IX Redattore Sociale 6-8 dicembre 2002

Maschere

Gettare via la propria maschera

Intervento di Paolo Serventi Longhi

Paolo SERVENTI LONGHI

Paolo SERVENTI LONGHI

Segretario della Federazione nazionale stampa italiana.

 

Paolo Serventi Longhi*

Grazie a don Vinicio. Le cose che dice colpiscono sempre come cazzotti allo stomaco, almeno a me, le sue suggestioni automobilistiche sono sempre significative. Io proverò un po' a gettare la mia di maschera, invito tutti a farlo, e mi rivolgo naturalmente ai miei rappresentati, ai nostri rappresentati. Io e Roberto siamo i dirigenti rispettivamente del sindacato nazionale dei giornalisti, lui del sindacato dei giornalisti della Rai. Parlava, don Vinicio, di bufera. Cerchiamo appunto di gettare la maschera. Qui non è più nemmeno la commedia dell'arte, mi sembra di vivere in una situazione profondamente grottesca, grangrignolesca se si vuole parafrasare la terminologia del grande teatro europeo internazionale. Vorrei parlare dei giornalisti, parlare di come i giornalisti vivono la realtà, come io la conosco, come io credo di conoscerla, perché magari poi non la conosco tutta. Non so voi come la conoscete, in sala ci sono tanti colleghi che stimo, apprezzo, ci conosciamo da anni, abbiamo fatto tanti percorsi insieme. Allora vorrei un attimino cercare di capire come nascono le maschere, come nasce un lavoro in una redazione nella quale vi sono giornalisti dipendenti che, tra l'altro, sono i più fortunati perché almeno hanno un contratto di lavoro e se uno li licenzia fino a quando Berlusconi non ci riuscirà, possono essere reintegrati da un pretore. Poi ci sono quelli che collaborano, che hanno una collaborazione saltuaria, che fanno qualche pezzo ogni tanto, ci sono quelli che fanno i corrispondenti dai centri piccoli o medi, c'è la grande fascia del lavoro nero e del lavoro precario. Bhe', tutta gente che vive quotidianamente un dramma, tutta gente che si mette una maschera, tutta gente che lavora in aziende che sono di proprietà di quei signori, di quegli imprenditori con "interessi autentici" di cui parlava don Vinicio sottilmente ironico, per quanto riguarda la caratteristica di autenticità degli interessi.

Gli ostacoli per una informazione autentica

La situazione in cui vivono i giornalisti tutti è sempre più grave. Una situazione assolutamente pericolosa rispetto alla quale io più volte ho espresso e esprimo, e questa sera riconfermo, forte preoccupazione, perché le autonomie, le libertà, la verità, la ricerca dell'informazione autentica, sono in questo momento, se non del tutto impedite, fortemente ostacolate. Ci incontriamo a Capodarco da diversi anni, abbiamo monitorato grazie a don Vinicio, la situazione dall'interno, con gente che o è del mestiere, o è del settore, o comunque ha fortissimo interesse per quello che succede nel settore. La situazione è insostenibile. Oggi un giornalista subisce all'interno le pressioni del suo capo, del direttore e a sua volta il direttore subisce delle pressioni inaudite, incredibili da parte delle proprietà, sono ormai pressioni rispetto alle quali l'autonomia professionale non c'è quasi più. Vedete com'è? Bisogna gettare la maschera e dirci le cose come stanno. Quando io dico e faccio affermazioni così categoriche ovviamente non voglio entrare nel generico, dico che ovviamente generalizzando ci sono le persone per bene, i direttori per bene, i redattori capo per bene quelli che dicono facciamo la scaletta della priorità delle notizie con onestà e ci sono quelli meno perbene. I giornalisti hanno sempre meno capacità, forza, voglia, volontà di ribellarsi e di chiedere e pretendere, esigere questa autonomia. Guardate. Io sono rimasto scioccato ieri sera, ho visto il Tg1. a me questa cosa della crisi della Fiat mi ha colpito, credo che abbia colpito tutti quanti. C'era la trattativa. Ho acceso il mio televisore, ho fatto lo zapping sui Tg. Bene, a Palazzo Chigi per i Tg, si era raggiunto un accordo. È stato dimostrato questo accordo con tabelle talvolta in maniera un po' sconclusionata... Lì non si era raggiunto un accordo, lì si era consumata una profonda rottura sociale su una delle vertenze più emblematiche dell'Italia degli anni 2000, di questo inizio di millennio. Muore, va in crisi la struttura portante dell'economia di un paese, cioè la grande industria, mentre la piccola e la media non riescono a decollare. 5.600 persone da dopo domani sono in cassa integrazione. Non è una novità, perché qualche giorno fa una grande banca ha messo, dall'oggi al domani, altre 5.000 persone in cassa integrazione, ma nessuno ne ha parlato. Queste cose dobbiamo cominciare a dircele e dobbiamo far cadere queste maschere una dopo l'altra, perché poi ognuno ha le maschere che più gli sono congeniali.

La distorsione della realtà

Dobbiamo saper dire quando parliamo di giovani che s'impegnano nella politica che il giornalismo italiano, la carta stampata, le televisioni per settimane hanno raffigurato una città come prossima alla devastazione, fino a quando il presidente del consiglio non l'ha confermato il giorno prima, che quello che sarebbe successo, sarebbe stato una devastazione di una città. Dobbiamo cominciare a dire che quello che si sta raccontando nel pre-guerra, in quello che può, spero non sia, ma temo sarà un'altra drammatica vicenda bellica che riguarda tutto il mondo, viene raccontato con pressappochismo, con improvvisazione, che solo alcuni riescono a dare delle testimonianze vere, reali delle situazioni, delle cose che accadono nei luoghi che poi dovrebbero essere teatro della guerra. Vorrei parlare di una cosa della giornata dell'Aids. Ho letto alcuni giornali, ho visto alcune trasmissioni e non sono riuscito a capire perché drammaticamente contraddittorio, su qual è il presente e quali sono i rischi del futuro del morbo del secolo, di questa malattia che miete, soprattutto nel terzo mondo, milioni di morti, con un'incapacità di rappresentare la realtà, con una drammatizzazione da un lato e una rassicurante certezza di soluzione dall'altra. Serve una grossa autocritica. E io chiamo in causa, come sempre faccio in questi casi, la responsabilità non solo e non tanto degli editori e dei padroni che fanno il loro mestiere, ma quella dei direttori. Dico che il sistema, il mondo di chi viene chiamato a dirigere i giornali, è fatto di giornalisti, scelti tra giornalisti. Sono giornalisti che hanno paura. Parlo, naturalmente, non per tutti, perché ci sono rare e importanti eccezioni. Credo che questa situazione che si è determinata nel giornalismo italiano è tale per cui noi dobbiamo avere la capacità di dire basta. Facciamo punto e a capo.

Far cadere le maschere

Noi che siamo stati chiamati a rappresentare i giornalisti dobbiamo cominciare a prendere le distanze. Se poi rischiamo, rischiamo. Cosa rischiamo? Di non essere confermati nei nostri ruoli. Certo, è dura quando si prende anche un bello stipendio, poi da direttore essere retrocesso a giornalista che ritorna su un mercato che voi sapete bene quale mercato sia. Però noi dobbiamo cominciare a fare questi ragionamenti fra di noi. Non so come dire quale potrà essere la strada e il percorso e dove questo percorso ci porterà, non so quanti ci seguiranno e quanti converranno sull'opportunità che questo discorso venga fatto con coraggio, perché la paura dominante è l'assenza di coraggio. Io faccio il sindacalista, noi facciamo i sindacalisti, il nostro dovere è dire ai colleghi di fidarsi del sindacato. E' ovvio, io faccio il mio mestiere, porto avanti la mia croce, quindi dico fidatevi di noi, appoggiatevi su di noi che noi vi appoggiamo, siamo persone per bene, non c'interessano e non abbiamo secondi fini, dovete fidarvi e cercare di raccontare la verità. Naturalmente non basta tutto ciò, ci vuole anche l'arma della politica. Ci vuole una politica che oggi è involgarita. Una politica che esprime una situazione del settore della comunicazione, dell'informazione, che non si tiene, non si regge, in cui viene richiesta la rimozione, di coloro che nel sistema della comunicazione esprimono, cercano di esprimere in varie forme. Criticabili, errate talvolta, ma cercano di esprimere le cose reali e raccontarle alla gente. Credo che la politica non ci soccorre, la politica è diventata complessivamente ostile e nemica. Anche qui naturalmente non si può generalizzare. Io quando parlo della politica mi riferisco soprattutto alle istituzioni, naturalmente qualcuno lo salvo. Per esempio, con tutti i suoi limiti e le difficoltà di parlare sempre chiaro, salvo il Presidente della Repubblica Italiana, che è stato uno dei pochi nel mondo della politica, tra i primi e tra i pochi, che ha detto alcune cose chiare sulla libertà d'informazione.

Dobbiamo saper ascoltare

Chiuderei qua questa prima carrellata di opinioni. Non so se ho detto delle cose forti, ho detto quello che pensavo, ho detto come vivo io questa situazione. La vivo con ansia, se non con angoscia. Tante cose non le ho dette, le polemiche fatte circolano intorno al nostro mondo e non le riprendo. Credo che sia più giusto oggi, in questi giorni, in queste ore, magari qui, guardare dentro la propria coscienza, non fare un'autocoscienza collettiva inutile, ma fare veramente un'analisi reale non soltanto politica delle cose che succedono, delle difficoltà, dei timori che ciascuno di noi ha. Tutto ciò sapendo, naturalmente, che il nostro mestiere è molto delicato, è molto difficile. Lo dico anche ai giovani che lo vogliono fare questo mestiere, che hanno la passione e la voglia di cimentarsi. Non è facile per diversi motivi, ma non è facile anche per il rapporto che c'è tra la propria coscienza e la realtà del mondo che ci circonda. Credo - e questo è l'elemento positivo che accolgo e che voglio dare come segnale per il futuro - che ci sia la possibilità, stando insieme e mobilitandoci insieme, di cambiarlo questo mondo, di cercare di essere tutti quanti più giusti e di raccontare un po' di più questa verità che appare un miraggio che sembra lontano, ma che, secondo me è ancora vicino.


* Testo non rivisto dall'autore.