VIII Redattore Sociale 30 novembre 1-2 dicembre 2001

Nebbia

Dibattito

Interrventi di Marino Niola, Massimo Vergnano, Marco Presta, Antonello Dose

 

Presta e Dose, conduttori de "Il Ruggito del coniglio" Rai due*

Ci ha particolarmente colpito il discorso dell'informazione sociale e cioè parlare di cose che riguardano la nostra vita sociale, la nostra società. Si ha l'impressione che non importi niente a nessuno ma non è così. Il problema è anche quello dell'uso dei termini da parte dei mass media. Per esempio in Italia ci sono 2 milioni di famiglie indigenti, noi venivamo a sapere solo ogni tanto di vicende che riguardano i poveri. Il povero come concetto, non so perché, non sembra fare più notizia. In Tv vai per dire se sei un licantropo, se sei posseduto dal demonio e al tempo stesso hai l'alluce valgo. Da Giletti, per dire o in altri salotti importanti come da Costanzo, non vedi mai il povero. Quello che dice: "Io guadagno un milione e mezzo al mese e sono sotto la soglia della povertà" non lo vedi (poi lo incontri per strada, lo incontri alla stazione, lo incontri al semaforo, ti dà quasi fastidio, perché non corrisponde all'immagine degli spot che siamo abituati a vedere). Comunque non fa notizia. Da Costanzo tu vedi la poetessa nana che legge le sue poesie scritte sotto dettatura di uno spirito assiro e la stiamo a guardare. Il povero lì non lo vedi mai, perché è considerato una cosa che tutto sommato, non solo non fa notizia, ma un po' infastidisce. Infondo il povero che ti può dire? Sono povero e finisce lì. In realtà qui c'è un meccanismo televisivo, una sorta di mostruisizzazione della diversità: se sei mostruoso interessi fino a che lo sei, se sei nell'ambito di una disperazione vera, concreta, quotidiana non frega niente a nessuno. Credo che l'informazione sociale dovrebbe andare in questa direzione, mi sembra che ci vada poco. Ripeto, ci sono alcuni esempi, citavo prima Reporter, che secondo me è un programma che va in questa direzione, però ce ne sono pochi. Credo che fra radio e televisione forse bisognerebbe ritrovare un po' questo tipo di informazione, questo tipo di spazio per il sociale, piuttosto che "non vogliate gradire ora la mummia di Tutancamen che balla il tip tap", perché sennò non se ne esce più. La storia di 2 milioni di famiglie indigenti l'ho letta 6 mesi fa su un giornale, poi basta, non ho visto un servizio televisivo, niente. Ti dicono che è uscito il nuovo disco di Jennifer Lopez, sul Tg2 si parla solo di questo. Tutto questo per dire che ci sono moltissimi spazi dedicati a notizie che forse potrebbero averne meno, tutto qua!

Massimo Vergnano, pubblicitario, presidente dell'agenzia Sudler & Hennessey Europa*

Il discorso che fate sulla comunicazione sociale che dovrebbe trovare degli spazi maggiori in televisione sicuramente è valido. Questa è una domanda che avevo cercato di porre prima, perché purtroppo esistono dei meccanismi di segmentazione. Ci sono gruppi di persone che sono sensibili, altri che non lo sono, il fatto che non siano sensibili ora e che magari leggano "cronaca vera" in questo momento, non esclude che fra 50 anni possano essere più interessati ad altre cose. E' vero che la parte di maggiore impatto è quella che passa attraverso i mass media ma credo che se si vogliono ottenere certi risultati con il sociale, in termini di cambiamento di atteggiamenti, ci si possa anche rivolgere con mezzi più mirati a gruppi più mirati. Oggi credo che la diversificazione dell'offerta di media sia tale da consentire di raggiungere in maniera mirata dei target che sono maturi per certi discorsi; occorre educare le persone attraverso tutta una serie di strumenti. Poi c'è anche l'aspetto di protagonismo sui mass media anche quando si parla di sociale, nella raccolta dei fondi ad esempio..

Marino Niola, antropologo*

Io volevo aggiungere qualcosa sui poveri. Questo interrogativo ci frulla in testa un po' a tutti quanti: perché dei poveri non si parla? Ma soprattutto, più che non parlarne, i poveri danno fastidio oramai, sono colpevoli. Spesso io ho questa impressione: sembra che oggi i poveri siano colpevoli perché hanno perso. In questa immagine, in questo scenario buonistico secondo il quale tutto funziona come una partita dove tu devi vincere, devi essere grintoso e vincente, il povero è uno che ha la colpa di essere un perdente. E sono affari suoi se ha perso! Una volta chi stava bene, il ricco, aveva una specie di senso di colpa per cui dissimulava la ricchezza. Oggi, in fondo, il ricco afferma questa sua pienezza, questa felicità e questo diritto alla felicità, perché poi non a caso oggi i ricchi vanno in questi posti nei quali gli vengono dati stimoli a sentirsi bene nel ruolo di ricco, vengono abituati a pensare positivo, fanno lezioni di dinamica mentale. Escono ricchi e santificati e son cavoli dei poveri se sono poveri, perché non hanno saputo diventare ricchi, non si sono allenati abbastanza. Tanto è vero che non si dice neanche più povero ma si dice "sfigato" e basta, con una punta di fastidio. E questo lo si coglie perfino nei nostri ambienti, dove anche per scherzare ogni tanto ormai qualcuno fra gli antropologi sostiene: "Basta occuparsi dei poveri. Andiamo a farla nei grandi alberghi l'antropologia".

Vinicio Albanesi

Volevo chiedere a Presta e Dose da cosa nasce la loro professione.

Presta e Dose

Nasce da un'antica, drammatica conoscenza in una parrocchia di periferia a Roma dove avevamo "il compito" di dare fastidio al parroco durante le riunioni. Eravamo, come si può dire, i teppisti della parrocchia e abbiamo fatto diventare questa nostra inclinazione una professione. In sostanza nasce da questo, un gioco infantile è diventato poi un gioco di adulti, perché di gioco si tratta, con i lati positivi e i lati negativi del gioco. Ogni tanto qualcuno ci dice: "Se penso che vi pagano per fare quello che fate!". In questo nostro giocare, su questo nostro guardare la realtà attraverso questi occhiali deformanti, viviamo come tutti voi nelle difficoltà di tutti i giorni, tra le sofferenze, tra le speranze, tra le gioie, tra i dolori. Ma in questo modo di osservare la realtà, in quel gusto di guardare i personaggi, gli accadimenti, come se non fossero quasi più reali, credo che sia una forma di impotenza. Sia chiaro, in senso buono, nel senso che ridere di certe cose, lo sberleffo è l'unica forma di reazione che tutti quanti noi abbiamo nei confronti dei poteri veri, che poi sono i poteri forti. E' il vecchio atteggiamento di Rugantino quello di dire: "Me n'hanno date ma gliene ho dette tante!". E' l'unica arma che credo abbiamo tutti.

Domanda dal pubblico

Avete mai avuto problemi per ciò che dite?

Presta e Dose

Ogni tanto ci giunge voce che qualcuno la prende male ma finora non ci hanno mai denunciato. Una volta avemmo un problema con l'aeronautica militare, perché dicemmo una battuta su Ustica che venne mal interpretata... non era vilipendio... Loro la presero male. insomma ci fu un carteggio molto bello con il direttore all'epoca, in pratica chiesero la nostra testa. Dissero più o meno così: "Ma perché non li cacciate 'sti due 'mbecilli?". Questo è l'insulto descritto in forma molto soft. Il direttore all'epoca era Paolo Francia e ci difese.

Domanda dal pubblico

Che fareste qualora vi mandassero via a causa di tutto ciò che dite?

Presta e Dose

Pensiamo di metterci con la Guerritore. Questo è il progetto attuale. Appena va via Zaccaria trrrraaaak (si libera un posto; progetto politico coerente.). Be' no, non ci siamo mai posti questo genere di problema, anche perché credo che pensare che diamo fastidio realmente a qualcuno sia una forma di supponenza.

Domanda dal pubblico

Ma vi è capitato che qualche personaggio abbia protestato davanti a vostri interventi?

Presta e Dose

Ogni tanto. Sono i politici i più permalosi. Poi, che ne so, una volta ha protestato Claudia Mori, anche una volta Gianfranco Agus.

Domanda dal pubblico

A cosa credete che sia dovuto il vostro successo?

Presta e Dose

E' dovuto a voi. Senza pubblico saremmo due disgraziati. Comunque c'è da considerare anche, che quello che dici in radio ha un peso minimale rispetto a quello che dici in Tv. La radio è più leggera, come mezzo è più impalpabile, quindi ha una pesantezza minore della Tv, questo in qualche modo salva anche le nostre famiglie.

Domanda dal pubblico

Nell'offrire trasmissioni di un certo tipo, che ottengono un certo consenso in termini di ascolti, i personaggi del settore, in qualche modo, rispondono a delle richieste che vengono dal basso, dal pubblico. Non credete che se ci sono delle anomalie in termini di offerta d'informazione una qualche responsabilità vada attribuita anche a ciò che determinate fasce di pubblico chiedono?

Presta e Dose

Secondo me siamo davanti ad un serpente che si morde la coda: non si riesce mai a capire bene se è il pubblico che causa i fenomeni o se è vittima dei fenomeni. In realtà credo che tutte e due le cose siano vere alla fin fine. Qualcuno, riferendosi al teatro, ha detto: "Ognuno ha lo spettacolo che si merita, che si sceglie". Si riferiva al teatro ma credo che il discorso si possa allargare a tutto lo spettacolo in genere.

Massimo Vergnano

Sono sempre convinto del fatto che si possa decidere se avere 200 mila, 2 milioni, 20 milioni di ascoltatori. E' una scelta di chi propone un programma: esistono i così detti "prodotti grassi" e "prodotti di nicchia". Credo poi che esistano dei "sottopubblici" particolari: nel tempo, chi è abituato a seguire programmi culturali di un certo livello, potrebbe gradire spettacoli diversi, magari più leggeri, d'intrattenimento. E cambierebbe la richiesta da parte del pubblico con conseguente modifica dell'offerta.

Presta e Dose

Quando c'è stato Benigni con "La vita è bella" c'è stato il più grande record di tutti i tempi per un film sulla televisione italiana. Questa cosa fa sperare ancora in una sensibilità ma quello che preoccupa è che, in realtà, si sia trattato di un film, non un programma televisivo.

Giovanni Borghi

Volevo fare una domanda ad dottor Vergnano. Volevo sapere se basta la Pubblicità Progresso per pulire l'anima dei pubblicitari. Chi lavora nei giornali sa bene quanto peso abbia la pubblicità nella definizione del timone. Si arriva al paradosso che il timone passa prima in mano al pubblicitario che non in mano al capo servizio, se non al direttore. Oggi abbiamo la possibilità di confrontarci con voi, i pubblicitari, che a volte ci imponete e quando dico imponete lo dico a ragion veduta, certi tagli piuttosto di altri, certi interessi piuttosto di altri: se non li facciamo non c'è pubblicità e la testata muore. Basta la Pubblicità Progresso o forse è il caso che anche voi pubblicitari iniziaste a guardare con un po' più di morale tutto quello che ci circonda?

Massimo Vergnano

Pubblicità Progresso è una componente che risponde a certe logiche. Venti anni fa si è fatta la prima campagna sulla donazione del sangue, poi sul fumo. E'  veramente pubblicità su temi sociali, niente di più. Non credo che al pubblicitario serva come lavacro della coscienza: esistono tematiche sempre più incalzanti in cui comunque è necessario fare della comunicazione di tipo mirato a far conoscere i problemi, cambiare certi atteggiamenti, certi comportamenti. A livello di mezzi d'informazione non mi sembra che la pubblicità sociale manchi. Ieri ho visto la notizia dell'esistenza di una campagna fatta da Armando Testa, con testimonial Sofia Loren: saranno distribuite 13 mila cassettine per la raccolta delle monetine a vantaggio dell'associazione italiana per la ricerca contro il cancro. Con un testimonial molto noto che parla a un certo target, anche quello che va ai supermercati, credo che sia abbastanza facile mettere su miliardi.

Giovanni Borghi

Io  ho fatto un'inchiesta sui bambini di Brancaccio nel centro "Padre Nostro" e i volontari del centro hanno dei grossi, grossissimi problemi a modificare il messaggio che arriva a questi ragazzi attraverso le vostre pubblicità. Sono ragazzi che per comprarsi il cellulare che fa tanto tendenza e fa tanto fico, vanno poi a scippare o vanno a spacciare. E' questo quello che dico. Non parlavo di campagne rispetto al cancro ma di un messaggio che arriva in un certo modo e in determinate situazioni può essere catastrofico.

Vinicio Albanesi

La pubblicità sociale sta crescendo. Crescono le campagne di sensibilizzazione, le associazioni. Che lettura date di questo fenomeno? Ormai non c'è un'associazione che non abbia 30 ore per la vita...telethon...il midollo spinale...spina bifida...

Domanda dal pubblico

Era proprio su questo che volevo intervenire. Io mi auguro che i soldi raccolti con questo tipo di pubblicità vengano spesi bene. Ho avuto occasione, professionalmente, di seguire alcune iniziative legate a telethon: i soldi di telethon sono serviti effettivamente per alcune ricerche ma una mia sensazione è che specialmente quella che citava lei in questo momento delle monetine raccolte con Sofia Loren, con tutto il rispetto per Sofia Loren, siano delle iniziative fatte più, come si diceva prima, per lavarsi la coscienza. Io credo, invece, che ci sarebbe la necessità anche nella pubblicità di impostare le cose in maniera diversa così anche nella comunicazione. Da un lato è impensabile che i giornali si occupino solo di questi temi. Io ho lavorato molti anni anche nei quotidiani e tutti convengono sul fatto che non sia possibile scrivere in una certa maniera degli incidenti e degli omicidi: la gente, però, sui giornali, tutti i giorni legge proprio quelle notizie e se non ci sono non va bene. Non dimentichiamoci che, al di là di tutto, il giornale deve vendere. E' un prodotto come un altro ed è inevitabilmente soggetto alle leggi di mercato. Secondo me la soluzione può essere quella di avere la consapevolezza che insieme a certe notizie, che è inevitabile che ci siano, si possano ampliare degli spazi di riflessione su altri argomenti. Il quotidiano, oramai, per le sue caratteristiche (prima tra tutte la velocità dell'informazione), non ha più la necessità di dare la notizia come avveniva una volta perché fra un po' la notizia ce la propinano pure sul cellulare. Ecco che il discorso diventa molto più ampio: bisogna pensare al ruolo che un quotidiano dovrebbe avere. Insomma, potrebbe raccontare certe cose, anche partendo dai fatti tipo Erika e Omar, approfondendo un argomento che vada oltre la notizia di cronaca.

Massimo Vergnano

Voglio solo dire una cosa. E' normale che in un quotidiano, in un giornale, in una rete televisiva ci sia quello che, come dice lei, fa vendere. Ma è necessario che ci sia anche altro! In fondo la comunicazione è questo: è fatta di temi alti, di temi forti, di temi quotidiani, di temi frivoli o banali. Poi, però, è anche giusto e rientra nelle logiche di mercato che ci siano delle fasce, una diversificazione dell'offerta fisiologica. L'importante è che ci sia la capacità di orientarsi dentro tutto questo e, soprattutto, che i giornali non diventino surrettiziamente una sorta di informazione pubblicitaria, che nessuno riconosce. La questione è tutta qui.

Presta e Dose

Noi come media cerchiamo di sostenere tutte le iniziative di beneficenza e lo facciamo volentieri, seguendo la nostra sensibilità. L'inflazione di tanti messaggi, però, rischia in qualche modo di assuefare il fruitore. Io personalmente non so come sono finito negli indirizzari di tutti gli enti benefici da S. Antonio al WWF, all'Aism, all'Aier. Ho veramente dei pacchi di richieste di denaro che se dovessi semplicemente dare 100 mila lire, per dire una somma minima, a ognuna di queste realtà, sarei rovinato, lavorerei unicamente per fare beneficenza! Potrebbe andare benissimo, può essere una scelta, ma insomma... Dall'altra parte vedo la richiesta che ci ha fatto ultimamente l'alto commissariato delle nazioni unite, proprio l'UNHCR: lì ci sono 4 milioni e mezzo di profughi, sta arrivando l'inverno, ci sono 300 mila bambini che rischiano di morire di freddo prima ancora che di fame e loro hanno una grandissima difficoltà a veicolare questa emergenza. Su questi 4 milioni e mezzo di vite che rischiano di morire per freddo, fame, disagi non si è letto o sentito niente. Sono comunque vite, il rifugiato è uno che esce di casa con i vestiti che ha addosso e improvvisamente non ha più niente, si trova in mezzo al deserto afghano. Ho la fortuna di conoscere l'addetto stampa che è Laura Boldrini, tra l'altro una persona veramente dedita e motivata nel cercare di fare informazione: hanno fatto una campagna contro l'indifferenza. Più che chiedere di mandare soldi, più che date il numero verde dell'UNHCR a cui inviare denaro per comprare il latte, le tende e le cose che servono a salvare delle vite umane, ci hanno chiesto di lanciare una campagna di una firma contro l'indifferenza. Si tratta di un'iniziativa voluta proprio perché è come se ci fosse una sorta di assuefazione al problema.

Domanda dal pubblico

Vorrei porre due domande. Quali difficoltà avete avuto o, se ci sono state, le apprensioni che si sono alimentate nel trasferire una formula così vincente alla radio in televisione. L'altra riguarda il problema dell'informazione istituzionale ossia il problema di quell'informazione che, passando attraverso organi istituzionali, può essere a volte molto pericolosa perché trasferisce in un messaggio di "pace" in realtà un messaggio politico. In quel caso, parlo al pubblicitario, qual è la chiave che si utilizza? Ricordo, per esempio, l'intervista di una famosissima giornalista ad un'ancora più famoso esponente politico in un periodo elettorale: quella aveva una giustificazione, il messaggio istituzionale nel corso dell'attività ordinaria, invece, diciamo la verità, non in periodi pre-elettorali, può prestarsi a varie interpretazioni...

Presta e Dose

Per quanto riguarda la trasposizione televisiva credo che sia improponibile (ma ci avete visto?!?!). A parte quello, a parte la deformità, quello del "ruggito del coniglio", credo che sia un linguaggio radiofonico, che proponga un tipo di umanità che è quella vera, che non so fino a che punto interessa realmente in televisione. Chi ci chiama racconta la piccola ironia della quotidianità e credo che sia una cosa veramente distante da quelli che sono i progetti televisivi in questo momento. Mi sembra che interessino altre cose... Credo che farebbe meno trend d'ascolto, perché ripeto, quello che può interessare è mettere in scena la stravaganza della gente, non la vita quotidiana. Qualcuno ce l'ha anche proposto ma credo che in noi ci sia sempre stata la certezza che fosse un errore farlo. Per quanto riguarda il messaggio istituzionale, bè, noi di messaggi istituzionali per fortuna ne diamo pochi, insomma...

Domanda dal pubblico

Non so se faccio una forzatura ma a mio avviso voi esprimete un po' diverse sfaccettature dell'antropologia: quella accademica, mi viene da dire, quella dei nostri "conigli", quella mediatica e quella del pubblicitario. Si tratta di tutte sfaccettature delle quali abbiamo bisogno per capire un po' che tipo di persone vivono nel nostro paese. Mi piacerebbe sentire da ognuno che tipo di persone emerge, ognuno relativamente al proprio campo, alla propria competenza. Ad esempio io notavo, essendo un'ascoltatrice assidua del "Ruggito del coniglio", come cambiano anche le tipologie degli ascoltatori e comunque come cambia l'approccio alla vostra trasmissione nel tempo. Non è solo una questione di abitudine o comunque di dimestichezza con questo tipo di trasmissione, di linguaggio: le persone cambiano e probabilmente voi, nel tempo, avrete anche avuto sentore di questo cambiamento.

Marino Niola

Oggi, in fondo, tutti siamo costretti a fare gli antropologi: riflettere sull'identità e sulla differenza, su come si fanno certe cose da noi e come si fanno altrove non è più teorico, una questione di tolleranza o di umanesimo o di coscienza. Oggi l'alterità ce l'abbiamo in casa e quindi il fuoco delle nostre questioni, dei nostri problemi è diventato questo. Qual è il luogo dell'identico e qual è il luogo del diverso? Come si incarna e in quali forme? Che forme prende? Siamo fuori dall'universo della tolleranza. Oggi la tolleranza si riduce sempre di più a qualcosa di molto misero e molto meschino che è il tollerare, ma noi sappiamo benissimo che la tolleranza non è questo, non è tolleration ma è tollerans che è un'altra cosa, molto più ampia. Quali persone emergono? Oggi emergono molto spesso delle persone e delle pratiche in via di teorizzazione, in via di definizione: facciamo, ma non sappiamo bene quello che facciamo, o emergono fasce sempre più alte, più ampie di quelle che Alessandro Dal Lago chiama "non persone". Questo secondo me è il panorama: quello che emerge soprattutto è una metamorfosi, una trasformazione molto rapida. Noi navighiamo ma non abbiamo strumenti per navigare.

Presta e Dose

Io fondamentalmente sono un inguaribile ottimista: penso che lo stesso fenomeno guardato con gli occhi ottimisti possa sviluppare in bene, in maggiore coscienza, in maggiore sensibilità, in maggiore consapevolezza del fenomeno stesso. Rispetto, cultura, dialogo sono tutte le cose di cui c'è un gran bisogno. Dipende da noi, da ognuno di noi.

Vinicio Albanesi

Che ci dite del vostro pubblico? Come si è trasformato?

Presta o Dose

Abbiamo iniziato 7 anni fa pensando di rivolgerci a un pubblico di massaie, senza togliere niente alle massaie. Poi nel tempo c'è stata una sorpresa: in questo gioco è come se fossero rimaste intrappolate persone di ogni genere, un target assolutamente trasversale che nel tempo ci ha sorpreso. Non so, facevamo la rubrica sugli esami universitari e ci chiamavano a valanga gli studenti universitari. Dicevamo: ma allora anche gli universitari...ma non studiano a quest'ora? Che ci sentono a fare? La sorpresa è stata grande. E' la radio che crea una corrente affettiva. Mi ricordo degli incontri più emozionanti. Non so...una coppia di anziani, lui si era operato al cuore, 5 bypass e sono venuti a salutarci per ringraziarci perché la trasmissione era stata importante per affrontare l'operazione. Una volta guarito è venuto a trovarci e siamo usciti fuori e questa signora mi si è aggrappata ed è scoppiata a piangere e io appresso a lei. E' stato un momento bellissimo che dà senso poi allo svegliarsi alle 6 di mattina a fare queste cose anche se, al momento non ti spieghi, perché. Perché la radio è così. Un'altra cosa, poi, è che gente di ogni genere ci è sfuggita di mano. Non che l'abbiamo mai avuto in mano, in realtà. Intendevo dire che abbiamo scoperto che c'è un pubblico, il pubblico radiofonico, che non è il pubblico del "mi dia un aiutino". Si tratta di gente che ha cose da dire e che le dice in un rapporto assolutamente paritetico con chi conduce il programma. Non abbiamo mai mirato a un target, io ho creduto per anni che il target fosse il nome di un antibiotico e voglio continuare a crederlo. E' un concetto che mi dà fastidio; dividere gli esseri umani come i quarti di bue. Il non aver mirato a qualcuno in particolare ha fatto sì che ci ascoltassero persone di diverso tipo e questa è, per noi, una fortuna immensa. Come è cambiato il pubblico in questi anni? Io credo che ci abbia insegnato molte cose. Siamo più noi che abbiamo cercato di adeguarci al pubblico... E' un pubblico straordinariamente presente e informato, poi può essere d'accordo con noi o non esserlo, ma è comunque una sacca di vitalità e di intelligenza, di energia che in qualche modo ci insegna delle cose. Francamente devo dire che siamo noi che cerchiamo di stare dietro al pubblico e spero che ci si riesca. Non è facile, però ci si prova. Non abbiamo mai avuto l'impressione né la capacità di veicolare noi loro. Questa è una cosa che mi fa pure un po' paura ogni tanto, nel senso che hai l'impressione di essere il sacerdote di un rito che non dipende da te. Tu ne sei sacerdote perché sei dalla parte... Insomma, quando rompo troppo ditemelo. Fermatemi. inizio a benedire e lì...mi cacciano, giustamente...


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.