XVII Redattore Sociale 29-28 novembre 2010

Oltre L'apocalisse

Workshop: L’incomprensibile normalità degli adolescenti

Incontro con Giovanni Carpentieri. Introduce e coordina Erica Valsecchi. Con un intervento di Marco Magheri

 
Parte 1
Durata: 16' 17''
 
Parte 2
Durata: 24' 58''
 
Parte 3
Durata: 14' 24''
 
Parte 4
Durata: 07' 29''
 
Parte 5
Durata: 24' 25''
 
Parte 6
Durata: 09' 57''
 
 
 
 
Giovanni CARPENTIERI

Giovanni CARPENTIERI

Sacerdote, responsabile dell’associazione “FuoriDellaPorta”, nata nell’ambito della Caritas di Roma e impegnata nel contrasto al disagio adolescenziale.

ultimo aggiornamento 26 novembre 2010

Erica VALSECCHI

Erica VALSECCHI

Educatrice, si occupa di disagio giovanile e disabilità. Per l’editrice Ancora ha pubblicato “Emergenza bullismo” e “Adolescenti in bottiglia” (2010).

ultimo aggiornamento 26 novembre 2010

Marco MAGHERI

Marco MAGHERI

Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. 

ultimo aggiornamento 26 novembre 2010

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LEGGI IL TESTO DELL'INTERA SESSIONE*

Giovanni Carpentieri

La mia è un'esperienza fatta tutta ed esclusivamente da volontario, non c'entra niente il prete carismatico ; siamo un gruppo di laici che si interroga, sono la truppa perché se muore il prete mollano tutti e invece i laici continuano a campare... Vi racconterò una serie di esperienze che abbiamo fatto con l'Associazione onlus Fuori dalla Porta. Vi racconterò dell'incomprensibile normalità degli adolescenti, questi adolescenti che fanno paura. Noi oggi, invece, più che aver paura degli adolescenti, dovremmo farci paura noi, davanti a uno specchio dovremmo un attimino avere paura, perché gli adolescenti sono gli stessi di quarant'anni fa, di cinquant'anni fa, oggi sono solo più veloci...

La paralisi dell'odierna realtà ecclesiale e delle istituzioni civili

Il problema è che oggi c'è una paralisi sia della realtà ecclesiale ma anche delle istituzioni civili, sono due facce di una stessa medaglia nel trattare il disagio giovanile.

Il ritornello è l'assenza nella presenza: ogni anno arrivano eventi, pubblicità, volantini e questo perché in entrambe le realtà, sia in quella ecclesiale che in quella civile, c'è ancora l'idea della visibilità come produzione di potenza, bisogna inglobare. In entrambe c'è il ricorso a figure carismatiche, il carisma non manca mai, una figura carismatica deve portare automaticamente un contenuto, si ma di questo contenuto gliene frega al giovane che ascolta? In entrambe ci sta un infinito sviluppo di risorse economiche, informatiche, creazioni di gruppi, Facebook ecclesiali, civili, lasciate una candela in questo Facebook, accendete un'altra in quest'altro, ci sta sto sito... fate una preghiera... depositate... C'è poi un mondo parallelo, una serie di iniziative sia ecclesiali che civili, ci sono gli eventi, a Roma veramente adesso ci stanno meno soldi e così se ne fanno di meno, il discorso è che ci stavano fino allo scorso anno, e ancora una volta figure carismatiche, arrivano contenuti, la ripetizione noiosa di questi eventi; anche i protagonisti di questi eventi, sia a livello ecclesiale che civile, sono autoreferenziali, piuttosto che interessarsi della vita dell'adolescente, cercano di far girare l'adolescente intorno a sé, in maniera più o meno spirituale. Chi entra nel circuito delle discoteche pomeridiane, anche se adesso stanno diventando sempre di più animali in via di estinzione perché i ragazzi si spostano ai turni serali, può vedere che ci sta tutta una realtà adulta per cui il ragazzo è business, perché i gruppi carismatici sono autoreferenziali e ti dicono vieni da me che stai bene.

Una vite spanata che gira su se stessa

Il risultato di tutto ciò è una vite spanata che gira su se stessa, cioè c'è una vite, è molto bella, ma gira su sé stessa , è infinitamente appoggiata, è una vite che gira, gira gira, ma non arriva mai all'obiettivo, non ci puoi appendere un chiodo perché traballa, casca. Ecco noi viviamo così. Più che l'incomprensibile normalità degli adolescenti, qui c'è l'incomprensibile normalità di un mondo adulto che non sa più interrogarsi, per cui fa delle cose senza rendersi conto che il mondo è andato avanti, ad esempio quando io andavo all'oratorio c'era il pallone, oggi il pallone non può più essere un punto di aggregazione come lo era per quei tempi...

Una nuova mentalità… che poi è vecchissima…

Noi invece che cosa abbiamo fatto? Come associazione di volontariato ci siamo detti: bene, questa è la situazione, iniziamo a fare mentre si riflette su ciò che si sta facendo, una nuova mentalità che poi è vecchissima. Abbiamo notato che a Roma c'è una fascia invisibile di ragazzi, accanto a tanta realtà giovanile positiva, ci sono tanti ragazzi che vivono problemi quotidiani di esoterismo, droga veloce a buon mercato, di ubriacature di fine settimana, di molestie sessuali date e ricevute. Ci sono anche i ragazzi che hanno lasciato ogni percorso ecclesiale dopo la cresima, che non si avvalgono più dell'ora di religione, che non trovano stimoli adeguati all'interno degli oratori, ragazzi interessati a discorsi di politica violenta, ragazzi che vivono il culto dello stadio completamente sbandati, ragazzi più o meno normali di famiglie più o meno normali che vanno anche bene a scuola ma che nel fine settimana esplodono in mille modi! Non ragazzi con disagi conclamati ma nascosti: che bollono, pronti a bollire.

Connettere costantemente la pratica con il pensiero

E allora noi abbiamo cominciato a dire, bene, connettiamo la pratica con il pensiero, facciamo emergere forme sistematiche dall'esperienza sociale concreta, spremiamo la pratica. Questo principio viene dal pensiero di Papa Benedetto XVI che nell'Enciclica Deus Caritas Est, 31 c dice: " Chi esercita la Carità in nome della Chiesa non cercherà mai di imporre agli altri la fede della Chiesa. Egli sa che l'amore nella sua purezza e nella sua gratuità è la miglior testimonianza del Dio nel quale crediamo e dal quale siamo spinti ad amare. Il cristiano sa quando è tempo di parlare di Dio e quando è giusto tacere di lui e lasciar parlare solamente l'amore. Egli sa che Dio è amore. (cfr 1 Gv 4,8)". Io penso che una cosa importante per i ragazzi oggi sia avere i tempi per parlare, quello che invece non permette di fare l'evento sia ecclesiale che civile, tutto ciò che invece l'evento non ha, non lascia tempo... l'evento arriva, si cala dall'alto, chiama, rinforza sé stesso più... chiama, invita ad entrare e si ferma là.

Abitare gli ambienti

Cosa stiamo facendo noi? Ci siamo resi conto che a Roma, perché io conosco questa realtà, gli ambienti dei giovani non sono abitati. La diocesi non solo non riesce ad intercettarli ma continua a non porsi la questione di come avviare attività di prima evangelizzazione. Laddove potremmo e dovremmo incontrarli, la Diocesi non c'è! Tutto ciò manca ed è ancora più drammatico se pensiamo che sono proprio i giovani che le parrocchie vorrebbero al loro interno. Le Giornate Mondiali della Gioventù sono già pronte all'uso, non dobbiamo neanche agitarle prima dell'uso perché lo sono già di loro, non si tratta di creare la piazza o il gruppo perché tutto è già pronto. Manchiamo solo noi come chiesa in questi circuiti per essere un punto positivo per loro… insomma,  in una parola: proporci a loro! Questo non succede e mai avverrà, finché non cambiamo testa perché la verità è che forse nuove modalità di intervento pastorale sono ritenute troppo sbilanciate sul sociale, forse che così si finisce per essere equiparati a operatori sociali e non a coloro che evangelizzano, forse che per queste cose ci si scusa perchè non le possono fare tutti ma solo i carismi e quindi la delega è più o meno consapevole, forse la paura è di fare un flop pastorale e pubblicitario perché più che far entrare le pecorelle in chiese o in gruppi, bisogna caricarsele sulle spalle e curarle e quindi attività meno "aperta al pubblico" ma più evangelica, forse che si perde tempo perché non parliamo "esplicitamente" di Dio, chiesa, sacramenti, anzi abbiamo pure il timore, non quello di Dio, di non essere sufficientemente evangelizzatori, ma non mi dilungo, tanto la miseria di presunte giustificazioni è di questi dintorni. Non lo so, però mi domando: e la parabola del buon samaritano, e il pasto di Gesù che siede a mensa con i peccatori di Matteo cap.9, e Gesù che nel discordo di Giovanni cap. 6 nutre di pane anche coloro che più tardi lo abbandoneranno, e il Signore che sta in compagnia dei soldati che lo torturano prima della Passione, che fine hanno fatto queste pagine di Evangelo?

Bisogna quindi tornare ad abitare gli spazi ed è quello che noi stiamo tentando di fare. Ci sono diversi tipi di spazi: quelli informali ossia centri commerciali, piazzette, bar, ci sono gli spazi ludici così definiamo le discoteche, ci sono anche i grandi spazi cittadini come ad esempio a Roma la piazza Campo dè Fiori, e infine gli spazi formali ossia le scuole medie superiori in particolare. In questi spazi circuita la vita del giovane, i giovani stanno lì e molti di questi spazi non sempre hanno dei punti di riferimento positivi. Noi abbiamo incominciato ad abitare gli ambienti, ad essere presenti, a presidiare il territorio si potrebbe dire, stare lì però in maniera seria, cioè tu stai lì, vivi l'ambiente, lo conosci, entri dentro in punta di piedi, conosci i tempi… Se devi incominciare a intercettare i gruppetti che stanno nei centri commerciali tutti i giorni, tutto il giorno, che hanno piccole o grandi devianze, che non fanno niente, be' lì allora si ha bisogno di una sorta di arte, di presenza, ancora di più che nelle discoteche. A me è rimasta impressa una scena che ho visto qualche anno fa a piazza Mancini, zona nord di Roma, Parioli: due ragazzi, avranno avuto 17 anni, stavano sul motorino davanti la scuola, erano le 10 di mattina, passa un signore di circa 65 anni che, trovandoseli marciapiede avrà detto loro qualcosa tipo fatemi passare, questi non l'hanno fatto passare, glielo ha detto un'altra volta e questi lo hanno pestato, gli sono sorte delle complicazioni al cuore ed è finito all'ospedale... Sabato scorso, abbiamo tentato di avvicinare, sempre a Campo dè Fiori una ragazza per proporle un corso di make-up e questa era ubriaca ha iniziato a vomitare sotto il nostro gazebo, tenete conto che erano solo le 8 e mezza del mattino…

La presa in carico

Altra cosa che stiamo facendo, sempre acqua calda, la presa in carico, il contrario di quello che si sta facendo con gli eventi. Al mio direttore dell'ufficio pastorale giovanile dico sempre che sì, facciamo la giornata mondiale della gioventù, la prossima sarà a Madrid, ma di questi ragazzi, quanti hanno incominciato ad avvicinarsi ad una realtà che prima non conoscevano? Quanti sono già dei nostri territori più o meno ecclesiali? Non c'è verso di fare una verifica su queste cose. Il problema è che non parla nessuno, nemmeno il programma televisivo della domenica "A sua immagine", io lo vedo con mia madre classe '31, quindi non più giovincella che mi dice sempre "ma sta trasmissione per chi è?". Ma forse non sarebbe meglio che noi organizzassimo a livello istituzionale una bella presenza per tutto il periodo, oppure io pensavo non sarebbe meglio, io lo sto dicendo ma tanto ho perso la speranza, organizzare una bella presenza dove c'è la giornata mondiale della gioventù dove succedono certe cose, fanno certe novene... andiamo lì, conosciamo, abitiamo il territorio, oppure all'Oktoberfest... quanta bellezza si potrebbe fare, quante presenze... anche perché in questi spazi io ho incontrato tanti ragazzi che non arriveranno mai da un'assistente sociale, non arrivano a parlare con i genitori, figurati se arrivano dall'assistente sociale che è come il prete certe volte…

Quindi abbiamo cominciato a prenderci in carico le situazioni e abbiamo cominciato a fare delle cose semplici come il tutoraggio, il tutor amico, un accompagnatore per ogni ragazzo con il quale riusciamo ad entrare in rapporto, si fa la fatica, perché è tutto volontariato e abbiamo perso tanti ragazzi anche perché non c'è una controparte istituzionale che possa mettere a budget esperienze nuove, attività nuove, un nuovo modo di pensare il welfare sociale e quindi ci sta il volontariato. Il volontariato arriva dove arriva la ragnatela dell'uomo ragno, quando finisce ti attacchi al muro...

Facciamo anche accompagnamento del disagio scolastico: sapete c'è una dispersione scolastica a parcheggio ossia vai, parcheggi a scuola, ci stai e te ne vai. Si disperdono dentro. Altro tipo di presa in carico che facciamo è quella del disagio affettivo, l'unico dato costante a Roma è la violenza in famiglia, e poi la presa in carico di sballo, pensate che l'agenzia comunale per le tossicodipendenze quest'anno ha registrato la prima pippatina di cocaina a nove anni...

Accogliere con nuove modalità

Accogliere in spazi con nuove modalità . Le usuali offerte di aggregazione non sono più valide se non addirittura problematiche. A tutt'oggi sono in difficoltà i centri giovanili dei municipi come i nostri oratori. Poi ci sono i centri sociali e i vari ambienti piccoli-medi-grandi di svago cittadini. E noi Diocesi come siamo presenti sul territorio? Dovremmo offrire luoghi, da non confondere con le case-famiglie o case di accoglienza o comunità a vario titolo, che sappiano ripresentare ciò di cui hanno bisogno i giovani oggi: una casa, delle relazioni interpersonali sane, che diano risposte ai loro bisogni, una progettualità a partire da ciò che a loro interessa tra studio e lavoro con percorsi personalizzati. I servizi che oggi offrono gli oratori sono lontanissimi da questo tipo di progettualità, anche gli oratori, seppur in modo meno chiaro ed evidente, sembrano aver perso quella caratteristica che faceva di loro un luogo educativo . C'è bisogno di spazi nuovi di accoglienza che i giovani possano abitare, temporaneamente, sia chiaro!, e non più solo frequentare come gli oratori. C'è una grande necessità di avere luoghi di accoglienza per tanti adolescenti che vivono senza alcuna progettualità di vita e i luoghi che ci sono attualmente rispondono ad attese e iniziative che non coincidono più con quelle dei giovani di oggi, basterebbe vedere come è strutturato un normale oratorio per accorgersi di ciò.

Noi abbiamo iniziato nelle parrocchie facendo ad esempio corsi per dj, di ricostruzione unghie, di make-up, di arteria creativa,corso "smetto di fumare", scuola di danza...

Bisogna avvicinarsi a questi ragazzi un po' alla volta, ad una ragazza che magari beve tu non puoi fare subito proposte per cambiare, te la cominci a lavorare piano piano, te la rimorchi se non hai problemi di moglie, vai e alla fine riesci ad avvicinarla… qui c'è poco da ridere...

Vi racconto la storia di una ragazza di terza media, normale, non beve, non si droga, che alla presidente dell'associazione ha chiesto di scriverle con il pennarello lì, indicando sotto, ludoteca, perché doveva andare a rimorchiare uno... ludoteca! Allora Simona le ha detto no, io non ti scrivo ludoteca, ti faccio un bel tribale, lo vuoi? Noi non lo abbiamo fatto, gli abbiamo detto ci stanno tante altre cose, poi le abbiamo chiesto cosa ne pensasse il suo ragazzo e lei ci detto "Ne ho tanti...". Guardate al di là della battuta queste sono le realtà che non possono essere gestite con gabbie di eventi o di formazione sociale in questo modo. Questi sono i giovani. Ci fanno paura, a me invece questi ragazzi non fanno paura, a quella ragazza di prima ho lasciato il nome e il cognome su Facebook e piano pianino siamo andati nella scuola media ad incontrarla, con la classe… Voi capite bene che quello è un disagio non conclamato, ma che tipo di adulto verrà fuori? Quanto sarebbe bello che quel ragazzo o quella ragazza potesse essere accolta e dall'oratorio e dal centro giovanile tutti i giorni per poterci cominciare ad avere un rapporto. Questi sono i nostri adolescenti. Ci sono adolescenti che il sabato sera bevono, a Roma ne conosco bene due, mentre vi parlo ho due volti precisi davanti, poi se c'è da pestare qualcuno, lo vanno a pestare, nero preferibilmente o barbone, non gli danno fuoco, lo pestano che è diverso.

Una casa con spazi diurni

Non avendo il centro giovanile e non avendo l'oratorio abbiamo cominciato a chiedere in giro e noi come associazione di volontariato adesso siamo in comodato d'uso gratuito in una parte di un convento dove prima c'era il centro internazionale delle suore, adesso le suore non ci sono più e quindi era libero. Lo abbiamo fatto diventare semplicemente una casa dove ci sono possibilità di spazi diurni, è un posto come tanti altri, come Campo dè Fiori, come la discoteca. Offriamo anche un periodo di momentanea permanenza con vitto ed alloggio offerto ai ragazzi in particolare difficoltà o disagio, tre o quattro accoglienze di ragazzi che non ti vengono mandati dall'assistente sociale... Dal X Municipio di Roma, non appena sono venuti a sapere di una fucina di menti, una frontiera all'avanguardia della missionarietà, non appena hanno saputo di questa cosa, sono venuti subito per conoscerci, hanno detto ma voi avete questo? Voi fate il disagio scolastico? Abbiamo detto no perché noi cerchiamo di accogliere quei ragazzi che non hanno un disagio conclamato da municipio, ma sono dei ragazzi che stanno in difficoltà e che comunque se io ve la porto da voi, voi mi dite non è tossico, non è detenuto, non è una ragazza madre, non si può fare niente, te lo devi portare via e te ne devi andare, e invece sono ragazzi che magari hanno problemi con il papà, con la mamma, però sono minorenni e allora bisogna far venire i genitori… Il nostro è uno spazio dove c'è una presenza temporanea però è anche uno spazio dove tu puoi invitare per esempio facciamo pranzi o cene a tema come momenti di conoscenza tra i ragazzi. Con l'aiuto di una o più voci fuori campo si riflette e si discute sul tema in questione valorizzando il dialogo tra i partecipanti in relazione ai gradi di marginalità o devianza. Ad esempio si può invitare un amico di scuola, vengono tutti a mangiare, perché c'è una cucina, tutti insieme, per riflettere... E poi facciamo dei weekend insieme che non sono i ritiri a cui io ero abituato bensì week-end di convivenza: si rivolge a ragazzi con i quali solo da poco si è allacciato un rapporto personale ed è un ottimo spunto per consolidarne l'amicizia, sono una specie di settimane residenziali, io li chiamo presidenziali perché abbiamo a che fare con dei presidenti, cioè dei modi di stare insieme con dei ragazzi che non hanno altri circuiti oppure i circuiti che attualmente hanno non li fanno crescere. La settimana residenziale poi è l'iniziativa che si offre a ragazzi desiderosi di vivere un po' del loro tempo, compatibilmente con i propri orari di studio o di lavoro, al fine di condividere momenti di vita insieme.

Alcune chiavi di lettura...

Che cosa abbiamo scoperto? Vi do alcune chiavi di lettura con cui bisogna fare i conti. I ragazzi ti fanno stare nei loro ambienti, non è vero che ci sono ambienti dove non ti fanno entrare, per esempio abbiamo la possibilità di entrare nei rave, lì ci posso entrare solo io… Poi mi chiedono: quanti ne hai acchiappati? Queste sono le domande che prima mi ha fatto il mio direttore della Caritas, ossia il vescovo... Io gli ho detto "scusa Don Giuseppe, ti faccio una domanda: i ragazzi delle cresime che abbiamo fatto negli ultimi 10 anni, quanti sono andati via? Cioè quanti non ne siamo stati capaci di tenere?".

I ragazzi ti fanno stare nei loro ambienti, il mondo adulto è abbastanza permeabile, dobbiamo sbrigarci perché i tempi si chiudono... Un amico che si chiamava San Paolo diceva "il Signore mi ha aperto una porta", ma bisogna saperci entrare e poi starci comodi, quindi non è vero che questi ragazzi sono incomprensibili, certo che se io voglio aprire questa porta con la chiave gialla, quella del carcere che è grossa così, non l'aprirò mai, devo conoscere, mi devo un po' innamorare di queste cose, non possono dire facciamo l'evento, andiamo tutti in barca a Madrid, a fare che? A incontrare il Papa... e che me ne frega? Ma vieni lo stesso tanto si tromba... No, non è così la storia e guardate che non sto scherzando... Bisogna avere un'ottima opportunità per entrare, certo come diceva Batman devi conoscere il terreno di scontro, lo devi un pochino conoscere, non puoi entrare come un elefante in una gioielleria. Voi potete vedere, essendo giornalisti, quante trasmissioni come quella che piace tanto a mia madre, entrano come un elefante negli argomenti e nelle situazioni. Per noi cristiani questa generazione di giovani è una generazione che non è più atea, non è che non gliene frega più niente, e che sta a dormire... Allora noi dobbiamo entrare dentro questa zona di spazio temporale da abitare. È finita l'epoca del faccio l'attività con loro per portarli ad un determinato scopo, è finita questa epoca, basta, perché i ragazzi sono estremamente destrutturati, sono finiti i nostri tempi... ma c'è qualcuno strutturato nel mondo adulto di oggi? I ragazzi bisogna conoscerli, i ragazzi di oggi non hanno una manualità, alcuni vanno in giro con il Tom Tom per andare per le strade di Roma, non conoscono alcuni posti nella stessa Roma... Allora noi abbiamo dovuto lavorare facendo quelle attività che dicevo prima anche per sfatare quella incomprensibile normalità nel giudicare le cose e gli avvenimenti da parte dei giovani.

Mi chiedo poi come si possa ancora ragionare per la casa famiglia solo fino ai 18 anni, poi te ne devi andare. I problemi dei ragazzi non finiscono a 18 o 21 anni, bisogna quindi inventare spazi nuovi, quelli di prima oppure bisogna che il welfare sociale si reinventi; gli oratori, che invece avrebbero gli spazi, non hanno la testa, come la metti la metti... Vi riporto una citazione da "Il Funambolo" di Jean Gente: " Sono consigli vani, inetti quelli che ti rivolgo, nessuno potrebbe seguirli. Ma non miravo ad altro che scrivere su quest'arte un poema il cui calore ti salisse alle guance. Volevo infiammarti, non istruirti ". Questo era un pochino il desiderio di questo mio intervento, infiammarci, non istruirci.

Erica Valsecchi

Bene don Giovanni, bravissimo. Penso che il bello del suo intervento è proprio il fatto che nasce da un'esperienza difficile da trovare nel nostro paese , è per quello che siamo veramente contenti di averlo ascoltato. Lavorando nei servizi sociali vedo come in realtà non succede nulla di tutto quello che ha detto don Giovanni adesso. Lavorandoci dentro mi accorgo che la fatica più grossa è data dal fatto che si deve aspettare; da pedagogista mi dicono di aspettare, sedermi con l'assistente sociale e aspettare che arriva la mamma disperata, arriva la polizia, arrivano i carabinieri a segnalarmi Tizio o Caio e poi da lì se siamo fortunati, se riusciamo in quel contesto ad acchiappare questo ragazzo e questa famiglia, si può costruire un progetto e se si è fortunati, se si riesce poi, a proseguire un cammino. E' difficilissimo trovare un'associazione di volontariato come quella di don Giovanni che con i suoi ragazzi e volontari fanno tutto ciò sul campo, cioè vanno ad intercettare quello che i servizi e l'oratorio non fanno. E' molto più comodo per noi stare seduti e aspettare piuttosto che andare in mezzo dove non c'è un ambiente ancora abitato, perché nell'ambiente ancora da abitare non ci sono delle regole. I servizi sociali le impongono, dicono tu vieni qua da me ed io ti dico come devi fare, come dice questa frase, io ti istruisco, o peggio ancora ti educo, io mi spavento, mi metto le mani nei capelli quando si dice io ti devo educare. La parola educare vuol dire tirar fuori dall'altro e poi aspettare la bellezza dell'altro che esca e farlo volare dove vuole lui, però non dove gli ho detto io secondo le mie regole, secondo i miei standard, secondo quello che ti dico io. Questo è quello che fanno i servizi e se ci sono queste famiglie così problematiche, questi ragazzi così difficili, pensate in quali regole devono stare dentro, non ci stanno dentro nel venire puntuali, figuratevi se io devo anche dirgli come dovrebbero fare in un contesto così… Quindi quello che veramente bisognerebbe fare è andare incontro. Nella mia micro realtà lecchese forse qualcuno un attimino illuminato c'è, non proprio come don Giovanni, anche se a lui non piace dire che ha carisma, però ha comunque una sorta di illuminazione nel vedere questi ambienti da abitare, quindi andare ad intercettare questi ragazzi che non sono intercettabili in altri modi. A Lecco infatti abbiamo creato una grossa rete di servizi e di accordi col territorio e i ragazzi intercettati vengono nel centro dove lavoro io, purtroppo non riusciamo dalle nostre parti in Lombardia a fare il suo lavoro però ci proviamo, e sono circa 130 ogni anno e si cerca insieme di fare un percorso professionale o un avviamento al lavoro per evitare la dispersione scolastica, perché ahimé, non so se qualcuno è lombardo, ma nella ricca Lombardia c'è una grossissima problematica di dispersione scolastica. Il problema grosso nasce proprio perché è un territorio estremamente ricco, è un territorio dove si lavora, si lavora tanto, si pensa solo a quello, a lavorare e a fare soldi per cui le relazioni, la famiglia, i contesti sociali sono quasi annientati, sono quasi niente. Immaginatevi oggi con la crisi economica le famiglie del mio territorio e in generale della Lombardia quella bella ricca che si sono trovate così di colpo senza l'unico punto di riferimento, lavoro e soldi, ed è ancora più difficile dover ricercare un altro modo per stare insieme. Ed ecco che i ragazzi già a 13-14 anni, non vanno neanche più alle medie, li trovi per strada. Ecco, dal noi il servizio sociale è abbastanza forte, però sono solo intercettati così, cioè arrivano i carabinieri a casa, obbligano la famiglia ad andare dall'assistente sociale e allora i ragazzi vengono dove lavoro io. Quello che ci salva è quella d avere i fondi e così riusciamo a rimanere in piedi. L'unica possibilità che abbiamo per salvare un po' i giovani nel nostro territorio è questa, però indubbiamente non è sufficiente perché bisogna andare lì dove va don Giovanni, andare a prendere in quei luoghi quei ragazzi che non sono assolutamente intercettati, che sono tanti, veramente tanti, forse invisibili oltre che incomprensibili. Questo è il problema, perché come vi dico in una realtà bene, benestante come quella in cui vivo io, sono proprio i ragazzi che hanno la casetta o la villetta, il cagnolino fuori, e poi trovi il giovane di 14 anni che va a rompere a sassate tutti i lampioni della luce, aspettando che suo padre vada a chiamare l'assistente sociale... era assolutamente un'invisibile, ha dovuto fare questo per diventare visibile.

Passiamo all'esperienza di Marco, sono molto affascinata dalla sua professione ; infatti lavora all'ospedale pediatrico Bambino Gesù e lavora con gli adolescenti in momenti di urgenza, soprattutto con problemi alimentari e i disturbi del comportamento. Volevo capire un po' anche cosa fa la parte sanitaria perché comunque credo che sia una realtà molto forte.

Marco (Ospedale pediatrico Bambino Gesù)

Curo la comunicazione e le relazioni per l'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. È già complicato spiegare alla gente che cosa ci fa un giornalista, o un gruppo di giornalisti in un ospedale, è stato complicato all'inizio spiegarlo anche al nostro interno. Di fatto il grosso del nostro lavoro è creare relazioni tra un'entità un po' particolare, come l'ospedale pediatrico Bambino Gesù e tra un attimo vi dirò perché, e il mondo che ci circonda. Quando usiamo questo aggettivo "pediatrico", il mondo pensa ai bambini, ma c'è un'area grigia, termine orribile, ma è quello che dicono quelli che si occupano di politiche sociali e socio sanitarie, che è il mondo degli adolescenti. Prima la pediatria seguiva i bambini dal momento della nascita ai 12 anni e poi c'erano i medici di medicina generale, il medico di famiglia che curava gli adulti. Tra i 12 anni e i 18 era dato per scontato che tutti i ragazzi stessero bene, in ottima salute, altrimenti non si sapeva dove portarli. Fortunatamente le cose sono un po' cambiate per cui oggi la pediatria abbraccia dalla nascita alla maggiore età e talvolta anche dopo, in particolare da noi se vengono diagnosticate e seguite delle patologie croniche, i ragazzi vengono seguiti anche nell'età adulta; pensate che abbiamo avuto i primi trapiantati di cuore 25 anni fa e continuano a venire da noi per le visite di controllo. Una delle prime persone che ha ricevuto un cuore nuovo viene accompagnata dalla propria figlia e le altre persone in attesa si stupiscono. Noi cerchiamo di avvicinare l'ospedale e le cose che fa l'ospedale al mondo che ci circonda. Siamo il più grande ospedale pediatrico del mondo e questo non è un motivo di vanto, ma è un'opportunità di avere un osservatorio privilegiato sul mondo dell'infanzia e dell'adolescenza. Per più grande ospedale pediatrico del mondo intendo oltre un milione di prestazioni ambulatoriali, 55mila prestazioni in pronto soccorso l'anno, significa 157 casi ogni giorno e 34mila ricoveri, un terzo dei trapianti fatti in Italia in età pediatrica. Da questo osservatorio privilegiato abbiamo avuto modo di seguire, analizzare e registrare una serie di tendenze che sono molto legate a quello che diceva poco fa don Giovanni. Abbiamo avuto modo di registrare che cosa succede quando, e uso una parola che ha usato prima don Giovanni, questi adolescenti esplodono. Che cosa significa "esplodono"? Significa che manifestano in maniera veemente il loro disagio: tentativi di suicidio, disturbi del comportamento alimentare, come accennava prima Erica, che diventano motivo di un ricovero ospedaliero, situazioni di estremo disagio legate a situazioni traumatiche.

Vi ho portato un po' di dati su 4 aspetti. Il primo tema lo abbiamo intitolato - Oltre lo "sbrocco": la risposta all'emergenza psichiatrica-, giocando un po' con il titolo di questo seminario, non so don Vinicio se n'è accorto. Abbiamo tentato di parlare di che cosa succede oltre lo sbrocco, per i non romani spiego che è il momento di esplosione drammatica della vitalità o del disagio degli adolescenti, cioè quando i ragazzi arrivano in pronto soccorso per una crisi depressiva molto forte perché hanno ingerito pillole, perché si sono feriti, perché hanno scatenato una rissa manifestando evidentemente un disagio latente, o arrivano ubriachi, o per gli esiti dell'assunzione di sostanze stupefacenti anche in quantità oltre il consentito, non dalla morale, ma da quello che il proprio organismo è in grado di assimilare. E' un fenomeno di cui non si parla mai e stiamo parlando della psichiatria d'urgenza, cioè come contenere, come gestire queste situazioni quando si presentano in maniera così drammatica, che cosa fare per riportare una situazione non ad una normalità stabile, ma quanto meno alla possibilità di gestire questi ragazzi, queste esplosioni fino al ricondurli in un cardine che possa essere quello dell'affidamento ai servizi sociali, oppure verso un percorso di dialogo, perché molte volte queste situazioni esplosive possono essere l'inizio di una storia, l'inizio di una relazione, l'inizio di un pezzo di strada fatto insieme. Questo vale per i 191 casi, e che nei primi dieci mesi dell'anno sono diventati 203, di adolescenti finiti al pronto soccorso per situazioni di esplosione. E' un trend crescente, vuol dire che c'è qualcosa che non va. Noi ce ne accorgiamo perché registriamo i numeri, ma se ci guardiamo intorno, usiamo la nostra sensibilità umana e professionale, ci accorgiamo, come ci diceva don Giovanni poco fa, che c'è qualcosa che non va, c'è questa paura degli adolescenti o paura per gli adolescenti, perché bisogna anche un po' soffermarsi a riflettere se sono gli adulti che temono gli adolescenti oppure il contrario ossia che gli adolescenti sviluppano una paura che altro non può essere che istinto di conservazione in un mondo di adulti che rischia di cannibalizzarli. A me vengono in mente due esempi, uno di qualche tempo fa, uno drammaticamente recente, ossia l'episodio di Erica ed Omar, i due adolescenti mostri di cui si è parlato credo nove anni fa e poi Michele e Sabrina Misseri, due adulti che inverosimilmente hanno fatto quello che han fatto nei confronti di un'adolescente. Sono due facce della stessa medaglia di questa incomprensibile normalità degli adolescenti, al cui mondo gli adulti si approcciano con dinamiche un po' strane. Vi cito due cartoni animati che in qualche modo avendo avuto evidenza internazionale, in qualche modo cercano di sintetizzare quello che è il linguaggio o l'identità degli adolescenti di oggi: non so se avete visto Shrek III dove l'orco reppa per parlare con il principe adolescente, oppure Rapunzel che illustra in qualche modo la tipica ribellione della ragazza nei confronti dei genitori. Questo è il mondo nel quale ci troviamo e questo è il modo in cui la maggior parte degli adulti guardano il mondo dell'adolescenza, come un qualcosa in divenire, che passerà. Non è un'età anagrafica a dare la stagione dell'adolescenza, ma è in qualche modo un processo evolutivo che dovrebbe essere superato portando con sé un bagaglio di esperienze, di relazioni, di chiavi di lettura della realtà che a volte impiega decenni per passare e a volte non passa. Io dicevo ho portato un po' di dati da questo osservatorio privilegiato dal punto di vista numerico, che è l'ospedale pediatrico Bambino Gesù. Io vi ho portato un po' di dati su questa che è la dimensione del disagio psichiatrico e della gestione dell'emergenza per questo disagio psichiatrico.

Vi ho portato anche quella che è l'esperienza dell'ospedale sul fronte della lotta dei disturbi del comportamento alimentare, non solo un'elencazione di dati, ma un'esperienza che abbiamo provato a fare e che sta ripartendo in queste settimane, per utilizzare dei linguaggi e degli strumenti per metterci in relazione con i giovani che hanno problemi con il cibo. Diciamo disturbi del comportamento alimentare, perché ci guardiamo bene del parlare solo di anoressia. L'anoressia è una delle situazioni più evidenti e su questo c'è un forte filone di successo da parte anche delle istituzioni, hanno trovato questo nuovo filone e lo cavalcano, forse anche con l'aiuto delle industrie che non vendono più la taglia 40 e quindi la lotta all'anoressia in qualche modo è anche un criterio per avvicinare domanda e offerta sul fronte commerciale. Parlavo di disturbi del comportamento alimentare perché ci sono questi 3500 casi nuovi all'anno di anoressici e ci sono 6000 bulimici di cui non si parla pressoché mai, che non sono come molti confondono, non sono gli obesi. Spesso si dice: sto ingrassando, sto diventando bulimico... no, la bulimia è tutt'altra cosa. La bulimia è mangiare in maniera forsennata e liberarsi immediatamente di quanto assunto. È un problema se volete, ancora più drammatico rispetto all'anoressia, perché in qualche modo è più subdolo.

Ho voluto condividere con voi anche un'altra esperienza ossia i risultati preliminari del primo studio mondiale sugli effetti delle catastrofi naturali sulla psiche di bambini e adolescenti che abbiamo portato avanti insieme alla Caritas. L'abbiamo fatto con l'Aquila e abbiamo avuto modo di registrare che oltre il 7% dei ragazzi che hanno vissuto fra i 6 e i 14 anni l'esperienza del terremoto, ne portano i segni con situazioni di disagio, di ansia, di paura e in qualche modo di incubi, insomma questo 7% rivive frequentemente o quasi quotidianamente l'episodio del terremoto e sono numeri enormi. Questo studio lo stiamo conducendo in queste settimane anche in Cile, proprio perché i ragazzi e gli adolescenti sono uguali in tutte le parti del mondo e vogliamo verificare anche se c'è una componente culturale nella registrazione delle catastrofi, nell'introspezione delle esperienze e nel rivivere queste situazioni drammatiche.

Ora un altro punto su cui volevo riflettere insieme a voi è la competizione: il disagio degli adolescenti in parte l'abbiamo osservato, me lo hanno confermato i nostri neuropsichiatri, psicologi e anche gli operatori del pronto soccorso, molte volte è legato alla competizione con i genitori e per i genitori. Per un adolescente che si trova con dei genitori che non hanno ancora superato del tutto la fase dell'adolescenza è un bel problema e soprattutto sono anche dei ragazzi che si trovano in qualche modo a dover pagare dei conti, o chiudere dei conti con la storia per i genitori... Questo succede per esempio nel mondo dello sport, dell'avviamento allo sport, crea in loro delle situazioni di stress enormi, i cui gli esagitati, quelli che spingono i ragazzi a fare di più, a fare meglio, a bloccare l'avversario nel campo di calcio in tutti i modi, corretti o non corretti, non sono gli allenatori, sono i papà dagli spalti. A questo punto però questo è il dato, questa è l'osservazione, ma visto che la nostra esperienza non si può e non si deve fermare all'osservazione, ma deve scendere nel campo, deve sporcarsi le mani, proviamo a ragionare su che cosa si può fare per, in qualche modo, fare un pezzo di strada con questi ragazzi. Noi sono anni che ci stiamo lavorando e qualcosa l'abbiamo individuata, anche con risultati significativi. Molti ragazzi li invitiamo nella nostra ludoteca, ludoteca che scriviamo in sette lingue, dall'italiano, al cinese, all'arabo, perché il 30% dei bambini e ragazzi che vengono da noi è di un altro paese, è figlio di persone straniere che sono venute recentemente in Italia, quindi abbiamo anche delle difficoltà linguistiche alle quali far fronte. La ludoteca è una camera di compensazione di esperienze, in cui i bambini ricoverati da noi, o semplicemente in visita, o i fratellini dei bambini che vengono in visita da noi, passano delle ore facendo delle cose come laboratorio di creatività, disegno, manualità, costruzione di oggetti in terracotta, all'incontro con situazioni strane. Abbiamo organizzato nel corso degli anni degli incontri per mostrare i segreti dei mestieri spiegati ai bambini, dove abbiamo invitato l'astronauta che spiegava, che illustrava ai bambini i misteri dello spazio, il meteorologo, al pizzaiolo che spiegava facendo fare manualmente le cose bambini come si faceva la pizza e abbiamo fatto fare l'olio, il formaggio, gli abbiamo fatto vedere come vengono curati gli animali, in collaborazione con il bioparco, abbiamo fatto una serie di esperienze e molte volte organizziamo, no, anzi accogliamo delle richieste di visite da parte di scuole superiori, ragazzi che trascorrono un pomeriggio con i bambini ricoverati in ospedale. Vi può sembrare un'esperienza blanda, ma guardando negli occhi questi ragazzini che arrivano lì un po' incuriositi, un po' stufi, un po' distratti, si può vedere come cambia la loro espressione in quelle ore in cui restano in ludoteca a giocare con i bambini, o semplicemente a stare davanti a dei bambini che con la flebo al braccio cercano di fare il percorso che i pompieri hanno portato in ospedale per l'esercitazione antincendio, è un'esperienza incredibile, è una delle tappe fondamentali di formazione che dovrebbero fare tutti i ragazzi.

Intercettare i ragazzi sul territorio della conoscenza, ma non una conoscenza bolsa, noiosa, troppo didattica, troppo seriosa bensì una conoscenza fatta della condivisione dell'esperienza. Abbiamo aperto due anni fa per una notte intera i laboratori di ricerca a adulti e ragazzi, abbiamo organizzato la prima notte bianca della prevenzione e della ricerca in un posto dell'ospedale dove venivano proiettati film legati a tematiche coerenti con la salute e alla fine del film c'era il medico che quotidianamente lavora su quel campo, che spiegava ai ragazzi, agli adulti, comunque a profani, in un linguaggio assolutamente comprensibile a tutti, quelli che erano i punti più significativi, rispondeva alla curiosità dei ragazzi, e poi li abbiamo portati nei nostri laboratori a lavorare materialmente alle cose che quotidianamente facilitano l'individuazione di nuove possibilità terapeutiche per i ragazzi.

La strada da seguire qual è e quale può essere? Da parte nostra, da parte di persone che si occupano di comunicazione e di giornalismo è raccontare queste realtà, raccontare queste realtà negli spazi e nei modi che ci sono consentiti, oppure inventarne di altri. Pensate che l'ospedale pediatrico Bambino Gesù è l'unico ospedale di proprietà della Santa Sede, del Vaticano, io infatti sono un lavoratore frontaliero, ogni mattina vado all'estero, e gestire la comunicazione di un ospedale del genere, richiede anche se volete un briciolo di imprudenza, perché credetemi, delineare con gli esperti dell'ospedale la guida di un mio primo profilo su un social network per gli adolescenti, oppure poter avere la libertà di scrivere "oltre lo sbrocco" sulla carta intestata dell'ospedale, significa che si ha una forte volontà di dialogo con il mondo che lo circonda. È un modo di interpretare la comunicazione in maniera aperta e moderna al di là dei titoli facili che possono venire a tutti, ma è una questione anzitutto culturale. A proposito delle due facce della medaglia vi racconto due episodi. Il mondo che ci circonda, il mondo nel quale viviamo, è quello in cui per esempio una madre con una ragazza affetta da una patologia cronica incurabile, sottolineo incurabile, è venuta un giorno da me a cercare una raccomandazione per farla partecipare a un programma televisivo in prima serata per farla ballare e ha cercato di vendermi questa cosa dicendo: per l'ospedale sarebbe una gran bella cosa che una bambina malata vada in tv… Questa ragazzina poi purtroppo per gli esiti naturali della malattia che aveva, di lì a qualche mese non ce l'ha fatta e la madre ha organizzato una conferenza stampa davanti alla camera mortuaria, con foto della bambina mentre ballava, questa è una delle realtà. In che modo la cultura televisiva arriva a toccare anche le corde più recondite della sensibilità delle persone e di quelli che sono i valori delle persone... L'altra faccia della medaglia, un po' più leggera fortunatamente: ogni anno passo il mio capodanno al pronto soccorso del Bambino Gesù per condividere con i colleghi quello che succede durante la notte e quest'anno, erano passate da poco le tre forse, arriva questo ragazzino di 15 anni che si era ferito prendendo a testate una vetrina a via Veneto per aver bevuto troppo. Bisognava chiamare i genitori e questo ragazzino con l'aplomb che gli consentiva il livello alcolico ci prega di non chiamare il padre, allora il medico che la notte di Capodanno aveva a che fare con gli esiti di incidenti di auto, con bambini fracassati, vi lascio immaginare quale reazione possa aver avuto, sempre coerentemente con la zona extra territoriale, con l'espressione della proprietà di cui facciamo parte... grazie.

Erica Valsecchi

Grazie a Marco per averci portato un'esperienza veramente bella e credo che in questo modo abbiate avuto una visione sui diversi ambienti in cui si può aiutare e si possono fare tante cose per gli adolescenti.

Adesso vi lascio almeno due o tre spunti su cui riflettere; vorrei ritornare al titolo che è tanto intrigante . Abbiamo iniziato così: cos'è l'incomprensibile normalità degli adolescenti? Adesso, dopo le testimonianze di don Giovanni e di Marco, cosa ne pensate? Prendendo inoltre un po' lo spunto da quello che ha detto Marco, mi sta molto a cuore, da lombarda, dove la competizione è fortissima, il problema del bullismo, anche perché me ne occupo spesso; si tratta di un problema ancora molto forte, anche se i media comunque non se ne occupano più come qualche anno fa. Da qua vi rimando anche ad un'altra prospettiva di immaginazione ossia come dovremmo ripensare i tempi e i modi di intervento delle istituzioni educative, rispetto a quello che avete visto degli adolescenti di oggi, oltre a quello che già fanno, se vi viene in mente anche qualcosa, se avete delle domande. Contro l'esplosione, voi come giornalisti, come raccontereste la realtà? Solo così come ci viene presentata adesso o in un altro modo?

Intervento

Condivido particolarmente una frase che ha detto don Giovanni all'inizio del suo intervento, quando diceva che più che degli adolescenti dovremmo aver paura di noi stessi; io condivido profondamente questa frase, la condivido in termini antropologici direi e generazionali, cioè per l'esperienza di vita che ho fatto. Ho visto che effettivamente il vero problema siamo spesso noi, come mi risulta chiaro, penso che l'abbia detto anche Marco nel suo intervento, che i genitori spesso sono il problema, spesso è più difficile far capire ai genitori che ai figli qual è il vero problema, il ragazzo lo accetta, il genitore non lo accetta, probabilmente il problema si sta specchiando nel figlio ma all'origine è nel genitore. Vorrei riportare due episodi: il primo riguarda una persona a me molto cara, credo una delle intelligenze migliori della mia generazione, o almeno nella mia città, che è morta a 42 anni di overdose venti anni fa, era una persona a me molto vicina, un ragazzo con il quale avevo condiviso molte cose, vi devo dire che c'è una caratteristica comune tra la sua esperienza e quella del disagio che si manifesta oggi ossia l'invisibilità, anche lui era invisibile all'epoca perché sto parlando di un problema di eroina che nasceva in quei tempi. Credo che su questo si possa riflettere. Non solo era invisibile, ma non faceva neanche parte di un'area del disagio sociale, proveniva infatti dalla borghesia colta della nostra città e ne era uno degli esponenti fondamentali. Questa sua esuberanza che risposte ha trovato nella società? Di tutt'altro scenario invece è l'esperienza della quale mi sono occupato come giornalista e per me è stata una sorpresa. Non so se voi trovate i nessi oltre quello che io dico, io ve lo dico come esperienza. Due o tre anni fa un amico di vecchia data che faceva parte appunto della nostra generazione e che adesso è medico e dirigente e ha fatto la sua strada, mi ha chiamato perché voleva che lo aiutassi da volontario ad occuparmi delle stragi del sabato sera, quelle dovute appunto ad esubero alcolico; son rimasto basito da questa esperienza, anzitutto perché ho scoperto una realtà che non conoscevo, per me incredibile e del tutto inverosimile, dato anche che non ho figli, parlo di ragazzi di 12 anni che mi arrivano al pronto soccorso e che sono strafatti di vino, di coca, ecc.... Una ragazza che si è laureata l'anno scorso ha fatto una tesi di laurea su questo tema, l'ho letta, io non sono uno stinco di santo però sono rimasto allibito nel leggere le interviste, i report che questa ragazza ha fatto su delle interviste fatte a dei ragazzi di Brescia, anche figli di professionisti. Brescia è la mia città, una ricca città del nord, dove i soldi sono più importanti del lavoro, delle relazioni, di tutto il resto, se voi andate, io non ci sono mai andato perché non ho più l'età, non ho il fisico per il ruolo, ma forse non ho mai neanche avuto la testa fare queste cose, in una delle piazze più belle della città, il venerdì, il sabato e la domenica, trovate le Ferrari parcheggiate in seconda fila... Io sono rimasto allibito perché non sono riuscito a trovare, è un limite mio lo riconosco, un appiglio dentro il quale mi avessero detto mi fa schifo la vita, non lo so, ma perché ti sbronzi? Perché lo fanno tutti dice, lo facciamo anche noi... ed escono per sbronzarsi, ma mica robe leggere, robe che vai a finire al pronto soccorso, vai in coma etilico, torni indietro e riprendi dallo stesso punto, ecco. Io proverei a trovare una risposta a questo tema, riallacciando queste due esperienze se è possibile, qui l'emarginazione sociale non c'entra assolutamente niente. Una mia modesta idea in proposito ce l'ho e ho sempre insistito con questo mio amico medico perché ci occupassimo, come ci diceva prima don Giovanni, non dell'evento, non di carisma, non dell'episodio, ma della continuità della relazione. La risposta sono gli stili di vita, e infatti, senza giudicare nessuno, ho visto come ci sono delle coincidenze enormi fra gli stili di vita dei genitori di questi ragazzi e i ragazzi stessi.

Chiara (Scuola di giornalismo Università Cattolica di Milano)

Vorrei riprendere l'ultima frase con la quale prima lei, Erica, ha concluso l'intervento cercando di definire il bullismo come sintomo di una competizione. Ecco volevo dire qualcosa riguardo queste considerazioni. Credo che il bullismo non sia sintomo di competizione, quando intendiamo una sana competizione ossia ciò che ho nel corpo e sento dentro per superare limiti e obiettivi nell'ottica di una crescita. Quando il genitore non svolge effettivamente il suo ruolo e quindi non è autorevole, non vuol dire che sia autoritario, però non è autorevole nel senso che fa vivere al ragazzo i limiti come degli ostacoli insormontabili, quando i genitori diventano persone molto rigide e quindi regna il proibizionismo in casa, a questo punto il figlio ovviamente sente l'esigenza di trasgredire, perché non si sente valorizzato per ciò che è, come dire, non si fa il tifo per questo ragazzo, non lo si aspetta al traguardo in questo senso. Oppure c'è il caso in cui è proprio il genitore prima del figlio a trasgredire, per cui ovviamente in casa il giovane vive un modello non equilibrato, non giusto e quindi gioca a fare Dio cioè gioca a fare colui che tutto può. Si arriva a questo desiderio come di onnipotenza, quindi si droga, quindi fa finta che i limiti non ci siano. Ieri parlavamo anche della morte, della paura: faccio finta che la morte non esista, faccio finta che non ci siano limiti, che non ci siano regole, quindi io me la piglio con chiunque nella società rivesta il ruolo di autorità, che copre una carica istituzionale come ad l'insegnante... Ora tutto questo mio discorso io l'ho vissuto in prima persona perché faccio parte di un'associazione che interagisce con le tre carceri di Milano, San Vittore, Opera e Bollate, abbiamo fatto lavori di prevenzione alla tossicodipendenza, al bullismo e andiamo nelle scuole con i detenuti, così andiamo e incontriamo gli studenti, facciamo questo lavoro proprio di confronto, portiamo sul tavolo determinati termini, poi ci confrontiamo. Queste sono le cose che ho appreso e piano piano anche i ragazzi che meno partecipano alle lezioni, sono diventati in realtà i ragazzi più coinvolti, i ragazzi che poi più parlano, più esternano le loro considerazioni, lavorano su questi temi. Ovviamente alla base c'è un'insegnante coinvolta, che ci crede, che li motiva perché poi durante l'anno scolastico portano avanti questo discorso, scrivono di queste esperienze così nello stesso tempo anche il detenuto sente che ha un ruolo e quando senti che hai un ruolo, senti che vali, che vali per qualcuno ma vali anche per te stesso e insomma inizi a stare un pochettino meglio. Il percorso è lunghissimo per queste cose però credo che appunto bisogna fare tanta prevenzione in questo senso, incontrare le scuole, contattare gli insegnanti. Se io dovessi scrivere articoli che hanno a che fare con questa realtà, cercherei di non tanto giustificare ma più che altro di capire, ma non voglio provare della pietà, mi chiederei se potevano fare diversamente, se avevano le condizioni, le risorse interne ed esterne per crescere come sono cresciuta io.

Lucia Ritrovato (Reattore Sociale)

L'Italia è un paese molto vecchio in cui sostanzialmente è molto difficile essere bambini e essere giovani, non ci sono piani nazionali per l'infanzia, c'è la convenzione Onu sui diritti dell'infanzia che non viene poi così applicata. Dal punto di vista della comunicazione, le notizie che riguardano i giovani e gli adolescenti, quasi mai sono positive. Nei dibattiti dei grandi media si parla sempre di giovani violenti, di giovani abbandonati e perduti. Io penso che debba venire un contributo anche dal mondo della comunicazione, dal giornalismo, per andare un poco più a caccia di notizie positive. Io volevo in questo anche riportare un po' l'esperienza di un gruppo che noi abbiamo fatto con i figli di immigrati. Abbiamo cercato di coinvolgere adolescenti e anche di fare una rete virtuale, perché magari non sempre c'è il tempo, la forza e i fondi per andarsi a cercare i ragazzi in giro. Questa è una domanda che io mi pongo, noi ci siamo posti e la pongo anche al mondo dell'informazione: ma è così vero che poi questi ragazzi, bambini, adolescenti e anche giovani sono così perduti e soprattutto sono così incapaci oggi di fare rete oppure il loro modo è diverso e il mondo adulto non è in grado di percepirlo? Vi faccio un esempio: Facebook è più utilizzato in Italia che in altri paesi europei, tantissimi adolescenti vanno su Facebook, probabilmente fanno un tipo di rete diversa, molto più individualista, ci sono ma non ci sono e in una società come questa che è molto frammentaria, probabilmente c'è bisogno di investire molto di più sugli individui e questo vale per i giovani come per gli anziani. Quindi penso che sia più che altro un problema adulto. Gli adulti hanno questa capacità di metamorfosi per poter individuare questi nuovi codici, oltre ai nuovi linguaggi, perché non è il linguaggio che fa un individuo capace di parlare con i giovani. Questa è la domanda che mi pongo: c'è questa capacità, questa volontà di mettersi in discussione anche come giornalisti e andarsi anche a cercare quelle realtà giovanili che invece sono vivaci, che esistono?

Laura Mandolini (Senigallia)

Una domanda secca: mi chiedevo perché l'adolescenza che c'è sempre stata da quando l'uomo esiste, è diventata un problema? Immagino che nella crescita di una persona è fisiologicamente un periodo di grandi problemi, di cambiamento, di passaggio dall'infanzia all'età giovanile, però da un po' di tempo a questa parte, di adolescenza si parla solo in chiave problematica e questo secondo me è già una forzatura. La seconda cosa la lego all'essere bambini: è vero che non finisce mai l'adolescenza, nel senso che delle dinamiche adolescenziali poi si riscontrano anche in età adulta. Secondo me un problema grosso è anche l'aver rubato l'infanzia e forse questo è la premessa di un'adolescenza un po' diversa. Condividete questa piccola analisi o no? Grazie.

Erica Valsecchi

Avete tirato fuori tantissimi argomenti, quindi vediamo di dare un po' d'ordine.

Parto dal fondo giusto per comodità, da Laura. L'adolescenza in realtà esiste in alcune culture e non in tutte, da noi poi non è che sia sempre esistita. In realtà ne parliamo tanto da dopo la seconda guerra mondiale perché era un periodo in cui ci siamo dati la possibilità di crescere, abbiamo anche avuto la possibilità di darci uno spazio educativo. Prima della guerra, se voi pensate ai vostri nonni, la problematica dell'adolescenza era un suono un po' anomalo, perché si andava a lavorare molto presto, erano davvero pochi quelli che studiavano, per cui il passaggio all'età adulta era come in altre culture, avveniva molto prima. Anche nei manuali di psicologia dello sviluppo c'è un momento in cui viene definito questo passaggio dall'infanzia alla giovinezza, che è dai 18 anni in su in teoria, quindi con tutto quello che sono i cambiamenti fisici, d'umore, ecc. Alcuni di voi hanno detto di investire anche sugli individui cioè di pensare ad un progetto sulla persona perché possa crescere in base alle proprie esigenze, potenzialità e capacità. Quindi diventa un'adolescenza lunghissima no? Il passaggio evolutivo non è più fissato tra i 13-14 anni e i 18, ma tanti di voi hanno detto che anche a quarant'anni troviamo degli adolescenti che, come diceva don Giovanni, vomitano in piazza, uguale alla ragazzina di 14 anni, né più né meno. Io ritengo che in realtà l'adolescenza sia veramente un bel momento da vivere, non solo perché l'ho vissuta discretamente bene io, ma perché in realtà gli adolescenti sono dei ragazzi in cambiamento. A me tutto ciò che è innovazione cambiamento in generale mi affascina.

Dietro questo piattume di cui abbiamo tanto parlato, è interessante andare a scavare perché in realtà dentro c'è altro. Qual è la chiave di lettura? Rispondendo a Chiara, il discorso è veramente di andare a ragionare sui modelli di riferimento. Tu dici vado a prendere i professori a scuola perché la scuola è uno dei luoghi di eccellenza educativi dopo la famiglia, io dico non dimentichiamoci che la famiglia è il primo nucleo e purtroppo sappiamo che è in grosse difficoltà, però togliamo lo stereotipo dei divorzi, separazioni, dal mio punto di vista ci possono essere separazioni vissute molto bene anche nella drammaticità dell'evento indubbiamente, ma che permettono ai figli di crescere in modo sano ed equilibrato e quindi di affrontare un'adolescenza in modo positivo. Non è che i figli dei separati sono i bulli... Per rispondere ancora a Chiara, visto che me ne occupo da diversi anni, visto che esistono ancora questi stereotipi, in realtà ritengo che la famiglia sia in difficoltà educativa come ruolo di genitori, ci sono cioè delle grosse difficoltà da parte di noi adulti, come diceva Giordano che ha fatto un intervento veramente importante, cioè la difficoltà di essere dei veri modelli di riferimento; che cosa stiamo insegnando ai nostri figli? Prima di dirglielo a parole sicuramente lo dobbiamo fare, non può esserci un'incongruenza fra ciò che diciamo e ciò che facciamo, perché già siamo caduti ad esempio nel baratro del ragazzino che ci dice: va be' e allora? Tu mi puoi dire benissimo che non devo bere tutti i sabato sera, ma se poi tu sei il primo che magari vai con la mamma a farti due o tre aperitivi... Il nostro ruolo deve essere prima di esempio e quindi avere ben chiaro che cosa vogliamo fare, per poi trasmetterlo in modo chiaro ai ragazzi e ai nostri figli e di conseguenza anche la scuola. Io credo moltissimo, come diceva Chiara, nell'andare nelle scuole a sollecitare i professori, perché come diceva Giordano, le persone più difficili da raggiungere non sono i ragazzi segnalati dai servizi, quindi quelli pericolosi, quelli con le denunce, tutto quel target lì, bulli per eccellenza, oppure chi ha tentato il suicidio... Io non ho difficoltà a lavorare con loro assolutamente, ma non perché sono brava, non è che ci vuole tanto, però, come dice don Giovanni, la difficoltà enorme è andare ad agganciare la famiglia. M i è piaciuto l'intervento di Chiara quando dicevi che vai nelle scuole, porti l'esperienza del carcere, poi da quella si studia la letteratura, piuttosto che tutte altre materie; la letteratura per esempio si potrebbe utilizzare per andare a lavorare su argomenti sociali che ai ragazzi interessano e quindi diventa anche più alta la motivazione a scuola, perché se un argomento che quegli autori affrontano riguarda me e lo sto vivendo adesso, allora va be' aspetta che sto un po' più attento, a scuola ci vado anche più volentieri e non parcheggio, come diceva don Giovanni. Per cui poi si instaurano anche tutta una serie di relazioni all'interno della classe quando la motivazione è alta, diventano sicuramente più positive, come diceva Chiara.

La competizione è negativa, la sana competizione è molto positiva, l'Italia forse ne è a corto in questo periodo storico rispetto a quello che io vedo nelle scuole ; infatti sto facendo da due anni una consulenza nella scuola più rigida del mio paese, un istituto tecnico che prima era un ospedale psichiatrico per i militari poi è diventato una scuola, ma la struttura è sempre quella dell'ospedale. Immaginatevi già l'austerità del luogo, tutto grigio, tutto incolore, ha questo finestrone, ha ancora le porte come nei vecchi manicomi, che hanno lo sportellino, avete presente? Ecco, le aule sono queste, e in quinta superiore arrivano in cinque studenti di media. È chiaro che chi esce da lì, carriera, successo e soldi sono assicurati, li chiamano ancora a casa per lavorare senza andare all'università… C'è una competizione terrificante, non si fa altro che buttar fuori chi non prende un voto superiore al sette o all'otto e così si pensa che i compagni non ti stimano perché hai preso sette, è agghiacciante... Quindi il lavoro deve essere fatto sul mondo adulto, sugli insegnanti, perché poi questi ragazzi nel mondo del lavoro cosa fanno? Che tipo di relazioni instaurano? Non è sufficiente che quando si esce si va a lavorare e si è capaci di fare quel mestiere, perché poi all'interno di un contesto sociale nel mondo del lavoro, bisogna saper stare con gli altri, bisogna avere delle competenze sociali, non solo tecniche. Ma sapete che è difficile passare questa cosa? Vi sembra assurdo, ma io lotto per arrivare lì.

Mi sono occupata molto di bullismo perché volevo appunto sfatare un po' di stereotipi che tre anni fa i vostri colleghi riportavano sempre caldamente alla televisione . I ragazzi di oggi usano l'alcol in modo veramente mirato, come nuova forma di droga accessibile, a buon mercato ed è, attenzione, socialmente accettabile. È fondamentale questo, perché Giordano ha proprio detto come in piazza a Brescia come a Lecco, arrivano le Ferrari o i macchinoni di un certo tipo, molto costosi, perché abbiamo detto tutti, la Lombardia è una zona molto benestante e i ragazzi vanno lì, nei migliori bar, con la musica, tutto trendy, tutto bello, con il fine di ubriacarsi. Non c'è il gusto del bere, scordatevi la prova del cuoco, le trasmissioni televisive dove c'è il sommelier che abbina il buon vino con il piatto, non sanno neanche che cos'è. Ok... forse non assaggiano neanche veramente a livello di gusto quello che bevono, guardano la gradazione alcolica e la pubblicità che fa più moda, perché anche qua possiamo parlarne per ore del tema della pubblicità rispetto agli alcolici. In realtà guardate che l'alcool è una nuova droga assolutamente accessibile e socialmente accettabile, perché la figura del tossico da eroina, quello che ci riportava Giordano nella sua esperienza, non è socialmente accettabile, per questo che l'eroina si sniffa e non si fa o si fa molto meno. I ragazzi lo sanno bene che l'uso di droghe e di alcol oggi deve avere comunque una sorta di accettabilità sociale: se tu rimani in piedi fatto o ubriaco funziona. E' questa la sfida tra di loro e non è paglia.

Intervento

Il 62% della popolazione mondiale ha meno di 25 anni. Il tempo per l'adolescenza come diceva Erica poc'anzi non c'è, la tematica dell'adolescenza è una tematica dedicata alla società del benessere ed è un limbo che oscilla tra i 5 e i 30 anni. L'adolescenza può iniziare a 9, 10 o 11 anni, visto che un bambino non pippa cocaina, un adolescente ahimé si, però se a nove anni si pippa cocaina non si può essere considerato un bambino... Mi piaceva molto il riferimento che ha fatto Chiara, agli adolescenti che giocano a fare Dio... be' di adolescenti da che esistono, hanno sempre giocato a fare Dio in qualche modo. Cinquant'anni fa, quarant'anni fa o oggi, il problema è il terreno di gioco. Ricollegandomi invece al bullismo a cui faceva riferimento Erica con grande competenza, ci sono nuovi scenari in tal campo che sono per esempio il bullismo rosa, il bullismo al femminile, dove il terreno di gioco è la delegittimazione, è la calunnia, non sono i gesti più eclatanti, è un terreno subdolo di gioco. Mi guardo bene dall'utilizzare slogan del tipo la declinazione della macchina del fango a livello adolescenziale però il meccanismo è quello lì. Il disagio oggi non è marginalità sociale, il disagio è qualcosa che è al centro della società, per guarire il quale forse occorre investire sulla continuità della relazione, come credo sia il filo rosso che lega le nostre attività quotidiane. In una relazione occorre, mi ricollego in qualche modo all'ultima frase de Il Funambolo, il valore che è in grado di emozionarti, non di illuderti. Ultima cosa, ultima riflessione che condivido con voi: si parla degli adolescenti sempre con una chiave di problematica perché fa più notizia l'albero che cade e non la foresta che cresce. Noi dobbiamo invece trovare le chiavi di lettura per sviluppare l'appeal della bellezza della foresta che cresce.

Giovanni Carpentieri

Giordano ha detto una cosa che secondo me è importante sull'invisibilità perché altrimenti uno resta soltanto un attento analizzatore. È tosta perché questi hanno i soldi, hanno la Ferrari però sono anch'essi invisibili, ma sono invisibili perché noi non abbiamo gli occhi. Una volta che tu vedi poi il dinamismo è quello di conoscere, di vedere, di entrare dentro la situazione, perché c'è sempre un gancio, una situazione; l'importante è vedere e guardare, non soltanto fare l'analisi. Io penso che noi dobbiamo abituarci a vedere le cose, ad entrarci dentro, perché tu dentro hai il meccanismo. Ci sono questi mondi, sono invisibili, però bisogna entrarci dentro e bisogna stare attenti.

Chiaramente il discorso della prevenzione nelle scuole è non solo da potenziare ma da reinventare. Indubbiamente il punto di snodo è: ma siamo veramente liberi quando facciamo le cose? Sono veramente liberi quei ragazzi che prendono la Ferrari? Sono liberi? Mi è piaciuto molto l'intervento di Lucia per i diritti dell'infanzia: la riflessione che si fa sul mondo degli adolescenti, della gioventù in generale, era un po' come l'inizio di quello di Laura, sempre negativo... magari ci sono mondi nuovi da vedere e da scoprire, ci sono molte agenzie educative che lottano, diciamo noi, per la giustizia, l'ecologia... Ad esempio un anno a Natale in una via abbastanza ricca di Roma c'era un gruppo di ragazzi che si è fermato davanti a uno di questi negozi che vendono pellicce, animali morti, animali vivi, sezionati... e passavano e facevano vedere proprio questi video di animali scuoiati vivi… Ce ne sono tante di agenzie educative che lavorano ad esempio nel mondo dell'immigrazione a Roma, portate avanti da giovani, che non hanno la forza per esempio di entrare nelle scuole, perché per entrare nelle scuole devi passare per il posto taroccato più o meno, devi passare per la conoscenza del professore...

Ci sono dei mondi giovanili che secondo me dovrebbero mettersi dentro delle realtà e rivedere anche la loro esperienza, la loro situazione all'interno di queste sfide . Io dico rimaniamo sempre un po' adolescenti ma con la ricchezza dell'essere adulti. L'infanzia è una realtà che si deve dare, no? La parola chiave è mettersi a servizio. Come ci si mette a servizio dell'infanzia? Come ci si mette a servizio dell'adolescenza per far si che l'infanzia poi non diventi un'adolescenza superficiale? Io penso che la chiave sia ecco, andare per strada.

Intervento

Noi siamo giornalisti e questo lo chiediamo a voi: che cosa va raccontato, con che peso, con che taglio, che forse è la cosa più importante? Mi veniva in mente il discorso sugli adolescenti e il disagio, l'alcol, la droga, gli abusi in generale, i soldi, troppi soldi in tasca. Dopo la seconda guerra mondiale i ragazzini lavoravano a 12 anni, andavano in fabbrica e ci lamentavamo che andavano in fabbrica, giustamente non potevano essere adolescenti, i genitori allora avevano altro a cui pensare. Oggi i genitori lavorano il doppio di prima, forse hanno ben altro a cui pensare e i ragazzini hanno disagi di questo tipo qui, l'economia gira su questi disagi. Io lavoro per una rivista prettamente economica, e voglio dire che la pubblicità e le televisioni che della pubblicità poi sono i committenti e i mandatari insomma, fanno si che il mercato spinga i ragazzi non lo so se a seguire questi modelli propri o a dettarli, questo me lo direte voi. Qual è il peso che la comunicazione ha poi alla fine sui comportamenti reali di questi ragazzi? E' vero che questi ragazzi alla fine subìscono dei danni per quello che facciamo noi giornalisti, per come li raccontiamo oppure loro si muovono su altri canali, si approvvigionano dei loro modelli culturali in modo diverso? Il ruolo educativo non è del giornalista obiettivamente però magari che non sia quello diseducativo non sarebbe male. Come riuscire quindi ad interpretare questo tipo di posizioni? Perché poi sennò alla fine diventa un po' tutto un'analisi che mi lascia come dire impotente, perché dico come ti muovi sbagli, perché in questa società sembra che questa autodistruzione un po' ce l'andiamo a cercare in tutti i modi, per cui è endemico questo disagio. Questo disagio c'è più che vent'anni fa o è più pericoloso oppure è endemico e si può solo curare dei sintomi, ma senza sperare in fondo di debellare la malattia?

Intervento

Già quando ero adolescente io succedevano tutte queste cose, il bullismo secondo me c'era, a me mi menavano di brutto però se ne parlava molto meno. Facendo un confronto forte fra le mie esperienze di allora e quelle di adesso, mi viene molto da rimarcare la differenza fra esperienze reali ed esperienze virtuali, esperienze fatte direttamente e non so, civiltà dell'immagine, dello spettacolo, come la vogliamo chiamare. Quindi fra realtà e virtualità dove sta l'influenza?

Rossella Ricchiuti (Scuola di giornalismo de la Cattolica a Milano)

Io vorrei proporre due esempi pratici che hanno coinvolto giovani da un capo all'altro dell'Italia, uno a Milano e uno in un paesino in provincia di Taranto da dove vengo. Quello di Milano è un progetto che ha coinvolto giovani e ragazzi che per motivi di qualsiasi entità non hanno potuto prendere il titolo di scuola media e quindi con i fondi della regione Lombardia hanno creato un progetto che si chiama "Officina", sono stati recuperati degli spazi disabitati, quindi delle vecchie aziende andate in disuso e ci hanno creato delle scuole, che possono dare a questi ragazzi una formazione di tipo professionale, viene insegnato loro a cucinare piuttosto che a fare l'arte dell'orafo, piuttosto che a diventare segretari, ecc. Questi ragazzi hanno la possibilità non solo di prendere il titolo di licenza media ma in più possono proseguire per altri tre anni, sempre a spese della regione, per prendere anche la licenza di scuole superiori. Mi è piaciuta molto l'integrazione che c'era tra questi ragazzi, immigrati, milanesi disagiati, ragazzi che non avevano i soldi per poter studiare, o che comunque a quell'età andavano già a lavorare, e che sono stati tutti recuperati. Un altro esempio invece è quello di Carosino, un paesino con il maggior spaccio di droga nella provincia di Taranto, anche tra ragazzi tra i 14-15 anni: un giorno è arrivato un prete che ha deciso di rivoluzionare tutto. Ha preso la casa parrocchiale che avevamo a disposizione e la lascia aperta giorno e notte per questi ragazzi e in più dà la possibilità di frequentare dei corsi gratuiti, insomma questa casa è diventata la casa di tutti i ragazzi. La gente che andava a messa è triplicata e davvero si è creata una partecipazione attiva alla comunità del paese. Sono due esempi completamente diversi che però possono far capire che i giovani possono essere avvicinati alla società con i soldi o senza soldi, ma comunque c'è ancora questa possibilità. Secondo me la parola d'ordine da utilizzare con i bambini e i giovani è parlare, bisogna parlarci tanto, bisogna comunicare, bisogna saperli ascoltare. Volevo dire un'altra cosa infine ossia che i bambini diventano sempre più adulti, perché gli adulti che li circondano hanno dimenticato di essere stati bambini. Vorrei concludere con una frase del Piccolo Principe che recita: "Tutti gli uomini sono stati bambini una volta, ma pochi di essi se ne ricordano".

Intervento

Io lavoro per un settimanale, un Tg on-line, mi occupo di documentazione sociale attraverso un'associazione di volontariato che auto produce documentari. Io mi accodo a quanto ha detto il ragazzo che chiedeva appunto quali formule dobbiamo usare noi giornalisti per parlare dei giovani, perché quando io vado a presentare i miei documentari nelle scuole parlo ai ragazzi dei rifugiati politici e quindi ho un canale privilegiato, li ho tutti e 30 lì, mi ascoltano, guardano il video ed io riesco ad informarli. E' difficile invece attraverso la carta stampata magari trovare, non so, delle formule accattivanti per i ragazzi. E poi come trattare le tematiche che riguardano i ragazzi? In più volevo chiedere come fare per infiammare i giovani?

Vi porto una mia esperienza: per un'inchiesta sono venuta direttamente a contatto con dei ragazzi del quartiere di Selva Candida con una parrocchia di un circondario di circa 500mila abitanti. Questa parrocchia era diretta da un parroco, più un economo che un parroco, dato che la parrocchia fatturava 3 milioni di euro in offerte, che durante gli anni ha stuprato diversi ragazzini assecondato dal vescovo Reali. Parlando di questa storia mi sono trovata a dover raccontare la realtà di questi ragazzi che si sono trovati a denunciare questa situazione, i ragazzini che testimoniano oggi hanno 17-18 anni e si trovano in una situazione drammatica. Questi ragazzi che hanno deciso di denunciare di essere stati vessati continuamente, devono andare in tribunale con la scorta, sono totalmente isolati dal quartiere, i loro stessi compagni di vita, compagni di giochi fino a qualche mese fa, fino a pochi anni prima, adesso sotto casa lasciano lettere minatorie, scrivono sui muri cose assurde. Io volevo chiedere se esiste davvero questa realtà, perché appunto io la conosco in maniera indiretta dai racconti degli avvocati. Un'altra informazione: questo parroco indagato di pedofilia è il garante per le politiche della famiglia della periferia di Roma, scelto da Alemanno, che non si è costituito parte civile nel processo, ma anzi è test a favore del parroco.

* Testo non rivisto dagli autori.