Interventi di Franco Siddi e Marco Volpati
Franco SIDDI
Segretario della Federazione nazionale stampa Italiana.
ultimo aggiornamento 28 novembre 2008
Marco VOLPATI
Presiede la commissione giuridica dell’Ordine nazionale dei giornalisti, dove ha curato la stesura della “Carta di Roma” di Ordine e Fnsi su migranti e informazione.
ultimo aggiornamento 28 novembre 2008
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TESTO DELL'INTERA SESSIONE*
Stefano Trasatti
Per quanto riguarda la seconda indagine sulla rappresentazione sociale e mediatica della sicurezza in Italia, a cura della Fondazione Unipolis ("La sicurezza in Italia. Significati e immagini e realtà") vi dico di guardarvi le quattro pagine che ci sono da pag. 36 in poi. Ci sono schemi che dicono sostanzialmente che la paura degli italiani verso la criminalità è perfettamente corrispondente al numero di notizie sulla criminalità che vengono trasmesse, in questo caso dalla televisione perché hanno analizzato i telegiornali nazionali.
Si sono accorti in particolare che nel 2007 - soprattutto nel secondo semestre del 2007 - c'è stata una grande impennata di norttizie sulla criminalità e proprio mentre i reati raggiungevano il minimo storico da molti anni, corrispondentemente c'è stata una impennata della paura degli italiani verso la criminalità. Hanno dimostrato l'acqua calda direte voi, però l"hanno dimostrata, o meglio non è una dimostrazione, hanno utilizzato dei dati molto preziosi, molto seri che sono quelli di un Osservatorio poco utilizzato che è l'Osservatorio di Pavia. L'Osservatorio raccoglie i dati su tutto ed è molto interessante perché ci sono approfondimenti che dicono "chi ha spinto di più, chi ha spinto di meno e il perché" secondo loro. Ci sono delle analisi che vi suggerisco di leggere.
Gli interrogativi su come e chi informare, cosa dire ecc. sono particolarmente vivi in questo periodo sull'informazione sull'immigrazione. In questa parte noi parleremo di immigrazione, parleremo di razzismo, c'è la relazione di don Giovanni Nicolini che si intitola "Il razzismo sdoganato", questo è quello che pensiamo noi e non solo noi, però è questa la realtà secondo la nostra lettura.
È sicuramente - per questo vi ho parlato di questa ricerca - un tema molto caldo, molto delicato, lo è sempre stato ma negli ultimi mesi lo è diventato in modo più forte per questo siamo stati contenti del passo che hanno fatto le istituzioni giornalistiche che da molto tempo non sottoscrivevano più una carta, diciamo deontologica, un proclama di questo tipo. Noi come Redattore Sociale abbiamo fatto una iniziativa, se ne è parlato, l'avrete vista, vi sarà arrivato qualcosa, ossia di non utilizzare più la parola "clandestino". E' una scelta unilaterale non è snobistica, non vuole dire"noi siamo bravi e voi no". È una scelta per tenere alto e vivo il dibattito su questo tema che a mio parere, è assolutamente vitale per la società.
Marco Volpati
Conoscere, capire, raccontare e possibilmente spiegare i fatti
L'ordine dei giornalisti spesso non gode di buona stampa persino nello stesso ambiente della stampa: molti lo considerano un organismo corporativo, vagamente anomalo nel panorama internazionale, con una funzione ormai vecchia. Sarebbe necessario conoscere bene, come già credo molti di voi conosceranno, la legge varata nel 1963 per iniziativa dell'allora ministro della giustizia Guido Gonella, anch'egli giornalista: questa legge ha introdotto alcuni meccanismi e principi e in particolare ce n'è uno, quello enunciato all'art.2, che secondo noi è di un'importanza capitale. Si potrebbe forse accettare l'abolizione di tutta la legge, meno dell'art.2 che in sostanza dice che il giornalista è obbligato al rispetto della verità sostanziale dei fatti e questo, badate bene, è un obbligo che il giornalista ha anche secondo la legislazione italiana. Quest'obbligo deve essere rispettato anche se ci si trova in contrasto con il proprio editore, perché non tutti gli editori sono come quello che abbiamo sentito poc'anzi (Vinicio Albanesi); nessuno può costringere a modificare, a distorcere quella verità dei fatti che il giornalista conosce.
E qui viene il punto: che cosa conosco? Ribadisco che fondamentale nel mestiere di giornalista è essere in condizione di conoscere, capire, raccontare e possibilmente spiegare i fatti. Sono operazioni molto difficili e che richiedono attenzione, dedizione e grandissima umiltà, evitando negligenze e fretta. Ad un collega mio sottoposto una volta ho segnalato una notizia, si è precipitato a scandagliare sul computer e poi mi ha detto di non avere trovato nulla sulla questione; gli ho allora mostrato che una notizia si trova anche fuori dai computer, ho usato un sistema tradizionalissimo, anche se non proprio diretto come quello di andare direttamente, prendendo il telefono.
Saper usare i termini
Purtroppo tra chi fa il nostro mestiere c'è una parte che ha la tendenza, negativa e superficiale, a considerare le notizie come un qualche cosa che sta in un circuito elettronico, per cui, la realtà e i fatti sono tutt'altra cosa, un qualcosa di inconoscibile come dicevano certi filosofi della realtà; invece no, i fatti sono e devono essere conoscibili.
È sulla base di un principio di questo genere che quando mi sono occupato insieme ad altri colleghi della stesura della Carta di Roma a cura della Federazione della Stampa e dell'Alto Commissariato dell'Onu per i Rifugiati, siamo giunti, dopo forti discussioni, alle regole sull'uso della parola clandestino, con le giuste messe a punto; c'era infatti chi voleva vietare l'uso della parola clandestino, ma alcuni di noi hanno detto di no. Non possiamo vietare le parole, poi se qualcuno decide, giustamente, in base a una riflessione autonoma che la parola clandestino è abusata e che mal rappresenta alcune realtà, questo è un altro discorso.
Con la Carta di Roma abbiamo approfondito quali dovrebbero essere i compiti del giornalista nell'affrontare l'informazione sullo straniero e il migrante, non abbiamo aggiunto nulla di nuovo che già non è presente nella carta dei doveri del giornalista ossia riportare sempre la verità dei fatti e non incoraggiare e realizzare alcun tipo di discriminazione. Questa la premessa che poi in forma estesa trovate nel testo della Carta di Roma.
Abbiamo anche affrontato il fenomeno della superficialità dell'informazione, dello stereotipo che ci rendiamo conto serpeggia facilmente nel mondo dell'informazione. E' quindi opportuno e nostro dovere, analizzarci e interrogarci su dove andiamo, cosa stiamo facendo ed è il nostro compito di organismo oltre che di categoria. Mi pare di aver sentito un presidente del consiglio che lamenta che la televisione è ansiogena: stiamo attenti per favore, noi non siamo disponibili, io lo dico per quanto riguarda l'ordine, ad azioni di polizia del mestiere e delle idee, mentre riteniamo giuste azioni anche repressive per quanto riguarda la deontologia, l'etica professionale, l'onestà, la corrispondenza delle notizie ai fatti.
Franco Siddi
Conoscere, sapere e capire prima di raccontare
Rappresentando il sindacato dei giornalisti mi devo occupare, essenzialmente, di cosa accade al giornalista quando entra nel mercato del lavoro; il giornalista deve cercare le notizie, avere un giornale dove pubblicarle, entrare in relazione col pubblico e quindi porsi il problema di come offrire al pubblico un prodotto che sia genuino e che sia frutto di un lavoro fatto con lealtà, con onestà e con intelligenza. Tutto ciò oltretutto partendo dal principio, cui ci ha richiamato poco fa don Vinicio, ossia prima conoscere, sapere e capire che cosa si è osservato, per poter poi far conoscere correttamente quella realtà anche in base alla formazione e alle idee che ciascuno di noi ha.
Google: siamo davvero più e meglio informati?
Il lavoro del giornalista professionale è meritevole di essere inquadrato in un contratto di lavoro, di essere tutelato in base a diritti e norme, di essere compensato in base a una retribuzione che vorremmo equa e giusta.
Oggi molti pensano che fare informazione sia la cosa più semplice del mondo dato che c'è la rete ed è per questo che mi fa molto piacere che questo seminario dedicherà molta attenzione a cosa succede usando google e la rete in generale; aprite senz'altro una discussione bellissima su questa alluvione di informazione che a tutti è dato di raggiungere, ma che a volte ci lascia nel dubbio se siamo davvero più informati o correttamente informati.
Abbiamo bisogno quindi di giornalisti preparati, seri, che sappiano cos'è la deontologia professionale, che sappiano cosa significa lavorare potendo dire di no al proprietario dei media, se vuole che un fatto osservato venga rappresentato in modo diverso da quello reale perché magari disturba questo o quel manovratore.
Il giornalista non deve dare buone o cattive notizie, deve semplicemente dare le notizie
Sappiamo tutti che le notizie che meglio rendono su uno strumento mediatico sono quelle meno ordinarie: il classico esempio del cane che morde un uomo non è notizia, la notizia è se avviene il contrario, poi è chiaro che se il cane sbrana l'uomo siamo di fronte ad una notizia. Il punto è cercare di capire quali sono le notizie che contano per la comunità a cui ti rivolgi, sia quella locale, quella nazionale o quella del mondo, e come quelle notizie possano dalla comunità stessa essere contestualizzate; come insomma una persona attraverso l'informazione diventa cittadino.
Una persona di per sé è un elemento naturale e diventa cittadino, a mio giudizio, proprio quando ha a disposizione le informazioni per orientarsi, per fare le proprie scelte, per decidere della propria vita. Da questo punto di vista l'informazione ha un valore enorme e che non è immediatamente misurabile materialmente, un lavoro enorme che dovrebbe essere il pane buono del nostro tempo, perché oggi chi non è informato correttamente è escluso ed è già di per sé nella seconda, terza, quarta fascia della società, è un emarginato.
L'informazione e un'impresa dal basso
Questa professione deve avere un'impresa che produce e che organizza il lavoro, produce comunicazione diffondendola con i mezzi propri della carta stampata, del web, della televisione, ecc., e dunque il prodotto informazione come un ritorno che comunque deve essere in condizione di tenere in piedi anche un'impresa.
Qui a Capodarco l'informazione è data da un'impresa straordinaria e speciale, nel senso che si è creata un'impresa dal basso, un'impresa che lavora per offrire quell'informazione che non trova, non sempre almeno, grande spazio nei media commerciali tradizionali e che pure rappresenta una parte di realtà così importante, viva, che è quella che in genere tiene insieme le società complesse attraverso i meccanismi della partecipazione, del volontariato, della solidarietà, persone e micro sistemi che messi in rete diventano macro sistemi.
L'informazione può giocare un ruolo e una funzione importante e c'è bisogno di questa realtà, perché è l'esperienza di ciò che porta a maturare dei cambiamenti importanti, non sempre in tempi brevi, ma con processi che sono lunghi. Per questo che dobbiamo seminare delle idee attraverso le quali fare viaggiare progetti e determinare, impercettibilmente a volte, dei cambiamenti importanti.
La Carta di Roma: un protocollo deontologico sui migranti
Qualche anno fa immaginare per esempio che dei giornalisti avessero fatto, da lì a qualche anno, una carta su un protocollo in qualche modo deontologico sui migranti (la Carta di Roma), sulle vittime della tratta, su chi è costretto a lasciare la propria terra perché è perseguitato e chiede asilo in altri paesi, forse era impensabile. Tanti i movimenti che hanno fatto rete, che hanno suscitato idee, promosso consapevolezza, anche notizie sconvolgenti che la stessa stampa industriale e commerciale è riuscita a mettere in evidenza, aprendo squarci di luce importanti su fenomeni delicatissimi come la tratta, come i viaggi della speranza o della paura di tanti africani o asiatici che cercavano di raggiungere il nostro paese. Noi abbiamo da questo punto di vista un'idea, noi siamo il sindacato dei giornalisti, quindi pensiamo al lavoro professionale, pensiamo a giornalisti come protagonisti di un lavoro che deve offrire un'informazione genuina e leale al pubblico sulle cose che contano, sapendo però che i protagonisti veri non sono loro bensì i destinatari.
Per questo noi lavoriamo con il contratto, per cercare di garantire i diritti di partecipazione alle scelte dei programmi, anche editoriali, di un giornale, alla scelta delle notizie del giorno, cosa che un po' si va perdendo e che spetta sempre più ai capi e sempre meno alle famose riunioni di redazione che analizzano i giornali il giorno prima e decidono che cosa fare, su cosa puntare.
Alcune notizie si perdono e alcune tendenze meramente commerciali hanno attraversato violentemente il sistema, ne hanno cambiato un po' la natura, hanno messo a rischio la credibilità stessa, la forza dell'informazione, privilegiando degli aspetti che a volte diventano devastanti. Noi siamo convinti che ci voglia un giornalismo di qualità e se è un giornalismo di qualità guarda alle cose che contano, che abbia anche un valore commerciale per le imprese, lavoriamo con tenacia su questo, pur essendo in questa fase un po' sconfitti.
Siamo infatti da tre anni senza contratto, abbiamo il dubbio di essere ormai diventati un po' marginali nell'organizzazione della produzione del bene informazione che viene offerto al pubblico, benché siamo convinti assolutamente che queste imprese senza giornalisti capaci, seri, rispettosi dei codici deontologici, non possono esistere, non possono avere un futuro. Non bastano le macchine per assicurare un futuro alle imprese d'informazione.
Possiamo avere le migliori macchine per fare i giornali colorati o per integrare con filmati i nostri siti web con le dirette, con le interviste, insomma con tutte le multimedialità possibili.
Le informazioni devono essere date giuste, corrette, devono rispettare sempre la dignità delle persone e bisogna ricordare sempre che ognuno, anche un malvagio, se potessimo usare questo linguaggio un po' evangelico, ha una propria dignità interiore che va rispettata, perché ciascuna persona abbia il diritto comunque a guardare dentro se stessa anche dopo un delitto e ad essere rispettata nei suoi elementi fondamentali di persona umana. L'informazione spesso qui fa qualcosa di più, fruga oltre, va a cercare gli elementi più accattivanti che si pensa possano suscitare un po' la curiosità del pubblico.
La Carta di Roma: non un codice di regole bensì un orientamento formativo e culturale
Ci sono dei fenomeni sui quali concentriamo di più l'attenzione in alcuni momenti: negli anni '90 questa attenzione venne concentrata soprattutto sui minori, su come venivano trattate le notizie che riguardavano i minori e su come una notizia non corretta o data in un certo modo potesse creare danni irreversibili sulla formazione, la crescita di un bambino che deve diventare un cittadino; venne scritta la Carta di Treviso che pian piano è diventata patrimonio professionale, bagaglio etico non solo culturale di quasi tutti i comunicatori.
Ecco questo è lo scopo che ci prefiggiamo: le istituzioni di categoria, l'ordine ha un compito più importante e più segnatamente rivolto a curare gli aspetti della deontologia a verificarne il rispetto, il contratto che è il cuore dell'attività del sindacato, cerca di garantire, attraverso le regole del lavoro, che questi elementi vengano rispettati il più possibile e che se un giornalista davvero vuol tenere la schiena dritta, se davvero vuol essere serio, vuol essere indipendente, possa avere, diciamo così, un binario sul quale muoversi con un minimo di tutela e di garanzia; poi se uno è di per sé un manipolatore, è comunque un cortigiano, su questo non c'è legge che tenga, ciascuno esprimerà il suo giudizio e cercherà di far valere il contrario.
E' stato alla luce dei fatti che hanno creato grande scalpore intorno al problema degli immigrati che, parlando molto anche con l'organizzazione dell'Onu per i rifugiati politici in Italia e con l'ordine dei giornalisti, è nata l'idea di quella che è diventata laCarta di Roma che non è l'ennesimo codice; abbiamo cercato invece di creare, attraverso un protocollo come questo, una serie di riflessioni poste all'osservazione e alla conoscenza di tutti i giornalisti che possano essere utili per affrontare questo tema migliorando la qualità dell'informazione su questi mondi, cercando di far giustizia dei luoghi comuni, senza imporre automaticamente un nuovo codice.
Speriamo che il processo che la Carta apre possa avere dei risultati, realizzare un processo che è soprattutto di orientamento formativo e culturale, tale da determinare un arricchimento del bagaglio deontologico di ciascuno; che possa fornire gli elementi che permettano, ciascuno nelle proprie sedi, di fare le proprie valutazioni, nel controllo degli eventuali scostamenti, deviazioni e danni che un'informazione fatta male, non rispettosa di una serie di principi possa determinare e quindi renderla suscettibile di essere giudicata contraria e lesiva degli obblighi deontologici e dunque sanzionabile. Questo non c'è ma credo che questo sia implicito, perché una Carta così non può stabilire sanzioni o altro di questo tipo; crea invece un indirizzo e offre soprattutto tutto ciò che serve per la prevenzione, per pararsi a non fare danni attraverso appunto le indicazioni che si danno su come vanno trattati i rifugiati, su quale cura sia bene avere quando parliamo di persone che arrivano nel nostro paese in cerca di lavoro o di un rifugio politico, per chiedere asilo politico perché sono perseguitati nel loro paese d'origine, come devono essere trattati anche coloro che rifugiati stanno scappando magari perché perseguitati per un'intolleranza razziale o di carattere religioso nella loro terra. E' importante perciò quanto accaduto oggi a Bruxelles, che su questo ha finalmente assunto una delibera importante, dando una direttiva a tutti i paesi dell'Unione Europea che stabilisce che, entro due anni, chi si rende colpevole di atti d'intolleranza razziale, deve essere in tutti i paesi giudicato e condannato, trattando questo fenomeno alla stessa stregua dei delitti contro l'umanità. L'informazione ha un grande ruolo in questo, nel far conoscere, nell'evidenziarlo, nel farlo correttamente.
La Carta di Roma ha tutto questo, non c'è un codice nel senso classico, tutto ciò che è possibile, tutto ciò che è vietato, bensì una carta di orientamento, d'indirizzo e se vogliamo di formazione, di una formazione che va arricchita continuamente attraverso una serie di attività.
Anche questa è un'attività che possiamo considerare uno dei primi atti della messa in opera dei principi di questa Carta; gli altri sono la promozione di un osservatorio al quale stiamo guardando con grande concretezza ma anche con la consapevolezza che un osservatorio classico non è nella nostra portata perché richiede risorse, strutture, servizi impegnativi; un osservatorio però fatto attraverso la messa in rete di tutta una serie di opzioni che passino magari per organismi del volontariato, dell'università, della ricerca scientifica, che consentano anno per anno, o per periodi, o attraverso iniziative coordinate, di mettere in evidenza cosa accade e che cosa sia necessario fare, alla luce di un monitoraggio della situazione delle questioni.
Certo, se si riuscisse a fare un osservatorio tipo Pavia, così grande, così importante, sarebbe una cosa quasi eccezionale, ma credo che oggi le condizioni date ci portino in una dimensione diversa, ma pur tuttavia in una direzione che è già definita dalla Carta che deve produrre, diciamo così, dei risultati, quanto meno anno per anno.
Si avrebbe così la possibilità di avere a disposizione il materiale per fare analisi quantitative e qualitative di come l'informazione ha trattato il tema nel corso dell'anno o nel corso di un periodo dato, per poi proporre, costruire anche nuove ricerche, per mettere a punto, per affinare le nostre idee, per affinare le nostre proposte d'intervento.
E qui dirò una cosa mica da ridere, perché noi facciamo tutto ciò, ma voi dovete sapere che siamo di fronte ad un editore, don Albanesi, che è uno di voi, quando noi parliamo davanti all'editore dell'industria dell'informazione, parlare delle carte è come parlare un qualche cosa che non è percepito, non è accettato, non siamo riusciti a mettere nel contratto per ora nessuna carta, c'è qualche richiamo alla Carta di Treviso, ma non siamo riusciti ad avere una condivisione, cosa che noi cerchiamo e continueremo a cercare per i minori, lo faremo per la Carta di Roma, lo faremo per la pubblicità che è un altro fenomeno importante.
I veri talenti non solo quelli della televisione…
Queste sono battaglie che noi riteniamo importanti e che dovremo continuare a fare, e il fatto, come dire, che non siano sfociate in un risultato positivo, non vuol dire che le dovremo cancellare dalla nostra agenda o che le abbiamo già cancellate, ce le teniamo lì e nel frattempo facciamo tutto quello che ci compete come istituzione di categoria.
Siamo un sindacato che non si occupa solo degli stipendi. La Carta prevede di organizzare anche dei premi, c'è ormai un fiorire di premi in Italia di giornalismo, se ne danno a tutti e di tutti i colori, spesso sono premi organizzati e fatti per attirare pubblico, turismo, in questa o quell'altra località importante, in questo o quell'altro albergo di lusso. Noi siamo orientati a privilegiare - e lo abbiamo fatto con il premio Ilaria Alpi, con il premio storico Saint Vincent, con il premio Cutuli - i premi che danno valore a chi sta più dentro le notizie che contano, più dentro le notizie anche della sofferenza, che sono le notizie che evidenziano una condizione di vita, di comunità, di paesi, di regioni, penso alla camorra, alla mafia, a chi lavora in quelle terre, ma penso anche alle notizie per le quali si soffre di più per farle emergere, si soffre per cercarle, si soffre per imporle nella gerarchia dei giornali che le debbono pubblicare.
Questi premi ci fanno evidenziare che ci sono importanti talenti in una professione dove molti pensano che i talenti siano solo i grandi divi televisivi o coloro che hanno sfondato nei talk show o nelle trasmissioni anche di approfondimento giornalistico come da Costanzo che nel suo genere credo sia un fuoriclasse, Floris, Vespa, passando se volete, per la Gabanelli e molti altri. Molti pensano che quelli siano i giornalisti del nostro tempo ma quelli sono solo una parte, sono i più fortunati e non sempre i migliori anche se si è portati a pensare che lo siano; hanno avuto la fortuna di avere nel momento giusto la ruota che girava bene ed ha consentito loro di mettere in evidenza il proprio talento. Tanti altri giovani, tanti altri meno giovani hanno grande talento, ma devono fare altro perché la vita non ha riservato loro quella fortuna.
Oggi abbiamo Floris che è considerato uno dei migliori in assoluto e che da me riceve in questo momento una piccola critica, mi dà lo spunto per fare una considerazione aperta, a tema libero se volete: Floris ha avuto una grande fortuna, è bravo, preparato, e ha potuto mettersi in evidenza presto in una realtà importante, quella americana, c'era capitato un po' casualmente inviato lì e quindi è andato come un giovane emergente in un momento di cambiamento in Rai, lo hanno provato per fare una trasmissione particolare, importante, di prima serata.
È andato bene, dopo di che lo stesso Floris ha cominciato a pensare che tra lui e Vespa non c'era differenza, in audience valevano nella stessa misura, e dunque se Vespa in appalto guadagna X milioni di euro l'anno, perché, ha pensato Floris, devo guadagnare meno?
Così la Rai gli ha proposto che se voleva avere lo stesso valore avrebbe dovuto mettersi anche lui a fare l'imprenditore di sé stesso, quindi dimettendosi e accettando poi un contratto in appalto. Sono cose che non mi piacciono, mi sarebbe più piaciuto che il servizio pubblico avesse migliorato lo stipendio regolare a Floris, oppure guardasse in casa tra i suoi 1500 dipendenti se c'era un altro talento da presentare. Scusate se sembra una divagazione questa, ma credo che essendo questo un momento in cui facciamo formazione, con problemi concreti, è bene che si conoscano anche i giudizi che noi diamo e come noi del sindacato affrontiamo i problemi che riguardano la nostra professione, anche sotto questa luce.
Abbiamo bisogno di stare attenti ai modelli e dobbiamo, con le regole che ci diamo, orientare modelli che siano quelli del pluralismo, della completezza dell'informazione, dell'informazione che rispetta le persone, tutte a prescindere dalla razza, dal colore, dalla religione praticata, cercando di far capire quale è la realtà vera e quali sono i valori veri che vanno proposti.
Qualità, attendibilità, affidabilità devono essere le nostre bussole sempre, i codici di comportamento che sono una base fondamentale prima ancora di una legge che ci dà degli ordini, devono essere proprio, come dire, il nostro patrimonio identitario che poi attraverso il linguaggio, attraverso la capacità di esprimerci, attraverso la capacità di raccontare e di proporci, deve fare la differenza di qualità e deve segnare veramente il valore dell'informazione nel nostro tempo, pane buono per tutti.
Stefano Trasatti
Vi ringrazio, i vostri interventi sono stati molto sinceri e vi ringrazio per la presenza.
Questo Osservatorio fatelo però, non vorrei sembrare monotono Volpati però fatelo questo Osservatorio, fatelo davvero.
Marco Volpati
Ho espresso una piccola idea se l'hai capita, cioè noi abbiamo una grande idea e ci sembra che tutto sia fattibile però quando vai a vedere che servono qualche decina di milioni di euro…
Se noi mettiamo in rete, quello che fate voi, quello che farà l'Università, quello che faremo noi, probabilmente lo creiamo. Dobbiamo fare una cosa quasi comunitaria.
Stefano Trasatti
Noi ci siamo ve l'abbiamo detto, lo seguiremo se si farà e lo seguiremo anche se non si farà.
Nel senso che lo seguiremo come notizia e spiegheremo perché non si è fatto. Fatelo senza ideologia, fatelo evitando l'obiettivo di essere criminalizzati, ma tenendo conto che la categoria giornalistica non è che gode di un grande credito negli ultimi anni. L'Osservatorio darà i contenuti per continuare a parlare a tener viva l'attenzione, noi sosteniamo che se si fa un giornalismo migliore sui temi sociali si fa un giornalismo migliore. Ne siamo convinti, fatelo e vedrete che il credito della categoria giornalistica crescerà.
* Testo non rivisto dagli autori.