XVI Redattore Sociale 27-29 novembre 2009

Disorientati

Ma quale pluralismo?

Intervento di Carlo Verna

 
Durata: 18' 03''
 
 
 
 
Carlo VERNA

Carlo VERNA

Presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti. Voce storica di "Tutto il calcio minuto per minuto", ha condotto per nove anni e anche curato per sei la trasmissione nazionale "C Siamo". È stato segretario dell'Usigrai e vicedirettore della Tgr Rai. Tra i riconoscimenti, il premio Coni-Ussi come miglior giornalista radiofonico nel 2012 e la targa Provenzali dell'Unione nazionale cronisti. 

ultimo aggiornamento 09 novembre 2017

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Cercherò in qualche modo di trovare anch'io una bussola, tentando di dire qualcosa però non leggendo anche se mi sono portato qualche appunto, perché lo stimolo era forte e interessante e lo è divenuto ancor di più sentendo don Vinicio. Soprattutto mi è rimasto questo interrogativo e vorrei partire da questo: chi parla nel servizio pubblico? Certamente parla chi riesce a tutelare, a farsi rappresentare ma tutelando i propri interessi. Io qualche giorno fa ho partecipato ad un convegno sul ruolo del servizio pubblico promosso dalla Commissione di Vigilanza dove ovviamente si sono posti tutta una serie di temi, c'è stato anche l'intervento del presidente del Senato che ha parlato di pluralismo: pluralismo è un concetto che tutti condividono, quando poi si tratta di andare a riempire concretamente questo concetto, allora subentrano tutta una serie di difficoltà. È intervenuto il presidente della Vigilanza, un autorevolissimo, ottimo, eccellente giornalista quale Sergio Zavoli che ha cercato di connotare un po' meglio il concetto di pluralismo, perché si parla di pluralismo ma poi il rischio è che in concreto questo pluralismo non c'è. Io però vado oltre e infatti nell'agenzia che successivamente ho fatto con apprezzamento a questa iniziativa, perché tendeva a riportare il tema del servizio pubblico al centro del dibattito, ho aggiunto l'interrogativo: completezza e pluralismo, ma quale pluralismo? Mi son chiesto ad esempio chi ha dato voce in questi giorni a fermenti e tensioni di movimenti e associazioni sulla privatizzazione dell'acqua. Il dibattito non rischia di essere sempre chiuso all'interno delle voci dei partiti? E qui mi riallaccio poi al discorso di don Vinicio e parto da una notizia interessata: noi ovviamente non abbiamo il vecchio tema di editore puro, noi abbiamo il tema di qual è l'editore del servizio pubblico che per me sono i cittadini. Qual è il riferimento dei cittadini? Certamente non il governo bensì il parlamento. Ma il meccanismo di governo di un'azienda che gestisce il servizio pubblico non ha mai saputo recidere il cordone ombelicale con chi è il padrone del vapore e quindi con gli interessi privati dei partiti, quindi la notizia interessata, nel nostro caso, non è tanto quella dell'editore che fa anche il costruttore e ha interesse a propugnare la tesi di una città che si deve sviluppare, in cui si devono fare nuove edificazioni e via dicendo, bensì è l'interesse di chi in qualche modo vuole condurre una lotta politica, vuole tirarla dalla propria parte. Il tutto è già oltre la fisiologia, il tutto già diminuisce l'indipendenza del giornalista.

Avrete sentito in televisione parlare di questo dibattito sulla privatizzazione dell'acqua se non attraverso qualche dichiarazione di qualche esponente politico che strumentalizzando certe posizioni ha ritenuto di poter piegare quello che era un fermento autentico e una problematica che davvero creava motivazione nelle persone che andavano a rivendicare la necessità di parlare dell'acqua come un bene a disposizione di tutti, un qualcosa di diverso; il politico lo strumentalizza, colui che ha la passione va in maniera disinteressata a rappresentarla; però chi parla? C'è spazio oggi nel servizio pubblico per una cosa del genere? Purtroppo no. Nella notizia interessata c'è molto del partito che condiziona la governante. Noi come sindacato non potente ma combattivo, una cosa abbiamo cercato di farla: l'anno scorso è partita questa nuova iniziativa insieme a Buongiorno Regione che va in onda la mattina sulla Terza Rete, e abbiamo preteso di selezionare le persone con una pubblica selezione in parte per titoli e in parte con un test anonimo con il multiple choice. Questa cosa è stata una battaglia vera, autentica. Io credo che uno dei presupposti per poter essere veramente onesti nel fare questo mestiere sia l'indipendenza, perché se io poi son lì per difendere un interesse di parte forse vengo anche travolto, pur in una posizione di buona fede rispetto a un concetto di onestà, nel tentativo di rappresentazione della notizia.

La notizia pruriginosa: non credo che nei nostri telegiornali ci siano notizie pruriginose, ma credo che il nostro modello di televisione proponga molto di pruriginoso. Credo che sia un modello di televisione che non abbia saputo recuperare quello che il famoso direttore della BBC, un mitico direttore diceva: informare, educare, intrattenere . Noi non abbiamo saputo enucleare negli ultimi anni un nostro modello che fosse di servizio pubblico da contrapporre alla televisione commerciale che andava non tanto sulla notizia pruriginosa, quanto sull'intrattenimento pruriginoso.

La notizia precostituita: in questo ci ritroviamo purtroppo in pieno un po' tutti, per una forma di pigrizia ma anche per un qualcosa che nasce sempre dal primo punto, cioè che in effetti poi alla fine questi addetti stampa, questi colleghi ti porgono sul piatto d'argento la notizia, qualche volta è anche comodo per un fatto di pigrizia, per un rapporto personale, ma è una notizia di chi è portatore di un interesse che magari si riconduce alla politica che poi protesta e ti va a creare una serie di problemi. Questo vizio purtroppo ce l'abbiamo e quindi io tenevo a sottolineare come in questo contesto complessivo don Vinicio ancora una volta ci avesse azzeccato, andando a mettere a nudo tutta una serie di vizi che ci sono anche nel servizio pubblico, oltre che nei giornali.

Quali possono essere però le risposte che noi possiamo provare a dare? Io sentendo parlare prima don Vinicio, pensavo che lui dovrebbe intervenire con lezioni specifiche all'interno dei Master - ce ne sono 19 in Italia - del Consiglio dell'Ordine dei Giornalisti, in convenzione con le università. Io credo che in questo momento la questione della formazione del giornalista sia una questione essenziale, una questione sulla quale non si può pensare di tergiversare ancora a lungo; c'è per altro come molti di voi sapranno, una bozza di riforma dell'accesso alle professioni giornalistiche - faccio parte anche del consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti - che è stato per altro approvato all'unanimità, che tende a riportare tutto all'interno di un solo meccanismo di accesso alla professione, che non è più il tradizionale praticantato quindi l'abusivo che viene riconosciuto, con l'impatto spesso magari scellerato di chi dice: va be' io vengo gratis basta che poi ottengo un riconoscimento di status da parte dell'ordine. Credo che davvero lavorare sulle persone in maniera tale da andare a creare un contesto più ampio e consapevole sia un lavoro molto proficuo perché cominciare dal sistema è più difficile, forse cominciare dalle persone è più facile. Le nostre battaglie poi possono essere maggiormente condivise da chi ha avuto un accesso consapevole, ha avuto una formazione e non si è trovato per caso. Tanti anni fa ai giornali si diceva che il mestiere s'imparasse a bottega e questo mi sembra un fatto anche abbastanza ovvio da un punto di vista storico, perché all'epoca i giornali erano delle grossi strutture, navi scuola potremmo dire e allora lì la sola possibilità di metterci piede comportava una sorta di preselezione, colui che voleva cominciare andava, veniva in qualche modo osservato, messo alla prova, poi mano mano inserito e lì imparava, c'era un maestro. Dove sono oggi i maestri? Non ci sono più. Ecco che il recupero di un momento formativo è un fatto secondo me importante. Io non credo che ci sia un problema di disorientamento che riguardi solo l'informazione e solo la professione del giornalista, ma che sia un aspetto specifico di una questione più ampia che coinvolge il mondo del sapere e in generale la società. Penso che ci sia una cannibalizzazione della conoscenza: ormai abbiamo un'overdose di conoscenza, abbiamo difficoltà a selezionare e probabilmente noi siamo oltre la capienza umanamente possibile.

Mi sembra giusto, sempre continuando su questo filo che tende a coniugare un dato sociologico con un dato umano, sottolineare come i ritmi e le velocità delle tecnologie non sempre siano gestibili dalla persona che spesso ne è travolta e per trovare la bussola ha qualche difficoltà . Io personalmente sento talvolta il bisogno di estraniarmi dal fruire sempre un po' più rapido delle cose del mondo che mi riguardano, qualche volta spengo il telefonino, cerco di fermarmi a pensare, altrimenti non esiste mai un momento a bocce ferme; purtroppo devo dire che non sempre è possibile farlo perché il contesto in cui ci muoviamo ci chiede sempre di correre sfruttando tutti i mezzi a disposizione, dal telefonino a internet e io riflettevo come questa fosse un'accelerazione, che fosse della stessa forza di quella del passaggio dalla lettera o dal telegrafo al telefono, cioè alla teleselezione. Ci sono cioè una serie di rapporti che si accelerano, diventano sempre più intensi, per di più questa è un'accelerazione che si aggiunge alla precedente, quindi tornando al concetto di capienza umanamente possibile, io mi vado a chiedere: ma tra mio figlio e mio nonno sicuramente c'è un abisso, e la risposta magari ce la può dare don Vinicio, ma a favore di chi dei due? E la domanda successiva: ma siamo padroni o schiavi di queste tecnologie? E soprattutto chi occupa incarichi di responsabilità nei confronti di altre persone, una comunità locale, una platea di cittadini iscritti ad un sindacato come nel mio caso, fino a che punto può mitigare in qualche modo l'invasività di certi mezzi senza trovarsi fuori da relazioni e dare risposte ai problemi che ci vengono richieste in maniera sempre più tempestiva? Esiste la panorafobia di cui diciamo o il particolare che ci aggredisce minuto dopo minuto che c'impedisce di vedere l'universale? Io farei su questo anche un'altra riflessione ossia su come anche le notizie forti, quelle che voi definite le notizie forti rispetto alle notizie deboli che certamente aiutano la comprensione, anche quelle non durano più di 24 ore, cioè sono tutte effimere nel loro fruire, nascono e muoiono. Il giornalista che è chiamato a raccontare, quanto tempo ha a disposizione per fermarsi a capire, a mettere insieme i tasselli del puzzle che ha raccolto per trasmettere un disegno e non brandelli di notizie? Aggiungo ancora quanto ne avrà in più, perché noi dobbiamo guardare il futuro, nel futuro multimediale dove dovrai contemporaneamente pensare alle esigenze di più mezzi, la tv, la radio, internet, il giornale… Di ricette non ce ne sono. Nei momenti di transizione siamo chiamati a navigare a vista. A mio giudizio una bussola serve e come, non so se basti, di sicuro aiuta le notizie deboli o sociali per concretizzarle metaforicamente. Certo fanno bene anche all'anima, secondo me, momenti di riflessione, una dose di silenzio, di isolamento, può essere un esercizio anche spirituale del giornalista.

Chiudo su un'altra questione che si riallaccia a quello che diceva don Vinicio: una testimonianza dell'importanza di contestualizzare tutto. Durante l'Olimpiade del 1996 io ero ad Atlanta e seguivo ovviamente i fatti sportivi e dall'albergo dove mi ero appena ritirato ho sentito un'esplosione, c'era stato un attentato al Parco del Centenario con 2 vittime secondo gli europei, una secondo gli americani, nel senso che gli europei contavano sia il morto per le schegge dell'ordigno esplosivo, sia quello morto di crepacuore, gli americani non essendo provato il nesso tra causa e effetto, dicevano che il morto fosse 1. Io sono sceso perché la smania del giornalista era quella di raccontare e avevo nella mia testa i parametri di come avrei raccontato questo fatto; purtroppo c'era stata anche a Napoli una strage proprio qualche anno prima al circolo americano e quindi io mi sarei comportato allo stesso modo e invece fuori dal contesto è stata un'altra cosa: parlo un discreto inglese, ma è diverso dall'americano, non avevo contatti con la polizia, poi in quel momento c'erano tutti i giornalisti del mondo, il disorientamento era totale… mi son trovato dunque che di fronte a un evento così importante, planetario, come una bomba scoppiata nel bel mezzo dell'olimpiade, come giornalista non ho saputo come muovermi.

* Testo non rivisto dagli autori.