Colloquio con Giulio Giorello. Conduce Marino Sinibaldi. Interventi di Mauro Covacich e Francesco Zizola
Giulio GIORELLO
Docente di Filosofia della Scienza all'Università degli Studi di Milano. Collabora con il Corriere della Sera.
ultimo aggiornamento 02 dicembre 2005
Marino SINIBALDI
Direttore di Rai Radio Tre, dove ha lavorato per molti anni inventando e conducendo, tra l’altro, la trasmissione “Fahrenheit”. Dalla prima metà degli anni 1980 collabora in veste di autore e conduttore a programmi culturali radiotelevisivi della Rai. Dal 2014 al 2017 è stato Presidente del Teatro di Roma. È tra i fondatori della rivista "Linea d'ombra"; è autore di saggi di storia e di critica letteraria, collabora con quotidiani e periodici. Ha pubblicato nel 2014 per Laterza il libro “Un millimetro in là. Intervista sulla cultura” (a cura di Giorgio Zanchini).
ultimo aggiornamento 10 ottobre 2018
Mauro COVACICH
Scrittore, i suoi ultimi due romanzi sono A perdifiato e Fiona, entrambi con Einaudi. Scrive réportage per varie testate nazionali.
ultimo aggiornamento 02 dicembre 2005
Francesco ZIZOLA
Tra i più grandi fotografi e fotoreporter contemporanei, ha recentemente pubblicato “Born somewhere” (Fusi Orari).
ultimo aggiornamento 02 dicembre 2005
Marino Sinibaldi*
Dovremmo innanzitutto cominciare a capire la meraviglia dove sta, cosa dobbiamo trovare o ritrovare. Credo che dobbiamo trovare il modo di definire la meraviglia e di capire che spazio può avere poi nel nostro lavoro, nel lavoro dell'informazione e della comunicazione. Ora la prima cosa che voglio fare è mettere in rilievo subito lo spazio che possono avere la meraviglia o quelle cose che possiamo definire con dei suoi sinonimi, cercando di capire anche la differenza tra meraviglia, sorpresa, stupore inatteso e lo spazio che questa dimensione ha nel lavoro e nella pratica dell'informazione. Secondo me è uno spazio grande anche se non molto visibile. Noi chiediamo alla comunicazione di informarci, quindi di darci degli elementi che ci fanno stare meglio ne l mondo, più a nostro agio. Ad esempio l'informazione stradale serve a questo; però c'è un'area vasta di cose che servono a farci stare al mondo in altro modo. In pratica è una sfera che evade dal mondo, nella comunicazione che noi chiediamo ci deve essere una parte che ci fa stare meglio, che ci dà le notizie, chiamiamole così, ma in realtà sono qualcosa di diverso, sono un qualcosa che ci fa evadere dal mondo. C'è tutta una sfera di, è banale definirlo così, "divertimento", è banale ma è utile perché nella sua etimologia contiene quest'idea di di-vergere, di-versione. Poi c'è sempre qualcos'altro, c'è sempre una piccola o grande porzione di altro, che è la sorpresa, l'inatteso. Noi viviamo in una sfera di comunicazione abbondante, persino ridondante, allora la meraviglia è lo spazio decisivo che introduce la differenza, la novità. Su questo vorrei incominciare anche a ragionare, in particolare sottolineando subito l'elemento per me decisivo della differenza, perchè la meraviglia è qualcosa che introduce una differenza. Naturalmente in una parola è quello che manca nei media, la differenza, l'elemento della novità, della rottura dello scarto, quindi la meraviglia ha a che fare con qualcosa di critico per il modo in cui questo lavoro si va in questi anni configurando. Non c'è una meraviglia buona e una meraviglia cattiva dal punto di vista lessicale. Mentre nel caso della sorpresa ci può essere una brutta e una bella. La meraviglia bella è la meraviglia che produce un cambiamento, una sorpresa, quindi la differenza che li esprime si traduce in qualcosa che riguarda il nostro futuro. Lo Zanichelli definisce la meraviglia "un sentimento improvviso di viva sorpresa per cosa nuova e straordinaria." d ove la cosa singolare è rappresentata dagli aggettivi, improvviso e viva. In genere nelle definizioni gli aggettivi sono scarsissimi, le definizioni dei dizionari usano pochissimo l'aggettivazione, invece in questo caso c'è quasi un'insistenza proprio nel definirlo, il sentimento deve essere improvviso e la sorpresa deve essere viva. La prima cosa che vorrei proporre a Giulio Girello è proprio questo: la parola meraviglia è già iperdefinita, è già sovraccarica, è già come dire auto-evidente, e in questo c'è un segno della difficoltà poi di trovarla davvero, di definirla davvero.
Giulio Giorello*
Tu hai detto già molte cose sulla meraviglia. Forse la cosa più facile per capirci un po' di più è fare come facevano gli antichi greci, i quali quando si trovavano di fronte parole come questa, molto cariche di emozioni, di significati, facevano degli esempi e dagli esempi si impara più o meno a usare la parola. Aristotele sosteneva, e non era il solo, che il sapere stesso nasce dalla meraviglia, le domande che si pongono i filosofi nascono da un sentimento di meraviglia. Faceva 3 esempi di meraviglia, che sono secondo me molto interessanti. Il primo sono i movimenti dei pianeti, che sono irregolari rispetto al resto della configurazione della volta celeste, quindi sono astri che si comportano in maniera un po' stravagante. Il secondo è il fenomeno della vita: da un grumo di cellule viene fuori appunto un essere umano completo; il terzo è il mondo della tecnica. Tutti e tre, lo studio dei cieli, il mondo della vita, il mondo della tecnica, sono meravigliosi in questa prospettiva e portano le persone intelligenti a fare delle domande. Un po' più tardi di Aristotele, il grande filosofo Max diceva che anche gli animali probabilmente sono capaci di meravigliarsi, perché ad un certo punto c'è qualche cosa che non torna nelle abitudini dell'animale. Il gatto per esempio passa davanti a uno specchio, vede la sua immagine, ci gioca un po' con la zampa, annusa, non sente odor di gatto, risolve il problema e se ne va, cioè conclude che non gli interessa quello che ha visto. Invece gli esseri umani al contrario dei gatti cominciano a stupirsi e a pensare. Ecco questo è un po' forse il senso più forte, più pregnante della parola meraviglia. La meraviglia ricorda anche il miracolo che è appunto quello che uno constata con la propria vista anche se non se l'aspetta. Lo stupore, lo stare a bocca aperta spingono a pensare. Benedetto Spinoza, diceva bella la meraviglia, però attenzione stupor e stupidus hanno la stessa radice. Quindi la meraviglia è un inizio, non è una fine, lo è appunto per l'artista, per il tecnico, per l'ingegnere, per lo scienziato, per il poeta e suppongo per il fotografo.
A me piace molto quello che diceva Marino prima quando rimandava dalla meraviglia alla differenza . Diceva che la meraviglia non è che l'effetto di una differenza che viene constatata quando meno ce la si aspetta. Nel libro, "I viaggi d Gulliver" che anche se vi dicono sia per ragazzi non è assolutamente vero perché è un cattivo libro, la differenza si tocca con mano: un uomo grande arriva in una strana isola dove abitano dei piccoli abitanti che sono i Lillipuziani e questi non sanno che fare di fronte a questo gigante. Gulliver ogni tanto tira fuori una strana macchina dal suo panciotto e la consulta, guarda semplicemente il suo orologio cosa per noi abituale, però i Lillipuziani pensano che stia consultando un misterioso oracolo da cui prendere ordini, ne deducono che quella macchinetta è Dio e si creano così una serie di equivoci. Poi cambia tutto quando Gulliver arriva nell'isola dei giganti ed è lui il piccolino che viene schiacciato da questi bestioni, è lui che viene affascinato e quasi paralizzato dalle grandi dimensioni dei suoi ospiti. Secondo me questo in qualche modo lega la meraviglia all'esperienza della differenza. Certo noi oggi usiamo meraviglia in un linguaggio un po' abusato. Io una volta mi ricordo feci non so quanto di metrò a Boston per andare a vedere un posto chiamato Wonderland, cioè Paese delle Meraviglie e pensavo chissà che bello! Invece era, delusione, semplicemente un parco di divertimenti che si chiama appunto Wonderland, cioè divertimento, trucchi da baraccone. Però attenzione, su queste cose sotto c'è poi un insieme di sentimenti, di emozioni, di passioni tutt'altro che facili da districare. Prendete un altro classico dell'infanzia come "Alice nel paese delle meraviglie" del reverendo Dodgson, noto come Lewis Carroll, dove c'è molto di meraviglioso, nel senso d'inatteso, di sorprendente, di turbante, di ambiguo, di non dominato, ma non è un racconto allegro, perché Alice alla fine ha una sorta di incubo, scappa dalla regina che la vuole impalare, si risveglia e torna finalmente alle tranquille abitudini della città. Chissà se poi le tranquille abitudini della città sono quelle così rassicuranti. Non so se avete visto quel film di Lynch, "Blue velvet" dove alla fine tutto si rimette a posto, i mostri, i delinquenti, gli anormali, sono ricondotti a casa o in galera, tutto è bello tranquillo e avete questa bellissima visione di tranquilla vita americana, con la casetta, il tagliaerbe, tutti che si incontrano verso le cinque e sorseggiano la coca cola… tutto tranquillo e all'improvviso nell'erba si vede un insetto che piomba su un altro e se lo divora in maniera crudele; ecco che la meraviglia poi ricompare nel modo più strano e più inaspettato.
Quindi la meraviglia che cosa potrebbe essere? Avevano ragione i greci che l'associavano alla paura, però è anche quello che appunto ci spinge a muoverci. Bisogna fare come consigliava Einstein nel 1905: Einstein è uno che apre la sua autobiografia, già vecchio nel 1949, dicendo: bella la meraviglia! Ma ha in mente appunto Aristotele, Spinoza, questi degni signori che vi ho citato prima e dice state attenti perché dobbiamo fuggire dalla meraviglia, perché se ci facciamo impressionare da quello che è meraviglioso siamo in un qualche modo tirati dentro e invece dobbiamo uscirne fuori. La scienza in un qualche modo è anche un espediente intelligente per fuggire dalla meraviglia. Quindi la scoperta scientifica è meravigliosa in un senso ma è anche un'uccisione della meraviglia in un altro.
Marino Sinibaldi*
Attraverso il riferimento a Swift poniamo la meraviglia nel relativo , cioè nella differenza. Intanto perché la differenza è una relazione, e relativismo è parola che allude non solo al fatto che la verità può cambiare, ma soprattutto al fatto, credo, che la verità è relazionale anziché assoluta, cioè ha a che fare con le relazioni che si stabiliscono. Vorrei sottolineare appunto che Giulio Giorello ha collegato l'idea della meraviglia all'idea della relatività non solo perché l'omaggio a Einstein lo fa sempre, ma perché va messa in relazione la scala delle differenze di misura.
In riferimento a meraviglioso come orrore, come stupore, bisogna essere un po' stupidi per meravigliarsi, cioè bisogna fingersi un po' ingenui. Forse la relazione etimologica tra stupor e stupidità non è solo negativa. Il riferimento fatto al gigantesco mi porta a ricordare le 7 meraviglie del mondo: la Piramide di Cheope, il Faro di Alessandria, il Colosso di Rodi, il tempio di Artemide ed Efeso, la statua di Zeus ad Olimpia, il Mausoleo di Alicarnasso, i Giardini pensili di Babilonia; quest'ultimo sembra essere il più bello ed è quello che abbiamo distrutto per sempre e continuiamo a distruggere. Sembrerebbe essere quello meraviglioso, perché sono alberi che crescono in alto, allora quale è questo rapporto tra meraviglia e dimensione? Questo vale molto poi per l'informazione.
Giulio Giorello*
Quando tu parlavi prima del grande e del piccolo, giustamente hai detto una delle parole chiave per capire anche molto in quello che si fa normalmente in fisica; il fisico giustamente vive di differenze di scala ed è molto importante che ci siano perché a seconda di esse si rivelano delle diverse visioni del mondo. Un conto è quella che voi avete nella microfisica, un conto è quella che avete in oggetti che sono abbastanza grandi rispetto alla microfisica, ma sono molto piccoli rispetto alle nostre abitudini, ossia le nanotecnologie. Inoltre ci sono gli oggetti della vita abituale e poi ci sono invece delle scale differenti, i grandi oggetti che costituiscono l'universo. Non è sempre facile, per esempio, confrontare queste diverse scale. Per chi studia i primi istanti dell'universo un secondo è un'era geologica, per noi un secondo è una cosa che passa nel momento in cui sto giocherellando con questa matita, oppure sto scrivendo due appunti rapidamente. Quindi le differenze di scala sono estremamente importanti, perché poi a seconda della scala giusta si fanno le cose giuste. La nostra vita è possibile perché stiamo dentro a dei limiti di scala ben definiti. Tu dicevi il grande, già giustamente il grande colpisce. Il grande è anche un segno, non dimentichiamo, di potenza. Pensate alla storia e appunto alla torre di Babele, che viene punita, questo almeno nella versione biblica ossia nella versione del Vecchio Testamento, proprio perchè è tanto grande e vuole salire su fino al cielo. Quindi le cose grandi sono espressione di potenza, impressionano, fanno parte del gioco del potere. Guardate che appunto il gioco del potere è un certo uso dell'informazione che viene molto prima della televisione, di quando sono stati inventati i giornali, le varie gazzette, viene già in queste forme di comunicazione politica in cui tra l'altro i tiranni greci erano dei maestri, erano piuttosto bravi dal loro punto di vista.
Di qui anche la grandezza di chi riesce ad abbattere questi grandi simboli del potere, non vi ricorda qualcosa l'11 settembre del 2001? Osama Bin Laden è un buon attento lettore della sua tradizione e quindi ha colpito uno dei grandi simboli del paese che voleva umiliare, non bastava colpirlo perifericamente in Somalia, piuttosto che in Libano, andava colpito, dal suo punto di vista ben inteso, nel centro dell'impero e nel simbolo non a caso più alto delle meraviglie di oggi. Non è sempre così, io non credo che sia sempre così, cioè non è sempre detto che il colossale sia il segno della meraviglia.
Se voi andate a guardare alcune civiltà molto raffinate, come per esempio la civiltà medievale tra il 1200 e il 1300, la grande meraviglia consisteva nella capacità di riprodurre la realtà piccola piccola, come nei libri miniati. Dante ci scriveva dei versi bellissimi su questo, in questi testi è l'eleganza e il gusto del particolare che meravigliano, forse oggi meravigliano alcune tecnologie in piccolo, quindi attenzione non sempre il grosso è prevalente, dipende molto da circostanze estremamente varie.
Tu dicevi il relativismo, io non amo le parole con gli "ismi" però relativismo lo ricordo sempre come contrario di assolutismo; adesso non so se chi se la prende col relativismo sia un nostalgico di qualche assolutismo, ma questo chiedetelo a loro… Per me il relativismo è la capacità di mettere in relazione, cioè di rispondere un po' alla logica della situazione, le situazioni cambiano evidentemente, appunto sono differenze che si spiegano nel tempo e nello spazio, se andate a vedere per esempio esperienze culturali molto diverse. Vi racconto un episodio molto carino riportato da Herschel nel 1830 in un suo trattato, e che dovrebbe farci riflettere. Siamo in Africa, c'è una guida indigena che conduce un cacciatore bianco e i due vanno in giro per la savana. Ad un certo punto la guida fa al cacciatore bianco "attento c'è un leone". E il cacciatore pensa "da cosa l'avrà mai capito, non si sente un rumore, non si vede il leone nelle vicinanze"; allora a un certo punto il cacciatore bianco chiama vicino la guida e gli dice "fammi vedere come hai fatto a capire che c'è un leone". Lui risponde: "è semplice, guarda là su quella montagna c'è un giro di uccelli neri che sta calando lentamente verso il suolo". Vanno lì e naturalmente trovano il cadavere di una gazzella, gli uccelli gli stanno girando intorno per avvicinarsi al cadavere, è chiaro che il leone è nelle vicinanze ed ha lasciato i resti del suo pasto. Allora questo è interessante perché chi è che si meraviglia in questo caso? Soggettivamente si meraviglia il cacciatore bianco che viene sorpreso, mentre l'indigeno che conosce bene la situazione è in grado di capire quello che sta succedendo da pochissimi indizi. È la capacità di risalire da un indizio a un quadro un po' più globale. Domandiamoci a questo punto: la meraviglia è soggettiva del bianco che vede che l'altro sa fare delle scoperte di cui lui non è in grado. Con questa storia risulta che ha ragione l'indigeno e questo dà anche una buona lezione di relativismo. Chi è tra i due il civilizzato? Dobbiamo pensare che sia il bianco il civilizzato e l'indigeno il primitivo. In realtà io direi che in quel caso il primitivo, quello che si comporta da primitivo è esattamente il cacciatore bianco, mentre la guida indigena è tutt'altro che sprovveduta. Questo ci permette così di giocare con le nostre categorie e renderci conto che alcune categorie che noi riteniamo assolute, sono rispettabilissime, ma magari in altri contesti le risposte sono anche diverse, perché la logica della situazione è diversa. La democrazia è una bellissima risposta a certi problemi che sono emersi, in tempi moderni intendo, in Europa al tempo delle guerre di religione, dei sanguinosi eccidi politici, delle inique tassazioni, e appunto per rispondere a questo è nata un'idea di democrazia. Ma forse in altri contesti non riesce a rispondere ai problemi, non vi è quella tradizione, quindi bisogna stare molto attenti per esempio ad esportare la democrazia, è più difficile che esportare i biscotti… La democrazia esportata, specie in certi modi, può essere piuttosto distruttiva, come si dice "hanno fatto un deserto e lo chiamano pace".
Marino Sinibaldi*
Penso che per produrre meraviglia noi dobbiamo soprattutto nel nostro lavoro cercare le differenze; anche i grandi cambiamenti oggi sono frutto di piccole differenze che si producono, quindi è proprio il piccolo che dobbiamo cercare. Tra l'altro la meraviglia del piccolo è una novità dei nostri tempi cioè il microcosmo, le nanotecnologie. La domanda che ti volevo fare prima di coinvolgere anche Mauro e Francesco riguarda un po' di più il tuo lavoro, cioè la scienza: quando tu dici la scoperta scientifica dissolve la meraviglia, che vuoi dire? Apparentemente la scoperta scientifica non produce meraviglia, cioè l'esito della scoperta scientifica dovrebbe essere l'esito di un progetto che non può prevedere lo scarto, se c'è lo scarto c'è il fallimento dell'esperimento…
Giulio Giorello*
E' un po' più complesso ma l'idea è questa. Ma intanto volevo ricordarvi una cosa, che è l'esempio dell'indigeno e del cacciatore bianco; noi oggi potremmo anche pensare che è uno dei tanti esempi di politikal correct, in molti casi oggi siamo più patetici con gli africani che con i colonizzatori inglesi, o proviamo simpatie per i pellerossa americani piuttosto che per gli yankee che li hanno sterminati. Dovete però tenere presente questo, che la battuta di Herschel risale al 1830 e per di più fatta da un signore di origine tedesca, cresciuto nell'élite britannica, convinto che la Gran Bretagna fosse il meglio della civiltà in assoluto. Questo può sembrarci in qualche modo sorprendente ed è interessante, perché appunto l'interesse della scoperta scientifica sta nel fatto che noi riusciamo in certi casi ad avere dei successi che sono imprevisti, che non sono abituali, che non sono standard, non sono di routine; ed è proprio quello che colpisce moltissimo anche Einstein quando nel 1915 gli raccontano che la sua teoria della relatività generale, che nasce da tutta una serie di preoccupazioni, di grande eleganza intellettuale, quasi filosofica direi, permette di spiegare delle irregolarità dell'orbita di Mercurio che aveva costituito per almeno 60-70 anni un problema irrisolto dell'astronomia. Einstein che lo vede alla fine della sua costruzione della relatività prova la contentezza più completa per un successo inatteso della sua teoria concepita per tutt'altra ragione. Non so se è un caso di serendipity, però ci sono dei casi di serendipity, di fortunata scoperta del tutto inattesa. Ne faccio due esempi, perché mi sembrano tutti e due molto carini. Uno è ben noto e tra l'altro è giusto forse richiamarlo ed è la scoperta della penicillina da parte di sir Alexander Fleming che per puro caso scopre l'azione della penicillina e pensate da questo colpo di fortuna di Fleming come è cambiato il mondo non fosse altro per l'importanza che ha aperto la strada agli antibiotici. Faccio un altro esempio che verrà raccontato in un bel libro che ho intenzione di pubblicare tra qualche mese dalla mia collana, ma non sono io l'autore, l'autore è Giacomo Rizzolati che è il direttore del laboratorio di Neurofisiologia di Parma. Rizzolati stava facendo degli esperimenti sui primati e sui priori per vedere come rispondono a certi stimoli gli animali e controllando appunto, lo dico in maniera molto rozza, l'accensione di alcuni neuroni nella mappa neuronale che rappresenta il cervello del primate. Potrei citare anche l'esempio di Cristoforo Colombo che fa i calcoli per andare alle Indie uscendo dalle colonne d'Ercole, dallo stretto di Gibilterra ma sbaglia, però ha scoperto comunque qualcosa d'interessante come il Continente Americano. Vedete che la serendipity avviene nei modi più strani, imprevedibili e che ci fanno pensare che la ricerca scientifica sia una di quelle cose a sua volta meravigliose, perché non la puoi prevedere. Però non è una ricetta che ti funziona sempre e questo è secondo me un grande esempio di libertà intellettuale, però di apertura reale; il reale non obbedisce sempre ai tuoi schemi, qualche volta te li manda in pezzi, tante volte ti indica una strada completamente diversa da quella che ti aspetti, ci finisci dentro quasi per caso. In un qualche senso è vero che la scienza dei manuali ti toglie la meraviglia, però il modo con cui certe persone ci arrivano è meraviglioso e quindi in un qualche senso la meraviglia resta ed è quello che alla fine spinge qualunque ricercatore ad amare il proprio lavoro, sennò non lo farebbe.
Marino Sinibaldi*
Adesso passiamo a Mauro Covacich che è uno scrittore ma anche un autore, non so se definirlo giornalista, scrive reportage oltre che libri quindi ha a che fare col mondo della parola scritta. Francesco Zizola invece appartiene al mondo dell'immagine; sono due linguaggi dove si produce meraviglia e qui entriamo proprio nel campo dei lavori, delle professioni, delle competenze.
L'ultimo articolo di Covacich è uscito oggi sull'Espresso e riguarda Cogne. Cogne sembra proprio la negazione dell'incognito, e come si fa a scrivere sul contrario dell'incognito…
Mauro Covacich*
La cosa difficile di questo incontro è che secondo me noi stiamo praticando fondamentalmente un paradosso che è quello di esortare alla meraviglia, ed è impossibile andare in cerca della meraviglia, è la meraviglia che viene a trovarti. Ben inteso, è bello quello che stiamo facendo, è un po' come se noi ci sforzassimo di aumentare il nostro desiderio visto che è in calo. Non è che si possa aumentare la meraviglia o aumentare il desiderio. Via via che aumenta la nostra conoscenza, anche quella più superficiale, questa sottrae terreno alla meraviglia ed è perfettamente coerente col discorso della stupidità. In effetti per meravigliarsi un po' stupidi bisogna esserlo, cioè bisogna fermarsi ad uno stadio precedente alla conoscenza, resto stupefatto di una cosa perché non l'avevo ancora vista, o mi si manifesta in un modo insolito, è questo il punto. Spesso delle cose che appaiono assolutamente sempre dallo stesso punto di vista, una volta che tu le guardi da un altro punto appaiono insolite. E questo però attiene al mestiere non alla meraviglia.
Vi racconto un esempio tratto da un romanzo, a parer mio molto bello di Martin Amis intitolato "L'informazione". Il libro ha per protagonisti due scrittori uno piuttosto bravo però sfortunato e l'altro suo grande amico, molto meno bravo ma fortunatissimo che ha scritto un libro diventato poi un best seller internazionale. Questo "meno dotato" si ingegna a costruirsi lui stesso una visione e anche un'immagine da scrittore, quindi da poeta, da uno che continua a restare stupefatto e meravigliato dalle cose del mondo, dalle cose più banali; c'è una scena memorabile in quel romanzo che è proprio da sbellicarsi, nella quale c'è l'amico più sfortunato e più bravo che va a trovare l'amico più fortunato e meno bravo e lo trova incantato davanti a un'arancia e lo scrittore brillantissimo, dice: "ma che fai?", l'altro risponde: "Guarda quest'arancia, sono qui da questa mattina che la sto guardando" e cerca di costruirsi lui uno stato di meraviglia. Devo dire che questa operazione indotta oltre che a essere molto ridicola, nel romanzo davvero fa ridere, è dal mio punto di vista la via sbagliata.
I mmaginando il mestiere del giornalista, il mestiere di chi va nei posti per vedere e per raccontare, chi fa i reportage, credo che non ci sia niente di peggio che andare con l'intenzione di meravigliarsi e quindi di meravigliare paradossalmente, perché è proprio un'operazione che contraddice il fatto.
La meraviglia è una cosa che ti viene a cercare ed è una cosa che può solo capitarti secondo me, quindi non puoi arrivare a Cogne o al processo di Torino con quest'ansia di prestazione, per restare alla metafora sessuale, con l'idea di meravigliare, con un argomento così tanto inflazionato vedi i Vespa, Taormina... Se vai con quell'idea fai cilecca, quasi sicuramente fai cilecca. Però poi credo che anche chi va a monte forse ha di suo uno sguardo diverso, cioè ha una prospettiva diversa, che non è detto che sia più poetica, più intelligente, magari ha un modo di restare stupito in una piccola misura che gli altri magari non hanno. Io questo credo di riconoscermelo, non ha a che vedere con un'operazione mentale, ha anche a vedere con il fatto che io riesco a meravigliarmi di cose che davvero sono ridicole.
Marino Sinibaldi*
Quindi la maraviglia è qualcosa che sta, deve stare nel prodotto artistico, letterario, mentre nell'informazione è qualcosa sul quale dovremmo contare. Nell'arte la meraviglia è un connotato necessario. Tolstoj, il più meraviglioso degli scrittori ritenuto almeno da quelli che lo conoscevano una persona un po' stupida, un po' sciocca, diceva più o meno che il problema, e qui è il nodo della meraviglia, è descrivere una cosa come se fosse la prima volta, se si riuscisse ad esempio a descrivere una mano come se fosse la prima volta che vedi una mano, lì ho raggiunto la tecnica. Qui la tecnica non è qualcosa appunto di rilevante, è la capacità di spingermi a guardare, non è solo un gioco acrobatico.
Mauro Covacich*
Io però non stavo deprecando la tecnica, mi attenevo alla prima frase del pieghevole"c'è un gran bisogno di riconoscere il senso della meraviglia nel giornalismo oggi". Allora certo l'arte che tu hai perché c'è una motivazione tua e non perché ti ha mandato il giornale, è diverso rispetto al dovere andare.
La differenza è proprio nell'essere cercati o nell'essere trovati dalla meraviglia e andarne in cerca, era questo che volevo sottolineare, poi certo ci sono mille aspetti anche molto più banali.
Tu dicevi giustamente il problema di giornalista o non giornalista, ma qui non è soltanto una questione di albo è anche la questione del vantaggio che ha uno come me che viene mandato e ha del tempo per pensare sulle cose, per fermarsi e un altro che va lì e deve consegnare il pezzo entro le 9 e un po' si aiuta con le agenzie, un po' con quello che hanno detto i colleghi. Alla fine chi sta nella direzione del giornale non vede quasi mai il mondo, inevitabilmente lo vede sempre trasmesso dalle comunicazioni che ha e con gli occhi degli altri. Restano bunkerizzati e non sanno che cosa succede fuori e chiedono agli altri di andare a vedere. L'esempio emblematico è quello delle Twin Towers quando sono cadute: il conduttore del Tg1 all'inizio chiedeva a Giulio Borelli, inviato a New York: "Scusa Giulio, allora ci puoi aggiornare su che cosa sta accadendo, perché qua ci dicono dall'ultima agenzia che ci sono…." e lui rispondeva: "al momento le cose sono un po' confuse…"; da New York lui non era sceso dal grattacielo per andare a vedere cosa era successo, quindi alla fine questi grandi inviati, non vedono il mondo.
La brutta meraviglia si dice sia impossibile, ma non è così perché poi ha a che vedere con la meraviglia come spunto per risolvere i problemi. In Alice nel Paese delle Meraviglie in effetti c'è una scena bellissima, dove Alice mangiando il fungo immediatamente diventa grande e le si allungano le gambe. Io ricorderò sempre il passo nel punto in cui descrive come Alice si sta preoccupando su come farà, dato l'aumentare della lunghezza delle gambe a riallacciarsi le scarpe. Lì è stato anche il grande genio di Lewis Carroll , di rendere cioè concreta la meraviglia con questo elemento. Alla fine la meraviglia è tale soltanto perché noi tentiamo di ridurla alla soluzione dei nostri problemi, è questo l'elemento che non va mai perso ed è anche quello che dicevate della meraviglia che ti fa avanzare nella conoscenza.
Marino Sinibaldi*
A Francesco Zizola chiederei di soffermarsi sulla variabile del tempo che è decisiva . Mi sembra molto importante anche nel campo della meraviglia. La capacità di dedicare tempo all'osservazione nel tuo caso mi sembra decisivo. Come risolvere questo problema della velocità del lavoro?
Francesco Zizola*
Tra colleghi devo dire che la meraviglia oggi più grande sarebbe riuscire ad avere dei giornali, cioè giornali giornali! Giornali che abbiano come scopo quello di informare. E sarebbe ancora più meraviglioso, visto che ogni tanto la meraviglia va cercata, almeno come desiderio. Stiamo parlando ad un convegno di giornalisti e di meraviglia, quindi di conoscenza, di capacità di aprirsi all'altro, cercare di leggere l'altro, gli altri, ciò che è fuori dalla nostra stanza e questo ha a che fare con la capacità di accettarsi, di accettare le trasformazioni che ogni giorno intervengono nella nostra persona, nella nostra mente. Ha a che fare con la capacità dei giornalisti, dei giornali, o di chi fa i giornali, di rispondere e di stimolare questa curiosità. Oggi mi sembra non solo che sia dato tutto per scontato ma anche che ci sia una grande opera di normalizzazione dei nostri tempi, delle nostre vite, del nostro quotidiano, affinché la meraviglia, il desiderio di conoscenza venga ridotto il più possibile, normalizzato. Gran parte dei giornali, e qui non voglio dire cose che magari sapete già tutti, però giusto mi dà il "la" per continuare, hanno come veri direttori le agenzie pubblicitarie, che vi vogliono vendere degli stili di vita. L'inviato che deve andare a New York, alle Torri Gemelle da Roma, o da Milano a raccontarle, piuttosto che a Cogne, ci va sempre più raramente, come giustamente veniva notato prima; ormai il giornalismo è fatto di rimando sui grandi network televisivi, è un corto circuito di conoscenza che sta portando sempre di più poca conoscenza, a una povertà, a un deserto della meraviglia, cioè a un'incapacità cronica di voler sapere, di aprirsi all'altro.
Fatta questa premessa come fotografo senz'altro ho a che fare con le tematiche della meraviglia, nel senso che io non posso fare una fotografia che riproduca toutcourt la realtà conosciuta e sperare che qualcuno sia interessato a questo. Per comunicare una realtà e quindi comunicarla nel mio caso come giornalista a un pubblico di lettori di giornali, di settimanali che dir si voglia, io devo trovare una chiave e questa chiave non deve essere necessariamente forzosa. La meraviglia come ricordavi tu, non la puoi cercare, senz'altro questo è vero, ti deve trovare, ma tu devi essere disponibile ad accoglierla.
Come si prepara un reportage, una grande inchiesta? Ci si informa; tutti voi sapete come si fa, si parte, si accumula e si formano le conoscenze e si studia, i più seri studiano, i più seri perdono tempo per formare conoscenze, per farsi un'idea che necessariamente sarà un'idea preconcetta, cioè un'idea astratta su qualcosa che poi si dovrà constatare e verificare sul campo. La verifica sul campo che cos'è se non un accettare la sorpresa, la sorpresa del rovesciamento delle proprie opinioni, la sorpresa di un'identità diversa di quella che ci si aspettava di trovare. E questa sorpresa può seguire soltanto sia a una preparazione, a uno studio, ma anche a una disponibilità all'ascolto e questo passa necessariamente per dei tempi che non sono quelli del giornalismo di oggi, di quello nazionale parlo, un giornalismo che contrae i tempi, li riduce allo spasmo, dicono per questioni economiche.
Come fotografo io ho scelto da molti anni di lavorare prevalentemente su realtà internazionali , anche perché non riesco veramente più ad aprirmi alla meraviglia nella mia città, ho quasi un'assuefazione congenita. Ho scoperto in anni recenti una sofferenza dovuta all'impotenza di cercare l'altro nella mia città, nel mio paese, e questo mi si ripropone ogni volta che torno da qualche reportage, dal Continente africano piuttosto dall'Asia. Un reportage viene fatto di solito in più settimane, se non mesi di presenza sul campo. La fotografia è in grado di portarti un'immagine che potrebbe, se ben concepita, offrirti spunti di riflessione e di approfondimento. Fino a che punto può essere utile la fotografia oggi in giornali che sempre più rifiutano questo tipo di foto-giornalismo, che sempre più chiedono un foto-giornalismo che sia di colore, di zapping tanto per avvicinarsi a una visualizzazione televisiva, nello scorrimento delle pagine? Fino a che punto serve questa fotografia che cerca di introdurre elementi di conoscenza quando poi spesso in questi giornali non prevale la conoscenza di realtà che risultano così diverse, così scomode, così fuorvianti per il sistema di vita creato dalla pubblicità, dal mondo dei consumi in cui viviamo, di cui siamo inquinati? Io spesso mi trovo a fotografare e a cercare di comunicare qualcosa con queste fotografie di realtà difficili come guerre, carestie, disastri e questo significa che io fotografo non posso fare il reportage dalla stanza di albergo, o da una redazione, devo io andare vicino al soggetto, devo annusarlo quasi, oltre che parlarci, comunicare, sentire, ascoltare. Spesso ho davanti una persona magari una donna che ha perso i bambini, tutti i figli, tutta la famiglia, piuttosto che un padre che ha visto uccidere il proprio figlio, tanti i drammi di questo genere. Persone, persone che soffrono ed io fotografo bianco, giornalista, vado lì e cerco di carpire la sua immagine e con quale diritto? Perché? Per il diritto dell'informazione? Sarei d'accordo se ci fosse alle spalle dietro un sistema orientato verso l'informazione. Oggi però sempre meno sento questa motivazione. Ne sento altre più personali, più etiche di domande, di tentativi di scuotere questo sistema che rifiuta la meraviglia, che rifiuta anche la meraviglia dell'altro, quindi anche la difficoltà dell'altro, affermerei anzi sempre di più che nega l'esistenza dell'altro. Allora mi viene da pensare, a proposito dell'indigeno di cui si parlava prima, agli indiani di America che rifiutano la fotografia. Rifiutano che qualcuno catturi la loro immagine, la loro anima, dicono perché c'è una corrispondenza reale e qui io sono d'accordo con loro e sono così d'accordo che sostengo che l'atto di fotografare è un atto estremamente violento quando si apre alla scoperta, alla meraviglia dello sconosciuto, come un lampo nelle tenebre. Con un'immagine si può meravigliare, cioè raccontare ciò che scorre davanti ai nostri occhi tutti i giorni, ma che non si nota, non si era notato prima. Una fotografia può cogliere questo aspetto e riportarcelo e farlo in situazioni di grandi difficoltà, di grande dramma, di grande dolore richiede una forma di giustificazione, una forma di responsabilità. Allora la responsabilità potrebbe essere il diritto all'informazione, oppure una responsabilità etica di tentativo attraverso queste anime rubate, catturate, fissate, di comunicarci e farci cambiare, farci uscire dal nostro guscio, dalla nostra corazza che sempre più stiamo creando anche grazie a dei giornali che stanno perdendo la loro direzione, il loro scopo, la loro motivazione principale.
Giulio Giorello*
Vorrei fare una piccola parentesi. Vi porto adesso un esempio recente di cinismo dei nostri giornali, senza fare i nomi di testate o di colleghi. Quest'estate in Niger era in corso una carestia, morivano ogni giorno migliaia di persone. Io sono un freelance quindi non mi rivolgo a un giornale nello specifico, ma quando cerco di proporre, di spingere qualcosa diciamo ho tutti i giornali a disposizione, e non essendo dipendente il più delle volte nessuno pubblica niente, però insomma ci provo; in questo caso era da tempo che spingevo per pubblicare qualcosa su quello che stava accadendo in quel paese e la risposta era: "è una storia triste per i nostri lettori". Io parlo dei quotidiani più venduti in Italia, questa è stata la risposta, è una storia triste ed è estate, i nostri lettori devono riposare… Dopo qualche giorno dalla mia proposta, dall'insistenza, improvvisamente hanno ritrovato in Italia due coniugi assassinati, e quegli stessi direttori che avevano risposto "è una cosa triste", non hanno esitato a bombardare gli italiani con 7-8-9 pagine ricche di dettagli macabri di come sono stati scannati, aperti, sviscerati, decapitati, dove è stata trovata la mano, dove è stato trovato il piede, per una settimana intera; e questa non era una storia triste? Ecco questo mi ha meravigliato. Però la dice lunga sulla meraviglia del giornalismo oggi.
Marino Sinibaldi*
Bell'esempio perché è contraddittorio, poi ci dovremo pensare su, perché apparentemente il nemico della meraviglia è la rassicurazione, invece tu hai citato una cosa che non è proprio rassicurante, anche se in fondo è la storia più banale di tutti i tempi.
Giulio Giorello*
Per concludere con l'esempio: dopo un mese che ne parlava anche il Washington Post, l'Herald Tribune, il New York Times e via dicendo, dopo un mese questi giornali hanno comprato il pezzo fatto da qualche giornalista che era andato inviato in Niger e l'hanno pubblicato. Alla fine dopo un mese, raggiunto non so quale centinaia di migliaia di morti, allora hanno pubblicato la notizia.
Marino Sinibaldi*
A me questa cosa del linguaggio interessa molto, nel senso che è vero che non si può programmaticamente produrre la meraviglia, andarla a cercare, non si può produrla ma si deve riprodurla. L'esempio che mi viene è un racconto che faceva Raffaele Da Capria che è finito nella sceneggiatura del film di Benigni "La tigre e la neve", quindi è diventato, credo, famoso. Da Capria dice che lui è diventato scrittore da quando all'età di 9 anni andò nella villa comunale di Napoli e un uccello gli si posò sulla spalla e provò una sensazione di meraviglia e di gioia talmente grande che corse a casa per raccontarlo a sua madre. Quando arriva a casa lo racconta in un modo tale che sua madre dice: m'bè? Che è successo? E lui sostiene che per tutta la vita ha scritto per cercare di riprodurre la sensazione di meraviglia, stupore e gioia, di pienezza che ha provato in quel momento. Quindi la questione del linguaggio è fondamentale, naturalmente se non si riduce al problema della tecnica e soprattutto se la si vede come un problema di essere aperti alla meraviglia; professionalmente bisogna essere capaci di riprodurla, cioè di non ignorarla, di non rimuoverla, di non sminuirla, di non banalizzarla e di riprodurla.
Giulio Giorello*
Prendo due spunti . Uno è quello che mi pare tu avevi richiamato quando legavi la meraviglia al senso del tempo. Non so chi di voi faceva l'esempio di chi si stupisce ancora perché ficcando la tesserina del bancomat e digitando qualche tasto vengono fuori un po' di quattrini, è un po' come quando da ragazzo io vedevo mio padre che toccava l'interruttore della luce in casa mia e di colpo veniva fuori la luce, un miracolo; poi con il passare dei tempi e grazie a un massiccio corso di fisica all'università mi sono reso conto di come funzionava la faccenda. E lo stesso come il leone di Herschel fa colpo raccontato nel 1830, ma meno dopo tanti documentari di Piero Angela.
Quello che io volevo sottolineare è il fatto che anche la meraviglia è legata al senso del tempo , cambia a secondo appunto di come i tempi passano, di come certe cose vengono divorate dal tempo. Nel codice dei giornalisti, voi siete giornalisti quindi è bene che ci riflettete, c'è l'imperativo di dire sempre la verità e non dire delle balle. Però tante volte uno ha l'impressione che quello che limita la verità di fatto non sia tanto il falso, perché pure una sua dignità ce l'ha, quanto l'insignificante. E poi l'usura: l'usura è da una parte certo l'abuso, la ripetizione, l'abitudine che si istituisce e dall'altra una forma di sfruttamento e quindi questa doppia accezione di normalizzazione e avidità messe insieme. Il caso che si raccontava prima del Niger mi sembra un bel esempio di usura, veramente un caso insieme di normalizzazione e di avidità. Quante volte sentiamo dire che noi vorremmo un paese normale, cosa vuol dire? Un paese normale è quello in cui per esempio il caso dei due coniugi assassinati ci colpisce di più perché ci identifichiamo, perché potrebbe capitare anche a noi. Mentre gli altri sono neri, in Africa…
Ricchi e poveri, sani e ammalati, giovani e vecchi, soli e accompagnati, colti e ignoranti, tutte queste opposizioni sono fondamentali nel gioco della nostra società e penso nelle sfide dei prossimi decenni, però bisogna ricordare che ce n'è ancora una per esempio che non è mica fuori moda: oppressori contro oppressi.
Intervento
Una domanda per Zizola. Volevo sapere se i giornali stranieri si meravigliano di più di quelli italiani, cioè se riesci a vendere i tuoi reportage fuori dall'Italia, che è chiaramente un paese in decadenza.
Francesco Zizola*
Non è che sia molto più salubre la situazione all'estero, però lì dove i valori democratici sono più in pericolo, ossia negli Stati Uniti, ci sono ancora delle regole, è ancora applicato un codice deontologico molto serio. Tanto per citare un esempio: c'è una verifica delle fonti molto seria, nel senso che se qualche giornalista non fa almeno tre verifiche, attinge cioè a tre fonti diverse di una notizia, il pezzo non viene pubblicato, e se un giornalista fa un errore in quest'aspetto, viene licenziato con il suo capo redattore. Questa è una delle differenze diciamo maggiori che marca il giornalismo americano rispetto a quello italiano, dove tutto questo, ditemi voi, se viene rispettato. Vedo i colleghi italiani della televisione, della radio, dei giornali, commettere con molta leggerezza dei falsi, senza nessun pudore, anzi dicendo: me l'ha chiesto il direttore. Questo è uno degli aspetti più dolorosi del nostro giornalismo italiano. Spesso, spessissimo, sempre di più vedo giornalisti anche seri che si lamentano del fatto che devono raccontare realtà complesse in cinque ore. Spesso scrivono il pezzo in aereo prima di arrivare nel posto, danno un'occhiata, lo stesso giorno rimontano sull'aereo e tornano indietro…il pezzo è fatto, grande inchiesta! Questo non può succedere negli Stati Uniti. Lì il giornalismo, anche quello fotografico è diverso.
Due anni fa un fotografo americano che era in Iraq aveva mandato con un modem satellitare le fotografie al giornale, credo fosse il Los Angeles Times, e fu pubblicata la fotografia di un marines in prima pagina; dopo 4-5 giorni un lettore pignolo di questi che ogni tanto si trovano, di questi pignoli che fanno le pulci a tutti, ha iniziato a dire: ma quest'ombra non mi convince… Poi ha scritto una lettera al direttore del giornale, che venne pubblicata, in cui diceva: questa foto è un falso, è stata manipolata, perché quest'ombra qui non dovrebbe esserci, dovrebbe essere in quest'altro senso!
Morale: il fotografo del giornale cosa aveva fatto? Aveva tre foto in origine di diversi momenti dello stesso avvenimento e per fare la foto di prima pagina, non pubblica la sequenza, ma bensì il sandwich costruito con photoshop, cercando di manipolarla in modo da avere tutto in una fotografia per rendere l'effetto migliore. Bene, questo ha significato il licenziamento naturalmente del fotografo, del capo redattore e del direttore da parte della proprietà, che ha fatto una pagina intera, la prima, di scuse ai suoi lettori. Non aggiungo altro.
La situazione rimane grave anche negli altri paesi per quanto riguarda il condizionamento della pubblicità sui contenuti. Questo succede anche negli Stati Uniti. Un magazine per esempio diciamo leadership, un settimanale molto letto e importante, opinion leader come si dice, che è il New York Times Magazines, con la guerra in Iraq ha scelto di privilegiare reportage fotografici ordinati, commissionati, con immagini non cruente. Tutti sapete che c'è stata negli Stati Uniti l'auto censura da parte dei giornali, della stampa tutta su immagini che rappresentassero morti o feriti fra i soldati americani, ma anche possibilmente tra la popolazione civile. All'inizio, i primi 7-8 mesi non si vedevano quasi fotografie di feriti, erano pochissime e selezionate, questo anche in Italia. Io personalmente che ho fatto 3 mesi in Iraq ho fotografato per giornali americani, però quando sono tornato ho cercato di proporre le mie foto anche a giornali italiani e mi hanno detto: benissimo queste fotografie possono andare, queste altre si vedono i feriti, i civili, i morti….no! abbiamo ordini dall'alto di non pubblicare morti e feriti della guerra in Iraq. Allora che comunicazione sulla guerra è se non fai vedere ciò che la guerra maggiormente produce: distruzione, morte e feriti? Il New York Times Magazines ha assecondato i voleri degli inserzionisti.
Intervento (Giovanni)*
A me sembra che i nostri relatori siano tutti abbastanza allineati sul fatto che la meraviglia non va cercata, ma coglie in qualche modo chi la cerca. La meraviglia c'è, però si è perso il senso della meraviglia. A me sembra che il problema sia forse che ci sia troppa meraviglia esposta agli occhi degli ascoltatori, dei cittadini.
Intervento (Ilaria)*
Io credo che ci sia troppa meraviglia, troppo bisogno di meraviglia per poter poi fare informazione. Tre mesi fa c'è stato un terremoto in Pakistan devastante del quale nessuno ha parlato, nessuno se l'è filato. Allora c'è troppa meraviglia? Cioè arriva lo tsunami e se ne parla perché è una cosa davvero grande, una cosa che davvero riesce a meravigliarci, tutto il resto no, dobbiamo aspettare uno tsunami al quadrato per tornare a parlare di questo e dunque per tornare a meravigliarci? Io credo di no. Credo ovviamente che ci sia un problema di misura come dicevano prima, ma di misura nel senso che noi non dobbiamo parlare di quello che ci meraviglia, io non penso che questa professione vada fatta aspettando di meravigliarci, dopo di che si può discutere se la meraviglia arriva verso di noi, come dice Covacich o come dice Sinibaldi invece uno se la deve andare a cercare. Ma non è così; la meraviglia credo che sia un momento della realtà, è un momento della trasformazione della realtà. In un primo momento qualsiasi omicidio arrivi ti meraviglia e poi il momento successivo è l'analisi di quell'omicidio e così un atto parlamentare e così un qualsiasi altro fatto che finiamo col raccontare sui nostri giornali. Allora io credo che questo sia un equivoco davvero pericoloso per chi fa informazione, cioè andare a cercare la meraviglia, lo trovo estremamente pericoloso. È semplicemente un momento, il momento della realtà, c'è la novità e non è più novità, ma questo non significa che non va raccontato, è semplicemente un momento.
Intervento (Daniela)*
Sono anch'io della Rai. Credo il contrario; per me la meraviglia si cerca. Quando ho sentito il titolo di questo seminario mi è piaciuto molto. In realtà quando parlo di meraviglia e informazione, penso alla capacità di andare oltre il senso comune, capacità che si è persa secondo me. Andare oltre il senso comune è un atto volontario e in questo senso dico che la meraviglia si cerca: vedere oltre, vedere dietro, vedere oltre gli stereotipi, vedere oltre i luoghi comuni, vedere oltre quello che già si dice, vedere oltre quello che ci fanno vedere le agenzie televisive, informative o altro. Si è parlato di meraviglia e di stupidità. Io credo che per andare oltre il senso comune ci vuole moltissima conoscenza, moltissima preparazione, moltissima cultura. Meraviglia e straordinario: secondo me nei nostri giornali c'è molto straordinario, però non meraviglia, è lo straordinario che non ti coinvolge, è il nipote che massacra i due zii che piace seguire e non il Niger, un paese allo stremo, un paese alla fame che ci mette in discussione.
Intervento (Marina)*
Sono una giornalista freelance quindi mi ritrovo molto nelle cose dette da Francesco Zizola, potrei scrivere un articolo su tutte le risposte che mi hanno dato i capi redattori di vari giornali. A parte questo, volevo dire invece quand'è che io provo meraviglia. Intanto provo meraviglia quando sento alcune risposte che sono quelle che hanno dato a Francesco, ma sono tante di quelle che hanno dato anche a me; poi provo meraviglia quando vedo le notizie date all'infinito e ho provato meraviglia quando è uscita la notizia del bombardamento al fosforo bianco a Nassiriya di cui non si è quasi per niente parlato. La meraviglia è la capacità di parlare di cose per nasconderne altre molto più importanti.
Intervento (Barbara)*
vorrei avere la vostra opinione su un mezzo che potrebbe aiutare l'informatore, l'operatore dell'informazione, il giornalista, a superare le gabbie del capo redattore e del direttore. Volevo sapere cosa ne pensate del proliferare dei blog come metodo di espressione e d'informazione proprio per scavalcare la gabbia rigida che viene imposta nelle redazioni, anche ai freelance, ovviamente facendo le debite differenze fra il blog giornalistico e il blog idealistico.
Marino Sinibaldi*
Mentre l'ascolto è qualcosa che davvero non c'è, di meraviglia programmatica, ricercata ed esibita sono pieni i giornali. Loro cercano la meraviglia solo che il problema è capire cos'è la meraviglia. Ci sono programmi televisivi che si basano sull'esposizione della bizzarria e quindi programmaticamente sul nostro piacere per la meraviglia, naturalmente è la qualità di quella meraviglia la questione prima, c'è una meraviglia che consolida, che conferma e che in qualche modo rassicura e ce n'è una che sposta. Credo che il problema siano gli spazi ed avete ragione, questa è la cosa principale, sulla quale temo, non avrete risposte. Penso che debba esistere una capacità d'inventare linguaggi che recuperino questa dimensione, che non è lo stupore, che è lo stupore per il cambiamento.
È questione di parole, cioè una questione fondamentalmente terminologica. Abbiamo usato più significati della parola meraviglia e ad esempio anche sulla questione dell'informazione, dovremmo intenderci, nel senso che ad esempio dal mio punto di vista noi siamo molto informati e sappiamo poco. Semmai il problema, come si diceva, è di una iper informazione. I giornali, questo credo sia evidente a tutti noi alla fine, lo dico con disincanto che la nostra realtà dovrebbe infonderci, i giornali non è che pensano ad informare, pensano a stare nel mercato, a non perdere copie, quindi informano di un mondo che tutto sommato noi non sappiamo ancora, ma che potremmo conoscere e che potremmo sapere, cioè informano sempre all'interno di un paradigma di conoscenze e di percezioni che ci stanno bene diciamo, che non intendono sconvolgere davvero il nostro stato e la nostra situazione.
Serve il coraggio . Il proporsi di meravigliare con la concezione proprio del coraggio di mostrarti un'altra cosa che tu non vorresti vedere, nel senso di meravigliarti per shockarti o per mostrarti quanto prestigiosa è questa cosa, ma proprio perché da una cosa normale io posso mostrarti quanto questa è in grado di sconvolgerti, perché tu sia capace di guardarla questa cosa devi avere oltre che conoscenza e tutto il resto una predisposizione a rivoluzionare il tuo atteggiamento, la tua conoscenza, quindi innanzi tutto devi avere coraggio.
Giulio Giorello*
Volevo partire dall'intervento di Daniela perché ciò che lei sottolinea credo abbia più a che fare con il sensazionalismo che con la meraviglia , anche se meraviglia è anche sensazionalismo in qualche modo, scusate il gioco di parole. Però lei conclude con una domanda: che cosa intendiamo per meraviglia, quindi? Quello di cui ci sarebbe bisogno nell'informazione è una buona dose di senso etico della meraviglia, cioè riportare alla minima unità sufficiente e necessaria per fare informazione. Ribadisco ciò che dicevo prima: i nostri occhi forse sono troppo inquinati da un giornalismo che forse è sempre meno giornalismo. La meraviglia forse richiede un processo di purificazione molto semplice, cioè riportare all'origine il ruolo dell'informazione e il ruolo di uomini tra gli uomini, curiosi gli uni degli altri, o scandalizzati, o inorriditi, ma raccontare ciò con degli occhi puliti da queste regole inquinate.
Non nascondo che io ho qualche perplessità sull'uso sproporzionato di internetsempre più importante nell'informazione, perché informa e raccoglie informazioni anche non ufficiali. I problemi sono molti tra cui come riuscire a contenere, a controllare e a reprimere l'informazione su internet, blog o non blog; certo c'è il problema poi del professionismo, cioè dell'accettare regole deontologiche facendo informazione e diffondendola su internet, chiunque lo può fare e chi ci assicura che queste regole siano rispettate o meno? Ecco la problematica è grande però internet sicuramente è un mezzo che è meno controllato oggi come oggi e quindi consente degli spazi di libertà espressiva e quindi anche di meraviglia.
* Testo non rivisto dall'autore.