XIV Redattore Sociale 30 novembre - 1-2 dicembre 2007

Il Dittatore

Workshop - Sasha e Lilli: rom e sinti, campi e case, emarginazione, integrazione, scuola…

Interventi di Giovanni Zoppoli, Enrico Serpieri, Salvo Di Maggio. Conduce Paolo Andruccioli

Giovanni ZOPPOLI

Giovanni ZOPPOLI

Ha lavorato in vari campi Rom, tra cui quelli di Scampia a Napoli. Con Maja Celija ha appena pubblicato il romanzo “Gago” (Orecchio Acerbo, 2007).

 

ultimo aggiornamento 30 novembre 2007

Enrico SERPIERI

Enrico SERPIERI

Responsabile per la tematica dei Rom al Comune di Roma. 

ultimo aggiornamento 30 novembre 2007

Paolo ANDRUCCIOLI

Paolo ANDRUCCIOLI

Giornalista, responsabile del sito web della Cgil nazionale.

ultimo aggiornamento 01 dicembre 2013

Salvo DI MAGGIO

Responsabile dell’area Rom e Sinti della Comunità di Capodarco di Roma. 

ultimo aggiornamento 30 novembre 2007

Paolo Andruccioli*

Parleremo dei rom; naturalmente è una questione che meriterebbe approcci di varia natura e in vari livelli, sarebbe interessante discutere delle politiche, di cultura, è il classico problema che non puoi affrontare solo da un punto di vista, affrontarlo solo dal punto di vista emergenza e ordine pubblico è scorretto. Essendo questa minoranza rom la più grande d'Europa, essendo carica anche di significati storici, ogni qualvolta se ne parla, scattano meccanismi psicologici e culturali di tipo diverso; in generale si può dire che scatta un rifiuto dal punto di vista delle popolazioni locali ossia dei cittadini. Con noi ci sono Enrico Serpieri, responsabile del comune di Roma delle questioni dei rom, se ne occupa da anni, sia dal punto di vista della comunicazione che dal punto di vista pratico, politico e organizzativo; c"è poi Salvo di Maggio della Comunità di Capodarco e della cooperativa Ermes che si occupa anche lui da anni di rom e in particolare di scolarizzazione dei bambini rom.

Enrico Serpieri*

In questi ultimi 3 mesi trovo solo una cosa positiva su tutto questo baccano che si fa sulla stampa riguardo alla questione dei rom: finalmente si cominciano a chiamare con il loro nome cioè rom, per anni li hanno chiamati zingari, ma soprattutto nomadi innescando la famosa battuta di destra ma anche di sinistra "sono nomadi: camminassero e si spostassero". Almeno si sta cominciando a mettere un punto fermo cercando di distinguerli dato che i rom sono un popolo transnazionale e quindi che l'appartenenza etnica è quella del gruppo rom ma poi si può essere serbi, bosniaci, macedoni, italiani, spagnoli, francesi, romeni. È vero, sono diversi da noi, però vengono percepiti dalla gente come i peggiori, i diversi, i più cattivi, i più disprezzabili, che rubano solamente; peraltro nella nostra cultura italiana questo atteggiamento verso gli zingari c'è da secoli, saprete anche voi delle bolle papali di un paio di secoli fa durante l'anno santo che prescrivevano il non accesso alla città o la cacciata degli zingari. Vorrei uscire dallo schema ideologico quando si parla di rom o di zingari se vogliamo anche chiamarli con questo nome, per cui o sono tutti santi o sono tutti bestie cattive, è un atteggiamento ideologico molto forte che per anni ha bloccato completamente il dibattito, anche la possibilità di crescita della nostra società nei confronti di questo gruppo e di questa cultura, è un atteggiamento sbagliato sicuramente perché le cose non sono mai né bianche, né nere.

In Italia la popolazione rom si stima sia tra le 160-200mila persone, un numero molto esiguo, più del 50% sono rom italiani, e guardate che ci sono molti italiani che non sanno nemmeno di avere radici rom, ma che magari portano un cognome tipico come ad esempio Bevilacqua. Il risultato è che ovviamente poi alla fine noi parliamo dei rom poveri cioè dei rom che stanno nei campi e nelle baraccopoli, e già questo è un punto fermo da chiarire nel ragionamento. Parliamo di condizioni di povertà estrema, di persone di quasi totale indigenza e gioco forza con tutto quello che comporta essere in queste condizioni, quindi rischio devianza, non scolarizzazione, atteggiamenti criminali. A Roma nei nostri campi abbiamo più o meno 7mila rom e almeno 5mila di questi stanno in Italia da 20 anni quindi sono arrivati alla terza generazione. Vi sono dei casi di rom che escono dalla comunità, ma spesso ne escono disconoscendo il fatto di essere rom: non diventano portavoce o difensori della cultura se non in rarissimi casi. C'è anche il discorso che sono comunità di nazionalità diverse con tutto quello che comporta in termini di abitudine, usanze diverse, diffidenze…

In questo periodo numerosissimi sono gli arrivi di rom dalla Romania che hanno iniziato ad arrivare in Italia già dall'estate del 2001 e ancora più massicciamente nel gennaio del 2002 quando il governo italiano tolse la necessità di visto con la Romania e quindi arrivavano col visto turistico di 3 mesi e poi moltissimi restavano qua, tecnicamente quindi non erano clandestini. La Romania è poi entrata nell'Unione Europea e i flussi sono continuati ma a nostro parere anche calati. Sui giornali si è innescato un gioco particolare da parte di sindaci, prefetti, governi ecc. cioè a seconda di quello che conveniva si diceva che i rom erano entrati dal 1 gennaio 2007, i prefetti sostenevano questo perché ovviamente era un problema loro, se crescevano le baraccopoli di cittadini irregolari tecnicamente erano i prefetti i responsabili, quindi tutti in coro a dire che il problema c'è da quando la Romania è entrata in Italia. I sindaci, a seconda dell'appartenenza politica, hanno sostenuto questa cosa o detto il contrario cioè che avevano incominciato ad arrivare prima a seconda che si dovesse attribuire la colpa al governo Prodi o Berlusconi sulle decisioni prese nei confronti della Romania, però la sostanza è questa. Non è vero che i romeni sono incominciati ad arrivare in Italia quando la Romania è entrata nell'Unione Europea, grazie a Dio è entrata e questo può permettere a migliaia di rom romeni che stanno in Italia da 4-5 anni in forma irregolare di trovare un canale lavorativo, cosa che a Roma succede abbastanza regolarmente. Nel novembre del 1995 a Roma c'erano 51 campi tutti abusivi e tutti spontanei che ospitavano 5.750 persone, adesso in quei stessi campi che si sono ridotti o accorpati o attrezzati ce ne sono 7mila quindi il numero è più o meno quello. Io sono andato a vedere le comunità rom in Ungheria; qui ci sono 2 milioni di rom e non è che stiano tutti benissimo, molti vivono in comunità, in specie di kibbutz direi abbastanza lontani dalle grandi città, hanno comunità agricole ecc. ma non ho visto un rom ungherese a Roma, ce ne sono alcuni bulgari, altri sicuramente macedoni, ma il grosso comunque proviene dalla Romania. La migrazione è senza dubbio di tipo economico nel senso che questo non riguarda solo i rom, ma riguarda i romeni in generale: lo stipendio medio in Romania va da 150 a 200 euro per chi ha la capacità e la fortuna, la fortuna no perché non c'è problema di disoccupazione in Romania, addirittura il sindaco di Bucarest ci ha spiegato a giugno che loro stanno importando manovalanza dall'Ucraina e dalla Cina, perché non la trovano lì sul posto. Il problema quindi non è la disoccupazione bensì il reddito. A uno stipendio di 200-250 euro al mese corrisponde che una casa di 50mq nella media periferia di Bucarest costa 400 euro di affitto, e che un paio di jeans firmati costano 70 euro, è vero che nel resto del paese e nelle campagne il costo della vita è minore ma è assolutamente sproporzionato, e in più la concentrazione delle grandi aziende si sta spostando. Noi stiamo cercando disperatamente di trovare una via favorendo l'inserimento lavorativo in Romania e il rientro di persone che stanno qui e che vivono in situazioni disperate e proprio pochi giorni fa anche l'Eni e l'Agip ci hanno detto che ci avrebbero dato una mano.

I rom sono una questione europea come di tutte le grandi città italiane e non solo di Roma; ci siamo visti ultimamente con i sindaci delle grandi città ad un tavolo al ministero del Welfare, la situazione è uguale e drammatica ovunque con le dovute differenze anche dipendenti da fattori semplici. Io non credo francamente alla storia che vengono qui perchè le leggi permettono di fare il proprio comodo, è chiaro che soprattutto nell'ultimo anno è cambiato il tipo di immigrazione, sono arrivati delinquenti veri però la maggior parte dei rom non sono sicuramente persone che arrivano qua con un animo delinquenziale. Francamente mi sembra una risposta sciocca quella data da molti politici di destra e di sinistra per inseguire l'animo della popolazione che vuole sentirsi dire queste cose, ma io non credo che sia così, credo piuttosto che ci sia un problema di applicazione della legalità all'interno dei campi ma che riguarda principalmente non i rom romeni ma i rom che stanno qua da 20 anni. Io generalizzo per amor di semplicità ma spero che capiate. In alcune situazioni siamo passati dal piccolo spaccio a quello più grosso, al traffico internazionale, dal piccolo furto siamo arrivati all'usura, alla rapina e ai contatti con la camorra. Io credo che sia abbastanza ovvio che ciò non ha nulla a che fare con l'appartenenza nazionale ed etnica, l'atteggiamento delinquenziale è cresciuto sull'onda di una situazione favorevole, di emarginazione, di povertà, e che continua a crescere da parte di delinquenti che per quanto ne sappiamo noi hanno molti soldi da parte ma continuano a vivere nei campi perché vessano quelli che stanno lì con loro, campano e continuano a campare in questo modo. Non è vero che i rom benché quello che si dica sui giornali o quello che dica la gente non hanno l'amore per la famiglia, non hanno considerazione per i loro figli, è tutto assolutamente falso. Nei casi di cronaca è probabilmente vero che si parla di persone che per molti versi nel rapporto famigliare, nel rapporto uomo-donna hanno un tipo di cultura e di tradizione che corrisponde più alla nostra tradizione contadina di fine 1800 come anche il loro atteggiamento rispetto alla compagna, cioè rispetto alla comunità: sono un po' come le fattorie della nostra Italia rurale in cui si nasceva, vi si continuava a vivere, ci si sposava e si viveva tutti insieme, i figli venivano cresciuti anche dalla madre, dalla zia, dalla suocera, dai nonni, esattamente come un rom bosniaco che sta qua da 20 anni ti dice che il figlio si sposa e vuole il prefabbricato accanto perché non vuole allontanarsi dalla famiglia. Cerchi di spiegargli che se il figlio deve sposarsi deve essere in grado di mantenere la propria famiglia, probabilmente ha ragione lui, è molto più sensato quello che dice lui solo che è assolutamente incompatibile con una grande città ma anche con una città media. Questo comporta problemi non indifferenti rispetto alle loro capacità d'integrazione, perché le famiglie e i legami famigliari sono complessi, sono articolati; immaginatevi prendere una famiglia di contadini anziani che hanno sempre vissuto in campagna e portarli a vivere a Roma, diventerebbero pazzi dopo due secondi e noi diventeremmo pazzi nel tentativo stupido di creare percorsi di integrazione secondo la nostra mentalità.

Paolo Andruccioli*

Il discorso di Enrico è stato molto interessante perché ci ha dato intanto molti elementi concreti a partire da esperienze pratiche, reali e ha affrontato la questione da un punto di vista molto umano e non solo quindi delle politiche generali. Con Salvo affronteremo il tema della scolarizzazione.

Salvo di Maggio*

Faccio l'educatore da quasi 20 anni ed è dalla fine degli anni '80 che ho a che fare con i rom presenti nel quadrante sud-est di Roma. Un dato va rilevato e l'ha già sottolineato Enrico: oltre il 50% dei rom, dei sinti e dei camminanti che vivono in Italia sono cittadini italiani e complessivamente non dovrebbero essere di più di 160-180mila abitanti compresi gli stranieri. La maggior parte dei rom e dei sinti in Italia sono qui da secoli, forse alcuni di voi sapranno anche che intorno all'anno Mille le popolazioni rom e sinti che vivevano nel nord-est dell'India si spostarono passando poi per la Persia e per quelli che all'epoca erano gli stati dell'impero Ottomano e progressivamente arrivarono attorno al 1300 in Europa; alcune cronache di Fermo riportano che nel XIV secolo passarono da queste parti un gruppo di gitani che andavano in pellegrinaggio a Roma ottenendo un lasciapassare dal Papa.

L'elemento distintivo che è transnazionale per tutti i rom è la lingua romanè, questa lingua imparentata col sanscrito e che ha parecchi contatti ancora oggi con i dialetti parlati nel nord-est in India e che i rom comprendono nei suoi tratti essenziali, almeno nel lessico di base. Rispetto alle attività economiche che svolgevano spesso fino a qualche anno fa, i sinti erano giostrai e si spostavano a seconda delle fiere, delle feste di paese, patronali ed eventi di questo tipo; i rom, invece, in parte svolgevano attività legate alla vita contadina in particolare in Abruzzo e in Campania, e una parte attività artigianali in particolare dedicandosi alla lavorazione dei metalli come per loro tradizione. La caratteristica dei rom è che seppure diventati col tempo sedentari, hanno continuato a mantenere attività legate agli spostamenti e infatti dagli studi antropologici risulta che nella società rurale ottocentesca erano coloro che, spostandosi da un piccolo centro all'altro, portavano le notizie. Ai rom sinti presenti nel territorio italiano e nelle nostre città, sicuramente da tempo ma soprattutto a partire dagli anni '60, si sono aggiunti alcuni gruppi provenienti dalla Jugoslavia, in particolare dalla Serbia e dalla Bosnia. Questa migrazione ha avuto origini essenzialmente economiche e i rom si sono inseriti in quelli che erano gli spazi residuali delle nostre metropoli, in particolare a Roma, e questo ha comportato che nel corso degli anni '80 la loro presenza divenisse di fatto maggioritaria rispetto ai rom e ai sinti italiani; questo ha fatto si che alla fine degli anni '80 c'è stato un problema di relazione e di rapporto tra la città e i rom slavi già presenti perché man mano che la città si espandeva, le periferie della città andavano sempre più prendendo parte della campagna romana e gli spazi dove i rom si andavano a insediare in baraccopoli erano sempre più limitati venendo così progressivamente espulsi per andare sempre più verso l'esterno del tessuto cittadino. A Roma, inoltre, agli inizi degli anni '80 era avvenuto che gli ultimi baraccati italiani insieme a moltissimi rom italiani in particolare di origine abruzzese che vivevano a via del Mandriane in un'immensa baraccopoli che si trova nella zona sud della città, erano stati alloggiati in appartamenti di edilizia pubblica residenziale nei quartieri di Spinaceto e di Nuova Ostia. Questo ha comportato che i rom slavi arrivati nel frattempo si insediavano invece in baraccopoli che non avevano nessun tipo di servizio e alcun tipo di rapporto con la città. Da questo cambiamento, anche di rapporti numerici, è derivata una difficoltà di relazione appunto tra la popolazione maggioritaria e i rom, una minoranza estremamente esigua: si calcola che in Italia su 58 milioni di abitanti i rom siano al massimo 180-200mila, il che equivale comunque a uno 0,2% della popolazione italiana; un rapporto simile si ha anche nelle nostre città, a Roma ad esempio si calcola che attualmente nelle baraccopoli vivano 7-8mila rom romeni che equivarrebbe ancora una volta allo 0,2% dell'intera popolazione romana. E' dunque ridicolo pensare che una quantità così limitata di persone possa rappresentare un pericolo per la nostra società però chiaramente è il frutto di immaginari su cui è difficile andare ad incidere.

Nel corso degli anni '90 c'è stata un'altra ondata migratoria come conseguenza del conflitto in ex-Jugoslavia; sempre dalla Jugoslavia sono arrivati insieme a moltissimi profughi anche tanti rom e nel primo periodo tra l'altro i profughi slavi non avevano trovato da noi altra risposta che non inserirsi nei campi esistenti perché purtroppo non erano state allestite strutture ad hoc; questo ha fatto si che negli anni '90 abbiamo avuto un periodo di tensioni a causa della crescita dei fenomeni di elemosina e borseggio. La regione Lazio come altre regioni italiane già nella metà degli anni '80 si era dotata di uno strumento legislativo che devo dire era anche avanzato per l'epoca, probabilmente oggi andrebbe rivisto però ha una buona impostazione: destinare le risorse affinché dei programmi venissero attuati, uno strumento che è risultato utile almeno per quanto riguarda i primi interventi e mi riferisco sia al primo insediamento attrezzato che fu realizzato dal comune di Roma nel 1994 quello di via Salviati che è ancora un punto di riferimento importante rispetto alla tipologia di interventi e sia l'intervento di scolarizzazione che ha avuto una prima fase di avvio sperimentale nel 1991 e che successivamente nel 1993 è diventato uno degli interventi stabili che l'amministrazione comunale a Roma realizza a favore dei rom e dei sinti.

Le associazioni in questi anni hanno svolto da una parte un ruolo di denuncia dall'altra hanno anche cercato di dare delle risposte che fossero sensate rispetto alle richieste che venivano avanzate dai rom e anche dalla necessità che c'era che si inserissero nel tessuto sociale in cui comunque vivevano e con cui entravano in rapporto. Il rischio, che in molti casi è diventato una realtà, è stato che laddove non c'è stato un intervento che permettesse una relazione tra i rom e i sinti e la società maggioritaria si è verificata un'integrazione a ribasso, vale a dire una loro relazione con gli strati marginali e devianti cadendo in attività sostanzialmente illecite sia per quanto riguarda il reperimento delle risorse economiche, sia per la tipologia di consumi dei modelli a cui facevano riferimento. Abbiamo avuto in qualche modo una sottovalutazione dei rom. Per quanto riguarda gli interventi che sono stati realizzati in questi anni c'era questa incidenza di minori che partecipavano con le famiglie al reperimento delle risorse e sostanzialmente vivevano per strada sia per l'elemosina, il manghè come lo chiamano loro, sia per il piccolo furto o comunque per attività che in qualche modo portassero reddito alle famiglie. Questo ha fatto si che uno degli interventi prioritari sia stato ritenuto quello di far si che questi minori potessero essere inseriti nel tessuto scolastico e questo la dice lunga anche sul nostro modello di servizi sociali perché secondo me doveva essere salvaguardato fin dall'inizio un elemento fondamentale cioè il diritto del minore a fare una vita simile a quella degli altri minori, purtroppo però molto spesso non c'è stato. La molla che ha permesso che non si verificasse una rivolta da parte del ceto amministrativo-politico, ma anche da parte della gente, è stato che così venivano tolti i ragazzini dalla strada quindi non un intervento in termini positivi, in termini di responsabilizzazione delle famiglie, in termini di progresso, ma in qualche modo sostitutivo di politiche repressive. Si è trattato sostanzialmente di riduzione del danno applicata ai minori; ciononostante noi siamo partiti nel 1991, primo anno scolastico di intervento, con 182 ragazzini rom e sinti iscritti a scuola in tutta Roma che attualmente sono oltre 2mila, il che vuol dire che in questo quindicennio si è realizzato il necessario inserimento dei giovani all'interno delle strutture scolastiche. Quello su cui a nostro avviso non si è lavorato abbastanza per dei limiti di tutti è stato invece il diritto al percorso, vale a dire che i ragazzini molto spesso escono dalla scuola senza nessun strumento in più di quello che avevano al momento dell'ingresso, cioè non hanno acquisito le stesse competenze dei loro compagni italiani e questo è un problema che riguarda la scuola ma anche il modo in cui sono stati realizzati alcuni interventi che a mio avviso erano eccessivamente assistenziali. Questo è un dibattito interno sul quale alcune associazioni discutono e rimanda anche alla necessità che ci sia un maggior coordinamento delle politiche della scolarizzazione con politiche sociali, per l'habitat e le politiche per la formazione lavorativa complessiva.

Due sono stati i punti di crisi: uno è sicuramente quello del gap rispetto ad alcuni ragazzini italiani che uscivano da scuola, l'altro è che successivamente ad un percorso scolastico anche compiuto regolarmente non ci fosse una risposta in termine di formazione e di inserimento lavorativo perché molto spesso ci trovavamo di fronte a ragazzi che, seppure nati in Italia, non sono cittadini italiani dunque non hanno documenti; allora non si possono iscrivere ai corsi di formazione professionali, non possono fare un tirocinio formativo, non si può assolutamente fare riferimento al paese di origine dei loro genitori che non li riconosce perché o non esiste più o comunque non sono stati inseriti nei registri anagrafici. Viene a crearsi dunque la situazione di questa generazione che sta in un limbo giuridico da cui poi non riesce ad uscire. Non riusciamo a dare risposte, non riusciamo poi a pensare percorsi di inserimento reali e che non siano assistiti, perché  si perpetuano logiche assistenziali piuttosto che logiche di promozione, ed è uno dei problemi che ci siamo posti come associazione, contemporaneamente anche al problema di gestire gli insediamenti che man mano nascevano; una prima sperimentazione è stata fatta nel 1997-98 però è stata una breve stagione che ha riguardato i primi 6 insediamenti, preferibili alle baraccopoli, attrezzati dal comune dove ancora comunque c'erano le roulotte perché in Italia si è continuato a pensare che una soluzione potessero essere i campi, in ragione che i campi di transito effettivamente erano necessari ai sinti giostrai che si muovevano e ne avevano bisogno, peccato che però questo modello è stato applicato anche ai rom slavi che non sono nomadi.

Situazioni tipo Villa Troini potrebbero essere citate sia a Roma che in altre città , perché una cosa importante è che le amministrazioni hanno dialogato tra loro in questi anni come hanno fatto anche le associazioni. Ne emerge che da un lato è importante lavorare sulle famiglie, dall'altro anche sulle capacità d'accoglienza delle nostre scuole, bisogna rendersi conto che la scuola italiana in generale ha una difficoltà all'accoglienza di chi non è di cultura italiana e ha dovuto fare i conti con le altre culture soltanto negli ultimi 20 anni. Il modulo dei programmi del 1985 è vero che già intuiva qualcosa al riguardo però effettivamente non avevano dotato gli insegnanti di strumenti che li rendesse capaci di poter interagire con ragazzini che non hanno come prima lingua l'italiano. Ancora negli anni '90 qualche scuola vantava il fatto di non avere alunni rom e sinti iscritti nelle loro classi: questo atteggiamento per fortuna si è negli anni modificato e alcune scuole hanno sviluppato una capacità di accoglienza molto buone nel senso che hanno saputo sviluppare percorsi che permettono a questi ragazzini di uscire dalla scuola con un buon livello, non sempre pari a quello dei loro coetanei ma almeno abbastanza adeguato. Come associazione in questo li abbiamo aiutati perché una parte dell'intervento di scolarizzazione degli ultimi anni ha riguardato anche la qualità quindi non soltanto agli aspetti dell'accompagno all'interno della scuola; i nostri educatori hanno cercato di sviluppare, insieme agli insegnanti, dei percorsi di elaborazione in cui si offrivano, non solo ai ragazzini rom o migranti ma anche a tutti gli altri, strumenti per la didattica come musica, video e teatro facendo in modo che ci fosse una ricaduta positiva con un vantaggio complessivo per tutta la scuola. Tutto questo ha anche smussato delle preoccupazioni da parte di alcuni insegnanti e al tempo stesso ha reso la comunità scolastica più accogliente per alcuni ragazzini. Ci sono esempi di scuole che hanno fatto insieme ad altre associazioni interventi di sostegno per la partecipazione dei bambini e delle famiglie rom come ad esempio al 126° Circolo dove Simonetta Saracone e una associazione sono riusciti a mettere in piedi un percorso per uno scambio paritario.

L'ultima cosa rispetto alla percezione della sicurezza: Enrico ha fatto una carrellata di tutti gli eventi su cui i giornali sono tornati spesso con un'impostazione emergenziale, direi scandalistica però quello che meraviglia è che anche dove i rom sono stati vittime l'aggressione veniva quasi giustificata. Mi è capitato di seguire Primo Piano del Tg3 quando hanno parlato del fatto successo a Ponte Mammolo, un insediamento anche abbastanza piccolo, dove alcuni cittadini del quartiere limitrofo sono andati per incendiarlo lanciando delle bottiglie molotov. Qualsiasi giornalista che sia serio deve dire che quello è un atto criminale cioè se uno è in opposizione ad un gruppo etnico come quello dei rom può fare la raccolta delle firme, può fare tutta la lotta pacifista che vuole, ma non si può giustificare che un gruppo di cittadini, che tra l'altro da quello che si sa non erano proprio cittadini modello, compia un atto del genere. Un altro aspetto importante è quello della percezione dei cittadini che molto spesso risulta distorta anche per un errato modo di scegliere gli interventi da parte delle amministrazioni locali; ad esempio ho sentito dire in una televisione locale che a Roma ci sono 60mila rom romeni per strada o nelle baraccopoli quando i dati attendibili dell'amministrazione parlano di 7-8mila persone regolarmente visionate dai vigili e assolutamente controllate; questo per dire ancora una volta che un intervento che di fatto è emergenziale, finisce per avere un effetto negativo, gli interventi invece devono essere su un periodo più lungo, di medio termine.

Francesco Chiavarini - Ufficio stampa della Caritas Ambrosiana*

Milano ha una situazione sui rom alquanto problematica come Roma: 4mila quelli censiti nel comune e 10mila se si considera l'intera provincia. Il comune ha affrontato la questione allestendo campi, facendoli gestire a soggetti del terzo settore e contemporaneamente sgomberando le baraccopoli e i campi spontanei ovviamente ben pubblicizzando questi sgomberi senza poi raccontare quello che succedeva il giorno dopo ovvero che la gente ritornava esattamente nello stesso luogo da dove era stata cacciata oppure si nascondeva da qualche altra parte in città. Questa politica è costata anche parecchio al comune. Forse si sbaglia nel continuare a insistere sulla specificità culturale dei rom non perché non ci sia ma perché in realtà questo sta generando degli equivoci e l'effetto è che sono delle persone culturalmente non integrabili per una qualche loro predisposizione non genetica ma culturale.

"Affari italiani"

Guardiamo un attimo ai terreni dove vanno ad insediarsi i nomadi e chi sono i proprietari A Milano c'è una vera e propria politica degli sgomberi: ci sono dei terreni che appartenevano a grossi costruttori come Ligresti dove a un certo punto arriva l'ordine di sgomberare e tutti si trovano dall'oggi al domani senza più un posto dove andare e il nostro vicesindaco pluridecorato ogni giorno va al Tg3a parlare di un nuovo sgombero. Ci sono poi i fondi dell'Unione Europea: Barroso ha detto che l'Italia non li ha mai usati, e perchè?

Polis di Vicenza*

A Vicenza ci sono un centinaio di rom, il resto sono soprattutto sinti; i pochi rom vivono in due campi uno vicino all'altro e i sinti ci tengono molto a distanziarsi a dire che non sono uguali. Credo anche perché i sinti oltre a essere cittadini italiani hanno anche un contatto con la chiesa, battezzano i loro bambini in chiesa. Per quanto riguarda i rom invece ho trovato una situazione veramente di miseria totale che non ha dato riscontro a quello stereotipo di tutti i miei conoscenti del tipo che hanno tutti i macchinoni, io non ho trovato i macchinoni… Inoltre volevo segnalare che ci sono alcune famiglie rom nella provincia di Vicenza che sono costrette a girare da un comune all'altro perché ogni comune fa delle ordinanze per espellerli per cui non riescono a trovare una sistemazione…

Intervento

Le associazioni che lavorano per queste popolazioni hanno delle politiche mirate?                                       

Veronica Marica - Associazione Mercurio*

Il senso dell'adolescenza come noi lo concepiamo si sviluppa in situazioni di vivibilità più adeguate dove la gente ad esempio vive negli appartamenti e dove ci sono condizioni di vita migliori oppure può succedere anche grazie alla scolarizzazione e a tutto il processo di inserimento che state facendo anche in condizioni di estrema povertà?

Salvo di Maggio*

Quando prima ho definito l'adolescenza come un'età che non c'era mi riferivo al fatto che tradizionalmente nella cultura dei rom fino a qualche decennio fa i matrimoni si contraevano quando il ragazzo e la ragazza arrivavano a 13-14 anni ma questo è un elemento che se andate a guardare non è differente dalla nostra società rurale meridionale di 40 anni fa. L'adolescenza è un'età che prima non c'era nemmeno nella società occidentale, nella cultura della società maggioritaria, non veniva considerata un'età, la scoperta dell'infanzia è di appena due secoli fa per cui è sempre un problema legato all'etnocentrismo. E' chiaro che una società che si trova a confrontarsi con una società maggioritaria che ha altri valori, altri sistemi di relazione sociale, si modifica, e questi cambiamenti possono avvenire a mio avviso per due ordine di fattori: non necessariamente solo per migliori condizioni abitative e per migliore inserimento ma anche per quello che è il vissuto, in quel caso di tutto il nucleo famigliare di cui fanno parte. Noi abbiamo avvertito che ad esempio c'è un maggiore rispetto per la differenza di genere, quindi maggior rispetto per le donne e per coloro che vivono in città da molto tempo e per coloro che vengono da una precedente vita urbana anche laddove sono rom provenienti da altri paesi. La situazione dei rom dell' ex-Jugoslavia è differente: la differenza sta se vivevano in un piccolo centro oppure in quartiere periferico ma comunque di una grande città, ad esempio chi viene da Sarajevo non si comporterà allo stesso modo di colui che arriva da un piccolo paese del Montenegro o della stessa Bosnia, dal paesino; ma questo succede anche nella nostra società, non abbiamo gli stessi comportamenti se nasciamo e viviamo in città da una famiglia che è nata e vissuta nella città o se proveniamo da un piccolo centro.

Per quanto riguarda le differenze culturali, se devono essere enfatizzate o meno, noi siamo stati attaccati da un'associazione a Roma perché abbiamo accettato che nel campo nel villaggio attrezzato di via Salone ci fossero tre etnie differenti: serbi, bosniaci, romeni. Ci hanno detto che stavamo facendo un'operazione innaturale e abbiamo risposto insieme al Comitato dei rom che non c'era alcun motivo per cui stessero separati. L'idea è quella che li deve funzionare come un normale condominio e dunque in qualche modo superando questa necessità di differenziarsi.

Enrico Serpieri*

Rispondo in merito alla vicenda degli sgomberi e dei terreni: non conosco la situazione di Milano, immagino che in quanto alle speculazioni edilizie si possa fare di tutto e dunque utilizzare anche i rom. A Roma la maggior parte degli insediamenti abusivi sono lungo i fiumi, l'Aniene e il Tevere in zone demaniali e non mi risulta che ci siano ovviamente possibilità di speculazioni. Un episodio successo a Roma in questo senso è stato quello di via Salone: in un terreno di un privato il comune decise di farci un villaggio e di attrezzarlo, ovviamente era già quasi tutto perfezionato: all'ultimo momento questi grandi proprietari privati che possedevano enormi terreni a Roma cominciarono a tirarsi indietro e scoprimmo che c'era una manovra per far passare la variante de Prg e la possibilità di edificare la zona fu stroncata dal sindaco nel giro di mezza mattinata; ormai sono passati 3 anni da quando abbiamo acquistato il campo. Queste possibilità ci sono, non è che sono stati usati i rom ma era un tentativo di rendere edificabili le zone in cui incidentalmente c'erano anche i rom: per quasi 10 anni ho cercato aree dove fare villaggi attrezzati che non è una cosa semplice né dal punto di vista urbanistico, né da un punto di vista tecnico, nel senso che deve essere possibile almeno l'utilizzo e la realizzazione della urbanizzazione primaria il che vuol dire che devo poterci fare le fogne, che il collettore centrale non può stare a più di un centinaio di metri, sennò mi costa di più il collettore per portare le fogne che tutto il resto, abbiamo esplorato tutte le possibilità, prendendo in considerazione anche le zone private dei piccoli proprietari, impazzendo perché per trovare un'area di un ettaro trovi quattro proprietari che non sono d'accordo… Senza considerare poi tutti i problemi legati ai reperti archeologici per cui la sovrintendenza blocca i lavori, quindi non solo abbiamo ritardato di un anno ma abbiamo dovuto pagare gli scavi…

Io comunque non credo che il campo possa essere una soluzione abitativa per i rom o per chiunque altro, non c'è dubbio su questo, credo che il campo sia così come è strutturato nei nostri villaggi della solidarietà, un'evoluzione con una qualità di vita molto più alta rispetto ai normali campi profughi fatti dalla protezione civile che offrono accoglienza a persone che in quel momento non ce l'hanno; i nostri campi offrono accoglienza a persone che in quel momento non ce l'hanno e anche a persone che non possono averne per titoli di legge. Se vogliamo dare risposta alla pressione che c'è adesso e non parlo solo di Roma, l'unico modo che c'è è quello di creare sul proprio territorio altri 4-5mila posti di accoglienza attrezzati con alcuni criteri che si stanno affinando, ad esempio prevedendo delle attività di sostegno sociale che rendano questi luoghi adatti al transito. Detto ciò comunque non è facile nemmeno questo per i costi, perché l'ente locale non riuscirà mai a reggerli; noi come Comune di Roma però abbiamo avuto accesso ai Fondi Europei dopodiché per il resto facciamo tutto con bilancio nostro, pesa ovviamente sulle tasche dei cittadini italiani ma è un determinante discorso culturale.

Gli sgomberi invece sono un argomento complicato e doloroso: a Roma sono sempre stati fatti, per anni li abbiamo fatti noi come comune ma non sono mai state situazioni favorevoli, io ne ho organizzati anche parecchi, il 90% delle volte fino a un po' di tempo fa li facevamo con l'alternativa di collocare tutti quelli che c'erano dentro. Se devo dare un giudizio personale della polizia dopo la vicenda di Daniela Reggiani devo dire che ha reagito in una maniera terrificante, gli sgomberi che ne sono seguiti, come ad esempio il giorno successivo a Tor di Quinto, hanno avuto quasi un sapore di vendetta, mentre quelli lungo il fiume erano frutto di una decisione assunta a settembre dalla prefettura di Roma su richiesta dell'Ardis che è l'ente che ha l'obbligo di vigilare sugli argini.

Salvo di Maggio*

A proposito dei fondi europei, mi è capitato nel 1995 di andare in Spagna facendo parte anche di una organizzazione europea che interagisce con le comunità rom: presso il ministero degli affari sociali spagnolo era attivo un ufficio che si occupava del reperimento dei fondi europei per dare informazioni alle province e ai comuni. Il problema dunque è che è mancata un'agenzia che veicolasse questo tipo di risorse per gli enti locali e che fungesse da supporto sia per gli enti locali che per le associazioni, dato che in alcuni casi vi possono accedere anche quest'ultime.

Enrico Serpieri*

Aggiungo che per la prima volta sei mesi fa c'è stato un tavolo al ministero con le associazioni e i comuni; il problema poi è che i tavoli sono diventati due, uno al ministero dell'interno e l'altro al ministero degli affari sociali, resta il fatto comunque che dopo 12 anni per la prima volta il governo ha pensato che forse gli enti locali avessero bisogno di una mano.

Paolo Andruccioli*

Rispetto a questo l'ultima cosa volevo chiedervi se avete informazioni ulteriori su quello che si sta facendo all'interno della Finanziaria 2008, se ci sono novità e se è vero che stati stanziati fondi per quanto riguarda l'immigrazione.

Enrico Serpieri

Fermo restando che le politiche in generale dovrebbero essere politiche contro la povertà , c'è stato un bando del ministero del welfare che si è chiuso poco tempo fa. Non sono grosse cifre, ad esempio per Roma che ha presentato un progetto di inserimento abitativo, sono previsti 750mila euro. Detto fra noi credo che abbia importanza un valore non dico simbolico ma almeno sperimentale su alcune cose…

Intervento

Però questo stereotipo è che i rom siano un'etnia parassita rispetto alle società…

Salvo di Maggio*

In realtà questo deriva da quello che si chiama manghel cioè la questua: gli antropologi hanno verificato che queste popolazioni chiedevano un compenso per l'oggetto artigianale che veniva offerto, però man mano che è venuto meno l'artigianato è rimasta soltanto la questua ossia il gesto di tendere la mano. Rispetto invece alla questione delle case popolari noi ci siamo trovati con il paradosso che chi vive in baracca se non ha lo sfratto ha un punteggio inferiore rispetto a chi vive in abitazioni e ciò è ridicolo.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.