diversi da quelli che normalmente noi stessi, facendo l'agenzia di stampa, usiamo. Ovviamente portiamo avanti questo lavoro con le associazioni. Nel frattempo, inoltre, su questo quartiere era iniziato un progetto di coesione sociale finanziato dalla Fondazione Cariplo che coinvolgeva le associazioni della zona e anche noi come Terre di Mezzo, perché lì stavamo avviando un laboratorio di scrittura creativa per bambini. Questo progetto poi è andato avanti, cercando anche di rispondere alla richiesta da parte delle associazioni della zona che chiedevano a noi di Terre di Mezzo di fare in modo che un nostro giornalista potesse raccontare questa zona da un punto di vista diverso, non solo legato a quel fatto di cronaca molto grave che è avvenuto nel febbraio 2010. Noi ovviamente abbiamo accettato e ci sembrava interessante poter parlare di Milano, fare anche i corrispondenti di Redattore Sociale da un punto di vista diverso che non fosse solo quello di, come dire, andare in giro per conferenze stampa, convegni, ecc., ma vedere certe cose che avvenivano in città e non solo in via Padova. Noi quindi siamo, come dire, arrivati dopo i fatti gravi, la notizia grossa era già passata, io ho iniziato a fare il giornalista di quartiere nel dicembre del 2010, quindi dopo circa 8 mesi dal grave fatto che aveva suscitato scalpore a livello nazionale. Abbiamo aperto anche un blog su via Padova per poter, come dire, mettere tutto il materiale che man mano abbiamo raccolto, ma prima di avviare questo blog abbiamo deciso di dedicarci, o almeno io ho deciso di dedicarmi un mese alla conoscenza di questo quartiere. Considerate che si tratta di un quartiere dove abitano più di 30mila abitanti, quindi un comune medio-grande, come Fermo più o meno. In questa via ci sono 2 centri islamici, 3 parrocchie, almeno almeno 15 chiese evangeliche, come dire etniche, nel senso che c'è la chiesa evangelica degli ucraini, dei peruviani, dei filippini, ecc. E poi ci sono 2 cinema a luci rosse, 5-6 supermercati, 3 mercati di strada al lunedì, al mercoledì, al venerdì. Ci sono circa 70 fra associazioni e cooperative. Si tratta quindi di una via estremamente vivace e di una realtà complessa, può piacere o no. Da un punto di vista visivo si ha l'impressione che tutti i negozi siano stranieri, in realtà non è così perché su circa 200 negozi che ci sono solo lungo via Padova, quelli stranieri sono 80-85; in realtà la maggior parte dei negozi o attività commerciali sono gestiti da italiani. L'impatto visivo, però, effettivamente è che sembra di stare in un altro paese, non sembra di stare in Italia.

Cosa abbiamo fatto poi in questi 10 mesi?

Semplicemente abbiamo cercato le notizie lì oppure abbiamo letto alcune notizie che riguardavano anche tutta la città da quel punto di vista, ho fatto il corrispondente diciamo così, c'è chi lo fa da altre parti del mondo, io l'ho fatto da un quartiere di Milano. Il tema della sicurezza per esempio, è stato molto interessante osservarlo e raccontarlo da quel punto di vista, perché su queste ordinanze, lasciamo perdere quella del coprifuoco che la gente diceva: ma adesso quando esco non c'è più nessuno, mentre prima c'erano bar aperti, c'era gente che passeggiava, adesso non c'è nessuno, ho paura adesso, non prima. Lasciando perdere questo che poi è una questione anche di percezione personale, è interessante il fatto delle ordinanze contro i dormitori abusivi, perché è singolare che anche un cittadino italiano, comunque un cittadino che è straniero ma residente e iscritto all'anagrafe, debba dire al comune le cose che il comune sa. Io ho qua il modulo, l'ho portato perché mi sembra interessante far vedere come sono a volte le politiche sulla sicurezza. In questo documento sostanzialmente va riportato il nome, cognome, nato, codice fiscale, via, piazza, telefono e poi la dichiarazione che in un determinato appartamento o casa, vive solo il nucleo familiare. Ad un certo punto è intervenuta un'associazione che si chiama "Avvocati per niente" costituita da un gruppo di avvocati e i penalisti hanno detto che si trattava di un'assurdità perché non si può pensare che qualcuno che commette un reato si autodenunci. Il principio giuridico in Italia stabilisce che se io faccio una rapina non posso esser condannato perché non mi sono denunciato, quindi se io abusivamente affitto l'appartamento, ecc., ovviamente sto commettendo un reato e sarò perseguibile per questo, ma non perché non mi sono autodenunciato. L'ammenda prevista, invece, per chi non compilava questo modulo era di 450 euro, che innanzi tutto è scritto solo in italiano e in secondo luogo che c'erano queste ordinanze tutto sommato, o meglio, i dettagli di questa ordinanza li sapevamo noi giornalisti, forse gli unici ad averle lette fino in fondo. Queste ordinanze non sono state affisse come normalmente dovrebbe essere. Gli amministratori di condominio avevano l'obbligo di denunciare eventuali inquilini abusivi, ma non quello di affiggere nei condomini queste ordinanze. Cosa è successo? Chi è stato multato? Sono state multate le persone che tutto sommato erano meno informate, quindi socialmente più deboli, diciamo così. Fra l'altro, piccolo dettaglio, più volte abbiamo chiesto quante erano le schede consegnate nell'arco dei mesi. Il comune di Milano questo dato non lo dava mai, oppure lo dava spalmato su tutte le tante vie di Milano in cui man mano erano state emanate ordinanze simili. Non diceva su via Padova quante effettivamente erano le schede consegnate. Adesso è cambiata la giunta, dopo due mesi sono riuscito finalmente a farmi dare questi dati: in sostanza una famiglia su 3 residente in via Padova ha consegnato la scheda.

Il clamore suscitato su quei fatti certamente gravi ha ridotto al silenzio moltissime persone che magari in altri contesti avrebbero detto la propria sulle proprie condizioni

Quando andavo nei cortili di via Padova e dell'intero quartiere e dicevo di essere un giornalista, notavo che mi guardavano le mani e ho capito che era perché volevano vedere se avevo una telecamera in mano. Non volevano assolutamente che io usassi la telecamera, tanto che io non l'avevo, ma si preoccupavano anche che non usassi il cellulare, che non lo tirassi fuori. Se avessero potuto molte delle persone che ho incontrato avrebbero, come dire, condotto un'esistenza invisibile, avrebbero sicuramente voluto essere invisibili in quel momento, nel senso che il clamore suscitato su quei fatti certamente gravi, ha come dire, ridotto al silenzio moltissime persone che magari in altri contesti avrebbero detto la propria sulle condizioni delle case, sulla condizione lavorativa ecc. Questa è stata la prima cosa strana che mi è sembrata di leggere per quello che ho visto, ossia che il nostro lavoro di giornalisti tutto sommato aveva spaventato le persone, perché dicevano: se tu giornalista mi riprendi, dici che in questa casa c'è gente che dorme in una certa maniera, ecc., poi arrivano i poliziotti, i vigili, ecc.

Ci sono piccole realtà che a livello periferico possono far notizia, solo che richiedono lo sforzo di stare lì

L'altra cosa che, come dire, ho notato girando in queste vie, è il fatto che a volte ci vuole, come dire, del tempo per riuscire a entrare nelle cose. Dicevo prima che in questo quartiere ci sono più di 70 associazioni. Ormai le associazioni le possiamo dividere in due generi, quelle fatte da professionisti e quelle di volontari che possono dedicarvi soli dei ritagli di tempo; spesso anche queste piccole associazioni di volontari hanno delle notizie o anche problemi da sottoporre all'attenzione di una città, fanno anche belle iniziative. Solo che non hanno le giornate intere, il tempo per fare comunicati stampa, per crearsi una rete di giornalisti; a me è anche capitato a volte che li chiamavo perché avevo capito che c'era una bella iniziativa che valeva la pena raccontare per Redattore Sociale e loro dicevano: scusa ma io non ho tempo perché sto lavorando al negozio, ho qui i clienti, mi può chiamar domani? Ora tutti voi sapete benissimo che normalmente, invece, quando un'associazione ha l'addetto stampa non ti dice richiama domani, sanno che al giornalista non si dice di richiamare perché poi è passata la notizia e magari non ti richiama più. Questa possibilità per noi è stata preziosa per venire anche in contatto con piccole realtà che però a livello periferico possono far notizia. Questo però richiede lo sforzo di stare lì, di cambiare il punto di vista. Facendo i corrispondenti di un'agenzia di stampa spesso perdiamo anche molto tempo nei luoghi ufficiali come Palazzo Marino, la Provincia, la Regione, che è doveroso ci mancherebbe, non dico che non bisogna andarci, però poi ci tolgono la possibilità di stare in queste realtà dove appunto non ci sono gli addetti stampa. Questa è stata la scoperta, anche un po' una liberazione, con tutto il rispetto per chi magari lavora in un ufficio stampa, però non qui c'è quella pressione affinché passi la notizia, lì le notizie c'erano e ci sono, sono lì pronte per essere raccontate e noi abbiamo cercato di fare questo.

* Testo non rivisto dagli autori.