Incontro con Umberto Di Maria e Marilisa Monaco
Umberto Di Maria, giornalista, fondatore del mensile Terre di Mezzo*
Questo workshop ha un titolo molto interessante per chi fa informazione: "Nuove flessibilità, nuovo lavoro e nuove povertà". In termini simbolici, quasi metaforici, analogici, le due cose sono legate: nuove forme di lavoro e nuove povertà. Il nostro immaginario ormai è abitato da luoghi comuni che accomunano le due cose, le nuove forme di lavoro, flessibilità e nuove povertà, come se dovessero coincidere. Il workshop sarà condotto da me, Umberto Di Maria, e da Marilisa Monaco. Io sono un giornalista, tra i fondatori di una piccola rivista che si chiama "Terra di mezzo" e un'altra che si chiama "Altreconomia". Sono incappato nel settore lavoro proprio all'alba della scoperta del popolo del 10%, era il 1997. Da allora ad oggi sono cambiate molte cose: in Italia è stata introdotta una legge fondamentale che ha discriminato l'apertura del mercato del lavoro a nuove forme di flessibilità, che è il pacchetto Treu e in concomitanza ci siamo portati dietro anche un'attenzione e una rinnovata capacità di leggere i fenomeni legati alla povertà. Si è scoperto che le povertà sono in aumento, che sono differenti, ce ne sono di vari tipi. Perché oggi è importante parlare di nuove forme di lavoro e nuove povertà a dei giornalisti? Perché crediamo che sia importante, all'interno di questo seminario, riuscire a dare gli strumenti per identificare come questa società stia cambiando dal di dentro e quali cambiamenti è possibile identificare in uno scenario comprensibile per chi ci è dentro. Molto spesso chi fa questo lavoro si trova ad esaminare una complessità nella quale non si hanno gli strumenti per indagare, lo si fa tecnicamente se si ha un passato ricollegato al sindacato o a dei temi di economia del lavoro, oppure utilizzando storie di vita. Di questo parlerà Marilisa Monaco che su questi temi è la persona che, nel mio lavoro, che è una persona rara. Non ci sono moltissime persone che in Italia siano capaci di dare una prospettiva a questo settore delle nuove flessibilità inquadrandola da un punto di vista sia delle relazioni sindacali, che nella tipologia economica del mercato del lavoro. Marilisa si occupa della comunicazione dell'Ivi nazionale. L'Ivi è la nuova identità del lavoro: è una struttura all'interno della Cgil, sorta proprio in seguito all'identificazione di queste nuove forme di lavoro, è la struttura che all'interno della Cgil ha registrato il più grosso consenso, ha registrato quasi il raddoppio dei propri iscritti da un anno all'altro con un incremento del 194% rispetto al 1999. Marilisa ha un linguaggio chiarissimo ma profondamente tecnico, è una persona che richiede molta attenzione e adesso passerò a lei la palla per introdurvi il workshop sulle nuove forme di lavoro. Per essere chiari su quello che si dirà oggi vi esporrò la scaletta di quello che vorremmo dire. Innanzi tutto partiremo spiegando quali sono i luoghi comuni sui lavoratori flessibili e sulle nuove flessibilità. Parleremo in definitiva di chi sono gli atipici e i flessibili sulla base delle ricerche dell'Ivi. Cercheremo di identificare l'attualità sul problema delle flessibilità del lavoro e alla fine cercheremo di identificare alcuni scenari di riflessione sul mondo del lavoro e sulle nuove povertà. Iniziamo allora con i luoghi comuni legati ai lavoratori flessibili e al lavoro atipico. Gli interventi sono previsti per la fine del workshop. Se qualcuno ha qualcosa da dire si alza e dice: io vorrei dire qualcosa. Quindi interrompiamo e risponderemo immediatamente.
Credo che Marilisa caratterialmente sia molto portata all'argomentazione e al dialogo, quindi sfruttiamo queste caratteristiche e se qualcuno vorrà dire qualcosa all'interno dei nostri interventi si reputi libero di fermarci e di fare la domanda. A Marilisa l'inizio del workshop sulla parte dei luoghi comuni riferiti ai lavoratori flessibili.
Marilisa Monaco, capoufficio stampa Nidil Cigl*
Da 3 anni la stampa dice che crescono i nuovi lavori e questo penso che sia un grande luogo comune perché viene da interrogarci: "Ma quali lavori?". Ebbene non è così, i nuovi lavori crescono nel senso che sicuramente si affacciano sul mercato nuove professionalità: chiaramente sono legate soprattutto allo sviluppo tecnologico, della comunicazione, però in realtà quando si parla di nuovi lavori, nella stragrande maggioranza dei casi si parla di lavori assolutamente in essere anche da 40 anni, ma che vengono fatti, esercitati, svolti dai lavoratori con delle nuove modalità contrattuali. Cosa vuol dire nuove modalità contrattuali? Vuol dire che questi lavoratori non hanno un contratto di lavoro a tempo indeterminato, un contratto di lavoro tradizionale, quindi sono dei lavoratori flessibili, i loro contratti e i loro rapporti di lavoro hanno una durata assolutamente varia e quindi non hanno tutta una serie di protezioni sociali, non usufruiscono, non godono di una rete di professionalità sociale che nel nostro paese è legata al lavoro fisso. Questi lavoratori, poiché non hanno un contratto standard, cioè a tempo indeterminato, sono definiti atipici. I lavoratori atipici di cui ci occupiamo stamattina e di cui parliamo sono i lavoratori coordinati e continuativi, i lavoratori associati in partecipazione, i lavoratori interinali.
Umberto Di Maria
Gli associati in partecipazione in particolare chi sono?
Marilisa Monaco
Il contratto di associazione in partecipazione è un contratto secondo me capestre, nel senso che è una delle forme peggiori di flessibilità in questo paese. Si tratta di quei lavoratori che hanno un contratto per cui partecipano agli utili di un'impresa, il loro compenso in realtà consiste in una quota degli utili dell'impresa. Chiaramente in cambio di questa quota loro promettono la loro forza lavoro.
Umberto Di Maria
Per fare un esempio concreto sono i lavoratori delle cooperative?
Marilisa Monaco
No, sono un'altra cosa
Umberto Di Maria
Dove li troviamo?
Marilisa Monaco
Possiamo trovarli nella pizzeria di fronte a dove io lavoro: i gestori, i proprietari di questa pizzeria, hanno costituito un'associazione e i loro camerieri lavorano presso la pizzeria come associati in partecipazione. Non hanno uno stipendio fisso ma hanno una percentuale sugli utili della pizzeria. Il problema è capire, intanto, se loro possono accedere davvero ai libri contabili e controllare se la percentuale che viene loro data corrisponde davvero a quella stabilita, perché non basta che il padrone dica che hanno guadagnato tot milioni, dovrebbe pure dare la possibilità a questi lavoratori di controllarlo, cosa che non avviene molto spesso. Possono essere sia persone che hanno funzioni operative, sia persone che fanno mestieri di alta professionalità. I services della comunicazione, ad esempio, usano sempre di più questa forma di contratto, nel senso che si associano i lavoratori in partecipazione rispetto all'azienda. Chiaramente l'associazione in partecipazione può essere sia agli utili complessivamente al lavoro dell'azienda, sia solo per un progetto. Gli altri lavoratori atipici da tener presenti sono gli interinali. Spesso si parla di lavoratori atipici, quando si parla di lavoratori atipici si parla anche di lavoratori a tempo determinato, di lavoratori a part-time, di contratti di formazione, di contratti di apprendistato. Bisognerebbe imparare a distinguere. Certe forme contrattuali prevedono flessibilità, ma non configurano lavoratori atipici: questi lavoratori hanno dei contratti con leggi che regolamentano la loro posizione lavorativa sul mercato del lavoro. Hanno tutele, forme di flessibilità ma non sono atipici. L'altro luogo comune che viene spesso detto è che questi lavoratori sono giovani: non è vero. L'unica fetta di lavoratori veramente giovani in questo campo, in questo mondo, sono i lavoratori interinali: il lavoro interinale è un lavoro giovane. Vorrei chiarire che, da questo momento in poi, quando parlo di dati, intendo collaborazioni coordinate e continuative perché sono gli unici dati disponibili in quanto, essendo questi lavoratori obbligati a iscriversi al fondo Inps 10-13%, sono gli unici sui quali possiamo ragionare su cifre. Dicevamo dei giovani. La differenza fra giovani e non giovani ci aiuta a ragionare e a capire chi sono i lavoratori di cui parliamo, perché non essere giovani e avere delle forme contrattuali atipiche in qualche modo vuol dire essere strutturali. Queste forme di lavoro non sono solo una forma d'ingresso nel mondo del lavoro, stanno diventando sempre di più una forma di permanenza nel mercato. L'età è importante anche per capire dove si va. Non è vero che ci sono solo giovani: si parla di "imprenditori di se stessi", senza eccessivi vincoli di età. E' l'approccio al lavoro che cambia: le persone nel lavoro hanno forte identità, c'è l'idea di fare un lavoro che piace, che gratifica, che permetta di esprimersi. Questo è sempre più importante: c'è una tendenza a voler esercitare la scelta del lavoro e quindi ad essere disponibili a diventare imprenditori di se stessi. In realtà non tutti questi lavoratori hanno la possibilità di esercitare la propria scelta. Esercitare la scelta di essere imprenditori, scommettere su se stessi, sulla propria professionalità, spesso in Italia è un gioco d'azzardo, quindi o hai le spalle coperte, o hai le condizioni per cui questa scelta te la puoi permettere. Altrimenti va a finire che la scelta la subisci. Ti offrono un lavoro con queste modalità e tu lo accetti, non hai un potere contrattuale da dire no io voglio altro. Il diritto di scelta, quindi, è limitato a pochi lavoratori soprattutto a quelli che hanno un potere contrattuale individuale forte. Il potere contrattuale di un lavoratore è legato alla sua professionalità, come la può spendere sul mercato del lavoro e quello che può offrire al proprio committente, in questo caso allora c'è la possibilità di scegliere. Il limite della contrattazione individuale e, quindi, del potere individuale del lavoratore, comincia ad essere recuperato grazie ai primi esempi di contrattazione collettiva che ci sono in Italia ormai da 4 anni. Cominciano ad essere messe in piedi delle esperienze di contrattazione collettiva per questi lavoratori che divengono più forti. In qualche modo gli viene permesso di acquisire un potere contrattuale maggiore. Queste esperienze di contrattazione collettiva sono soprattutto di tipo aziendale, nel senso che un'azienda che ricorre a una certa consistenza di collaboratori decide di regolamentare i rapporti di collaborazione all'interno della sua azienda. Decide insieme al sindacato: quando si può ricorrere al lavoro di collaborazione in quei casi, in che cosa consiste questa collaborazione.
Questo è molto importante per evitare abusi, cioè per evitare che lavoratori che lavorano con contratti in collaborazione, in realtà, poi siano dei lavoratori a tutti gli effetti dipendenti di quell'azienda. Il contratto di collaborazione permette di abbattere i costi del lavoro, quindi la contrattazione collettiva mira a garantire i diritti di tali lavoratori. Vorrei aggiungere che nessuno obbliga questi datori di lavoro a stipulare contratti. Non c'è una legge in Italia che regolamenti giuridicamente questi rapporti di lavoro, per cui nessun datore di lavoro è tenuto a fare col sindacato accordi, né è passibile di alcunché se non li fa.
Umberto Di Maria
Non c'è nessuna legge che in Italia regoli i rapporti di collaborazione e quando si va in vertenza, si arriva di fronte al giudice del lavoro, per quanto riguarda le collaborazioni, molto spesso le uniche norme alle quali gli avvocati e i sindacati possono appellarsi sono le norme del codice civile che risalgono al '42. Non esiste altra giurisprudenza in merito, quindi di fronte alla difendibilità dei collaboratori non c'è nulla.
Marilisa Monaco
Gli orientamenti giuridici in questi anni sono cambiati molto. C'è comunque da dire che il lavoro atipico si afferma laddove c'è lavoro, dove l'economia funziona. Non è vero che il lavoro atipico crea nuova occupazione.
Umberto Di Maria
Crea lavoro dove c'è, dove non c'è lavoro non ci può essere flessibilità.
Marilisa Monaco
Questo è importante. Crea opportunità di lavoro laddove l'economia funziona, quindi si avrà una presenza di lavoro in generale. Il lavoro interinale è presente soprattutto nelle industrie metalmeccaniche, parliamo di percentuali che superano l'80%. Per quanto riguarda invece le collaborazioni coordinate e continuative, le occasionali, le persone non regolamentate, queste sono presenti ovunque. Diciamo che nascono, crescono e proliferano nei settori più innovativi dell'economia, soprattutto nei servizi alla persona e all'impresa. Molto spesso questi lavoratori pur vivendo in cicli produttivi esternalizzati, fuori dalle aziende, dalle fabbriche, in realtà svolgono un lavoro strutturale. L'attività che loro svolgono è assolutamente dentro l'economia e l'organizzazione del lavoro dell'azienda per cui lavorano. Rispetto agli altri lavoratori loro hanno molto meno diritti e molte meno garanzie sociali.
Umberto Di Maria
Siamo giunti al discorso della difendibilità o meno dei collaboratori. I lavoratori occasionali, quelli in pratica che rilasciano la ritenuta d'acconto per una tantum, non la coordinata e continuativa, quella con cui si attesta io ho fatto questo e questo mi devi dare, questi lavoratori dal punto di vista della tutela non sono difendibili nel processo del lavoro. Tra parentesi, si tratta di un processo molto formale. L'unico punto di diritto al quale possono attingere è quello del giudice di pace sotto la cifra dei 5 milioni e sopra i 5 milioni si arriva addirittura in tribunale. Questo vuol dire che queste cause sono iscritte al ruolo e devono essere pagati i bolli, il lavoratore deve farsi carico di queste spese che non sono mai meno di 300 mila lire. A fronte di cifre molto spesso non superiori ai 3 milioni, 3 milioni e mezzo (che sono quello che normalmente è ritenuto un mensile o comunque un progetto di media grandezza) molto spesso il lavoratore decide di non andare in vertenza e di prendere quello che gli viene dato perché non può ricorrere, perché non è tutelato da una normativa e tanto meno dalla giurisprudenza.
Marilisa Monaco
Ci sono lavoratori che è difficile definire collaboratori. Fanno dei lavori che, in realtà, per loro natura, non hanno un tetto, un elemento di autonomia, di autodeterminazione. E poi non si può pensare di vera collaborazione dei lavoratori per sempre: questi sono due grandi problemi. Fino a 2 anni fa c'era il divieto, in qualche modo implicito, di ricorrere alle collaborazioni per lavori che avevano delle caratteristiche operative. La finanziaria dell'anno scorso che pur apporta per questi lavoratori delle modifiche migliorative, apre invece la possibilità di ricorrere alle collaborazioni coordinate e continuative anche per mansioni di questo tipo. Questo non è un elemento indifferente, perché a questo punto anche un lavoro di segreteria, che è un lavoro meno autonomo che risponde alle direttive di un ufficio con orario preciso, con compiti ben precisi assegnati dall'alto, anche questo tipo di lavoro può essere fatto a collaborazione. Secondo la collaborazione deve contenere un elemento di professionalità che in qualche modo determini anche un modo di essere diverso nel lavoro, quell'elemento di imprenditori di se stessi. A livello normativo, per quanto riguarda l'Europa ci sono due cose molto importanti. Una è una direttiva o comunque un'intesa, una direttiva che risale a un paio di settimane fa che sostiene che il lavoro a tempo indeterminato resta la modalità d'impiego più equa e migliore in Europa. L'altra cosa interessante è il fatto la carta dei diritti europei, nel parlare del welfare, fa un passaggio attorno al quale ragionare. Parla di un welfare di tipo esclusivamente lavoristico. Si tratta di tutte quelle prestazioni della rete di protezione sociale di cui godono le persone che sono legate al lavoro e alla propria condizione. Faccio un esempio per tutti: in Italia la formazione e l'accesso alla formazione pubblica e finanziata non è un diritto dei lavoratori atipici, è un diritto degli altri lavoratori, questo crea un'ineguaglianza. Questo come si traduce nella vita materiale e concreta di un lavoratore? In sostanza, se ho un guadagno annuo, lordo o netto che sia, di 40 milioni, e se voglio rimanere sul mercato ne devo investire 12 per la mia formazione e il mio aggiornamento professionale, in realtà io ho guadagnato 30 milioni e non posso detrarre nulla. Questo per dire che queste cose che sembrano solo teoriche, in realtà si traducono in condizioni di vita concreta. Un'altra ultima cosa: la scelta. Il lavoratore deve poter esercitare il diritto di scelta e ciò presuppone delle condizioni per poter scegliere. Io magari scelgo di guadagnare di più ma avere meno sicurezza, oppure scelgo di guadagnare di meno, ma avere più libertà: questo non è ancora possibile, esercitare una scelta su queste basi non è ancora possibile. L'altro luogo comune è che questi lavoratori abbiano dei redditi medio alti. Si dice imprenditori di se stessi: è vero che non hanno certezze e sicurezza del domani, però è anche vero che hanno guadagni alti. Questo non è assolutamente vero. Gli iscritti al fondo Inps guadagnano in media 24,5 milioni di lire lordi annui. Se si scende al sud, poi, si guadagna molto di meno. Creano occupazione queste forme di lavoro? Non mi sembra che sia così. Ora altre ultimissime due cose. L'estensione al fondo Inps è un inizio di una rete di protezione sociale che si crea attorno a questi lavoratori, ma è un embrione. Attualmente le prestazioni di questo fondo sono molto limitate. L'ultimo luogo comune che non sfaterò, perché fortunatamente c'è anche qualche luogo comune che corrisponde al vero, è che questi lavoratori sono invisibili. Ebbene si, è vero, questi lavoratori sono invisibili. E' vero che da qualche anno se ne parla. Basta fare un esempio per tutti. L'Istat, che dovrebbe fotografare la nostra Italia, cioè che dovrebbe consegnare a noi e alle politiche di questo paese una fotografia esatta, non rileva i lavoratori coordinati e continuativi. Non esistono, e non solo nelle varie opzioni lavorative. Abbiamo fatto chiamare in massa al numero verde dell'Istat per dire: "Scusate io sono un collaborate coordinato e continuativo, che casellina devo barrare?". Nessuno lo sapeva, cioè non sapevano dargli le indicazioni sulle caselline da sbarrare. Del resto anche le rilevazioni periodiche annuali dell'Istat mettono nella categoria vastissima del lavoro atipico o il part time, le collaborazioni, il tempo determinato... Si fa un gran calderone. Sono proprio invisibili, questo è l'unico luogo comune che risponde a verità.
Umberto Di Maria
Per quanto riguarda la nostra professione queste sono delle chicche che, però, non sono passabili. Il fatto che i lavoratori atipici non sapessero in quale casella barrare era una ghiotta notizia. Mi sovvengono alcune domande. Innanzi tutto, è vero o no che questa flessibilità ha creato nuovi posti di lavoro?
Marilisa Monaco
Quelli sicuri che ha creato sono il 25% dei lavoratori atipici che è stato assunto dopo tre anni a tempo indeterminato. Quanto al lavoro interinale c'è da ricordare che ha una legge con un contratto nazionale di riferimento.
Umberto Di Maria
Quindi è vero che alcune forme di flessibilità hanno, di fatto, indirettamente creato occupazione. Dalla risposta che hai dato mi sembra di poter dire anche che la flessibilità alle volte è utilizzata come modalità di accesso per i nuovi lavoratori, ma anche come modalità di prova da parte delle aziende.
Marilisa Monaco
Chiariamo...è giusto distinguere. In caso di lavoro interinale, è un lavoro particolare, una forma di lavoro atipico molto particolare ma ha la tutela delle leggi.
Umberto Di Maria
Che fanno riferimento alle contrattazioni collettive tra l'altro. Il lavoratore interinale viene assunto temporaneamente sulla base di un contratto nazionale, dei contratti collettivi nazionali. Ad esempio, ad un atipico che lavora come operaio in un'azienda chimica viene applicato anche per due giorni il contratto dei chimici.
Marilisa Monaco
Esatto. E percepisce la stessa retribuzione del dipendente fisso che lavora accanto a lui.
Umberto Di Maria
A noi che facciamo i giornalisti puoi spiegare se il part time, la così detta occupazione non tradizionale, sono davvero forme di lavoro flessibile e lavoro atipico? Stiamo parlando di questo?
Marilisa Monaco
Impariamo ad usare i termini. La flessibilità, i contratti part time, ecc., sono a tempo determinato, sono dei contratti flessibili che hanno regole ben precise e che quindi sanciscono dei diritti dei lavoratori. Il tema di oggi del nostro workshop. E' quello dei nuovi lavori e delle nuove povertà. Parliamo di quelle forme di flessibilità che invece restano profondamente escluse dalla possibilità di avere regolamentazioni, che si affacciano da qualche anno nel nostro mercato del lavoro ma che non hanno nessun tipo di regolamentazione...a parte l'interinale che è un caso ancora a sé.
Umberto Di Maria
Comunque un ultima cosa: se effettivamente la media nazionale è di 24.5 milioni annui devo dire che non se la passano male questi lavoratori. La precarietà del lavoratore flessibile dove sta?
Marilisa Monaco
Intanto la precarietà è nel fatto che pochi, sporchi, subito, questi soldi sono pochi, sporchi, subito adesso e domani non lo so. Questi 24,5 milioni lordi annui che guadagna un collaboratore sono soldi che si guadagnano quest'anno, l'anno prossimo potrebbe darsi di no.
Umberto Di Maria
Il 73% delle vertenze avviate a Milano a proposito di collaborazioni, riguarda proprio la mancanza di pagamento, per cui questi collaboratori non vengono pagati. E' un dato territoriale, ma lo prendiamo per buono.
Marilisa Monaco
Non c'è certezza di ricevere davvero il compenso, non ci sono certezze di questo tipo... E poi niente tredicesima, quattordicesima, diritto al riposo psicofisico, le ferie retribuite, niente di tutto questo.
Marilisa Monaco
Mi chiedete quali sono diversi i contratti collettivi sono stati prodotti in Italia. Bene, alcuni riguardano i call center, sono contratti che in qualche modo hanno sfrancato. Fino a poco tempo fa, accade ancora ma sempre di meno, in una grande azienda di call center cosa succedeva? Che io ero un lavoratore che andava a chiedere lavoro. Loro mi dicevano: "Bene, però tu sei per me un libero professionista, per cui la prima cosa che fai, se vuoi lavorare con noi, è aprire partita Iva, dopo di che, siccome io non voglio avere nessun tipo di problema, né ora, né mai, ti affitto la postazione. Vuoi lavorare per me? Partita Iva, paghi la postazione", era "una cifra simbolica", ma si concretizzava invece in qualcosa di simbolico, perché erano circa 11 mila lire al giorno che pagavi anche se non potevi andare per un qualsiasi motivo, anche se eri malato. Quella postazione che avevi affittato per quel periodo la pagavi. Con questo escamotage chiaramente l'azienda si liberava da qualsiasi tipo di vincolo nei confronti del lavoratore, dicendo che si trattava di lavoratore autonomo al quale io affitto una postazione e svolge il suo lavoro.
Umberto Di Maria
Avete capito bene questo? Si pagherebbe il luogo fisico del lavoro...
Marilisa Monaco
Dopo di che, che succede? Ho pagato la postazione, cosa faccio ricevo uno stipendio? No. Ricevo una percentuale sulle telefonate? Sì e no. Sì, ma solo su quelle andate a buon fine, che sono poi quelle in cui tu hai prodotto un introito, un guadagno per il tuo committente. Allora questa è la situazione che c'era non 20 anni fa, non 40 anni fa ma fino a 2 anni fa, fino a 1 anno fa, forse in qualche caso, da qualche parte ci sarà ancora una situazione del genere. Che cosa si è fatto? Si è andati come si faceva un tempo nelle fabbriche, o i lavoratori sono venuti al sindacato a dire: noi lavoriamo in questo modo, che possiamo fare? Notate bene, cari signori del sindacato, che noi vogliamo conquistarci condizioni migliori, però non vogliamo perdere il posto, perché è l'unico che abbiamo. Quindi la drammaticità di queste forme di lavoro sta in questo, nel fatto che se non posso farci niente continuo a lavorare così, perché è l'unico lavoro che ho. Allora si è andati a parlare con lavoratori ed imprenditori. Si sono creati contratti collettivi c.d. neutrali.
Umberto Di Maria
Concretamente questi contratti neutrali sono di contenitore in cui tra le parti sono convenute alcune cose, sono lontani dalla forma e dalla forza di un contratto che è negoziato tra le parti. Qui si ha il sindacato che rappresenta il lavoratore e il lavoratore che lavora in questo modo e le aziende vivono rapporti d'imparità di trattamento. Il sindacato fa una grandissima fatica a far passare non solo le richieste, ma le filosofie alle quali fanno riferimento queste richieste. In concreto i contratti che sono stati siglati, se ci puoi portare un esempio, su quali richieste si sono basati.
Marilisa Monaco
Allora, per i call center intanto è stato abolito l'obbligo di apertura di partita Iva, sono stati trasformati tutti questi contratti in contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Questo vuol dire che questi lavoratori non si pagano più la postazione, il che vuol dire che hanno avuto 300 e passa mila lire solo per questo in più di guadagno mensile. Vuol dire che questi lavoratori se si ammalano hanno diritto alla malattia retribuita. Prima se si ammalavano non solo non avevano diritto alla malattia retribuita, ma si pagavano la postazione. Per questi lavoratori dei call center, lavoratrici donne che sono la maggior parte, scegliere di fare un figlio non può essere una caduta precipitosa verso l'indigenza, verso la povertà. Può cominciare a decidere forse di farlo sapendo che ha un minimo di tutela in più, che non viene espulsa da un mercato del lavoro che poi chissà quando e come la riaccoglierà e se la riaccoglierà. Allora è vero che questi contratti sono pochi, è vero che sono ben lontani dalla forza che ha una contrattazione che ha alle spalle una legge che in qualche modo gli dà una pista e che sancisce delle cose, però è anche vero che questi contratti hanno inciso concretamente sulla vita materiale di più di 24 mila persone. Sono niente, sono poche, però sono importanti.
Umberto Di Maria
La seconda parte di questo workshop intende chiarire chi sono gli atipici. Precari, invisibili, come altro li chiamano? Il popolo del 10%.
Marilisa Monaco
Allora abbiamo visto quali sono le nebbie dei luoghi comuni, adesso proviamo a diradare queste nebbie e ad andare un po' più avanti. In realtà andremo veloci perché molte cose sono già emerse. Allora dicevamo sono giovani, adesso stiamo parlando dei lavoratori coordinati e continuativi a fondo Inps 10 e 13%, vi pregherei di restare a questi, non mischiarli con i lavoratori interinali sennò faremo confusione. Quando parleremo degli interinali il mosaico si completerà per il momento fermiamoci alle collaborazioni che sono attualmente quelle meno tutelate. Si era diffuso il pensiero che il popolo del 10% fosse un popolo composto soprattutto da giovani, dopo aver analizzato i dati Inps abbiamo visto che non è assolutamente così. La classe in cui si concentra il maggior numero di iscritti è quella tra i 30 e i 39 anni, sono ben il 31,9%. Dopo di loro, immediatamente dopo, la percentuale maggiore è il 21,7%, va tra la classe tra i 40 e i 49 anni. Sotto i 30 anni invece questa percentuale scende al 20,7% e sopra i 50 sale al 21,3%. Insomma il 53,6% dei collaborati coordinati e continuativi in Italia ha un'età che va tra i 30 e i 50 anni.
Umberto Di Maria
Vorrei intervenire a proposito, per quanto riguarda la nostra questione, dell'accessibilità a questi dati. Fino a qualche tempo fa l'Inps non aveva intenzione di dare questi dati. Non aveva mai rivelato a quanto ammontasse il fondo del versamento del 10%, tra i più floridi dell'Inps, è una gallina dalle uova d'oro, sulla quale l'Inps ha giocato anche politicamente nel ritardo dell'elezione del fondo di gestione del 10-13%. Quindi l'accessibilità di questa fonte, che qui viene rivelata quasi come se fosse normale, fino a qualche tempo fa per chi si occupava di atipici, era davvero difficilissima. Parlare con l'ufficio stampa dell'Inps normalmente è un ufficio abbastanza disponibile, ecc., dall'altra parte rivelava un'incompetenza nel leggere questi dati che era incredibile. Se tu chiedevi: da chi è formato? Quanto hanno versato? Chi sono? Mi puoi dare il dato del numero totale? Immaginatevi che cosa usciva sui giornali fino a qualche tempo fa.
Marilisa Monaco
E' talmente vero quello che dici che addirittura i componenti del comitato di gestione del fondo, eletti dai lavoratori per la prima volta in Italia, persino per loro è difficilissimo accedere. Loro che dovrebbero gestire il fondo amministrativamente, si lamentano con noi, spessissimo vengono da noi lamentando difficoltà ad accedere ai dati.
Umberto Di Maria
L'ultimo inciso su questa cosa importante è che l'elezione del comitato di gestione del fondo 10-13% ha dato vita ad un piccolo scandalo e la stampa non è stata capace di utilizzare tale opportunità a suo favore. Quando sono stati invitati i collaboratori a votare in quanto l'elezione di questa cosa è rivolta a tutti gli iscritti all'Inps ha inviato una comunicazione non chiara, chi ha ricevuto questa comunicazione pensava forse di pagare qualche cosa, non si è recato a votare. La percentuale di voto dell'indicazione del fondo di gestione era bassissima, intorno all'1,2% se non sbaglio, quindi l'elezione di questo fondo è stata un fallimento.
Marilisa Monaco
L'altro luogo comune "impreditori di se stessi", sono imprenditori di se stessi? Bè, diciamo che analizzando sempre questi dati Inps così preziosi, così difficili da avere, al nord le collaborazioni coordinate e continuative sono in realtà una modalità di protrarre l'attività lavorativa. Che vuol dire? Vuol dire che le persone che vanno in pensione molto spesso continuano la loro attività lavorativa attraverso un contratto di collaborazione, oppure vuol dire che se tra i 40 e i 50 anni fuori dal processo produttivo proseguono la loro attività lavorativa con dei contratti di collaborazione. Nel meridione invece le cose sono un po' diverse. Questa forma di lavoro coinvolge particolarmente le donne giovani che sono impiegate con contratti di collaborazione coordinata e continuativa. In questo c'è un dato positivo che non può essere ignorato. Molti contratti di collaborazione coordinata e continuativa mascherano in realtà un contratto di tipo subordinato a tempo indeterminato. Il problema è che questi abusi devono essere combattuti, smascheti, ognuno deve fare la sua parte e questo al nord come al sud. Nel nostro paese questo è difficile perché noi siamo assolutamente in assenza di una legge che regolamenti le collaborazioni coordinate e continuative. La finanziaria 2001 ha aperto la possibilità di ricorso alle collaborazioni coordinate e continuative anche a mansioni di tipo operativo. Allora il mio problema è: io riesco davvero a smascherare queste forme di lavoro in un'aula di tribunale? E i lavoratori vogliono davvero rischiare di perdere il loro posto di lavoro e di rimanere 10 anni nel tentativo di ricollocarsi? Io, però, in qualche modo questi lavoratori li devo rappresentare. Se io avessi una legge che stabilisse le caratteristiche della collaborazione coordinata e continuativa, i requisiti, allora sì che anche nelle aule del tribunale si avrebbe più forza nello smascherare gli abusi. La collaborazione coordinata e continuativa intanto ti permette di stabilire, di contrattare con il committente, come ci stai sul luogo di lavoro, cosa fai, a quali direttive rispondi e ti permette intanto di avere diritto alla malattia, ti permette di avere la sensazione di cominciare a costruire un tuo percorso previdenziale. E' vero che a 20 anni non ci pensi, però si spera che arriverà un momento in cui tutti quanti penseremo a come vivere senza lavorare, le collaborazioni coordinate e continuative ti permettono questo.
Umberto Di Maria
Secondo me in questo momento c'è anche il problema delle rappresentanze sindacali. Io che sono stato eletto delegato degli interinali, se potevo difendere e devo informare il lavoratore di un'iniziativa di una nuova strategia di difesa, dove lo trovo, dove lascio il mio avviso, dove trovo il lavoratore, in che ore lo disturbo? Quanti minuti ho a disposizione per parlargli? Sono questi i problemi della rappresentanza e soprattutto il lavoratore non sa dove trovare il suo rappresentante, soprattutto un rappresentante non entra e non può spesso entrare in contatto con il committente, col datore di lavoro, perché non è una prassi avviata tranne che in alcuni pochissimi casi.
Marilisa Monaco
Secondo me il discorso è molto complicato. Noi viviamo in un momento in cui lavorare è lacerante, il lavoro non è una cosa che dà sicurezza, ma dà preoccupazione. C'è un problema che non può riguardare soltanto le organizzazioni sindacali, i politici, ma riguarda tutti i lavoratori ed è qualcosa con la quale si devono misurare tutti i luoghi di lavoro. Non può essere usata la flessibilità per ristrutturare i diritti di altri lavoratori. Non si possono mettere i lavoratori contro lavoratori, creare lavoratori di serie A e lavoratori di serie B, diritti pregressi e diritti part time. Laddove l'uso di forme di flessibilità viene fatto in maniera strumentale per abbassare i diritti di tutti credo che tutti i lavoratori, compresi i lavoratori flessibili abbiano bisogno di essere tutelati.
Umberto Di Maria
Eravamo all'altro luogo comune secondo cui i lavoratori di cui stiamo parlando sarebbero imprenditori di se stessi.
Marilisa Monaco
Siamo andati avanti. Abbiamo detto che lo sono qualche volta, che non sono sempre imprenditori di se stessi. Allora l'altra cosa che vi dicevo prima, che vi accennavo e su questo andrò velocemente è che gli iscritti al fondo Inps aumentano. Al nord le collaborazioni coordinate e continuative continuano a riguardare maggiormente gli uomini. Diciamo che i collaboratori coordinati e continuativi in generale, maschi e donne, rappresentano circa il 9% degli occupati in Italia, della forza lavoro in Italia. Sull'occupazione femminile questa percentuale sale all'1,1%, mentre per i maschi è pari al 7,8%. Noi donne siamo più flessibili.
Umberto Di Maria
Il dato totale è che i flessibili fossero, a giugno di quest'anno, 2 milioni e 200?
Marilisa Monaco
Sì, all'incirca. In realtà per essere imprenditori di se stessi bisognerebbe avere esattamente un'idea del genere: ho una professionalità che estendo sul mercato e la contratto. Quando c'è un solo committente, quando si lavora per un solo datore di lavoro si è lavoratori monocommittenti e sono ben l'83,7% degli iscritti al fondo. E' un po' complicato dire che sono un imprenditore. Le donne che hanno un rapporto di collaborazione con un unico committente sono più del 90% di quelle iscritte al fondo. Per le donne la monocommittenza è quasi la regola. I monocommittenti, guarda caso, sono sempre gli iscritti al fondo Inps residenti nel mezzogiorno, nel meridione. Lì le occasioni di lavoro sono poche e anche le donne rappresentano, come dicevo prima, la maggior parte dei lavoratori con monocommittenza, perché, probabilmente, i loro vincoli, il lavoro di casa danno loro da un lato minori margini di scelta, dall'altro ciò comporta che ricevono anche meno offerte di lavoro. Sempre ragionando sui dati Inps, secondo una ricerca ligure del Cna pare che, in realtà, l'80% dei collaboratori nel 2000 non cambiava committente da almeno 4. Da tali dati pare che quello di essere imprenditore di se stessi possa essere un orizzonte futuro. Attualmente non è esattamente così. Mi vorrei fermare un attimo sulla questione dei redditi. Siamo qui a parlare di nuovi lavori e di nuove povertà. Eccoci dunque ai redditi. Hanno redditi alti questi lavoratori? La professionalità è un elemento chiave per definire i destini di questi lavoratori e le loro condizioni di vita e di lavoro. Quindi tra gli iscritti al fondo esiste una parte minoritaria di persone che hanno una professionalità alta e redditi elevati e c'è una fascia invece più debole di lavoratori che sono esposti alla precarietà. Sono precari e non riescono a raggiungere redditi dignitosi. Nel '99 il reddito medio dei collaboratori è stato di circa 24 milioni e mezzo, gli uomini hanno guadagnato quasi il doppio delle donne, le donne guadagnano molto meno degli uomini. Aumentando l'età aumenta anche proporzionalmente il reddito, i giovani guadagnano meno e per giovani si intendono persone, al sud, anche fino a 30 anni, questo non vale per il nord, comunque fino a 27 anni. L'altra cosa che mi preme molto dire è che i redditi dei lavoratori cambiano a secondo di dove vivono. Comunque il 64% degli iscritti al fondo ha un reddito inferiore ai 20 milioni e nel caso delle donne, due terzi delle donne iscritte al fondo guadagnano meno di 20 milioni l'anno lordi. Un 10% invece ha un reddito compreso fra i 20 e i 30 milioni e il 6,5% tra i 30 e i 40 milioni. Complessivamente coloro che superano la soglia dei 40 milioni annui sono poco più del 14% e di questi il 6% raggiunge redditi, beati loro, di 90 milioni annui. Le donne, dicevo prima, guadagnano la metà degli uomini. C'è un problema che mi preoccupa e sul quale vi invito a riflettere. Mi preoccupa la lacerazione del mondo del lavoro, il fatto che i lavoratori comincino a considerarsi tra di loro nemici.
Umberto Di Maria
L'operaio a tempo indeterminato vive male la presenza dell'atipico e viceversa, vengono retribuiti diversamente, hanno diverse agevolazioni, anche se lavorano fianco a fianco. Questo, all'interno della fabbrica, crea una rottura dell'asse del fronte della difesa del lavoratore, della solidarietà del lavoratore e tra lavoratori. Ci sono casi in cui gli atipici sono scesi in piazza insieme agli operai, ma non viceversa.
Marilisa Monaco
La mia politica è quella di far capire che i lavoratori hanno uguali diritti, sono uguali e che la cosa importante è non lacerarsi, non mettersi l'uno contro l'altro. Una cosa non semplice, in realtà.
Umberto Di Maria
Io volevo aggiungere il problema di rappresentanza del linguaggio. Oggi chi sta nei luoghi della rappresentanza politica, nei sindacati, spesso è portatore di un linguaggio vecchio. E' come se i luoghi della rappresentanza, i luoghi effettivi del conflitto fossero lontanissimi dai loro. Si hanno due binari. Uno è quello del giovane, che non intende la coscienza di classe come valore perché non ce l'ha dentro, ma si muove su un piano piuttosto della provocazione, della conflittualità di strada, e che usa linguaggi che il sindacato non è capace di intendere. L'altro è rappresentato dai soliti canoni che sono il luogo del lavoro, i modi del lavoro e della rappresentanza. C'è questo grandissimo scompenso. Credo che quando parli con i lavoratori della Mc Donald's e cerchi di capire che cosa vogliono, loro più che contestare i diritti, vogliono rompere le scatole, vogliono dire al padrone che non vogliono lavorare come lui vuole, sono contrari all'organizzazione rigida del lavoro e che soprattutto vogliono i loro tempi. Non è una questione di politica, di rivendicazione, di posizioni politiche è una rivendicazione di linguaggio.
Marilisa Monaco
Sempre per concludere il capitolo dei redditi, l'anno scorso sono stati pubblicati dei dati, la stima relativi al reddito dei lavoratori nel 97, dei collaboratori iscritti al fondo Inps. Il reddito medio dei lavoratori del nord, delle regioni del nord iscritti al fondo Inps, 10-13 per il 97 era di 23 milioni annui. Al centro questo reddito si attestava intorno ai 16 milioni e mezzo e al sud invece era soltanto di 7 milioni annui.
Nel 97 le collaboratrici del sud hanno avuto un reddito medio di poco più di 3 milioni, mentre gli uomini guadagnavano 13 milioni e 300 mila lire. L'ultimo dato che vi do sui collaboratori per il momento è questo: il maggior numero degli iscritti al fondo Inps 10-13% si concentra il Lombardia, ossia il 22,6% di questi lavoratori vivono il Lombardia e il 10,4% invece nel Lazio. Negli ultimi due anni è aumentato il numero dei collaboratori coordinati e continuativi del sud iscritti al fondo e anche il peso che questi lavoratori hanno rispetto alle percentuali degli occupati in Italia. Questo era semplicemente per sottolineare il concetto che dicevamo anche prima che le collaborazioni considerate opportunità di lavoro in realtà ci sono laddove il lavoro c'è. Rispetto a questi lavoratori vorrei descrivere la rete di protezione sociale di cui godono. Anche qui diciamo che i dati non sono incoraggianti, nel senso che per legge questi lavoratori sono obbligati a versare o il 10 o il 13% del loro compenso annuo netto al fondo Inps a gestione separata.
Umberto Di Maria
Credo che sia importante spiegare perché alcuni versano il 10 e altri il 13%.
Marilisa Monaco
Sì. Allora versano il 10% del loro compenso lordo coloro che possiedono partita Iva individuale, oppure chi è iscritto a ordini professionali o ad altre casse previdenziali obbligatorie. Nel caso ad esempio dei giornalisti, che hanno una cassa previdenziale obbligatoria, se oltre a svolgere delle collaborazioni di carattere giornalistico gli capita anche di svolgere delle altre collaborazioni non giornalistiche per altri committenti loro al fondo Inps sono tenuti a versare il 10% su quel reddito relativo a quella collaborazione e non il 13%. Il 13% invece lo versano quelli che vengono definiti collaboratori coordinati e continuativi. Quando sentite il termine collaboratori coordinati e continuativi pensate ai collaboratori che non hanno nessun altra copertura previdenziale e non hanno nessun ordine o albo di riferimento e non possiedono partita Iva individuale. Gli occasionali non hanno l'obbligo di versare al fondo 10-13% tranne che nel caso in cui la prestazione lavorativa per collaborazione occasionale ricade nell'attività principale.
Umberto Di Maria
Abbiamo parlato dell'età anagrafica che emerge dai dati Inps. Abbiamo visto la differenza tra la situazione del sud e del nord Italia. E' emersa la presenza femminile, abbiamo parlato della professionalità, di che cosa si occupano i lavoratori flessibili, abbiamo fatto il punto su quelli che sono i redditi che emergono sempre dai dati dell'Inps, ricordando che in media guadagnano 24,7 milioni lordi all'anno e che il 64% delle persone rilevate dal dato guadagnano meno di 20 milioni all'anno. Dal mio punto di vista l'immagine che emerge è assolutamente impreciso e quello che mi preoccupa di più è che questa imprecisione, per noi, diventa notizia, diventa informazione.
Marilisa Monaco
Per le collaborazioni coordinate e continuative non c'è una legislazione specifica, dicevamo. Ciò comporta la mancanza di ogni riferimento contrattuale, salariale, di orari. Non contratti nazionali di categoria. In teoria questa situazione si dovrebbe tradurre col fatto che un collaboratore coordinato e continuativo non ha vincolo di orario per cui potrebbe lavorare di meno, dovrebbe lavorare di meno, gestirsi il suo tempo in modo autonomo: in realtà, nella stragrande maggioranza dei casi, un collaboratore lavora molte, molte più ore di un lavoratore tradizionale. Inoltre, se in banca chiede un prestito, la banca non lo considera un soggetto lo mette nella fascia tra i soggetti a rischio. Inoltre l'accesso al welfare locale è negato per questi lavoratori che finiscono sempre per essere gli ultimi della lista. Per la maternità questa cosa è assolutamente impari: se una collaboratrice coordinata e continuativa vuole iscrivere il figlio all'asilo nido viene trattata come una lavoratrice autonoma, per cui indipendentemente dal reddito che percepisce, pagherà la somma più alta e in più non ha diritti di prelazione. Questi sono elementi che cambiano la condizione dei lavoratori. Arriviamo all'attualità. Ultimamente si parla molto, anche qui con un luogo comune che tende poi a mistificare la realtà a coprire cose, si parla di un brusco aumento dell'aliquota contributiva che questi lavoratori versano al fondo Inps 10-13%. E' previsto che si arrivi al 19% nel 2004 con uno scatto di un punto ogni due anni. Si sta prendendo seriamente in considerazione l'ipotesi che dall'anno prossimo l'aliquota passi direttamente al 19%, questo con l'argomentazione che aumentare l'aliquota al 19% da subito permetterebbe a questi lavoratori di percepire pensioni migliori in futuro. Passiamo ora velocemente al lavoro interinale, di cui non abbiamo mai parlato. L'anno scorso è stata fatta una ricerca durata forse anche più di un anno dove sono stati intervistati lavoratori interinali. E' stata fatta una ricerca a tutto campo, si è cercato di incrociare esattamente dati statistici su situazioni reali. Chiaramente questo è stato possibile perché la realtà era circoscritta. E' stata una ricerca fatta a 360°. Quello che emerge da quella realtà potrebbe non essere uguale altrove, quello che emerge da quella realtà è esattamente il mistero di stabilizzazione, di affrancarsi da una condizione di precarietà che questi lavoratori subiscono. Emerge il problema dell'accesso al credito, al welfare locale, tutte le cose che dicevo prima.
Umberto Di Maria
Vi propongo, in chiusura, alcune riflessioni sulle quali se volete possiamo anche discutere. Nuove povertà e nuove forme di lavoro, sono un'eredità che ci portiamo dal secolo passato ma attualissime adesso. Quando parliamo di nuove povertà, perché si collegano alle nuove forme di lavoro? In un concetto molto allargato e comunque labile di povertà, la povertà è una difficoltà all'accesso alle opportunità, in questo rispetto alla formazione, rispetto alla sanità e in generale al lavoro come possibilità e strumento di un progetto di vita. Pensiamo alle donne che rimandano spesso il desiderio di avere un figlio solo per la debolezza della loro posizione lavorativa. Una grande riflessione che questa società dovrà davvero assumere. La commissione europea in ambito internazionale ha proprio proposto un'attenzione alle politiche del lavoro rivolte alle donne, però, cercando di farle diventare imprenditrici di sé ma le ha, di fatto, abbandonate in questo ruolo. E' vero che la politica dell'Unione Europea da questo punto di vista ci ha visto lungo, però è una situazione insostenibile dal punto di vista delle politiche nazionali.
A questo punto, se non ci sono altre domande, direi che possiamo chiudere questo lunghissimo workshop. Sono contento di come sia andato l'incontro, per come avete interloquito con noi, trovo che ci sia stato proprio lo spazio per affondare alcuni pregiudizi e fare domande interessanti. Speriamo di avere risposto a tutto in maniera sufficientemente chiara.
* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.