Antonella Valer, Christoph Baker. Interventi di Loris Ferini e Marco Reggio. Conduce Giovanna Chioini
Antonella VALER
Docente di economia, ha scritto tra l’altro il libro “Bilanci di giustizia” (Edizioni Emi) e cura il rapporto annuale del movimento omonimo, nato nel 1994, che raggruppa oggi più 1.200 famiglie.
ultimo aggiornamento 30 novembre 2007
Christoph BAKER
Nato a Ginevra, padre americano e madre tedesca, studi letterari, vive dall’84 a Roma. Consulente internazionale, ha scritto vari saggi sulla critica allo sviluppo tra cui “Ozio, lentezza e nostalgia” (Emi, 2001-2006).
ultimo aggiornamento 30 novembre 2007
Loris FERINI
Responsabile politiche sociali di Ancc Coop.
ultimo aggiornamento 30 novembre 2007
Marco REGGIO
Responsabile dell’Ufficio Comunicazione e Relazioni esterne di Federcasse (la Federazione Italiana delle Banche di Credito Cooperativo/BCC e Casse Rurali), è segretario della Fondazione Tertio Millennio Onlus per la quale, tra l’altro, ha curato la collana dei “Quaderni”. Tra gli ultimi pubblicati per la casa editrice Ecra, “Dal bene confiscato al bene comune” (2013); “Chi semina e chi raccoglie. Per una nuova cultura del territorio” (2014); “La dea bendata. Viaggio nella società dell’azzardo (2015); “La finanza ad impatto sociale” (2016).
Giovanna CHIOINI
Giornalista di Internazionale, dove fa parte del comitato di direzione.
ultimo aggiornamento 30 novembre 2007
Giovanna Chioini*
Parliamo non di un pensiero unico ma dell'unico pensiero, quello che ci occupa la testa dalla mattina alla sera cioè il consumo. Ci occupa l"esistenza, le pagine dei giornali con le pubblicità, l'informazione quindi diciamo che è un elemento centrale dell"esistenza di tutti, ricchi e poveri. Il nostro paese è un luogo dove chi è ricco può risparmiare e fare delle scelte di consumo più sostenibili, chi è povero è costretto a spendere molto perché non ha il tempo di informarsi correttamente come risparmiare. La stampa tende ad avere un atteggiamento abbastanza omogeneo nei confronti del consumo nel senso che non viene mai messo in discussione il nostro sistema di consumo, non vengono mai messe in discussione le nostre modalità di consumo, chi si azzarda a proporre delle alternative di solito viene presentato come un apostolo che viene dall'età della pietra: meno televisori, meno lavatrici, meno elettrodomestici, meno auto, torniamo ad andare a piedi, come facciamo? Non possiamo, il nostro tenore di vita deve essere difeso a tutti i costi, la nostra fortezza Europa fatta di consumi va difesa… Succede poi che se l'immigrato arriva e consuma quindi si ritrova nel centro commerciale sia che venda l'oggetto cinese sia che vada ad acquistarlo va bene, ma se l'immigrato arriva e vuole condividere con noi il servizio sociale e l'assistenza, la scuola allora la stampa mette le mani avanti e dice un momento se consumate va bene c'è posto, quando dovete condividere le cose si fanno più difficili… Naturalmente mi riferisco alla carta stampata perché è quella che conosco meglio, lascio fuori il discorso televisivo perché è troppo ampio come settore e anche quello radiofonico che rappresenta a sua volta una nicchia. Questo significa che l'informazione che passa sui modelli di consumo e sull'origine dei prodotti che noi consumiamo è un'informazione bassissima e quando passa lo fa come informazione di spinta verso il consumo; difficilmente troverete un titolo come gli ultimi che riguardano il rialzo dei prezzi del petrolio in cui si enuncia che il petrolio è una risorsa limitata e se ne dovrebbe consumare di meno, non c'è nessuno che lo scrive, non ci sono giornalisti economisti che riflettano su un aspetto del consumo che ovviamente impone un ribaltamento del punto di vista che è quello consumistico. Sui giornali stranieri la situazione non è molto diversa, l'unica che forse possiamo notare è una maggiore attenzione riguardo ai paesi da dove provengono le risorse per produrre i prodotti di consumo per cui quando si parla di caffè per esempio è più frequente trovare articoli sulle piantagioni della Costa d'Avorio dove viene coltivato quello che finisce poi nella tazzina del bar negli Stati Uniti o in Gran Bretagna e si spiega qual è la cooperativa che lo produce, qual è lo sfruttamento dei contadini che ci lavorano, quali sono stati gli andamenti dei mercati del caffè o del cacao…; quindi diciamo la stampa anglosassone ma anche quella francofona e spagnola hanno una maggiore attenzione nei confronti del mondo globalizzato quindi permettono al consumatore di avere un minimo in più di informazione rispetto a quello che stanno consumando. Questo modello di consumo, un modello che raramente viene messo in discussione sui giornali è stato affiancato negli ultimi anni da quello che George Monbiot, giornalista del The Guardian ha definito il consumismo ecologista: andiamo a comprare il prodotto biologico, usiamo la sacca di stoffa per la spesa, compriamo la scarpa non prodotta dai bambini pakistani, ci accertiamo che la maglietta non sia stata cucita in condizioni di sfruttamento del lavoro, ma sempre di consumismo si parla, cioè ancora una volta il nostro modello, il nostro tenore di vita non viene mai messo in discussione. Monbiot non dice che si tratta di un modello negativo in tutto, ma offre un'alternativa: il giornalista ha fra i suoi doveri di fornire la verità che sia oggettiva o soggettiva ma anche di fornire delle alternative e dei dati per il lettore in modo da poter fare delle scelte consapevoli. La nostra fortuna è quella di vivere in un paese dove non viene applicata la censura politica, ma è anche vero che c'è l'autocensura dei giornalisti, per pigrizia o per adeguamento dello stile di vita; i bravi giornalisti hanno il dovere di fornire delle alternative e questo naturalmente richiede del tempo che è una risorsa preziosa ed è anche vero che spesso nelle redazioni di tempo non c'è n'è, soprattutto nei quotidiani. Vi faccio l'esempio di un articolo uscito oggi su un quotidiano nazionale dove si parla di uno dei cartoni animati preferito dai bambini italiani: questo articolo, scritto da una delle firme più importanti di codesto giornale, non fornisce nessun elemento critico o analitico ai genitori i quali andranno a comprare il dvd e con questo voglio dire che il giornalista non deve dire comprateli o non comprateli, ma ha il dovere di dire che un certo tipo di prodotto nasce in un certo modo, viene sviluppato in un altro oppure siccome si tratta di un prodotto che viene allegato a questo giornale deve chiarire bene qual è il suo ruolo se sta facendo informazione o pubblicità perché chiaramente bisogna essere prudenti quando si parla di prodotti che vengono distribuiti con la propria testata… Un giornalista professionista ha il dovere di informare e di rendere oggettiva e obiettiva l'informazione; soprattutto di consumi sulla stampa si parla in modo da non fornire al lettore e al pubblico lo strumento per sapere cosa sta comprando veramente.
Si dice che il consumismo in alcuni casi prende di mira le fasce più giovani della popolazione che a loro volta si rifanno sulle famiglie spingendole a spendere e a comprare. Il punto interrogativo che manca continuamente è: si può farne a meno, possiamo risparmiare o possiamo trovare un'alternativa? Il dittatore, l'unico pensiero è un pensiero che probabilmente anche nell'informazione ha come obiettivo quello di azzerare la creatività del lettore, del consumatore e del cittadino; quando ci si sforza di proporre delle alternative si sfidano i lettori e il pubblico a mettere in moto la materia grigia a inventarsi delle alternative e quindi anche a trovare un modo nuovo di leggere il giornale per esempio. Questi problemi qui che fanno parte della stampa generica, sono in qualche maniera compensate da coraggiose pubblicazioni, faccio il nome de Il Salvagente e di Altro consumo che si sforzano di mettere in evidenza le mancanze o comunque le discussioni che ci sono nel mondo dei consumi, delle banche, delle associazioni dei consumatori come la Coop, per arrivare a un consumo più consapevole. L'elemento che manca e incomincia a farsi strada pian piano è proprio quello della domanda: si può consumare di meno? Peraltro alla domanda si può consumare di meno è legato un altro interrogativo: si può sottrarre il tempo all'acquisto e dedicarne di più al tempo libero? Le riviste di consumismo sono riviste che all'estero hanno avuto un'esplosione incredibile c'è n'è una quantità enorme soprattutto nel mondo anglosassone, il loro limite però è quello di presentare una forma di consumismo sempre a metà tra il new age e il fricchettone in qualche maniera oppure il consumo sostenibile per ricchissimi, per questo dicevo che chi è ricco ha il tempo di leggere questo tipo di informazioni, chi è povero ha poco tempo a disposizione per informarsi correttamente su ciò che consuma.
Questa mia lunga introduzione serve per dare la parola ad Antonella Valer che è un'economista, autrice di "Bilanci di giustizia" e responsabile del rapporto annuale che i bilanci di giustizia pubblicano. I bilanci di giustizia sono un'esperienza abbastanza particolare di persone che hanno deciso di impiegare la fatica quotidiana nel consumare diversamente e dal 1993 ad oggi sono migliaia le persone che fanno l'esperienza del bilancio di giustizia.
Antonella Valer*
Finora le nostre uniche esperienze a contatto col mondo del giornalismo sono state una qualche anno fa con il WWF che aveva tentato di far pubblicare su un giornale un articolo in cui il tema di fondo era "per salvare il pianeta dobbiamo consumare di meno", ossia prima di acquistare chiediti se ti serve veramente: nessun giornale ha pubblicato questo articolo ma il WWF che ci teneva tanto che avrebbe pagato ma neanche questo ha funzionato. Non molto tempo fa, poi, avevo chiesto alla rivista Consumo critico con la quale collaboro, di allegare ad un articolo il decalogo del consumatore, ossia dieci consigli dei quali il primo era "compra di meno" e la rivista mi ha detto di non volerlo pubblicare. Tutto questo a dire che il consiglio a ragionare sui consumi va controcorrente: qui probabilmente il problema credo non siano tanto dei giornalisti, quanto di coloro che finanziano i giornali che sono gli inserzionisti, e quindi il punto non è di fare buona o cattiva pubblicità ma proprio consigliare a comprare. Cercherò di raccontarvi l'esperienza di bilanci di giustizia: le riflessioni che cercherò di mettere accanto al racconto sono quelle che nascono con la sperimentazione, quindi ciò che rende credibile quello che dirò è che si tratta del frutto del pensiero collettivo di persone che da 10 anni stanno sperimentando concretamente il cambiamento dei propri stili di vita e contemporaneamente cercano di lavorare a livello politico.
In particolare le cose che vorrei dirvi sono tre: il primo punto è che il dogma economico va messo in discussione e questo davvero è un problema anche del giornalismo, credo di non aver mai trovato un giornale che mette in discussione il dogma fondamentale ovvero quello che se cresce il prodotto interno lordo le cose vanno bene se invece cala, vuol dire che calano i consumi, quindi è una tragedia, perché cala il fatturato delle imprese e di conseguenza c'è disoccupazione… Per limitare questo meccanismo, e arriviamo passiamo al secondo punto, arriva il famoso spot del consumatore con la borsetta e tutti lo ringraziano… Io credo che questo sia il dittatore nell'ambito del pensiero economico attuale, dell'economia politica attuale. Terzo: l'esperienza dei bilanci di giustizia può proporre un altro modello macroeconomico della crescita che però si basa su delle ipotesi microeconomiche.
Chi sono questi che fanno i bilanci? Assomigliano molto a quelli che don Vinicio Albanesi descriveva prima, sono quelli che peggio dei soci della Coop, tra l'altro poi molti sono anche soci Coop, pongono un sacco di domande antipatiche: ma chi l'ha fatto questo prodotto, ma da dove viene, ma quanta energia è stata utilizzata per fare questo prodotto, e poi una volta che è stato consumato questo imballaggio dove lo metto, qual è il danno ambientale prodotto dagli imballaggi… cioè sono delle persone a volte un po' pesanti da questo punto di vista. Poiché il consumatore è un anello chiave del sistema economico può esserlo anche del cambiamento, e quindi si è cominciato a pubblicare il bilancio di giustizia. Si tratta di un foglio che comprende vari capitoli, ogni capitolo ha le sue voci, la forma assomiglia a quello dell'Istat però con una differenza sostanziale: nel caso del bilancio sociale per ogni voce ci sono due colonne, la colonna dei consumi usuali e quella dei consumi spostati, nel senso che seguono un criterio di giustizia all'inizio e poi questa giustizia è diventata un criterio più ampio di giustizia di sostenibilità ambientale. Le famiglie si chiedono: quello che io spendo ogni mese segue un criterio di giustizia o no? Per ogni voce di spesa si segna in questa colonna i consumi dei circuiti normali e le spese nei circuiti alternativi, e quindi se acquisto una mela biologica posso mettere quella spesa nella seconda colonna, se acquisto una mela che invece viene dalla Cina, e non per un problema di protezionismo ma di danno ambientale, la metto nel consumo usuale.
Quali sono gli strumenti di questa campagna? Prima di tutto viene pubblicato il bilancio mensile e poi il riepilogo annuale che fa un po' i conti di lungo periodo, ad esempio il consumo del riscaldamento, dell'acqua, dell'elettricità, il risparmio, investimenti bancari, assicurazioni, dati che si raccolgono una volta all'anno… Secondo voi nel capitolo degli alimentari se vengono scelti i prodotti del commercio equo-solidale per quanto riguarda i coloniali, il biologico o comunque locale o di stagione (frutta, verdura), la farina, la pasta, l'effetto finale è di spendere di più o di meno della famiglia media? Confrontando i dati Istat, cioè la spesa della famiglia media italiana con le spese dei bilanci di giustizia si nota che per il capitolo degli alimentari c'è una differenza di 100 euro quindi più o meno lo stesso valore. Ciò che però differenzia la famiglia media italiana dalla famiglia bilancista è l'obiettivo che può far dire che quest'ultima risparmia: le famiglie dei bilanci di giustizia rincorrono sempre l'obiettivo della riduzione non delle spese bensì dei consumi, due cose molto diverse. Non c'è mai stato nella campagna di bilanci di giustizia il dire risparmiamo, l'obiettivo è quello di consumare secondo giustizia costi quello che costi, che poi il risultato sia quello che spendiamo di meno questo è un risultato e non un obiettivo. Ridurre i propri consumi significa chiedersi che cosa mi serve veramente e per esempio uno degli altri obiettivi è quello di consumare meno carne, c'è chi arriva anche a zero fino a diventare vegetariano, chi invece decide di consumarla almeno due volte a settimana. Le ragioni sono varie ma quella principale è che l'allevamento della carne è insostenibile dal punto di vista ambientale e in un'ottica di giustizia globale, se tutti avessimo una dieta alimentare come quella europea che utilizza molta carne, non ci sarebbe cibo a sufficienza per tutti, mentre se tutti seguissimo una dieta vegetariana non vi sarebbe nessun problema a coprire tutto il fabbisogno di cibo della popolazione mondiale; vedete dunque che la dimensione della sostenibilità e quella della giustizia si intrecciano per forza. Il vantaggio delle famiglie che fanno il bilancio di giustizia è di guadagnarsi tempo, libertà, convivialità, quindi in qualità della vita e questa è anche la ragione fondamentale per cui le famiglie che iniziano con il bilancio di giustizia non tornano indietro.
Quest'anno ci siamo posti anche il problema di rilevare quanto lavorano queste persone e la risposta è che lavorano meno degli italiani medi, c'è chi è riuscito a ridurre le ore di lavoro, e perché se lo possono permettere? Per la libertà che hanno conquistato rispetto alle dimensioni dei consumi e quindi il tempo, che forse oggi è il bene più prezioso, lo hanno recuperato proprio con il controllo dei propri consumi. I bilanci sociali includono i costi sociali e ambientali nel senso che i costi che altrimenti sarebbero esterni, le cosiddette esternalità, loro le internalizzano nelle loro scelte, in qualche modo pagano da soli volontariamente il prezzo maggiore dei prodotti senza affatto toccare la loro qualità della vita quindi dimostrano che sarebbe possibile pagare tutti di più i prodotti averne di meno e nonostante questo stare bene, anzi probabilmente stare meglio.
Giovanna Chioini*
Se capisco bene anche per essere bilancisti quello che forse può essere definito il vile denaro serve nel senso che ancora non stiamo tornando alla società del baratto. Il soldo ci serve, qui cerco di introdurre Cristoph Baker autore del libro "Ozio lentezza e nostalgia", però è difficile da guadagnare attraverso l'ozio, la lentezza, la nostalgia: ci spieghi come si fa e soprattutto se si può fare…
Cristoph Baker*
Voglio subito chiarire che non voglio convincere nessuno perché non ho nessuna ricetta. La spinta che c'è stata dietro a questa piccola operetta letterale è venuta dal mio percorso di vita. L'ultima battuta di Antonella mi trova in totale opposizione, il vero problema è che lavoriamo troppo, basta! Questa cosa di lavorare così tanto non è più utile non serve a niente, siamo indottrinati, quello che noi facciamo ormai non è quasi più il lavoro di una volta che era un mestiere, una vocazione, una cosa fatta bene, un progetto che parte e si conclude dentro la tua sfera di controllo, noi ci indaffariamo we are busy! Corriamo come dei matti, facciamo sempre le riunioni, appuntamenti quattro o cinque alla volta e poi prevediamo, al primo di dicembre, che faremo le vacanze il trenta giugno alle quindici e trenta, ma che è questa roba? La cosa che possiamo fare è di rallentare, vedi il downshifting, la filosofia dell'ozio creativo, termine che in Italia è diventato subito di moda perché appena c'è una parola in inglese che si può mettere sul giornale, allora si…. Sulla pigrizia ad esempio il quotidiano La Repubblica non ha mai pubblicato nulla ma sul downshifting si, hanno fatto pure pubblicità al mio libro e ho ringraziato.
La lentezza è la saggezza umana, abbiamo fatto milioni di anni di lenta evoluzione, perché devono rovinare tutto in 50 anni di accelerazione senza controllo, perché devono tutti entrare in un mito che sembra o vai più veloce o sei nessuno… Perché poi tutto viene fuori da questa idea bizzarra che il progresso è lineare e bisogna arrivare prima degli altri, ma prima degli altri ci arriva uno solo, gli altri sono tutti perdenti. Allora io dico facciamo una grande alleanza di perdenti, mettiamoci l'anima in pace, facciamo vincere tre o quattro matti che andranno in solitudine in qualche disastro economico loro, perché sarà quello che prenderanno in faccia. Invece noi cominciamo ad organizzarci pian piano nel quotidiano ad esempio si possono prendere solo due appuntamenti al giorno, lo dico perché l'ho sperimentato quando sono venuto a vivere a Roma nel 1984 quando c'era ancora un'istituzione sacra che è scomparsa nel silenzio totale che si chiamava "la siesta": tra le 13 e le 16 non si faceva nulla e poi la cosa più intelligente era che i romani all'epoca facevano il primo appuntamento alle 11,30 per l'aperitivo e il secondo aperitivo si faceva alle 18,30 perché l'altra cosa ragazzi: il piacere! Questa bella parola di nuovo al centro della nostra vita ma non il piacere quello che tu vai a Eurodisney o queste cose qua bensì il piacere del dolce far niente, di non fare un tubo, almeno non facciamo troppi danni! C'è sempre qualcuno che dice si ma cosa bisogna fare… intanto fare meno, la nostra famosa impronta ecologica si riduce, siamo meno ansiosi e soprattutto non abbiamo bisogno di prestazioni di performance, noi siamo un problema per l'ecosistema del pianeta, vogliamo smettere di pensare solo a noi? Cominciamo a pensare che siamo un granello di sabbia fine, abbiamo veramente bisogno di recuperare un senso di relativismo cioè dobbiamo essere molto meno autocentranti e fare questo nella pratica quotidiana vuol dire guardarci intorno, recuperare i sensi, un senso del tempo diverso non più questa cosa lineare ma neanche questa cosa ciclica che ci propinano ogni tanto quelli del new age. A volte serve anche il tempo fermo cioè che non si muove; io l'ho sperimentato un giorno nel Sud della Francia dove ho la fortuna di avere una casa di famiglia in un piccolo paesello, c'era un sole pazzesco, una temperatura di 40 gradi all'ombra e non si poteva fare niente così stavamo seduti con il mio amico fuori casa dopo aver mangiato, sdraiati con questo sole a non fare niente, per un'ora… ad un certo punto ho aperto gli occhi così c'era un bel bicchiere di rosato fresco sotto, la stradina davanti a noi attraversata da un gatto, ho detto: ah! Questa è la vita! Questo è il piacere! Costo zero a parte il rosato, per gli astemi proprio zero…allora pensiamoci, chi l'ha detto che dobbiamo lavorare… se io penso che potrei far funzionare la società attuale con 5 ore di lavoro per ognuno a settimana, e avere tutto il resto per fare le cose che vogliamo: passeggiare, fermarci, guardare i gatti, sentire gli uccelli, suonare uno strumento, fare un mobile, a me che piace lavorare in casa, so che mi metto contro tutto un movimento di casalinghe però la cucina la adoro dal primo tagliuzzamento dell'aglio, all'ultimo piatto lavato basta che ci siano degli amici insieme per preparare, mangiare e fare insieme e poi è quando lavi i piatti che raggiungi l'apice della filosofia perché hai già mangiato bene, bevuto meglio, forse non lavato al massimo i piatti, almeno però arrivi finalmente a una condivisione di questa incredibile avventura che è la vita, complicata faticosa, ma quando si condivide, quando si sta insieme ci si rende conto di quante idee, sentimenti si possono avere, condividere… Quanti racconti ognuno di noi tiene dentro di sé ecco perché la nostalgia è una cosa positivissima; non sto parlando di tornare a un'epoca d'oro di non so che cosa anche se erano meglio gli anni '50 quando sono nato io, però la cosa che trovo incredibile è che puoi pescare dentro la tua storia, dentro la storia di dove sei vissuto, perchè anche quando hai 8 anni già hai dei ricordi, e con questo trovare un po' di forze, far fronte a questa incredibile condizione umana che tante volte ci sembra allucinante, pesante, allora lavoriamo, lavoriamo, facciamo, per non pensarci più.
Il pensiero unico allora è quello, è il non-pensiero, il pensiero unico è una delega totale; Woody Allen diceva una volta in un film una battuta geniale: non mi ricordo l'ultima volta che ho avuto un'idea! Ecco ricominciamo a lavorare su questo, per far questo bisogna sgomberare tutti gli strati di immondizia filosofica, non crediamo più in tutta questa roba di progressione professionista sociale, l'apice della montagna, la vetta da scalare, tutte queste cavolate, bighelloniamo sui piccoli sentieri laterali della vita, è lì che si fanno i migliori pic-nic, il pic-nic poi è una cosa che bisogna recuperare è lì che si sentono le migliori musiche è lì che si sente il miglior silenzio, torniamo ad ascoltare il silenzio, perché all'interno del silenzio c'è tutta la natura che ci parla, quindi ragazzi o provate per credere e poi se le cose vanno male ricordatevi di un grande professore greco Nikos Kazantzakis, uno scrittore molto sconosciuto in Italia e molto boicottato, che ha creato la figura del grande Zorba il quale quando le cose andavano male prendeva il buzuki lo metteva fra le gambe cominciava un accordo, tre accordi, pensate alla musica di Mikos Teodorakis, e dopo cinque sei accordi le gambe partivano da sole e si cominciava a ballare e non si pensa più a niente, perché balli con la musica del buzuki: ragazzi l'unico consiglio che posso darvi stasera è che quando le cose vanno male ricordatevi di ballare!
Giovanna Chioini*
Questi tempi liberati dal consumo, dal lavoro… il vero tempo libero sono poi quei tempi che le istituzioni dovrebbero fornire magari a coloro che non se li possono permettere, penso a Roma dove il caos rende la vita complicata soprattutto a quelle fasce più svantaggiate della popolazione, non necessariamente le persone con un reddito sotto la soglia della povertà, ma anche quelle persone che quotidianamente devono scontrarsi con la mancanza di servizi pubblici, che si incrostano nella burocrazia, nella disorganizzazione, quindi appunto liberare il tempo per stare fuori con i figli, per sedersi su una panchina… E' un discorso anche politico che probabilmente non trova grande accoglienza tra gli amministratori, probabilmente chi ci prova ha la vita difficile come chi forse vuole parlare delle politiche sugli zingari… Consumare diversamente, liberare il tempo dal lavoro: se vivessimo tutti così, le Coop che cosa farebbero e come camperebbero le persone che vi lavorano?
Loris Ferini*
Abbiamo visto di peggio a onor del vero, di peggio perché ricordo che le Coop nascono perché un gruppo di sfigati, di emarginati, coloro che non potevano accedere agli alimenti base e non riuscivano a campare, 150 anni fa si sono messi assieme e hanno deciso di inseguire l'utopia di farsi la propria impresa, si sono dati la cooperativa, hanno comprato le merci dai fornitori e oggi sono diventati una realtà che disturba, perché oggi le Coop disturbano, si è visto recentemente quando si è tentato di comprare una banca come quando si tenta di fare la propria offerta per cercare di comprare un'altra catena… Di fronte a questa utopia che diventa realtà si fonda su un corto circuito: il consumatore, il cliente è anche proprietario della sua impresa, dicono che sono chiacchiere, che non è così, invece è proprio così. Nei consigli di amministrazione della Coop non ci stanno i manager, c'è la signora Maria e il signor Mario che sono soci comproprietari e che hanno ricevuto la delega dagli altri 6 milioni e mezzo di soci, perché essendo diventati un po' grandi e difficilmente sopportabili abbiamo anche noi sviluppato delle capacità gestionali. In Coop non possono tutti fare tutto, ci si divide i compiti, per la gestione amministrativa i consiglieri di amministrazione devono fare un percorso perchè non si nasce consiglieri. Quel corto circuito che dicevamo funziona per cui chi va a comprare il prodotto nel negozio Coop chiede, soprattutto sul prodotto con il marchio Coop se è stato realizzato con i criteri della tutela ambientale, elencati prima nella definizione del consumismo ambientalista, chiede che non ci sia sfruttamento minorile, lo chiede lo verifica, lo controlla. Per ora questo corto circuito ha funzionato perché permettere l'accesso alle merci è stata la parte iniziale della vita dello sviluppo delle cooperative. Quando le merci sovrabbondano però cambiano i parametri, cambia lo schema di ragionamento, quando il cosiddetto benessere si diffonde il problema è come salvarci dalla sovrabbondanza di merci e che senso dare al proprio consumo è stato con efficacia illustrato. Le Coop cosa fanno, che parte prendono, come sta in queste cosiddette logiche di mercato, queste dinamiche? Non voglio fare la sbrodolata, ma cito dei fatti: Coop propone da 30 anni un modello di consumo critico e consapevole innanzitutto ai più esposti, ai ragazzini coinvolgendone in questi ultimi 30 anni oltre 5 milioni nel nostro paese affinché si ponessero delle domande, non dessero tutto per scontato, si chiedessero che senso ha socializzare in funzione dell'ultimo paio di scarpe di ginnastica che si posseggono e quant'altro.
Cosa intende Coop per consumo critico? Innanzitutto conoscere la provenienza, gli aspetti nutrizionali e per questo ci rivolgiamo all'istituzione che ha il compito di tutelare questi aspetti, l'Istituto Nazionale della Nutrizione con il quale da 25 anni Coop esamina la qualità nutrizionale dei prodotti a marchio, produce delle etichette informative precise. Pensate che i prodotti a marchio Coop rappresentano, sul totale delle vendite di Coop in Italia, il 17% del venduto per quanto riguarda la distribuzione alimentare. Oggi il marchio Coop è il primo operatore agro-alimentare d'Italia, laddove gli altri marchi che è possibile evocare da Barilla a Ferrero, hanno conquistato un'affidabilità non sistematicamente garantita su questi aspetti, perché i propri amministratori sono gli stessi che vogliono controllare come viene realizzata quella merce. Non abbiamo esperienze di altre tipologie d'impresa che ci insegnano a mantenere l'equilibrio corretto tra interessi del consumatore e interessi del manager, perché il manager gode nel vedere crescere l'impresa. Come fa la Coop ad essere tutelante in termini concreti dell'interesse del consumatore? Vincendo questo confronto di competenze all'interno della propria impresa tra chi guarda all'interesse del consumatore e ha un ruolo nelle imprese e chi guarda alle dinamiche di mercato per cui bisogna conquistare comunque quote di mercato; non è un cosa che sembra un titolo di un volumetto fine a sè stesso, è la quotidianità dentro l'organizzazione della Coop. Noi ci proviamo, abbiamo delle nostre cadute sistematiche su alcuni problemi perché questo confronto interno non è così lineare e dato una volta per tutte mancando un padrone che decide: Coop è quanto di più lento quanto di più saggio quanto di più ponderato possa esistere eppure questo calabrone in termini territoriali incomprensibili regge e conquista quote di mercato è per questo che rompe, rompe, rompe…
Giovanna Chioini*
Faccio la stessa domanda a Marco Reggio della Banca di Credito Cooperativo; case rurali, siamo sempre nell'ambito delle cooperative: se arriva il consumatore e chiede il credito a consumo, voi gli chiedete se ha davvero bisogno di questi soldi?
Marco Reggio*
Da un anno e mezzo a questa parte esiste un unico prodotto del credito a consumo del Credito Cooperativo che si chiama "Credi per" che a differenza del prestito che può essere dato ad personam via internet da una serie di finanziarie, sfrutta una relazione diretta con un consulente di banca che ha esattamente questo obiettivo cioè quello di portare il cliente a ragionare sull'utilizzo effettivo del credito ma soprattutto su una educazione ad un utilizzo complessivo del risparmio. In Italia c'è una situazione di sovraesposizione da prestito, un'aberrazione degli ultimi 20 anni, infatti fino agli anni Settanta consumare a rate era considerato illegale e comunque da non far sapere perché era sintomo di povertà, poi però a partire dagli anni Novanta il boom del consumo è aumentato talmente tanto da diventare un fenomeno sociale grave, nel senso che ha dei numeri che intaccano il tessuto stesso della tenuta di questo nostro paese. La scorsa settimana sono stati diffusi i dati da Prometeia che riguardano i 30/35enni con prestiti a carico quindi parliamo dei tassi di indebitamento dei giovani che rispetto al reddito annuale è del 100%; quindi noi abbiamo oggi in Italia persone che a livello di indebitamento hanno già consumato tutto quello che riescono a guadagnare nell'arco di un anno, questa percentuale scende un po' di più nelle persone che aumentano di età, chiaramente. Questo sta a significare due cose principalmente: primo, che il tasso di indebitamento è alto, secondo che il reddito è basso. Noi stiamo ragionando di un fenomeno sociale che vede da un lato modelli di vita e comportamenti e che comporta l'attenzione a una serie di responsabilità politiche, ma la politica cos'è? La politica è anche quella del lavoro, in questi ultimi 25 anni noi abbiamo avuto politiche del lavoro tra le parti sociali che hanno strutturalmente indebolito un sistema del lavoro stabile, dall'accordo del costo del lavoro, l'abolizione della scala mobile, il mancato recupero del drenaggio fiscale, l'accettazione di forme lavorative chiamiamole di precariato hanno portato oggi a un'intromissione nel mondo del lavoro con situazioni di grandi instabilità rispetto a quello che succedeva in passato. Rispetto a questo tessuto sociale c'è il grande problema del boom dei consumi indotti da modelli di vita, da comportamenti. Ci sono delle grandi bugie, padre Zanotelli in un suo studio un po' di tempo fa diceva che il mondo dell'economia oggi è regolato da una serie di bugie, alcune le possiamo vedere, ne prendo una sola: il tasso zero. Voi andate a comprare qualcosa a tasso zero ma sappiate che è una follia economica non esiste il tasso zero; io sono andato a comprare un televisore un anno e mezzo fa volevo comprarlo in contanti, mi hanno detto non conveniva e che mi sarebbe costato di più mentre con un finanziamento a tot mesi sarebbe costato di meno, come è possibile questo? È così. Una settimana dopo senza che io la richiedessi mi è arrivata a casa questa, questa è una bella e lucida carta di credito, non richiesta naturalmente, è una Visa Aurea con sopra 3000 euro, io non li ho chiesti, questo è il paradosso, io sono entrato in quel negozio, sono uscito con più soldi di quanti ne avessi, questo è un meccanismo distorto bisognerebbe conoscere e capire da dove nasce… Nasce sostanzialmente da degli intermediari a carattere finanziario a dir poco aggressivi che utilizzano sistemi di vendita one to one, quindi non con una relazione partecipata, spesso anonima come può essere internet. L'altro giorno da giornalista serio per venire qua mi sono andato a documentare su come si muovono queste finanziarie e posso fare anche dei nomi tanto è tutto ufficiale: sono andato sul sito di Credila, una delle più grandi società finanziarie, vado a leggere speciale web, per un prestito di 1000 euro il tasso annuo effettivo globale il "T.A.E.G." è del 24,98%, mi vado a vedere sul sito del Ministero dell'Economia che pubblica periodicamente una tabella sulla quale si fissa il tasso di usura, che viene aggiornata ogni sei mesi, e leggo che sul credito finalizzato all'acquisto rateale fino a 1.500 euro, quindi siamo nella fattispecie di Credial, il tasso medio di riferimento è il 16,26% e che per la definizione del tasso usuraio questo stesso tasso va aumentato della metà, in totale il 24,39%. Un'altra finanziaria che si chiama Forus che era il quinto investitore in termini pubblicitari nel settore bancario e assicurativo due anni fa, quindi più di Sanpaolo e Intesa o altri, è formata da persone che come liberi professionisti decidono ad un certo punto di mettersi a prestare soldi, al di fuori dei canali tradizionali del credito cioè di raccolta e di impiego del denaro stesso e anche questo è un fenomeno poco conosciuto ma che contribuisce a sviluppare quello che è il problema del sovraindebitamento. Esistono anche le cosiddette carte revolving, quelle carte che non sono delle vere e proprie carte di credito anzi sono chiamate carte di debito, perché si restituisce a rate quello che viene utilizzato: le statistiche sono abbastanza allarmanti perchè ci dicono che oggi il 20% dei giovani sotto i 35 anni ha una carta revolving che usa per pagare l'affitto, quindi non per acquistare beni o servizi voluttuari bensì per risolvere un problema serio e urgente che è quello dell'affitto. Dunque oggi il consumatore medio è sempre più giovane e precario dal punto di vista lavorativo e fortemente indebitato. I sociologi dicono che questo porta ad una situazione di solitudine e di infelicità, perché si propongono dei modelli di vita tutto sommato chiusi; per dirla tutta il problema del sovra-indebitamento ha anche il rovescio della medaglia da un punto di vista positivo: la scomparsa del contante. La moneta elettronica è un fatto significativo, importante, perché è sicura, offre transazioni di carattere veloce e sicuro, però a volte anche la perdita della materialità del denaro ha portato alla perdita del valore del denaro stesso oltre ai modelli di vita.
Due le soluzioni: una è quella di creare delle reti in grado di facilitare un approccio differente all'utilizzo del denaro, quella che si può chiamare anche una "pedagogia del denaro" o un utilizzo responsabile del denaro stesso; prima si parlava della lentezza, si può applicare lo stesso principio al denaro ossia rallentare anche nell'utilizzo del denaro, si può e forse è proprio il discorso del risparmio che ci porterebbe a ragionare in termini di lentezza nell'utilizzo di questo strumento di pagamento. La seconda strada è quella di evitare la strada molto negativa di situazioni ad alto rischio che sono quelle che portano al tema dell'usura, proponendo invece altre possibilità; qui entra un po' in gioco quello che io ho il piacere di rappresentare, ma non per fare spot bensì per presentare fatti reali. Sul discorso della pedagogia dell'utilizzo a un uso responsabile del denaro le casse rurali come si chiamavano una volta nascono esattamente per favorire l'accesso al credito delle fasce umili come erano contadini, agricoltori, artigiani attraverso i piccoli prestiti, quelli che oggi chiamiamo microcredito, come se fosse stato inventato in altre parti del mondo mentre il microcredito nasce culturalmente in Europa alla fine del 1800 con il tedesco Guglielmo Willem Raffheisen che oggi ha dato il nome a una serie di banche locali cooperative tra l'Austria e la Germania, se qualcuno di voi le conosce sono quelle che hanno i due cavallini incrociati, mentre in Italia nasce con Leone Wollenborg che nel 1883 a Loreggia vicino Padova dava origine alla prima cassa rurale di contadini e di tutte quelle persone che non avevano accesso al credito ordinario perché erano considerati nullatenenti che non potevano dare nulla in cambio in termine di garanzia e che quindi mettevano insieme le loro forze di cooperatori per ridistribuire il loro risparmio ai bisognosi e risolvere così il loro problema di accesso al credito. C'è un nostro slogan che dice "dalla tue parti, dalla tua parte" perché spesso e volentieri il cassiere parlo lo stesso dialetto della persona che ha davanti, è l'amico, il fratello, il nipote, ci si conosce un po' tutti nei piccoli paesi, la banca è un po' qualcosa di comune; in secondo luogo questo ha determinato anche l'attenzione alla pedagogia del denaro, vi faccio l'esempio di un libretto che riporta l'economia raccontata ai bambini: "Le avventure dello scoiattolo Gelindo ghiande d'oro", è un libro frutto della collaborazione delle casse rurali del Trentino con il Provveditorato agli Studi della provincia di Trento, viene distribuito nelle scuole elementari della provincia per insegnare a fare cooperazione, ci sono anche esperienze in classe di cooperazione di consumo ma anche cooperazioni di credito per l'utilizzo di un uso ragionato e responsabile del denaro.
L'altro soluzione è la lotta all'usura, un tema nascosto di cui non si parla, come se non esistesse, mentre le statistiche ci dicono che il ricorso all'usura è sempre più praticato e oltretutto si tratta di un fenomeno del quale ci si vergogna perché crea una sorta di danno, di malattia sociale da non poter neanche rappresentare. Due anni fa con padre Rastrelli che è un Gesuita napoletano che ha costituito la Consulta Nazionale delle Fondazioni Antiusura è stato ha sottoscritto un accordo in base al quale le Bcc Italiane sono diventate partner delle fondazioni regionali antiusura: che cosa fanno? Attraverso i fondi che vengono messi a disposizione da queste fondazioni le Bcc sono in grado di rappresentare i cosiddetti prestiti di soccorso, prestiti che dietro istruttoria e quindi a tasso vantaggioso, sono date alle persone in rischio di indebitamento. Questa è un'azione sociale importante per evitare che ci sia il ricorso agli usurai.
Prima si parlava di solitudine, rispetto a questi temi c'è anche il tema della mancata felicità , parola che spesso torna di attualità, io vorrei ricordare a voi giornalisti che la prima cattedra di economia in questo paese, anzi nel mondo, è stata istituita a Napoli nel 1754; la scuola giuridica napoletana aveva un capostipite Antonio Genovesi e quella cattedra si chiamava Scienza della Pubblica Felicità. Adam Smith da un'altra parte del mondo in quegli stessi anni parlava dello stesso mercato ma diceva cose esattamente antitetiche, come sapete, la teoria del bene comune che si può perseguire soddisfacendo i propri bisogni. Nella Napoli della seconda metà del 1700 invece abbiamo una scuola di pensiero che inizia a ragionare in termini di reciprocità, non è il commercio che regola la vita di una nazione in termini di benessere ma è la costruzione di rapporti di reciprocità quindi anche economia, una tradizione che si è perduta, purtroppo.
Giovanna Chioni
Quindi bisogna studiare economia…
Cristoph Baker
Secondo me bisogna essere più napoletani!
Giovanna Chioini
Sicuramente il consumo e il consumismo sono argomenti che richiedono sia un approfondimento di tipo economico sia di tipo ambientale e abbiamo visto anche di tipo filosofico oltre che una volontà di andare a vedere delle pratiche diverse come quelle dei bilanci di giustizia perché poi le realtà vanno indagate. L'economia che viene trattata sui giornali italiani non è quasi mai chiara dal punto di vista economico, la formazione economica dei giornalisti è sicuramente poca, gli economisti si lamentano del fatto che i giornalisti non sanno molto, giustamente per certi versi.
Carlo Giorni
Terre di mezzo e Altra economia hanno promosso un concorso che si chiama "By nothing day contest", un concorso attraverso il quale chiediamo a pubblicitari grafici creativi di creare delle anti-pubblicità che distruggano la pubblicità e i suoi meccanismi.
Giovanna Chioini
Un po' come "La notte dei pubblivori"…
Carlo Giorgi
Si, solamente che questa volta non abbiamo l'accordo di chi produce, di chi è a favore delle pubblicità , perché noi massacriamo le pubblicità, le smontiamo e distruggiamo il meccanismo, ci facciamo veste del meccanismo di seduzione tipico delle pubblicità.
Loris Ferini
Noi di Coop l'abbiamo fatto 10 anni fa con la realizzazione di un corso per insegnanti delle scuole dell'obbligo, per insegnare loro a leggere, decodificare e distruggere la pubblicità e da allora nella scuola italiana si lavora su questo, si spiega chi c'è dietro l'interesse economico in gioco, le modalità. Di recente abbiamo anche realizzato il corso "Tutti i linguaggi" sulla comunicazione e distruggendo quello pubblicitario. Vi chiederete allora perché la Coop fa pubblicità televisiva? Qualche caduta l'abbiamo anche noi, però su questo versante a chi volesse approfondire il tema abbiamo in casa dei percorsi di tipo educativo e pedagogico già realizzati.
Giuseppe Pagliazzo - Università Cattolica del Master in Giornalismo*
La prima domanda riguarda il reddito medio del bilancista; visto che lei ha detto che spende mediamente di meno, volevo sapere qual è la differenza tra il reddito medio italiano e quello del bilancista; inoltre lei diceva prima della riduzione dei consumi, ci hanno insegnato che appunto diminuendo i consumi aumenta l'occupazione, mi può spiegare perché?
Marco Magheri - Responsabile ufficio stampa esterni del "Bambin Gesù" di Roma*
Una domanda che lega il bilancio di giustizia a Coop: sono socio Coop e abitualmente faccio la spesa ai nonni, una volta sono tornato a casa con prodotti non Coop e ho rischiato la sciagura famigliare, come faccio a spiegare a mia nonna della congruità di acquistare caffè equo solidale e non di un'altra marca, dato il risparmio tra l'acquisto di prodotti equo-solidali e quello di prodotti abituali e usuali?
Intervento
Sono rimasta molto colpita sul risparmio del tempo in modo particolare perché questo tipo di prodotti biologici, equo-solidali, non hanno una vastissima diffusione e lo dico per esperienza perché li ho cercati anche io e la ricerca stessa del prodotto richiede tempo quindi non capisco come si possa risparmiare tempo acquistandoli. Poi non parliamo del risparmio di denaro: il costo è sicuramente più alto quindi o la persona riduce i consumi cioè consuma di meno comprando prodotti più costosi oppure non capisco come possa risparmiare. Riguardo al discorso della lentezza che sicuramente è molto affascinante in termini teorici, nel senso che qui siamo tutte persone che hanno potuto permettersi il biglietto per venire in treno a seguire il seminario, io non so come si possa ripetere questo discorso in un call center o piuttosto alla Fiat dove le persone fanno i doppi, tripli, quadrupli turni oppure fanno tre lavori per poter sopravvivere oppure si indebitano per pagare l'affitto. E' un discorso molto bello ma è un discorso che mi sembra quasi offensivo nei confronti dei disoccupati e della maggior parte degli italiani questa è la mia opinione. Un'ultima cosa per quanto riguarda i giornali che si dovrebbero occupare di tematiche di consumo o comunque fare più informazione critica sulla possibilità di chiedersi se un prodotto serva veramente o no: mi chiedo come sia possibile se il nesso tra pubblicità e informazione è veramente qualcosa di inscindibile nell'informazione attuale, mi sembra difficile che potenziali o reali inserzionisti possano essere oggetto di questo tipo di articoli, ho molta fiducia nell'informazione, ma mi chiedo come sia possibile.
Intervento
Spesso omettiamo il fatto che il credito a consumo sta dando benzina a un sistema che è il nostro, quindi perché questo sistema è in difficoltà e quali sono le cause in realtà…
Intervento
I miei acquistano spesso prodotti Coop, ma negli Ipercoop che frequento io esiste anche il caffè Nestlè, quindi mi piacerebbe capire questa incoerenza da dove nasce…
Loris Ferini
Il consumatore chiede anche questi tipi di prodotti, noi ci differenziamo introducendo i prodotti a marchio Coop, quando qualche marchio ha dei problemi di tipo etico, interrompiamo i rapporti o informiamo i nostri consumatori; fino a prova contraria abbiamo scelto di sporcarci le mani nel cosiddetto mercato, tentiamo di far pesare il valore contrattuale dei consumatori organizzati anche verso le grandi marche ed è successo più volte cito per esempio: Danone e Del Monte ma anche altri con i quali siamo riusciti a imporre delle modificazioni di comportamento del processo produttivo, non possiamo non vendere, se non vendiamo alcune marche le vendono gli altri e noi usciamo dal mercato, quindi la nostra realtà imprenditoriale, il nostro senso dell'esistenza della cooperativa non possiamo pregiudicarlo per questo; possiamo però spiegare la differenza di processo produttivo, di qualità nutrizionale, di informazione, di comportamenti etici… Questo lo facciamo certamente verso i nostri consumatori, se ci sono dei dubbi ci ragioniamo, ci esplicitiamo e diamo tutte le informazioni del caso, però non abbiamo mai detto che non venderemo delle marche che siano diverse dal marchio Coop quella è un'altra soluzione di tipo commerciale, imprenditoriale che noi non praticheremo mai, sia ben chiaro questo.
Antonella Valer
Da dove vengono i bilancisti: sono distribuiti su tutto il territorio nazionale, ma non omogeneamente, la maggior parte si trovano nel centro-nord, ci sono poi da poco alcuni gruppi sia in Puglia, in Sicilia, e anche intorno a Napoli, in Sardegna. Sono ricchi o sono poveri? Devo dire che i dati sul reddito è l'ambito sul quale siamo più sforniti, perché è solo da quest'anno che abbiamo chiesto di segnalare il reddito. Peraltro non abbiamo il confronto con l'Istat e allora vi posso dire che noi abbiamo calcolato che, dividendo il reddito lordo per il numero di persone per ogni famiglia, questi guadagnano 800 euro a testa; naturalmente questo dato è viziato dal fatto che tendenzialmente le famiglie bilanciste sono numerose quindi se noi prendiamo la media per la famiglia di due persone andiamo a 1600 euro, se prendiamo invece la media per le famiglie più numerose si abbassa a 500. Una cosa che caratterizza le famiglie bilanciste è che sono appunto numerose, la media è 3,1 quindi molto più alta rispetto alla media Istat; il nostro non è un campione significativo quello che però questo dato dimostra è che non si tratta di ricchi fricchettoni, su questo non ci piove. Non ci credete che spendono di meno? Mi dispiace nel senso che i dati sono questi. Il problema non è il caffè del commercio equo che costa tanto, il problema è che il caffè non equo costa poco e che quindi questo secondo me lo si dice ancora troppo poco; così come non è che il pomodoro biologico che costa tanto, il problema è che il pomodoro normale costa poco vuol dire che quello che non paghiamo col prodotto, lo paghiamo in danno ambientale.
Giovanna Chioini
Anche magari in termini di lavoro pagato poco al contadino che coltiva il pomodoro…
Antonella Valer
Si, il costo sociale e ambientale. Il punto è che qualcuno deve pagare quindi la scelta che io credo sia giusta da fare è di dire io che consumo quel prodotto mi accollo il costo quindi pago il giusto prezzo al contadino che ha prodotto il caffè come quello che ha prodotto le patate e quindi lo pago di più. Non vorrei assolutamente essere offensiva nei confronti di chi non guadagna molto, peraltro io personalmente guadagno poco ed è una mia scelta, però è anche vero che ho la sicurezza del posto fisso e da questo punto di vista mi sento privilegiata; io non sto dicendo fate così, io sto solo presentando l'esperienza dei bilanci. Il risultato di questa esperienza è incoraggiante soprattutto nel vedere che altri ci hanno provato e sono arrivati attraverso le scelte di consumo consapevole a permettersi di avere molta più libertà di scelta, soprattutto nel lavoro da compiere, non dicevo assolutamente lavorare di più, intendevo però lavorare tutti. Tecnicamente sarebbe possibile permetterci di lavorare tutti 3 ore al giorno però non è così, non è vero che il tempo libero è aumentato, il tempo libero è diminuito e qui ci sono delle serie storiche posso darvi il testo da cui ho ricavato i dati; se guardiamo le ore di lavoro in Europa sono molto, molto maggiori che venti, trenta anni fa o all'inizio del secolo scorso, è vero che c'è bisogno di molto più tempo per fare un certo tipo di scelte però poi è un tempo, come dire, un investimento bene, magari la prima volta si passano le ore al supermercato con la guida al consumo critico, però questo succede per un po', quando poi uno ha compilato tre bilanci ormai sa, quella cosa la vado a prendere lì quell'altra là, tante cose probabilmente non le vado più a prendere oppure so che magari le acquisto con il gruppo di acquisto solidale… Si insegna anche, ad esempio, l'autoproduzione dell'orto, chiaro chi vive in mezzo a Milano non potrà farlo, o l'autoproduzione del pane e della pizza, acquistando la farina dal gruppo d'acquisto. Ho saputo che la Coop vuole dare all'interno dei suoi punti vendita spazio per l'incontro tra produttore e consumatore, per esempio questo progetto di filiera corta è un altro ambito che si sta sviluppando quindi è il contadino che viene in città e non viceversa. Ecco si può con poche risorse? I bilanci dimostrano che è possibile alla fine pur facendo scelte ecologiche, etiche spendere molto poco, poi uno è libero di fare le sue scelte, sicuramente diminuiscono i consumi.
Cristoph Baker
Il problema è che il pensiero unico diciamo la verità è un pensiero economico, punto e a capo, e se voi continuate a pensare che questo è l'unico modello efficiente, non usciamo mai dalla baracca; io penso che qui il vero problema è che dobbiamo decolonizzare il nostro immaginario, questo è un lavoro che ognuno può fare, ognuno può andare a criticare se stesso per cominciare…e guardate che si può essere sobri basta che ogni tanto avere la possibilità anche di ubriacarsi cioè non è che deve diventare una cosa monacale di auto-flagellazione e questo lo fanno quattro gatti, deve diventare una cosa normale per un sentimento di libertà, di respirare, per non morire di cancro ai polmoni e altre cose… I boscimani, i famosi raccoglitori cacciatori che ancora sopravvivono per caso miracoloso in Botzwana, hanno sempre fatto discriminazione tra gli uomini e le donne: le donne lavorano in media 2 ore e 37 minuti al giorno e gli uomini lavorano 2 ore e 12 minuti al giorno e vivono! Sono arrivati al 2007! Io non dico che ci dobbiamo mettere tutti a cacciare, però gli economisti devono provare che c'è un costo per la deturpazione del paesaggio… Finisco col raccontarvi quello che mi è successo con due operai della Fiat in pensione che sono venuti da me e mi hanno detto: quanto eravamo coglioni! Siamo stati miserabili per quarant'anni anche di testa per guadagnare così poco, potevamo guadagnare meno ma essere più felici!!! Finisco con una metafora importante: l'allattamento al seno, fino a prova contraria siamo mammiferi giusto? Beh voi mi dite se c'è cosa più assurda del latte in polvere della Nestlè per esempio?
Antonella Valer
Vi consiglio "Il Sobrium" come coadiuvante per la diffusione della giustizia globale per il risparmio delle risorse: è composto di giustizia, rispetto di sé, degli altri, dell'ambiente, sobrietà e buonsenso, indicazioni sulla sindrome da acquisto compulsivo, patologie da mercato, gonfiori della lista della spesa, stati depressivi da frigo vuoto. Posologia: una dose prima di uscire di casa, non è un medicinale, non usatelo con cautela!
* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.