Intervento di Roberto Natale
Roberto NATALE
Giornalista, è responsabile della Responsabilità Sociale Rai. E’ stato prima portavoce del “Gruppo di Fiesole”, poi vicepresidente dell’Associazione Stampa Romana. Dal novembre 1996 all’ottobre 2006 è stato Segretario dell’Ussigrai (il Sindacato dei Giornalisti Rai)
"Volo Radente" e vittime del generalismo
Roberto Natale - Segretario Usigrai*
Credo che quello di quest'anno - in coincidenza con il decennale - sia il tema della superficialità dell'informazione, l'assenza di memoria di cui bontà vostra avete scritto il generalismo di cui gli stessi giornalisti sono vittime. Le domande di Vinicio me le sono annotate. Di risposte a quelle 3 domando non ne ho se non forse un frammento, un pezzetto. Ci arrivo annotando con me stesso il modo in cui questi stimoli hanno funzionato, per me almeno. Volo radente, significa che abbiamo più edizioni ma meno informazione. Abbiamo le notizie persino sui telefonini. Però la percezione è che le notizie vere ci sfuggano di più. Sulla guerra il problema è quale sia stato il primo Tg a fare la straordinaria. Emilio Fede alle 3.24 oppure RaiNews24 alle 3.22?
Questo è il criterio di giudizio più diffuso. Andiamo bene sulle emergenze, ma ci manca il prima e il dopo. Sulla guerra per intenderci, visto che è tema certo da non rimuovere, credo che ci sia stato un lavoro importante fatto da giornaliste e da giornalisti italiani che da lì ci raccontavano e continuano a raccontarci, ma abbiamo un sistema dell'informazione nel quale non ci si è preoccupati tanto su come si sia arrivati alla guerra.
Denuncio una mia particolare ignoranza, forse non solo mia. Io non sapevo prima dello scoppio della guerra, prima che la guerra entrasse già nella fase più avanzata, cosa fosse questo progetto per il nuovo secolo americano, che quelli che adesso si usa chiamare "neocons" avevano elaborato da metà degli anni 90. Decidevano del futuro di noi tutti, compreso il mio, eppure non erano una notizia, non sono stati una notizia, non li abbiamo visti in faccia, non ne abbiamo sentito parlare se non dopo (parlo di me quindi mi riferisco alla mia di ignoranza) se non dopo le prime settimane del conflitto. Per altro un conflitto nel quale abbiamo visto molti esperti, però non dobbiamo dimenticare che vediamo gli esperti di guerra, non vediamo gli esperti di pace. Cioè abbiamo tutti imparato a riconoscere i Marcelletti, i Natili, i Silvestri.. non sappiamo chi siano gli esperti di pace, perché non sono passati nei nostri dibattiti, nei nostri talk show.
E così la discussione, l'aspetto più evidente è quello delle piantine da Vespa che spostava le divisioni, ha finito per far assumere un aspetto di falsa neutralità a presenze che erano specialistiche, ma diciamo per forza di cose, quasi intimamente connesse alle ragioni della guerra e non alle ragioni della pace. Allora le domande di Vinicio. Chi ordina il volo radente? Qualcosa ha detto Paolo Serventi e sul resto non sto ad aggiungere.
Cos'è una notizia?
C'è una terza domanda. Con quali obiettivi e a chi giova? A me è capitato di sentire stamattina, all'interno di un giornale Rai, ore 8.37 un servizio su come impedire il fastidioso fenomeno del gatto che ci graffia le tende in casa. Dentro un giornale radio, non era una rubrica sugli animali ma il servizio in un giornale radio di 8 minuti, un minuto e mezzo era dedicato a come riconoscere e a come impedire il fatto che il gatto ci graffi le tende di casa.
Anche se la cosa che ho detto adesso suscita sorrisi, è purtroppo serissima. Io da qualche parte per caso ho ancora un ritaglio ingiallito dal tempo, di una decina di anni fa Sandro Viola nelle pagine della cultura di Repubblica, "il dolore non è una notizia". Era un titolo aspro ed era all'inizio dell'epoca in cui cominciammo tutti noi giornalisti a fare servizi sulle lacrime, sul dolore. Intendiamoci il titolo era unilaterale, il dolore può essere benissimo una notizia, ringrazio anch'io Pino, per questo modo di raccontare il dolore. Però abbiamo il dovere di ragionare sul dolore, sul prima e sul dopo, non possiamo fermarci all'emozione. E allora da giornalista del servizio pubblico, c'è una parte che credo competa non esclusivamente, ma principalmente, a quello che il servizio pubblico dovrebbe fare e non fa per meritare questa suntuosa definizione di servizio pubblico. Forse mi è capitato già di parlarne gli anni scorsi, scusate, segno d'invecchiamento, ma continuo a pensare che sia una presa in giro irritante l'uso del termine "reality".
Noi vogliamo che ci venga raccontata, soprattutto dal servizio pubblico, la storia, la vita quotidiana di donne e uomini normali o quasi, senza addentrarmi nella difficoltà dell'aggettivo. E allora le questioni che infuocano la polemica politica, le piglio da un altro versante. Il problema di Biagi che va via non è solo un problema di censura politica, è anche un problema di alleggerimento di contenuti del servizio pubblico.
Cioè meglio far ridere che far pensare. E provo qui a tornare alla terza delle domande che faceva Vinicio: con quali obiettivi? A chi giova? Provo a dare due frammenti di risposta. La prima è una frase che ci ha detto il direttore generale della Rai in un incontro di qualche settimana fa. Sapete qual è il problema della Rai? È che nei programmi Rai si ride poco. Io credo che se facessimo un sondaggio allargato, probabilmente non sarebbe questo il tipo di rimprovero che la gran parte di noi muove al servizio pubblico.
Solo e soltanto consumatori
Un frammento di risposta alla domanda di Vinicio con quali obiettivi e a chi giova. Non so se sembri grossolana, superficiale e ideologica o tutto insieme questo abbozzo di risposta, noi serviamo innanzi tutto come consumatori, come consumatori prima ancora che cittadini e allora è un assetto del sistema della comunicazione che va sempre più in direzione di una nostra considerazione solo e soltanto come consumatori.
Da questo punto di vista, ho già detto: lavoro in Rai, sono segretario del sindacato giornalisti Rai, quindi dichiaro il possibile interesse di parte in atti di ufficio, ma credo che ci aiuti a capire un po' meglio il quadro se le questioni della comunicazione le inseriamo in un contesto più generale. Sento confusamente e mi scuso della confusione, ma che c'è un nesso per il quale parliamo di questo quando parliamo delle notizie sulla vendita degli ospedali. Quando leggiamo delle notizie sulla possibile privatizzazione degli spazi pubblici, le aree demaniali, la vendita dei beni culturali, quando parliamo di spinta crescente alla privatizzazione della scuola. Quest'idea insomma di privatizzazione della formazione e dell'informazione, della cultura e della comunicazione, quell'idea per la quale siamo nei mesi dell'arrivo massiccio di Murdock in Italia, l'idea che la qualità televisiva te la devi pagare, cioè se paghi hai di più, gratis hai solo roba di qualità via via più deperibile. Lo chiamano, gli studiosi, il divario digitale, ma non vale solo per l'offerta digitale.
Allora che fare? Un frammento stava anche nelle cose che Paolo ha detto: continuare testardamente a lavorare nella formazione, per questo siamo così affascinati dall'idea che continui il lavoro che si è consolidato qui a Capodarco. Capita ogni anno di dircelo, ma è utile a noi come momento di ragionamento sui contenuti e sui valori. Sembra strano dirlo, ma a noi capita di fare tale ragionamento più spesso qui che non dentro le redazioni, quasi che fosse considerato ideologico il ragionare anche sui contenuti della professione e sui modelli di vita che la nostra comunicazione, la nostra informazione propongono.
Il documento Cei di un anno e mezzo fa diceva: questa è una televisione che propone il modello di vita "vento nei capelli". Bisogna avere anche il coraggio di affrontare, senza considerarlo troppo ideologico, il ragionamento sui contenuti della comunicazione. Ho scoperto solo dopo la morte chi fosse un marchigiano illustre come Carlo Urbani. Abbiamo scoperto dopo la morte un grande italiano, la cui famiglia è stata poi premiata al Quirinale. Non sapevo chi fosse.
Ignoranza in parte mia ma mi sono chiesto: in quali talk shows ho avuto la possibilità di vederlo? Questa domanda secondo me, vale come legittimazione a dire che interrogarsi sui contenuti dell'informazione non è per nulla ideologia.
* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.