Interventi di Loris De Filippi, Marco Carsetti, Hassan Daoud, Abubakr Jokos. Conduce Mauro Sarti
Loris DE FILIPPI
Presidente di Medici senza frontiere Italia. Ha partecipato a numerosi programmi di assistenza umanitaria, in situazioni di guerra, catastrofi naturali, violenza urbana. Ha coordinato interventi d’urgenza di particolare complessità, tra i quali lo tsunami del 2005 in Indonesia e il terremoto di Haiti del 2010. Da maggio 2015 è stato anche responsabile medico a bordo di una delle tre imbarcazioni che Msf ha impiegato nelle attività di ricerca e soccorso di migranti nel Mediterraneo.
ultimo aggiornamento 03 novembre 2015
Marco CARSETTI
Fondatore dell'associazione Asinitas di Roma, dove coordina le attività socio-educative con i richiedenti asilo e rifugiati. Redattore de Lo straniero.
ultimo aggiornamento 27 novembre 2009
Hassan DAOUD
Giovane somalo arrivato in Italia come rifugiato e oggi allievo della scuola romana di italiano.
ultimo aggiornamento 27 novembre 2009
Abubakr JOKOS
Giovane somalo arrivato in Italia come rifugiato e oggi allievo della scuola romana di italiano.
ultimo aggiornamento 27 novembre 2009
Mauro SARTI
Giornalista, responsabile dell’ufficio di corrispondenza di Redattore sociale a Bologna e fondatore del service editoriale Agenda, ha scritto tra l’altro il libro “Il giornalismo sociale” (Carocci, 2007).
ultimo aggiornamento 06 novembre 2016
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Mauro Sarti
C'è crisi e crisi e quelle che segue Medici senza frontiere, organizzazione che interviene per curare le vittime civili dei conflitti, presumo che siano le crisi con la C maiuscola ; non dimentichiamo fra l'altro che le Ong, come anche Medici senza frontiere, intervengono spesso anche nella mediazione con i media e con i giornalisti. In questi paesi le persone vanno dalle Ong che vivono e lavorano là a chiedere aiuto, ospitalità, assistenza, consigli, indicazioni, perché sono conosciute, spesso stimate o temute e fanno da fonte, da mediazione tra il racconto giornalistico, i reporter, gli inviati, talvolta frettolosi, talvolta meno, di una realtà che vanno a scoprire, raccontare, ahimé sempre meno, perché l'Africa e il sud del mondo vengono sempre poco raccontati nel nostro paese sia sui giornali che in televisione. A Loris De Filippi vorrei chiedere quante sono queste crisi nascoste nel sud del mondo.
Loris De Filippi
Noi di Medici Senza Frontiere interveniamo in sessanta paesi in questo momento . Devo dire che nel corso degli anni i paesi in cui interveniamo sono sempre di meno, vuoi perché i conflitti sono diminuiti da un punto di vista numerico, vuoi perché spesso e volentieri in alcuni paesi è sempre più complicato e complesso lavorare. In particolare, rispetto a quello che dicevi prima, volevo ricordare che, sebbene sia vero che ci sono dei giornalisti interessati a fare delle inchieste, a capire meglio quali sono le realtà in cui lavoriamo, soprattutto in Africa, c'è comunque un calo costante di notizie sui temi umanitari molto preoccupante. Se nel 2006 il 10% delle notizie globali riservava una particolare attenzione ai temi umanitari, nel 2007 era l'8%, nel 2008 diventava il 6%; su 82mila notizie complessive del 2008, solo 4900 riguardavano i temi umanitari e solo 6 l'Etiopia. L'Etiopia nel 2008 per Medici senza frontiere e per tantissime altre organizzazioni ha rappresentato un sacrificio in termini di risorse umane, in termini di lavoro enorme che è assolutamente passato inosservato. Pensate che il nostro intervento solo per quanto riguarda la crisi nutrizionale che ha toccato nel maggio dell'anno scorso alcune zone dell'Ogaden, è stato di circa 8 milioni e 800mila euro, con circa 70 espatriati internazionali che sono andati a soccorrere la popolazione, con un lavoro fatto assieme a circa 1200-1300 operatori etiopi; questo dà l'idea di un lavoro piuttosto grosso. Per fare un paragone simile pensate al nostro impegno a seguito dello Tsunami, nessuno ne ha parlato, ma abbiamo soccorso in quel caso 50mila bambini affetti da malnutrizione, di cui 28mila acuta e severa, con possibilità elevatissima di morire; non c'è stato nessun tipo d'intervento, d'interessamento da parte dei media. Ancora peggio nella regione somala del paese etiope, la regione che tutti conoscono come Ogaden dove dal 2007 si è intensificato un conflitto tra governo etiope e l'Ogaden National Liberation Front; sicuramente non c'è a tutt'oggi nessun giornalista e Ong che ha avuto la possibilità di addentrarsi, le pochissime Ong che hanno tentato di lavorare in quella zona sono state boicottate, noi siamo stati espulsi dall'Ogaden dopo un nostro intervento con una conferenza stampa a Nairobi per richiedere al governo etiope un accesso umanitario in quella zona. Ripeto che i dati sono sconcertanti: nel 2008 sono state pochissime anche le notizie sulla Somalia, in un anno cruciale, violento e terribile per questo paese, e le poche notizie date sono state ovviamente all'appannaggio di rapimenti di italiani o di una cosa che conosciamo piuttosto bene che è la pirateria, cioè i pirati nel Pacifico mentre nessuno ha mai parlato del dramma umanitario di milioni di persone, come sentiremo poi da Abu e Assan.
Vorrei ricordare anche la crisi dimenticata della Repubblica Democratica del Congo : qui dal settembre 2008 sono ripresi gli scontri violentissimi tra l'esercito regolare e i gruppi armati, malgrado la presenza della missione di pace delle Nazioni Unite in Congo (Monuc). Sono circa 50mila le persone fuggite anche abbastanza recentemente, sono stati attaccati i civili e non se ne è praticamente parlato, sono pochissimi i media che lo fanno. C'è stata una crisi relativa a un'epidemia di colera nel Katanga aLubumbashi , che ha colpito 4-5mila persone e nessuno ne ha parlato neanche minimamente. Questo è uno dei tantissimi esempi che possiamo fare sull'Africa. Va detto che sempre di più e soprattutto in Africa si parla di guerre asimmetriche, come ad esempio il caso del governo etiope che invia un esercito che in soli 5 giorni riesce a sbaragliare ed entrare a Mogadiscio e a prendere il controllo del paese; in queste nuove guerre è sempre più difficile lavorare.
Questo è un problema sia per noi che per i giornalisti, ma anche quando i giornalisti ne parlano spesso si tratta di giornalisti embedded perché entrano con una forza di pace o in alcuni casi con le forze Nato o di stabilizzazione di pace dell'Onu e quasi sempre hanno la possibilità di verificare e di analizzare solo una parte del conflitto. Questo è un problema direi molto grosso. L'altro problema che trovo importantissimo è quello dei pezzi già commissionati dalla testata giornalistica: spesso e volentieri arrivano i giornalisti da noi, vogliono alcune notizie più che altro logistiche per come raggiungere le zone più calde e pericolose e hanno già il pezzo pronto, di fatto sanno già che cosa scriveranno. Vi faccio un esempio. Poco tempo fa dei giornalisti sono arrivati da noi, dovevano andare in Colombia e ci dissero di essere interessati ad andare in una certa zona che sapevano essere calda e quindi volevano alcuni ragguagli, noi chiedemmo loro di che cosa volevano parlare, risposero di cercatori d'oro in una regione nord-occidentale di Bogotà… avevano già il titolo e lo schema pronto; poi dissero che volevano fare anche una cosa su un bibliotecario che con la bicicletta va nei piccoli paesini e tenta di portare un briciolo di cultura, di fare della scolarizzazione in zone in cui è difficile arrivare… Insomma, temi assolutamente nobilissimi e poi ci dissero che al limite erano interessati anche a fare un pezzo sugli sfollati però non sapevano bene da dove iniziare. Abbiamo detto loro che facevano bene a fare un pezzo sugli sfollati, tenendo conto che è il paese con più sfollati al mondo, a parte il Sudan. Ho chiesto loro se erano a conoscenza di fenomeni come quello dei falsi positivi, di quei casi in cui cioè il governo di Uribe, o meglio una parte dell'esercito, uccide delle persone inermi nelle periferie di Bogotà e poi li ricolloca in altre zone del paese vestiti da militari per far sembrare che siano appunto vittime dei terroristi delle Farc o dell'Eln. Ho chiesto loro anche se fossero a conoscenza del fatto che stanno risorgendo i gruppi di autodifesa e quindi i paramilitari e che in alcune zone il conflitto si sta di nuovo riaccendendo… Ovviamente cadevano dalle nuvole, ma è il classico esempio del fatto che sempre di più c'è un giornalismo che in molti casi non è spinto dalle analisi profonde e attente dei conoscitori ossia delle persone che nel posto ci stanno e ci lavorano; si parte invece sempre di più da temi preconfezionati, e magari con l'esigenza del giornale di fare tre pezzi perché il giornale ovviamente nella propria economia deve in qualche modo far fruttare al meglio l'inviato che per una settimana, non per venti giorni, deve arrivare, fare tre pezzi rapidamente e poi rientrare…
Io credo sia importantissimo, soprattutto per quello che riguarda l'Africa, lavorare con le Ong e riformulare un patto . Io credo che sempre di più le Ong non riescano ad entrare in alcune zone, quindi il fatto che spesso, o per lo meno in alcuni casi, i giornalisti possono penetrare in alcune aree che sono sconosciute alle organizzazioni non governative, è molto importante, perché possono aver delle notizie molto preziose; d'altra parte anche le organizzazioni non governative, ma anche quelle intergovernative delle Nazioni Unite possono fornire sicuramente dei dati molto importanti e possono fare dei briefing assolutamente precisi su alcune situazioni.
Un altro problema relativo alla guerra vista da lontano è il fatto che spesso e volentieri si fanno delle esemplificazioni pericolose, nel senso che non si perde il tempo per andare a verificare che cosa sta succedendo e si riportano delle agenzie estrapolando alla fine delle tesi che sono molto distanti dalla realtà . Me ne son reso conto quest'anno in paesi come il Niger, in cui le poche testate giornalistiche che si sono interessate alla crisi alimentare hanno sicuramente puntato il dito sulla desertificazione come causa nel Sahel di una crisi che è insanabile; pochissimi si sono presi la briga di fare un'analisi della situazione per capire che per esempio ci sono dei fenomeni di destabilizzazione del mercato, come i contadini che sulla frontiera con la Nigeria vendono a un prezzo conveniente il cibo, impedendo che nel mercato interno ci sia come dire, la possibilità di sussistenza per il paese più povero del mondo. Noi non vogliamo bacchettare nessuno, ma vorremmo fornire lo stimolo per andare a ricercare la verità fino in fondo, e tentare, soprattutto con le testate, di far pressione affinché facciano delle inchieste che non durino tre o quattro giorni, ma che diano il tempo per poter capire meglio la realtà.
Mauro Sarti
Cerchiamo di fare due chiacchiere anche con Abu Bakar e Assan. Abu Bakar 21 anni, Assan 20 sono arrivati dalla Somalia in Italia, a Lampedusa, nel luglio del 2008 : vorrei parlare con voi del vostro paese, di come l'avete vissuto da adolescenti, da ragazzi, dei problemi che avete incontrato, del perché lo avete lasciato. Allora chiacchierando un attimo prima avevamo individuato alcuni temi che potevano essere interessanti anche per le persone che sono qua oggi ad ascoltarci, come ad esempio la scuola e il rapporto con i vostri professori. Tanti sono i professori uccisi perché a Mogadiscio, violenza vuol dire anche uccidere i professori; si tratta di una città, mi diceva Abu Bakar, dove non si può fare politica senza avere delle armi in mano senza avere un kalashnikov, senza girare con una toyota tecnica con sopra la mitragliatrice, non è possibile altro modo per dialogare. Vuoi cominciare tu Abu?
Abu
Buonasera, scusate il mio italiano. Si parlava dell'Africa e quindi anche di Somalia, però credo che la Somalia sia un caso speciale in questo momento soprattutto perché è un paese dilaniato dalla guerra dove non c'è il governo da venti anni, l'anarchia totale , e se non c'è il governo con l'anarchia potete immaginare cosa può succedere… Io non ho mai visto un governo, non ho mai visto un poliziotto somalo che controlla la mia vita, quindi è complicato anche da spiegare. E' molto difficile spiegare come si cresce in anarchia dove non c'è più possibilità di sicurezza, dove conta chi ha kalashnikov…
Mauro Sarti
Dicevi che c'è guerra da 20 anni in Somalia, anche nella tua città, anarchia, armi, come se ne esce? In che modo? Quali soluzioni tu vedi o hai visto fino a che eri a Mogadiscio?
Abu
Quello che vedevo era questo: si esce la mattina e non sai se torni, non sai cosa ti succederà, gli amici escono e tornano morti, e non si sa perché…; quindi il problema più grosso è quello della sicurezza. Si dice che c'è dietro una politica, però comunque il problema è quello della sicurezza da risolvere, anche se non capisco perché si è dimenticata la Somalia in questo momento… Non c'è la possibilità di studiare, ci sono alcune associazioni che ci provano a far studiare i ragazzi però lo fanno con molta difficoltà perché non è facile studiare e lavorare in Somalia dove non c'è nessuna autorità…
Mauro Sarti
Non c'era nessuna autorità però ci sono dei mezzi d'informazione come la radio che rendono più unita la comunità, diffondono notizie, informazioni…
Abu
Si ci sono alcune radio però queste hanno perlopiù obiettivi commerciali, sono radio di commercianti, parlano soltanto delle cose commerciali, e se i giornalisti provano a parlare di politica, vengono poi uccisi… Non si dà nessun valore all'essere umano…
Mauro Sarti
L'hai spiegato, il valore della vita è molto basso…
Abu
C'è proprio una crisi di umanità, non c'è umanità…
Mauro Sarti
Sentiamo anche Assan. Dicevo prima che siete arrivati in Italia nel luglio del 2008 dopo un viaggio che è durato sei mesi attraverso l'Etiopia, il Maghreb, fino ad sbarcare a Lampedusa . Che cosa vi ha spinto a lasciare il vostro paese, a lasciare Mogadiscio, oltre a quello che già raccontava Abu…
Assan
Io sono nato due anni prima che iniziasse la guerra in Somalia nel 1988 . Nessuno lascia il suo paese, la sua famiglia, i suoi parenti, i suoi genitori senza un motivo. La guerra non è iniziata in Somalia da venti anni, c'era anche prima, ed era la guerra tra un clan e un altro per motivi come cercare l'erba per animali, insomma per motivi legati all'agricoltura… Poi sono nate le corti islamiche a Mogadiscio e nel sud della Somalia e le cose sono cambiate in peggiore e sono nate perché a Mogadiscio i signori della guerra volevano controllare ognuno una città; finché c'erano le corti sembrava che la Somalia avesse trovato per un po' la pace.
Poi è arrivata la guerra del 2006, una guerra molto forte che ha cambiato anche alcune cose; ad esempio prima se qualcuno veniva ucciso sapevi da quale clan era stato, adesso la guerra ha creato uno spazio dove non si sa chi ammazza chi.
Questa guerra mi ha convinto a scappare, andare fuori dal paese a cercare un posto in cui poter trovare la pace, perché è stato difficile vivere nella guerra, è stato difficile vivere tra corti islamiche e governo somalo perché non c'è nessuno che pensa al popolo, ognuno vuole raggiungere il suo scopo attraverso la guerra. Chi comanda lo fa per avere soldi non per trovare la pace, ognuno di loro vuole avere i soldi attraverso la guerra e creare problemi, insomma comanda chi ha le armi. Quindi questo è stato il motivo per cui sono partito dal mio paese, cercando un paese dove poter trovare la pace.
Mauro Sarti
Ancora due cose Abu su questo vostro lungo viaggio: mi dicevi che vi siete fermati molte volte, siete partiti insieme voi? Quante volte ti sei fermato? Perché?
Abu
Comunque si parte perché c'è necessità di partire, non è una scelta, si tratta di una necessità, comunque devi partire, il futuro ti è negato, devi andare a cercare un futuro alternativo . Quindi questo ha portato alla partenza, la voglia di lasciare perché non ce la fai più. Perché non siamo partiti prima? Eravamo studenti, quindi pensavamo o meglio speravamo che qualcosa sarebbe migliorato, aspettavamo… La speranza è scomparsa nel 2006 con la questione delle corti islamiche…
Mauro Sarti
Avete atteso finché non ce l'avete fatta più…
Abu
Si, poi è arrivato questo momento, non si poteva andare via prima, ci sono le cosiddette linee rosse ma è una storia lunga che non si può raccontare in un minu to… La partenza: intanto non è facile, ma non c'è alternativa, non c'è un altro viaggio, comunque devi lasciare, devi vivere o morire….
Mauro Sarti
Da dove siete partiti e con cosa?
Abu
Da Mogadiscio con un pullman e poi si cambia, si deve passare senza documenti tutti perché in Somalia non c'è nessun documento somalo riconosciuto, non ho mai avuto un'identità e un futuro . Io questo viaggio per il destino lo chiamo verso la speranza, perché speri di risolvere i problemi, di fare, di migliorare la vita e di creare il proprio futuro, perché come fai a vivere lì? Era comunque pericoloso andarsene perché bisognava attraversare i confini e si rischia la vita…
Mauro Sarti
T'interrompo un attimo perché prima mi raccontavi anche della pericolosità per voi di lavorare in Somalia, dicevi noi a Mogadiscio ormai sostanzialmente non lavoriamo più , inoltre ci sono rimasti pochi progetti perché è una città troppo pericolosa e troppo violenta…
Loris De Filippi
Si, quest'anno in particolare, ma già a partire dall'anno scorso, abbiamo subìto degli attacchi molto gravi con la morte di tre colleghi espatriati e due operatori locali , abbiamo subìto due rapimenti e abbiamo deciso quindi di ridurre il numero di interventi, tentando di lavorare in alcune zone meglio protette. La Somalia è l'unico paese in cui abbiamo, come dire, un genere di scorta in alcune zone, per evitare appunto di essere ancora bersagliati. Diventa sempre più difficile stare lì. La cosa incredibile è che appunto in questo momento ci sono centinaia di migliaia di persone in pericolo, in particolare nella zona di Mogadiscio nord e nessuno se ne sta occupando, per noi è sempre più complicato, tentiamo insieme ad altre organizzazioni di aprire degli spazi umanitari, ma è veramente faticoso e difficile e lo diventa sempre di più. La radicalizzazione di questo conflitto, la presenza delle corti islamiche e quindi l'aver applicato ad esempio la sharia in modo rigoroso, cosa che prima invece non veniva fatta, hanno portato dei piccoli gruppi ad allearsi ad AlQaeda. Queste situazioni contribuiscono veramente al caos e all'impossibilità poi di lavorare. Sono state soppiantate tutte le dinamiche del clan precedenti e sostituite con degli interessi ben diversi che purtroppo rendono il paese ancora più instabile e più difficile.
Mauro Sarti
Grazie Loris, le ultime due parole le lascio a Assan. Una battuta Assan sul tuo viaggio, dicevi molto lungo e soprattutto il problema era cercare di capire quando era il momento giusto per partire …
Assan
Come hai appena detto il viaggio è stato molto lungo, è stato difficile perché si attraversa diversi paesi, alcuni dei quali con problemi di guerra come il Sudan e poi è anche molto difficile attraversare il confine tra due stati senza documenti . Prima di attraversare devi pensare a organizzare un viaggio clandestino, un viaggio per poter passare in altri paesi. Ci vuole tempo per organizzare questo viaggio, io ci ho messo otto mesi, alcuni ci mettono uno, due o tre anni, perché non si sa quando parti e dipende dal trovare il momento giusto per poter viaggiare, per poter oltrepassare il confine. Quindi a me è andata abbastanza bene perché sei mesi non è molto, rispetto ad altri casi.
Mauro Sarti
Io volevo sottolineare e ricordare che persone come Assan e Abu Baker sono come le persone che noi stiamo, o meglio il governo italiano, sta respingendo in questi giorni nel canale di Sicilia in Libia . Non c'è stato il tempo di raccontare e di dire che cosa sono le carceri libiche, che cosa significa il passaggio in quel paese…; respingerli in Libia vuol dire carcere e violenze.
* Testo non rivisto dagli autori.