XVI Redattore Sociale 27-29 novembre 2009

Disorientati

Giornalisti di domani

Intervento di Mario Calabresi

 
Parte 1
Durata: 22' 59''
 
Parte 2
Durata: 23' 31''
 
Parte 3
Durata: 16' 31''
 
Parte 4
Durata: 33' 22''
 
parte 5
Durata: 17' 11''
 
 
 
 
Mario CALABRESI

Mario CALABRESI

Direttore del quotidiano La Stampa, ha scritto per Mondadori i libri “Spingendo la notte più in là” (2007) e “La fortuna non esiste” (2009).

ultimo aggiornamento 27 novembre 2009

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LEGGI IL TESTO DELL'INTERA SESSIONE*

Stefano Trasatti

Ringrazio Mario Calabresi per essere venuto qui da noi e soprattutto per averlo fatto con calma, è infatti arrivato ieri sera e ha passato del tempo con noi, ma soprattutto si ricordava, dato che è già stato con noi alcuni anni fa, della consueta cena del Redattore Sociale del sabato sera, con lui c'è anche sua moglie Caterina; ha scelto di passare uno dei suoi non molti momenti di tempo libero con noi, e quindi vuol dire che si sente un po' a casa. Mario è una persona che ammiro e di cui ritengo di essere amico, quindi non sarò proprio imparziale e mordace. Farò quindi solo qualche domanda e passerò poi la parola a voi.

Mario è la novità più rilevante nel panorama del giornalismo italiano e, permettetemi anche un po' di retorica, ne rappresenta anche la speranza; è una speranza perché è giovane, ha solo 39 anni, perché non è un direttore imbalsamato, come diceva ieri Vinicio, mantiene ancora quella giocosità e umanità nei rapporti, e perché viene da una scuola di giornalismo, l'IFG; perché non è inquadrabile politicamente, perché ha un linguaggio diverso, perché ha un'attenzione e un gusto particolare per le storie che sceglie di pubblicare e un'idea di come raccontarle che non è proprio comune; e poi perché sa fare i giornali con un tocco personale molto marcato.

E' direttore de la Stampa da 6 mesi e qualche cambiamento, in un giornale dove non è proprio facile rivoluzionare, si è già visto e questo lo abbiamo apprezzato perché si tratta di un giornale che fa tendenza. Ci fa inoltre sperare che alcuni temi spariti possano tornare; uno di questi temi è quello degli sgomberi dei rom, il vicesindaco di Milano si è vantato di aver fatto 166 sgomberi in pochi mesi, non credo che questo sia andato nelle cronache locali e tantomeno in quelle nazionali.

Ha scritto due libri che sono non solo belli, e questo è opinabile, ma sono soprattutto importanti: il primo dal titolo "Spingendo la notte più in là" che ha dato il via ad un filone di dibattiti e ha venduto 250mila copie e il secondo "La fortuna non esiste" che è una testimonianza del suo modo di raccontare le storie, dove ci si distacca da quel pessimismo che a volte ci sovrasta.

La prima domanda è molto tecnica: non molti conoscono la tua carriera e tutti i tuoi passaggi e quindi vorrei che tu ce li raccontassi, da dove sei partito a dove sei arrivato, però dicendo per ognuno di questi passaggi una o due sensazioni che ti sono rimaste; ne cito una che mi ha colpito, Mario ha fatto per tre anni e mezzo il caporedattore centrale a La Repubblica e mi hai detto che era una caienna.

Mario Calabresi

Buongiorno a tutti, mi è venuto da ridere quando hai detto che fatto l'Ifg perché ho ripensato ad una cosa che mi è capitata martedì quando parlando con una persona, questa mi ha detto "Ma dove andranno a finire, cosa faranno mai tutti questi studenti che escono dalle scuole di giornalismo, dimmi poi che fanno?", ed io ho risposto "I direttori dei giornali!"; questo qua non aveva la minima idea che io avessi fatto una scuola di giornalismo e così gli ho detto di venire dall'Ifg.

"Magari potresti provare ad andare in qualche scuola di giornalismo"

Io ho fatto la scuola di giornalismo, devo essere sincero, dopo aver provato ad entrare nei giornali in tutti gli altri modi per sette otto anni, non ci sono riuscito, e quando ho fatto il concorso per entrare all'Ifg, a 25 anni, lo ho fatto come ultima chance. Avevo già fatto delle collaborazioni e a 24 anni mi sembrava di essere già all'apice; avevo già fatto uno stage con la Rizzoli a New York, mi ero pagato tutto io, e per me è stato un grosso investimento, in un periodo in cui ancora non c'erano stage, tirocini, io ho fatto questa richiesta perché avevo il sogno di vedere come funzionasse il giornalismo negli Stati Uniti. A mie spese dunque mi sono fatto 4 mesi a New York. Fatto questo io pensavo che si spalancasse qualche porta; al termine dello stage sono andato dai colleghi che lavoravano lì a chiedere cosa avrei potuto fare a quel punto, e Riotta mi ha risposto: "Magari potresti provare ad andare in qualche scuola di giornalismo" ed io mi sono sentito male, perché ho detto, allora la potevo fare subito, ci ho messo sei anni, sono arrivato fin qui…; e poi Riotta mi ha detto che sarei potuto rimanere lì e continuare a fare delle collaborazioni dagli Stati Uniti, e a questo punto ho pensato che forse era meglio non perdere altro tempo e iscrivermi ad una scuola di giornalismo.

Le scuole e i corsi di giornalismo sono troppi

Mi sta a cuore dirvi una cosa: prima i posti nelle scuole di giornalismo erano davvero pochi, nel caso dell'Ifg c'erano 40 posti e l'anno che ho fatto io il concorso eravamo in 2mila a partecipare, gli altri 1960 sono rimasti fuori, l'anno dopo molti degli stessi hanno partecipato alla selezione per entrare alla Cattolica che ne prendeva 20; sinceramente io credo che ci siano troppe scuole e corsi di giornalismo, lo ho detto anche all'Ordine dei Giornalisti. Prima c'erano la Cattolica, la scuola di Milano, Perugia, Urbino e la Luiss di Roma, circa 120 persone l'anno in totale ad entrare nel mondo del giornalismo, e i giornali, seppure in un'altra epoca, siamo negli anni Novanta, li assorbiva; oggi, se guardiamo i numeri solo a Milano sono 120 quelli che iniziano la scuola ogni anno. Da tener presente anche tutti i corsi di laurea presenti e credo, ne sono convinto, che ci sia una responsabilità da parte dell'ordine. Ci vuole invece un po' di selezione anche all'ingresso. Credo anche che ci sia una eccessiva leggerezza di fronte a questo. Lo dico perché poi chi ha fatto tutto il percorso, alla fine trova difficile fare i conti con la realtà. Penso questo sul giornalismo ma vale anche per tutte le altre categorie, vi porto l'esempio di un'indagine che abbiamo pubblicato alcuni giorni fa da cui è risultato che gli avvocati iscritti all'albo a Roma sono di più di quelli di tutta la Francia e la nostra università non si fa domande sull'inutilità di tutta questa gente che si iscrive a giurisprudenza se poi avranno difficoltà a lavorare, non si preoccupa di dare invece indicazioni su quale professioni mancano ad esempio ingegneri, dottori…. Credo che le università e i vari ordini di categoria abbiano delle responsabilità in questo, mentre dovrebbero aiutare di più ad indirizzare.

Questa dunque la parte destruens, passiamo alla parte construens.

"Ma non potrei andare a Montecitorio a fare la politica?"

Negli stage sono stato sempre sfortunato come ad esempio per quello previsto dalla scuola di giornalismo di Milano, però come disse De Filippo "non tutte le sventure portano del male"; avevo chiesto di andare al Corriere e ad una settimana dallo stage chiude l'Europeo e il Cdr dell'Rcs decide di non prendere stagisti bensì di far lavorare al Corriere i colleghi rimasti senza lavoro. Quando mi hanno chiamato dalla scuola per dirmi che ero rimasto senza stage, devo dirvi la verità, sono tornato a casa e mi sono messo a piangere. Mi proposero un posto o all'Ansa a Venezia, o a Genova o all'economia a Roma; scelsi Roma, seppure non sapevo nulla di economia. Ho passato due settimane lì, una delle esperienze più umilianti in vita mia, perché non avendo competenze in economia, e loro lo avevano ben capito, mi avevano messo in una specie di box in corridoio, e tutto il giorno trascrivevo i dati delle quotazioni del mercato ittico che veniva dall'Adriatico e una cosina di 5 righe che sintetizzava ad esempio che il merluzzo rispetto al pesce azzurro era andato forte… Dopo alcuni giorni così mi sono chiesto che cosa stessi a fare lì, stavo spendendo un sacco di soldi per vivere a Roma e non vedevo l'utilità; così un giorno sono andato dal segretario di redazione e gli ho detto che me ne sarei andato via perché quello che stavo facendo non mi serviva a niente, e ho chiesto se era possobile fare altro, lui mi ha detto che avrebbero potuto farmi fare la cronaca di Roma, ma io non conoscevo Roma, non ci avevo mai vissuto e non si può fare il cronista se non conosci la città; allora io così sbruffone ho detto "Ma non potrei andare a Montecitorio a fare la politica?", in quel momento finiva la riunione dei caporedattori tra cui c'era Mario Nanni e il segretario di redazione, prendendomi un pò in giro in romanesco dice "Ah Mario questo vuole fare la politica, è uno stagista….", Mario Nanni si incuriosisce mi guarda e mi dice "Oh io te pio, te faccio fa 'na settimana, alla prima cazzata voli fori a calci in culo!!!".

La fortuna la si va anche a cercare

Praticamente io non sono più tornato alla scuola di giornalismo perché poi quell'estate non c'era nessun altro che faceva lo stage lì e così potei restare, poi mi seguì un altro mio compagno che era all'Ansa Marcello Campo che adesso è uno dei corrispondenti dell'Ansa da Washington. Qui però ho capito quanto conta quanto ci si dà da fare, quanto ci si mette in gioco, quanta dedizione ci si mette; io infatti andavo lì la mattina presto e mi fermavo fino a sera. Poi c'è stato anche un colpo di fortuna perché per tutta l'estate dalla redazione si cercava di contattare Bossi che però non rispondeva mai e un giorno dissi alla mia collega che con quel suo spiccato accento romano Bossi non glielo avrebbero mai passato e lei scherzando mi ha detto "Perché allora tu riesci a parlarci?", al che io risposi che potevamo provarci. Così quel pomeriggio lei per ridere mi diede il numero dell'autista di Bossi, il mitico Babini, il quale risponde e gli dico "Ciao Babini che c'è Bossi?", e Babini pensa, lo scoprì dopo, che io fossi Daniele Vimercati, il biografo di Bossi, un giornalista purtroppo scomparso, e mi risponde "Uhè si Daniele adesso te lo passo!". Mi passa Bossi che mi dice "Daniele come va?" ed io "Bene bene" [tutto in accento milanese] e lui "Sai Daniele stiamo organizzando la marcia sul Po" e rimango un po' interdetto e allora Bossi mi chiede chi sono e io "Sono Mario Calabresi dell'Ansa", "Calabresi??? Ma chi sei con quel cognome lì?", a quel punto però già lo avevo agganciato e mi disse di tutto quello che stava organizzando e che fece tanto rumore quell'estate lì: mi disse che avrebbero per protesta bruciato i libretti della Rai, che avrebbero fatto la Marcia sul Po. Mi metto giù a scrivere tutto, avevo già scritto circa 10 fogli e tutta la redazione mi guardava con stupore. Facciamo 10 lanci e un'ora e mezzo dopo il Tg3 apre con il titolo "Bossi: abbatteremo i ripetitori della Rai" ed è stata la testata di apertura di tutti i giornali del giorno dopo. Questa cosa qua ovviamente mi ha fatto notare dentro l'Ansa, per una botta di fortuna però uno la fortuna se la va anche a cercare.

Finito lo stage il caporedattore ci fece un discorso di quelli che se vi capita tappatevi le orecchie, ci disse "Ragazzi, spero sia stata una bella esperienza, che abbiate imparato delle belle cose, diventate giornalisti professionisti, prendete il tesserino, chiudetelo nel cassetto del comodino e cercatevi un mestiere perché di nuovi giornalisti non ce ne sarà più bisogno".

Sono tornato a Milano e una collega della politica, benedetta lei, chiede di andare in maternità e così due giorni dopo mi richiamano per chiedermi se tornavo per fare questa sostituzione. E' stato un po' complicato perché io ancora dovevo finire la scuola, andai a parlare con Franco Abruzzo che era il presidente dell'ordine il quale inizialmente mi disse che non si poteva fare, allora a quel punto gli dissi "Senta, perché c'è la scuola? Perché si possa fare i giornalisti e trovare lavoro come giornalisti, quindi se io un posto e un contratto lo ho trovato ci devo rinunciare per tornare a scuola? O tu mi metti per iscritto che poi mi trovate un altro posto oppure…". Allora arrivammo ad un lodo, il Lodo-Abruzzo, che poi venne sistemato con una delibera dell'Ordine in cui si disse che io ero autorizzato ad accettare quel contratto all'Ansa ma dovevo tornare a Milano una volta a settimana e dovevo studiare tutte le materie e sostenere una volta al mese degli esami. Naturalmente lo ho fatto per poco poi ho lasciato tutto.

Finita la sostituzione della maternità mi fecero un contratto perché c'era la Bicamerale e così via poi alla fine arrivò Giulio Anselmi, successe un caos all'Ansa e lui mando via il capo, questo Mario Nanni, e lo sostituì con Luigi Contu che adesso è direttore dell'Ansa, tutti salirono di una posizione, c'era un posto vuoto e così Anselmi mi assunse. Io sono stato a Montecitorio dal '96 al 2000 ed è stata un'esperienza onestamente bellissima perché allora soprattutto - oggi meno, dato che il Parlamento è molto svuotato e il governo fa tutto per Ddl, mette la fiducia continuamente - l'aula e il parlamento contavano ancora molto, il dibattito era proprio in parlamento, vedi tutta la crisi del governo Prodi, tutti i passaggi D'Alema, Amato, era tutto parlamentare.

Preparazione, studio, approfondimento e mettersi nelle giuste condizioni

Da lì poi sono andato a La Repubblica. Prima si parlava del tempo che non c'è, si viene mandati in un posto, si fa un'intervista al volo, la si sbobina…; è verissimo che in questo modo c'è difficoltà di approfondimento e di nostro possiamo mettere molto poco, però è vero anche che è responsabilità dei giornalisti, è più facile scaricare anche i nostri deficit sul fatto che il sistema non ci mette nelle giuste condizioni , la trovo una cosa troppo facile; detto che quei problemi ci sono, uno è al corrente gli argomenti che deve seguire, li conosce o perlomeno li inquadra, e allora stà a noi magari alzarsi un'ora prima la mattina e studiare le cose che si devono andare a fare, e questo è fondamentale, andare, guardare, studiare, leggere libri, prepararsi, approfondire, anche se poi al dunque tutto quello che si è fatto cambierà una o due righe nel pezzo. Un anno fa sono andato ad intervistare Seymour Hersh , il più grande giornalista investigativo americano, quello che tirò fuori la strage di My Lai in Vietnam, che cambiò la percezione della guerra degli americani, e che quasi trent'anni dopo ha fatto conoscere le condizioni del carcere afghano di Abu Ghraib ; mi ha raccontato che è venuto in Italia un anno fa a Perugia al festival del giornalismo, e mi ha detto che c'è troppa gente che crede che il giornalismo si faccia in maniera superficiale e senza studiare. Mi ha portato l'esempio di alcuni ragazzi che in quell'occasione a Perugia volevano farglii una breve intervista alla fine del suo intervento, sono andati con il taccuino e non sapevano neanche scrivere Seymour Hersh, non si erano nemmeno preoccupati di andare e vedere su Google o su Wikipedia… Dalle domande che gli posero fecero capire che non avevano letto nulla di Semur Ersche e allora non dico studiare la biografia ma almeno leggere alcune inchieste, approfondire... Allora io dico che ci vuole un po' di studio, di preparazione e di approfondimento. L'approfondimento è fondamentale e sta a noi saperlo fare. Nessun caporedattore vi dirà mai di studiare e approfondire ma vi assicuro che se andate in una redazione e lo fate, questo si vede. A me la cosa che ha fatto piacere è che a La Repubblica mi ci hanno preso perché nel momento che avevano bisogno di uno, i colleghi di Montecitorio e della redazione fecero tutti il mio nome.

Un altro esempio: mi trovai come inviato dell'Ansa al processo che Baltazar fece a Berlusconi, dell'Utri e Telecinco a Madrid e mi trovai con tutti gli inviati. Io, con l'ansia del primo incarico all'estero, avevo studiato questo processo in una maniera addirittura eccessiva, tutti i dettagli; iniziamo a parlare tra giornalisti, dopo un po' io inizio a fare degli interventi e ad un certo punto i miei colleghi hanno tirato fuori il taccuino ed hanno iniziato a farmi delle domande. Queste cose qua fanno la differenza.

Apro un sacco di parentesi ma credo che servono per farvi capire una cosa; quando stavo alla politica a Repubblica di tutti i ragazzi che venivano in stage non ce n'era uno che venisse con la giacca non dico la cravatta, e quando glielo dicevo sembrava una cosa così strana, che io fossi troppo formale. Il punto è questo, che se poi vuoi entrare a Montecitorio la giacca ce la devi avere, se no non entri, adesso non è obbligatoria la cravatta perché i leghisti hanno fatto togliere questa regola. Queste cose qui sembrano stupide però se uno si mette anche nelle condizioni giuste, può essere un aiuto. A questo proposito vi porto un altro esempio. Io ho sempre portato in tasca il passaporto e il giorno che muore Craxi, quella mattina all'Ansa - io ero l'ultimo della redazione - si comincia a dire bisogna andare, bisogna partire, però il primo aereo c'era all'ora di pranzo, non sapevamo come fare; in Transatlantico a Montecitorio io vedo Casini trafelato e volevo da lui una dichiarazione sulla morte di Craxi, e lui mi disse no perché doveva andare di corsa dato che aveva trovato un passaggio aereo, ed io subito dico che il primo aereo era alle due, e lui mi dice che Berlusconi aveva messo a disposizione degli aerei, ho chiesto a quel punto se per caso avesse portato qualcuno ma non pensavo certamente me, e lui rispose che se ci sbrigavamo uno lo portava; allora io corro in redazione, c'erano gli inviati e dico al capo che se c'è qualcuno che vuole andare Casini lo porta, e allora tutti cominciano a dire eh.. si… ma… però io non c'ho il passaporto… dovrei passare a casa…, arriva il portavoce di Casini e dice che sarebbero partiti in un quarto d'ora e il capo chiede chi aveva il passaporto in tasca, ed io rispondo di averlo, a quel punto mi dice che posso andare come inviato dell'Ansa ai funerali di Craxi, e sono andato con il biscione di Berlusconi ad Hammamet… Ai funerali di Craxi ho conosciuto Gian Antonio Stella che è stato molto gentile perché, essendo io partito così improvvisamente, non avevo nulla per cambiarmi, allora lui mi prestò un cambio di vestiti, e questo ci ha unito molto.

Due passaggi fondamentali: studio e responsabilità personale

Un altro esempio: in ogni momento di crisi politica, io mi mettevo lì a fare i conti dei deputati e dei senatori che avrebbero votato o meno, in che modo, quanti all'opposizione, e molti miei colleghi tra cui anche Gian Antonio Stella, mi chiamavano e mi chiedevano per ogni provvedimento che andava in votazione, come sarebbero stati i numeri. Aihmè per Arturo Parisi la mattina in cui il governo Prodi andò sotto, io avevo fatto tutti i conti, ero andato a parlare con tutti i deputati, uno ad uno, e sapevo già che il governo sarebbe caduto, ma non era una previsione politica, semplicemente una questione di pallottoliere. Mi ricordo che mi chiamò una collega di Canale 5 che mi chiese come andavano i miei numeri ed io dissi che il governo sarebbe caduto, e gli diedi i numeri su cui esattamente sarebbe caduto il governo Prodi.

Quello che vi dico dunque è studiare piuttosto che andare due ore prima in un posto, alzarsi prima è importante, come anche Riotta ha detto un anno fa all'apertura dell'anno accademico della Statale ossia che l'importante è alzarsi presto la mattina e lo hanno preso in giro molto; non dico che è fondamentale ma certamente aiuta. Io mi ricordo che la mattina arrivavo a Montecitorio alle 9, che è come andare in banca alle 5 del mattino, e però tra le 9 e le 11 quando non c'erano colleghi o erano pochi, c'era la possibilità di incontrare i politici senza che ci fossero altre 20 persone. Per le 11, dopo aver già letto i giornali, parlato con i politici, uno era già 10 chilometri più avanti, si era fatto il quadro della situazione della giornata.

Lo studio e la responsabilità personale sono due passaggi fondamentali; questo non ve lo da nessuno. Nessuno quando entrate in una scuola di giornalismo o in una redazione vi consegna una busta con dentro preparazione, studio, approfondimento, tenacia e metodo, queste cose qui ve le dovete fare da soli.

Coltivate delle passioni e studiate delle cose che vi stanno a cuore

Mentre stavo alla Repubblica avevo le mie fonti su Berlusconi; quello fu infatti l'anno in cui feci l'intervista a Berlusconi in cui mi rivelò che c'aveva il tumore alla prostata. Fu uno scoop, da tempo questa cosa si diceva, avevo cercato di capire se fosse vero o no, e avevo cercato di immaginare come far uscire questa notizia. Poi un giorno ho letto sulla cronaca di un piccolo giornale di Treviso che Berlusconi era andato da padre Vian, il suo padre spirituale, quello che stava alla scuola dei salesiani con lui, e che aveva parlato con dei ragazzi che erano in terapia per uscire dalla tossicodipendenza, e aveva detto loro di essere ottimisti e fiduciosi perché si può uscire da questi problemi, dicendo anche "Vedete come sono solare io" e uno dei ragazzi disse "Anche io se c'avessi il Milan e tutti i soldi che c'ha Lei sarei sereno e sorridente…", e Berlusconi rispose che anche lui aveva avuto problemi con una malattia, aveva avuto paura però si era dato da fare e l'aveva combattuta. Da lì ho chiamato Gianni Letta e gli ho detto che a quel punto la legge sulla privacy non era più invocabile, lo aveva detto pubblicamente che era stato malato per cui io lo potevo scrivere, dissi comunque che potevano decidere loro se lo dovevo scrivere parlando con lui oppure no; dopo un po' mi chiamò Berlusconi con una certa ansia che non avevo mai sentito da lui e mi disse che mi avrebbe raccontato lui, a patto che la parola cancro non fosse stata messa in prima pagina, lo chiesi al direttore Ezio Mauro che approvò: mise la parola tumore e la mise nel catenaccio…

Sono stato a La Repubblica un anno soltanto perché vi devo dire la verità in quella fase lì stavo alla politica, facevo il desk, non mi divertivo molto. Mi venne un'offerta della Stampa di andare a lavorare alla redazione romana ed io accettai. Andai via da Repubblica con un buon rapporto con Ezio e anche se lui generalmente non è molto gentile con chi va via, mi disse, affettuosissimo "La porta resta aperta". Nell'anno e mezzo successivo a quando me ne andai Ezio mi fece chiamare tre volte, una volta per offrirmi di fare l'inviato al seguito di Berlusconi e non accettai perché non avevo più voglia di fare questo, la seconda volta mi offrì di fare il capo della politica, però Ezio è uno che intigna e la terza volta mi offrì di fare il caporedattore centrale vicario, ed io devo dire la verità che a quel punto pensai di non poter fare la super star e accettai anche di corsa. E' stato una caienna fare il caporedattore centrale vicario e poi il redattore centrale, io lo ho fatto per 4 anni, è una non vita, perché entravo alle 9,30 del mattino e uscivo verso mezzanotte e l'ultima telefonata in cui mi leggevano i titoli della ribattuta finale la ricevevo verso le una e mezzo, tutti i giorni, una cosa che ti sfibra, vivi in simbiosi con il tuo computer, il telefono; così dissi ad Ezio che io avrei fatto questo lavoro a patto che poi mi avrebbe liberato e mi avrebbe mandato in un ufficio di corrispondenza; non ho mai detto l'America, per scaramanzia.

La cosa bella è che alla Stampa avevo incontrato il direttore Gianni Riotta con cui avevo fatto lo stage a New York, ed ebbi la possibilità di far parte della squadra che andò ad occuparsi dell'11 settembre, un'esperienza fortissima. A questo proposito vorrei dirvi un'altra cosa che ritengo importante e che dico sempre a tutti gli stagisti: è importante coltivare sempre i propri interessi anche se al momento non vi sembra che diano i frutti pratici. Coltivate delle passioni e studiate delle cose che vi stanno a cuore; io ad esempio avevo il pallino delle elezioni presidenziali americane, tanto che ho iniziato a tenere un archivio di ritagli sulle elezioni americane dalle elezioni del 1984, quando avevo 14 anni. Nel frattempo ho fatto tutto giornalismo che non incrociava mai l'America ma ho continuato a tenere questo archivio immenso diventando anche quasi uno zimbello per alcuni. Questo però mi aiutò nel momento in cui c'era da decidere alla Stampa su chi aggiungere alla squadra che andava a New York, si dissero che c'ero io che non facevo altro che parlare delle elezioni americane, per cui mandarono anche me.

Vi porto un altro esempio per spiegare il perché vi dico di approfondire e di coltivare interessi. Francesca Paci, corrispondente per La Stampa prima da Gerusalemme adesso da Londra, più giovane di me, una giovane giornalista che prima stava alla cronaca di Torino, aveva fatto lo stage alla redazione internet, siccome non era soddisfatta, anziché mettersi sull'Aventino ad aspettare o dicendo che il giornale non la valorizzava, come purtroppo un sacco di gente fa, lei si era messa a studiare l'arabo in un momento in cui questa cosa qua non andava di moda, siamo infatti negli anni precedenti 2001; poi si è iscritta al Campus delle Nazioni Unite di Torino, e frequentò questo master per due anni. Quando dopo il 2001 tutti i temi di scontro di civiltà diventano dominanti la Stampa aveva al suo interno una giornalista che si era costruita da sola, che aveva studiato tutte le tematiche culturali relative allo scontro di civiltà, leggeva e scriveva l'arabo, e quindi il giornale ha cominciato ad utilizzarla in un altro modo, nelle comunità musulmane, nelle moschee, ed è diventata poi in poco tempo la corrispondente da Gerusalemme. E questo onestamente se lo è costruito da sola, non ha aspettato nessuno.

Un altro esempio: la settimana scorsa ho preso una persona che fa un articolo o due da Asti e devo dirvi che a parità di curriculum con persone che erano più grandi ed avevano più esperienza, c'era una ragazza che in un momento in cui era stata a casa tra due contratti con due quotidiani gratuiti di Torino, ha frequentato un corso di difesa per i giornalisti che vanno nei paesi in guerra, e poi era andata in Afghanistan e aveva scritto un reportage per i giornali diocesani; da una parte questo, da un parte una laurea in cinema con specializzazione in cinema francese, scrive poi anche su una fanzine di cinema e devo dirvi la verità che a parità di curriculum ed esperienza di cronaca ho scelto lei perché ha scommesso su se stessa. Lei non lo sa ma il cinema francese e l'esperienza in Afghanistan, seppure non servono a nulla per fare cronaca ad Asti, hanno fatto la differenza e per questo motivo ora lavora per noi.

Stefano Trasatti

Cambiamo quadro e parliamo del tema contenuto nel titolo che accompagna il tuo intervento, "Giornalisti di domani"; ci saranno questi giornalisti di domani, come saranno? C'è molta incertezza, tutta la vicenda di Murdoch, il giornalismo che non si paga come se le notizie nascessero sotto il cavolo, ci sono questi guru della comunicazione del web che ci dicono che ormai i contenuti la gente è abituata ad averli gratuitamente, il giornalismo è in crisi e non lo è da adesso, però mai come in questo momento sta vivendo una crisi che nessuno sa come andrà a finire, seppure come dice Natale non è mai poi stato tanto meglio…

Mario Calabresi

La crisi attuale sta facendo ripensare se il modo di fare giornalismo è quello giusto

E' vero siamo un momento di grossa crisi, pensate che a me prima di firmare per diventare il direttore de la Stampa mi hanno detto di vedere i bilanci, cosa che non spetta ad un direttore, lo hanno fatto per non dire poi te lo avevamo detto; la crisi è onestamente immensa, ovunque in tutto l'Occidente, gli unici giornali che tengono sono quelli in Oriente, India, Cina, Giappone, qui i giornali vanno fortissimo da noi no, e non mi metto a fare l'analisi.

Ho girato 36 stati degli Stati Uniti e in ognuno di loro ho cercato di conoscere i giornali locali, e ho incontrato dove mi è andata bene il direttore oppure alcuni redattori. L'incontro più affascinante è stato quello con il Daily News dell'Arizona dove ho parlato con il border reporter il quale è il giornalista che si occupa delle notizie di frontiera con il Messico, raccontando e facendo reportage su cosa succede in frontiera, mi ha raccontato una serie di storie molto interessanti. La crisi negli Stati Uniti è impressionante se pensate che il Washington Post ha annunciato che chiuderà gli uffici di Chicago e Los Angeles, è come se Il Corriere della Sera chiudesse la redazione a Roma. Se ne è tratta la conclusione, soprattutto tra chi investe, che i giornali sono morti e che è un campo in cui non vale la pena investire. Nel 2000 si vendevano 55milioni circa di copie di giornali, oggi 49milioni, visto in un modo è una grossa crisi, 6 milioni di lettori persi, dall'altra parte però significa che ancora 49 milioni di persone comperano il giornale ogni giorno.

Il punto è che va cambiata questa interpretazione: io penso che nei periodi di crisi vadano viste anche le opportunità. In cinese la parola crisi è formata da due ideogrammi uno che significa paura e ansia e l'altro che significa opportunità. Nella crisi bisogna dunque vedere anche l'opportunità. Fino a poco fa, quando già c'era la crisi, nessun giornale italiano si metteva in discussione, anche a La Repubblica dove stavo io, nessuno si faceva delle domande; siccome i collaterali, enciclopedie, dvd, libri, andavano come il pane e gli utili salivano, nessuno si preoccupava se il modo di fare giornalismo andava bene, la cosa era vendiamo, perché ci dobbiamo preoccupare? La crisi attuale invece ha di positivo che sta facendo ripensare a tutti se il modo di fare giornalismo è quello giusto.

Io vedo che la crisi avrà bisogno dunque di persone nuove e diverse; l'altro ieri mattina un componente del CdR della Stampa mi ha detto che il regalo che posso fare al giornale è quello di portare aria nuova e di cambiare con un ricambio generazionale, e lo ha detto anche contro i suoi interessi.

Un giornalismo accurato, preciso, approfondito, indipendente in tutte le sue forme

Molti dicono che oggi ci sono i blog che fanno informazione e quindi non servono più i giornali, ma di cosa parlano questi blog? Di notizie che questi blogger sono andati a cercare sul terreno o di cose che hanno letto sui giornali o visto in televisione? Chi porta le notizie nella rete? I giornalisti oppure davvero questi sono stati sostituiti da persone che di mestiere fanno altro ma che per hobby creano tutto il notiziario che c'è? No, non è così, si c'è una percentuale di blogger multimediali che cercano e trovano loro storie ma sono una nicchia. Se domattina tutti i giornalisti italiani si fermassero per un giorno, la rete parlerebbe del fatto che i giornalisti si sono fermati per un giorno, non avrebbero da discutere ad esempio di una legge che ha privatizzato l'acqua perché non c'è nessuno che va a Montecitorio in commissione a spulciare le carte. Allora questa idea che noi ormai siamo dei dinosauri come spesso mi capita di sentirmi dire in alcuni dibattiti, io non la condivido. Non mi sento in contrapposizione con la rete, io penso che ovunque sia, sulla carta o in televisione o sul web o sui palmari o in radio la cosa fondamentale è chi si continui a fare giornalismo con i criteri più tradizionali. Io penso che il giornalismo debba tenere fede a quelle che sono le sue caratteristiche da sempre ossia essere accurato, preciso, approfondito, indipendente e questo in tutte le sue forme, che sia su internet, carta, telefono…. Il giornalismo deve essere lo stesso, non c'è contrapposizione. Io non penso che ad esempio il giornalismo on line è nemico di quello classico su carta, bensì dovranno essere complementari. Nella complementarietà io penso questo: la carta è lenta, è la bicicletta, mentre internet è un treno veloce, se io li metto in contrapposizione è ovvio che la carta perde, posso pedalare come un forsennato ma se il treno parte io farò solo una figura ridicola. Ma chi prende il treno non usa più la bicicletta? No, le due cose vanno insieme; così è nel giornalismo su carta e in quello on line, possono infatti avere un pubblico e delle declinazioni diverse ma esistere entrambi. L'errore commesso negli ultimi anni è proprio questo di non analizzare come si poteva uscire dal disorientamento, perché eravamo drogati dalle enciclopedie e dai vari collaterali, è stato quello di non porsi domande. Ad esempio i giornali hanno cercato troppo di fare la concorrenza alla televisione, ma la carta stampata non può fare la concorrenza alla televisione perché questa ha la sua forza che è quella dell'immagine, della voce. Posso cercare io giornale di battere la sua forza? Posso pensare che se la televisione ha l'intrattenimento allora anche io giornale devo fare intrattenimento?

In rete l'aggiornamento, l'approfondimento sulla carta

C'è stata anche la concorrenza con i siti e col web e così mi ricordo che a La Repubblica tenevamo il giornale aperto fino a tardissimo, siamo arrivati a fare le 2 di notte, per cercare di avere l'ultima notizia, tanto poi se la notizia arrivava alle 3 e mezza eri fregato lo stesso…una spesa colossole di trasporto, stampa, di straordinari… Ad un certo punto un giornale che sia La Stampa, il Corriere, la Repubblica, serenamente deve scegliere di mettere una notizia con una scrittura più approfondita su carta e ciò che è più aggiornamento sul web. Io per esempio stando per La Repubblica negli Stati Uniti al seguito della campagna elettorale di Obama, ho fatto questo lavoro, ogni volta che andavo ad un dibattito facevo un pezzo che era per il giornale che non era tanto il racconto dei fatti ma un qualcosa che cercava di far capire come in quel giorno fosse andato il confronto con McCain, che tipo di spostamenti aveva fatto Obama, ossia cercavo di dare una chiave di lettura. Questo pezzo lo finivo di scrivere alle 5 e mezza del pomerigio americana, le 11 e mezzo in Italia, poi verso le 9 di sera avevo il tempo di fare un pezzo con le novità e questo veniva messo in rete. Le due cose non erano concorrenziali perché cercavo di fare in modo che il pezzo che mettevo in rete non rendesse inutile quello che avevo scritto per la carta che era più di analisi e di approfondimento, una chiave di lettura. Io penso che questo si debba fare.

La carta ha perso lettori ma penso che abbia un futuro purchè abbia chiavi di lettura di approfondimento, dei ganci per capire la realtà, mentre tutti gli altri sistemi tecnologici debbano più puntare sull'aggiornamento che non significa superficialità, cose sbagliate o tirate lì.

Vi faccio un esempio pratico e prendo il settore degli spettacoli: questa settimana abbiamo fatto una riunione e ho detto che è inutile che noi facciamo pezzi sul Grande Fratello sul giornale di carta e non per uno snobbismo ma perché il tipo di pubblico a cui interessa il Grande Fratello non è lo stesso che legge le pagine degli spettacoli della Stampa; secondo poi chi è interessato le notize se le trova in rete perché anche se io faccio un pezzo all'una di notte e riporto della rissa tra due ospiti della casa e metto anche una foto, la mattina dopo se sei interessato vai sul sito o su youtube e te la guardi tutta. La notizia non soddisfa e così io sono perdente, è inutile, è meglio metterla sul sito, facciamo piuttosto la fotogallery sul sito. Abbiamo così deciso di fare tutti i giorni una recensione di spettacoli di musica classica o di lirica perché questa roba qui non la trovi, non te la dà nessuno, per cui io metto sulla carta quello che in giro non trovi. Non è che faccio il puro e dico anche sul sito metto la classica o la lirica, no, però scelgo per alcune notizie il sito e per altre la carta.

Stefano Trasatti

Passiamo al dibattito. Per primo Angelo Perrino che ha fondato Affari italiani, un quotidiano on line vero ossia non derivato da un giornale su carta; Angelo ha una sua tesi provocatoria che vi dirà e deve anche fare un annuncio.

Angelo Perrino (Affari Italiani)

L'annuncio è semplice: da due giorni anche Affari italiani ha una sezione dedicata al sociale che ha la stessa visibilità degli altri settori quali politica, cronaca, economia e spettacoli; è la scommessa di un giornale generalista che promuove il sociale, è proprio quella di far uscire il sociale dal ghetto, farlo uscire dai giornali specializzati e farlo entrare nell'agenda politica, economica sociale nazionale. Mene occuperò insieme a Stefania La Malfa che è qui e che ho appunto conosciuto a Redattore Sociale, figlia di questi seminari, che ho scelto per occuparsi di questa sezione perché ovviamente per trattare questi temi ci vogliono persone competenti. Lo consideriamo anche uno spazio aperto tipo Wikipedia quindi ci aspettiamo anche i vostri contributi.

Sul futuro dei giornali io trovo nelle parole del direttore Calabresi sicuramente analisi molto più aggiornate e fresche di quanto io senta abitualmente; mi sembra cha abbia colto bene il fatto che per anni si sia coperta la verità sui bilanci dei collaterali che hanno tenuto in piedi strutture manageriali e prodotti, come dice il mio amico Beppe Grillo, defunti "Sono salme che parlano di tombe".

Il futuro è multicanale, ha ragione Calabresi, io credo che il giornalismo riparta da lì in particolare dal mobile, dal giornalismo in mobilità perché l'ultimo limite che c'era ai giornali on line era il fatto di essere vincolati al computer e quindi ad una postazione, adesso con questi smart phone con i quali si leggono i nuovi giornali on line l'editoria nuova digitale acquisisce la mobilità e quindi la mia sensazione è che i giornali cartacei non abbiano più, ahimè, una loro specifica funzione; la discussione non è tra cartaceo e giornale on line bensì tra informazione in diretta ed informazione in differita. In sostanza la realtà noi la raccontiamo nel suo farsi mentre il giornale cartaceo ce la racconta il giorno dopo a risultato acquisito.

Questa è la mia analisi e volevo sapere l'opinione di Calabresi.

Fausto Spegni

Una domanda che prende spunto anche da quello che ha detto Laura Boldrini, ossia di avere organizzato dei viaggi da poter seguire e i giornali, dovendo pagare, non sono andati. Abbiamo parlato di un giornalismo curato, approfondito, indipendente e allora io Le chiedo: ha intenzione di pagare per far seguire dal suo giornale l'operato dell'Alto Commissariato per i rifugiati?

Daniela De Robert (Tg2)

Sono convinta che la competenza e la passione servano però c'è anche un altro discorso. Io lavoro al Tg2, noi abbiamo corrispondenti che vengono mandati senza conoscere la lingua, che sono rimasti anni in un paese senza conoscere la lingua, non è un problema, non serviva lì la competenza... Ad un giornlista è stato proibito a Lampedusa di usare la parola immigrante perchè doveva usare la parola clandestino, dove l'uccisione di Carlo Giuliani diventava la morte... Non è secondario l'uso delle parole. E' vero che c'è una parte di fortuna che ci si costruisce, è vero che c'è un contesto anche molto difficile di un giornalismo molto ottuso dove il vicedirettore mi dice questo tema non interessa perché sull'autobus non se ne parla quando lui l'autobus non lo prende da 25 anni… Allora c'è anche un contesto nel quale ci si muove e dove non basta costruirsi anche se poi l'occasione può capitare.

Altro punto: nel contesto dei giornali e delle televisioni, è il contrario di quello che hai detto, si insegue l'intrattenimento e l'auditel, sbagliando perché secondo in un telegiornale me interessa di più l'informazione fatta bene che l'intrattenimento fatto male.

Io sono rimasta positivamente molto colpita dall'esperienza di quest'estate del suo giornale dedicato all'Africa per il coraggio di rinunciare ai temi del giorno; allora io vorrei una valutazione di quell'esperienza.

Roberto Natale (Presidente della Federazione nazionale stampa italiana)

Un'osservazione e una domanda. L'osservazione sul tema dell'acceso perché il direttore Calabresi ha espresso in maniera molto brillante la sua perplessità sul meccanismo attuale delle scuole. Ricordo un dato: ogni anno diventano giornalisti professionisti all'incica 1400 colleghi e colleghe e di questi non più del 20% viene dalle scuole di giornalismo, pur tante come diceva Calabresi. Dal nostro punto di vista è giusto porre a critica il sistema dell'accesso alle scuole però anche quantitivamente l'altra domanda che mi farei è da dove viene l'altro 80%. Noi come sindacato stiamo insistendo per una proposta di modifica sull'accesso che abbassi i numeri, perché con queste quantità moriamo allagati tutti, in modo anche che ci sia solo una modalità di accesso di formazione qualificata. Restringendo dunque i numeri, restringendo le altre possibilità, ma nel frattempo facendo la sanatoria per chi in questi anni ha fatto giornalismo di fatto. La domanda è a proposito del futuro: credo che sia alquanto meno fequente rispetto alle nostre generazioni l'acquisto del giornale di carta da parte dei giovani. Tu un problema del genere, senza catastrofismi, te lo poni? Come far diventare abituale per un ragazzo l'idea di comperare un giornale? E' uno tra gli obiettivi della tua direzione? Questo vale sia per il cartaceo che per il giornale on line perché si sta discutendo della possibilità che ci siano i micropagamenti come c'è per I-Tunes: come pensi di fare?

Mario Calabresi

Sono domande più complesse di quello di cui abbiamo discusso finora.

Partiamo dalla scuole e dai professionisti. Sono d'accordo con la posizione del sindacato di abbassare i numeri, di identificare l'accesso e secondo me quello delle scuole è quello giusto, tutto questo però tenendo presente la sanatoria per tutti quelli che praticano da anni. Io ad esempio nel mio giornale ho assunto come praticante un signore di 49 anni, non giornalista professionista, perché comunque è bravo, competente e rispettato; questo prima di un ricambio perché non penso ci possa essere un ricambio totale giovanilista inteso come tutti quelli che hanno sotto i trent'anni o che vengono dalle scuole sono bravi gli altri no.

I giovani : è una realtà che i giovani la carta la tengono molto meno in mano. Noi come Stampa abbiamo una parte di lettori giovani per la parte locale perché ci sono luoghi dove abbiamo sostanzialmente il monopolio dell'informazione, ad Asti e a Cuneo su 100 giornali venduti il 90% è rappresentato dalla Stampa e molti sono i giovani che la comperano perché se vogliono sapere che cosa è successo alla squadra di calcio, o informazioni sui corsi di lingua o gli orari degli autobus e dei treni per andare a Torino, quelle informazioni le trovano solo sulla Stampa. Per cui i giovani ci sono ancora se trovano un'informazione concorrenziale; a Torino vedo meno giovani con i giornali perché quello che vogliono sapere lo ascoltano dalle radio locali, lo cercano su internet, lo trovano sul televideo, al Tg Regionale, frequentano e seguono il sito. Adesso c'è anche il dibattito sul sito, ed essendoci qui anche un azionista della concorrenza [Diego Della Valle], mi sento anche un po' imbarazzato perché è la grande partita degli interrogativi che si fanno al Corriere della Sera come ce li facciamo alla Stampa. Ci sono due strade. Da questo punto di vista il sito piace perché rompe quelle gabbie territoriali in cui per esempio la Stampa per troppo tempo è stata chiusa. L'età media di quelli che comperano il giornale di carta e quelli che leggono il sito è ovviamente diversa. Inoltre quello che fino ad oggi è stato dato gratis non penso che tu glielo possa far pagare, infatti vedete che Murdoch prima è andato in una direzione poi è tornato indietro. Se anche ci mettissimo d'accordo Corriere, Repubblica, Stampa, Sole e da domani lo mettiamo a pagamento, chi naviga in rete andrebbe altrove. Io non credo che un'informazione del genere possa essere messa a pagamento e lì noi ancora dobbiamo sperare, puntare sulla pubblicità. Invece tutto quello che va sull'I-Phone e sul BlackBerry, sugli smart phone e sul mobile, io penso che lì invece ci possa essere il micropagamento perché lì si è abituati a pagare l'sms. E' ovvio che in questo modo io non penso di raggiungere dei grandi numeri però pensiamo anche ad una cosa: i giornali hanno perso lettori, ma i giornali non sono mai stati letti dalla globalità dei giovani e della popolazione, sono sempre stati una nicchia. Allora il punto è cercare di ricostruire un sistema mettendo insieme la carta (da cui prendo due volte, da chi mi da i soldi perché lo compera e dalla pubblicità), internet con la pubblicità e anche i micropagamenti degli sms sui telefonini. Devo mettere insieme queste tre cose per riuscire a fare il tipo di business di sostenibilità di un'impresa editoriale. Io penso che se uno ha la visione globale di tutto questo ce la può fare, se invece penso di rimanere inchiodato sulla carta e sperare che i giovani comperino il giornale secondo me è come Don Chichotte con i mulini a vento, le speranze ce ne sono poche. Una cosa da aggiungere: dicevamo del ricambio generazionale, sono entrato alla Stampa che c'erano 23 giornalisti, più giovani di me 9, allora se diciamo i giovani leggono pochi giornali io credo anche perché il linguaggio, le tematiche, gli interessi non sono per persone della loro età. Vi faccio un esempio: la gente dà per scontato ad esempio che basti mettere sul titolo Via Gradoli e tutti capiscano, ma sono passati 30 anni e i giovani non capiscono quel titolo perché non possono ricordare, va dunque spiegato. Penso anche a dei personaggi: potrei fare un pezzo su Fonzie chiedendomi dove è andato a finire, ma poi ci penso e mi dico che Happy Days riguarda quella generazione he adesso ha tra 1 35 e i 45 anni, i più giovani perlopiù non lo conoscono. Bisogna uscire, anche nel fare informazione, dall'idea che quello che interessa tutti sia quello che appartiene alla generazione che ha la maggioranza dentro il giornale, non si può dare tutto per scontato. Pensate, quest'anno sono 40 anni dalla strage di Piazza Fontana quindi vuol dire che più della metà della popolazione italiana è nata dopo quell'evento, non ha vissuto in prima persona quegli momenti. L'idea di dare tutto per scontato e nei pezzi non spiegare è un suicidio. Allora io penso che dobbiamo si affrontare i temi economici ma anche i temi giornalistici.

Pagare per seguire alcune tematiche . Non è che i soldi non si vogliono spendere è che francamente non ci sono, nei giornali quindi vanno ridiscusse le priorità, ognuno è libero di scegliere le sue priorità, non credo che se un giornale sceglie di spendere dei soldi per seguire una squadra di calcio in trasferta e un altro sceglie di seguire i flussi migratori, si può dire che tu sbagli l'altro invece è bravo. Penso che ognuno lecitamente in base anche al lettore che ha debba seguire quello in cui crede e fare i suoi investimenti in quello che crede sia meglio. Guardate che se i giornali non sono profittevoli gli azionisti non ci andranno a mettere i soldi semplicemente perché li far star bene, ad un certo punto ci saranno sempre meno azionisti e i giornali chiuderanno. Io sono convinto anche che l'indipendenza economica e il fatto di stare su da soli per i giornali sia una cosa importantissima per l'informazione, credo sia un dato fondamentale, altrimenti se bisogna andare ad elemosinare soldi da una parte e dall'altra, io penso che si fatichi a stare in piedi.

Fausto Spegni

Ci sono migliaia di persone che arrivano nelle nostre coste e se si spendessero soldi per mandare qualcuno per capire cosa succede, servirebbe alla società italiana magari più che seguire la squadra in trasferta.

Mario Calabresi

Non è una polemica, è un mio ragionamento.

La Stampa e l'indagine sugli immigrati

Vi dico anche che nel momento in cui Maroni discuteva degli sbarchi io ho mandato un fior di cronista che si chiama Piero Ruotolo, il quale si è fatto il giro d'Italia e ha riportato che gli sbarchi a sud sono una minoranza rispetto agli arrivi da altre parti, ne arrivano più in Ancona nascosti sotto i tir o da est passando da Trieste; ha riportato soprattutto che la gran parte delle persone senza documenti e senza permesso di soggiorno in Italia sono persone arrivate inizialmente con un permesso temporaneo che poi sono rimaste senza. Lo abbiamo messo per giorni in prima pagina sulla Stampa, quindi credo che su questo noi c'abbiamo investito perché ci sembrava fondamentale spiegare ai nostri lettori il dibattito, per spiegare che il barcone dal punto di vista dell'immagine è forte, gli altri sono poco fotografabili e fanno poca scena, ma poi nei numeri è tutta un'altra cosa.

Nel giornalismo non nascondere nulla. Io penso che il fatto di non nascondere le cose o utiizzare una parola al posto di un'altra, sono i prerequisiti fondamentali. Non nascondere: una qualsiasi seria scuola di giornalismo nel mondo insegna di non nascondere.

Parlare di Africa. Quando ho chiesto di fare un numero speciale sull'Africa al mio giornale, i miei azionisti, visto che costava molti soldi, mi hanno detto di sì perché ero arrivato da poco, come dire non si nega un divertimento ad un direttore che è appena arrivato. Il numero con l'Africa è quello che più ha venduto nella storia della Stampa negli ultimi 4 anni, ho battuto i numeri sulle Olimpiadi e sui Mondiali di calcio e anche un numero in cui in tutta l'area della Liguria si regalava un telo bagno e un solare… Ho fatto altri speciali per esempio ad un anno dalla crisi che fece fallire la Lehman Brothers e uno ad una anno dall'elezione di Obama, farò altri due numeri speciali a dicembre. Io penso che chi compera i giornali voglia trovare oggi dell'approfondimento che fuori non trova. Se pensate che 50mila persone in più hanno comperato la Stampa perché nella pagina al posto dei soliti titoli c'era la scritta Africa con dentro un messaggio, questa cosa qua è passata. Questo dimostra che se uno vuole provare a fare altre cose, e non dare per scontato che certe tematiche non interessino, ci si può riuscire.

Noi la settimana scorsa abbiamo trattato dei rom a Milano, siamo tornati anche sul tema della scuola, dell'università, sui ricercatori, l'acqua, l'immigrazione, oggi abbiamo trattato degli stranierei di seconda generazione, del problema che si viene a creare se non hai la cittadinanza italiana ma ti senti cittadino italiano perché parli italiano e anche il dialetto, hai letto gli stessi giornaletti, hai fatto le stesse raccolte di figurine, hai fatto le stesse scuole però non hai la cittadinanza. La scorsa settimana abbiamo trattato il tema delle scuole elementari e lo ho voluto fare partendo dal concetto del voler mettere un tetto agli stranieri nelle classi ma tenendo conto della distinzione tra quelli che sono di non cittadinanza italiana ma sono nati in Italia e te lo dicono gli insegnanti che non creano nessun problema nell'apprendimento della claasse e invece quelli che sono arrivati da un anno, parlano male la lingua e quindi hanno bisogno di un sostegno. Non va messa un'etichetta, questa è una scemenza. Secondo me i giornali devono fare un lavoro per spiegare questo, per spiegare che i bambini cinesi che stanno a Cuneo per esempio e che sono nati qua non li puoi chiamare bambini stranieri, devi dire bambini nati in Italia ma non di cittadinanza italiana e quei bambini bisogno di sostegno in una classe non ce l'hanno. Idem succede in altri posti, penso a tutti i bambini sick indiani che stanno in Emilia i cui padri fanno il grana parmigiano reggiano…

Io credo che tutto questo nei giornali serve, tutto il sociale servirà a decrittare la realtà in cui viviamo, però non solo di giornalisti che capiscano queste tematiche c'è bisogno, ma anche di giornalisti, ed io ad esempio questi non li trovo da nessuna parte, che abbiano una laurea in matematica, ingegneria o fisica perché adesso noi ci troviamo a discutere e a spiegare tutti i giorni dei temi quali la pillola RU, la clonazione, l'influenza A, e siamo poco attrezzati a capire queste cose, essere in grado di spiegarle e raccontarle. Il giornalista americano del New York Times che meglio ha saputo capire prima degli altri e spiegare la crisi dei mutui e il perché stava scoppiando, era il più giovane dell'economia, David Leonard, c'ha 34 anni: è laureato in matematica, per cui nel momento in cui tutti gli altri si arrovellavano e non capivano tutti i meccanismi, lui era l'unico che li capiva, ed era capace di tradurli e di spiegarli agli altri, è così diventato editorialista di prima pagina dei temi economici del New York Times. Quindi c'è bisogno di gente che parli l'arabo, sappia di matematica, di gente che abbia esperienza e che abbia approfondito il sociale… Mi sembra di dire una cosa anche troppo banale: c'è bisogno di gente che abbia competenze. Se uno mi manda un curriculum con scritto di avere una scrittura brillante, mi dispiace ma non basta, è come se uno che va alle olimpiadi e fa la staffetta dice di saper camminare…vorrei ben vedere!

Vinicio Albanesi

Grazie direttore. Per concludere, per mettere nello stesso pacchetto sia la conclusione che la prospettiva per il prossimo anno, io avrei una domanda: chiedo a Diego Della Valle che si accomodi. La domanda è semplice e la faccio ad entrambi: è arrivato il momento di smettere di dire che il giornalismo è fatto del racconto della realtà; non è invece qualcosa di più nel momento dello smarrimento di alcune direttrici valoriali? Si può dire questo? Fino a poco tempo fa si diceva che era una eresia perché i giornalisti devono raccontare la realtà. E' arrivato il momento di fare un passo avanti e dire oltre alla realtà i giornalisti possono raccontare la direzione?

Mario Calabresi

Io penso che, se come abbiamo fatto adesso ad esempio sui temi dell'immigrazione, se uno racconta la realtà correttamente investendoci e facendo un'analisi approfondita, la direzione la dai già, perché il problema è smontare il luogo comune e la finzione, il sentito dire; perché nel momento in cui spieghi, come hai fatto tu con me ieri sera riguardo al viaggio di un bambino afghano, le difficoltà che trova per sopravvivere, come arriva qua, quel racconto, quella spiegazione di un bambino che è simbolico di tanti altri che fanno lo stesso viaggio, quello è portatore di valori senza che io abbia bisogno di dirlo. Alla scuola di giornalismo della Columbia University c'è un solo motto "Show don't tell" ossia "Mostra e non dire" cioè se io mostro una storia che parla da sola e ti dice che questo bambino è arrivato qua e non è quel numero che tu pensi che finisce in una statistica, è una vita, un percorso, una sofferenza, una speranza, una prospettiva, che tipo di opportunità gli posso dare oggi, tutto questo è portatore di valori, mentre stò raccontando la realtà. Io non penso che la realtà sia contrapposta all'idea di portare valori ed ad una direzione; io penso che la realtà vada raccontata correttamente, rispettata, raccontando i contesti, e non in modo che le storie siano fine a sè stesse, che magari fanno colore e un po' di rumore. Bisogna avere l'onestà intellettuale di raccontare delle storie e i suoi particolari solo quando sono illuminanti della realtà che ci circonda. Allora se è così sono portatori di verità e di valori.

Vinicio Albanesi

L'obiezione che ti faccio è che quando infangavano la memoria di Don Peppino Diana erano giornali e giornalisti. Quindi che discrimina la campagna che è stata fatta contro l'invasione dello straniero, contro i rischi che corriamo con cui sono state anche vinte delle elezioni politiche pur essendo tutti giornalisti e giornali?

Come imprenditore che ha investito nell'informazioni dicci se queste sono logiche in un investimento oppure se hanno altre leggi, altre direttrici, altre prospettive.

Diego Della Valle

E' un argomento molto complicato. Credo per il giornalista essere libero oggi sia molto complicato, in modo dignitoso paga ugualmente un prezzo, per un insieme di cose semplici perché gli azionisti dei giornali fanno tutto un altro mestiere, me compreso, e quindi tutti hanno, chi più e chi meno, qualcuno che gli tira la giacca, e di conseguenza, ma mai nessuno lo dirà, va a tirare la giacca al direttore.

Io credo che non bisogna fermarsi e scandalizzarsi del fatto che qualcuno tiri la giacca a qualcun altro considerando che è stato sempre così più o meno. Io credo invece che bisogna fare un patto tra gente dignitosa nel dire tiracchiamo il meno possibile e comunque c'è un limite a farsi tirar la giacca altrimenti facciamo ragionamenti che non sanno di nulla e soprattutto non risolviamo assolutamente nulla. I giornali sono sempre costati a chi li ha, e qualche volta chi aveva dei giornali o è azionista dei giornali, me compreso, continua ad averli quando pure non rendono; va da sé che in un certo senso c'è una chiara visione da parte di persone molto attente nei loro mestieri personali che poi sono così disattente quando guardano i conti di un gruppo editoriale o meno… La verità è che è un modo per stare su piazza da parte di imprenditori che in alcuni casi nell'avere quote rilevanti di giornali sono rimasti così in vista e hanno comunque avuto un valore di scambio della loro opinione e della loro posizione. Bisogna saper dosare: come si può pensare che un giornalista di un gruppo editoriale faccia l'eroe da solo quando poi verrebbe lasciato dai suoi stessi colleghi ma non perché sono dei vigliacchi ma perché poi tutti a casa hanno una famiglia da mantenere? Questa è la realtà dei fatti. Cominciano delle grandi battaglie poi si trovano a dover frenare bruscamente e guardarsi in giro e non trovare più quelle persone con cui hanno condiviso in privato certe cose prima che diventassero pubbliche. Allora io il consiglio che darei è di stabilire un senso dei valori e della dignità più facili, quelli che ci hanno insegnato a casa, la morale, l'etica, una buona educazione, chi in quelle cose ci crede e ha avuto la fortuna di impararle a casa, basta solo che le utilizzi per rimanere a schiena dritta, e per cercare di essere uno che la propria dignità non la regala anche se per difenderla può costare un po' di fatica. Io penso che questo vale per tutti, allora don Vinicio, la realtà delle cose, dei fatti, io credo che se il direttore della Stampa stà a schiena dritta sarà più complicato per gli azionisti tirarlo per la giacca, magari gliela tireranno con garbo, convincendolo molto, e di conseguenza se anche i proprietari, e vale per tutti i giornali, le giacche se le facessero tirare moderatamente, chiarendo fin dall'inizio che non è facile, qualche risultato con molta fatica si raggiungerebbe. Credo che oggi questo sia il modo migliore per garantire a tutti quelli che fruiscono della comunicazione di avere un prodotto più o meno serio. Se per avere delle certezze non sai più quale televisione guardare, c'è un problema; se per avere delle certezze apri 8 giornali e poi cerchi di mediare un'opinione più o meno credibile, dato anche che sono pochissime le persone in Italia che leggono più giornali per mattina, c'è un problema. La gente si disamora anche a vedere che i menù sono preparati prima o preparati anche con polpette avvelenate… Oggi è così la situazione, è chiara, poi qualcuno potrà dire che in un giornale che vende 8mila copie si può fare quello che si vuole…

Oggi, a mio avviso, e questo vale per gli imprenditori, i direttori dei giornali, per tutta la gente che ha un senso del paese, e non pensate che essere un pelino più ricchi o più importanti vale di più, è gente che deve stare a schiena dritta, deve cercare di fare la carne buona e farla pagare un giusto prezzo. Io devo cercare di fare il mio mestiere e di farlo con un'azienda che faccia i profitti cercando di non scappare via ogni volta che c'è qualcosa da fare per gli altri; il direttore lo deve fare cercando di fare un giornale il più serio possibile, e la media di tutto questo ci porterebbe ad essere un paese ad alto tasso di valori, dove la reputazione, che è una cosa che si conquista per generazioni, torna ad avere un valore e l'immagine molto meno. Capiterà anche a voi di vedere dei politici che il sabato pomeriggio si fanno intervistare a casa loro in maglioncino, e dicono solo 4 stupidaggini… Questo è immagine e la reputazione non ha bisogno di queste cose, la reputazione ha bisogno della qualità vera non di come la racconti, della battuta, o di come la notizia la puoi in un certo senso cucinare. Siamo tutti bravi qui oggi a fare dei ragionamenti poi magari domani mattina li dobbiamo mediare in un altro modo ed io considero quello un fatto normale. Il successo è la solidità dietro le spalle, è normale dunque che uno domattina va a mediare ma lo fa quello che basta per non farsi mandare a casa, e rimane con tutto quello che serve per essere dignitoso del ruolo che ricopre; questo vale per tutti, per il maestro di scuola, per me, per don Vinicio, per il direttore, se riuscissimo a mantenere questa regola, questo basterebbe per darci una qualità nei prossimi due o tre anni tanta e tale che ci permetteranno poi di guardare al futuro in un modo un po' meno oppressivo, dove la gente magari continuerà a combattersi ma senza spararsi raso zero. Prima, la vecchia poltica di 40 anni fa non è che era meglio però si facevano dei pallonetti adesso si danno delle gran pallonate in faccia e ci andiamo tutti di mezzo.

Credo che oggi se fossi il direttore di un giornale starei su tutti i temi sociali più che mai così starei anche alla larga da tutte le rogne, quindi è il momento di tutto il tuo mondo, don Vinicio, e di quello che è vicino a te.

Faremo tra un po' i conti, li faremo con la nostra dignità , l'appecoramento che è diventato uno sport nazionale non sarà indolore, ci sono delle cose che lasciano traccia nella dignità e nella reputazione di tutti noi. Io direi stiamo attenti, non facciamoci prendere dal panico, non pensiamo che se non seguiamo tutti il treno Milano-Roma ad alta velocità rimaniamo senza la possibilità di viaggiare, stiamo attenti a questi momenti in cui c'è una pressione talmente forte da parte di chi pretende che stiamo di qua o di là, attenzione che facciamo del male ad un sacco di gente. Per quelli un po' più liberi, tipo noi, perché invece chi non è indipendente ha sempre qualcuno con il bastone sopra, è obbligatorio, a costo di pagarne un prezzo, di essere decisi su due o tre cose che contano e di non piegare la schiena.

Vinicio Albanesi

Chiudiamo dandoci l'appuntamento al prossimo anno; ci sono stati molti stimoli in questi giorni. Penso che dobbiamo virare e così dopo aver fatto per anni e anni l'analisi, passeremo nella prossima edizione del seminario, a proposte concrete su come fare giornalismo, su quali temi, percorsi, strumenti e finalità usare. Quindi è una rivoluzione copernicana. Buon pranzo a tutti.

* Testo non rivisto dagli autori.