Intervento di Alberto Castagnola
Alberto Castagnola - testimone del movimento di Seattle*
Studiare la globalizzazione da economisti
Sugli articoli di giornale, anche quelli che contestano la globalizzazione, c'è una specie di grossa mistificazione in corso: questo termine viene usato in senso positivo, si dice che ci sono dei processi necessari, non discutibili, dei processi economici che hanno ormai una base internazionale e non possono che essere così, coinvolgono praticamente tutti i paesi. Tutte le popolazioni ne avranno dei vantaggi, dateci il tempo di portare avanti la globalizzazione - dicono - e risolveremo tutti i problemi. Gli ultimi due passaggi sono delle menzogne pure, inaccettabili e intollerabili, perché affermano un qualche cosa che è stato affermato dal 1949 e che non ha dato nessun risultato. La divaricazione tra il nord e il sud, è passata da 1,30 a 1,74 e sta aumentando. Non abbiamo più bisogno di dire quella politica economica è sbagliata è più o meno giusta o dovete farne un'altra: la storia, cioè 50 anni, di sforzi, di impegni, di investimenti, dimostrano che il meccanismo dominante non è in grado di risolvere questa divaricazione. Questo è quello che sta nascosto dietro l'uso disinvolto della parola globalizzazione. Cosa c'è dentro quello che si sta globalizzando? Ci sono tre cose:
1) Il mondo delle multinazionali: sono queste 400 imprese che coprono più di un terzo dell'economia mondiale, più della metà degli scambi. Il 42% degli scambi internazionali avviene tra filiali delle stesse imprese multinazionali, cioè fuori mercato. E' vero che si fa riferimento al mercato, ma i prodotti sono calcolati, si muovono e vengono valutati, non per il loro prezzo di vendita, ma per il prezzo artificiale imposto dalle multinazionali alle loro due filiali. E' un mercato subordinato, non un mercato libero. Questo meccanismo delle multinazionali, questa espansione, queste imprese di cui continuiamo a parlare, dalla Nestlè a venir giù, le conosciamo tutti quanti: hanno dato occupazione a 70 milioni di persone, su 6 miliardi e di questi 70 milioni solo 12 milioni sono nel terzo mondo, su 4 miliardi di persone, queste sono le proporzioni. Sono un terzo dell'economia mondiale, ma sono uno 0, quasi niente dell'occupazione reale nel terzo mondo e nei nostri paesi.
2) La finanziarizzazione dell'economia: continuiamo a pensare all'economia come un meccanismo che è comprare - vendere, produrre scarpe, fare dei servizi, comprare il giornale. L'economia invece è diventata per più di due terzi, un'attività puramente finanziaria, che non ha nessun collegamento con l'attività di produzione di beni. L'economia finanziaria è economia? È un pezzo dell'economia dove si fanno guadagni, profitti ed è un pezzo dell'economia dove ci sono delle perdite: nessuno tiene mai conto di chi perde quando succede qualcosa in termini di crisi internazionale. Per essere chiari, quando si dice che una Banca centrale ha perso tutte le sue riserve in valute pregiate per compensare la crisi finanziaria, quel mucchio di valute pregiate che ha perso quella banca sono le nostre tasse. Noi continuiamo a far finta di niente, a non tener conto di questi aspetti dell'economia finanziaria.
3) Terzo elemento, sempre della globalizzazione: il sistema sta creando sempre meno posti di lavoro al nord. Ci sono 36 milioni di disoccupati fissi da più di 15 anni nei 18 paesi industriali. Noi abbiamo molta paura che il sistema così come si è sviluppato, basato su tecnologie a bassissima intensità di lavoro, non sia più in grado di creare nuovi posti nemmeno per le nostre popolazioni del nord, popolazioni che non sono in espansione sul piano demografico; le nuove leve di lavoro sono più piccole di quelle precedenti. I nostri ragazzi continuano a veder aumentare il periodo di così detto precariato, siamo passati da 4 anni a 8 e continua ad aumentare.
C'è un ulteriore elemento che mi permetto di sottolineare, cioè la componente di gioco delle nuove tecnologie. Ho il terrore quando vedo alcune utilizzazioni del computer, la sensazione è che ci hanno messo in mano un attrezzo con una capacità mostruosa di calcoli, spostamenti, colori, cose meravigliose, che noi usiamo allo 0. Una specie di rimbecillimento indotto, che contraddice il valore stesso della tecnologia. Si è molto parlato del Lotto, per quanto mi riguarda sono più preoccupato del "Gratta & vinci", perché è più semplice, il Lotto richiede alcune alfabetizzazioni quantitative. L'anno scorso per il Gratta & vinci abbiamo speso 29 mila miliardi di lire, che è esattamente la metà del debito dei paesi sottosviluppati verso l'Italia. Quel debito mostruoso che riteniamo così difficile poter cancellare, l'abbiamo ampliamente pagato con le nostre tasse addizionali al Gratta & vinci. Continuiamo a giocare non sapendo che dietro ci sono dei meccanismi economici estremamente pesanti nel loro aspetto e inaccettabili nei confronti del resto della popolazione.
Oltre un miliardo di poveri nel mondo
Circa un miliardo di persone sono considerate fuori dalle ipotesi di sviluppo. Dobbiamo cominciare a renderci conto che il meccanismo così com'è ci sta relegando in un limbo di non sviluppo, per un numero rapidamente crescente di persone. L'ultima cifra che ha dato la Banca mondiale, aggiornata sull'ultimo rapporto, è di 2 miliardi e 800 milioni di persone che cercano di sopravvivere con meno di 2 dollari al giorno, cioè 700 dollari all'anno. Qui c'è un trucco statistico, noto a tutti gli economisti, quando si dice meno di 2 dollari tutti pensano a 2 dollari. La cifra reale che hanno a disposizione, la maggioranza di questi 2 miliardi di persone è tra un quarto e mezzo dollaro. Questa è la spiegazione economica degli "uomini inutili" cioè con 400-500-600 lire al giorno non si compra e non si vende niente, si è fuori dal campo di interesse dei meccanismi economici. L'esclusione economica deriva da questo tipo di cifre. C'è un nostro amico che un giorno ha fatto un calcolo, ha detto: tutti coloro che hanno un'auto, un computer e un conto in banca - cose per noi più che normali - rappresentano l'8% della popolazione mondiale. Negli USA è il 44%, in Nigeria è lo 0, quasi niente, però il totale è 8% e stiamo parlando di cose normali, molto semplici, di uso comune. L'8% nel mondo significa 700 milioni di persone su 6 miliardi. Il mostro da masticare è di queste dimensioni. Non è più un problema nord - sud, ma è un problema comune. Tempo fa si è aperto un "pezzo di buco" dell'ozono su una città del Cile meridionale di 120 mila abitanti. Non se ne è curato nessuno, era una notizia sconvolgente, il meccanismo del buco nell'ozono è terribile. Le origini le conosciamo tutti, il buco sta aumentando, se bloccassimo l'uso dei gas nocivi ci vorrebbero più di 15 anni, e noi continuiamo a produrli, a metterli in circolazione, non c'è nessuna tecnologia per rattoppare il buco nell'ozono. Questo è un problema comune, sia per un africano della Repubblica del centro Africa che per un abitante di New York. Non so quanti di voi hanno avuto lo stomaco di leggere di quanto dovremmo ridurre le nostre immissioni di CO2. E' stato rifiutato di ridurre il 5%, mentre quello che dovremmo fare in termini tecnici è più del 50%. Mi preoccupa l'assenza di qualunque strategia innovativa contro questi meccanismi. Il grido di dolore della Banca Mondiale del 1990, a tutt'oggi non è stato raccolto. Il fondo monetario, imperterrito, continua a chiedere ai paesi più poveri. Questa assoluta incapacità di prendere atto di certe situazioni è una realtà che viviamo giorno per giorno.
Il movimento di Seattle
Da questa profonda presa di coscienza sono nate cose come "Il movimento di Seattle".
Seattle è nato il 30 novembre dell'anno scorso; un primo controvertice l'abbiamo fatto a Napoli nel '93, è da parecchio che stiamo cercando di reagire. A Seattle è successa una cosa era presente realmente un movimento internazionale, c'erano 2.350 organizzazioni rappresentate, un'espressione di società civile organizzata, una cosa completamente diversa da un movimento contestativo emblematico, era un fenomeno organizzato. Gli enti responsabili hanno lavorato otto mesi per l'organizzazione. Durante i giorni delle manifestazioni di Praga di un mese e mezzo fa il Corriere della Sera è stato capace di scrivere ogni volta da due a quattro pagine su quello che avveniva a Praga senza dire una parola su che cosa stavano decidendo, discutendo, cercando di fare all'interno delle istituzioni internazionali e si è occupato esclusivamente del movimento violento, con alcune raffinatezze; c'era una pagina sul movimento violento e vari commenti che in pratica parlavano di Brigate rosse. Sono due anni che stiamo cercando disperatamente di far capire che c'è un movimento violento e un movimento non violento. Questa distinzione per noi è assolutamente fondamentale e ancora non siamo riusciti e non sappiamo come fare a far capire questa differenza. È un punto estremamente importante, ve lo ricordo perché è uno dei punti sui quali il rapporto giornali - società civile continuerà ad incontrare difficoltà per i prossimi mesi e anni e sul quale dovremmo riflettere in maniera estremamente seria. Si sta cercando di far emergere come protagonista una società civile che è una definizione equivoca, perché nella tradizione della democrazia occidentale, società civile siamo tutti noi, sono i sindacati, i partiti. Pertanto chiamare società civile solo una parte dei cittadini è un messaggio non chiaro. Siamo costretti a far emergere un protagonista diverso, perché partiti e sindacati e quindi governi non sono più in grado in questa fase storica di costituire un'alternativa ai meccanismi della globalizzazione. Questa società civile deve essere fatta emergere, deve essere stimolata, deve maturare le sue responsabilità, si deve organizzare e deve essere in grado di ottenere dei risultati. Tutti quelli che lavorano e hanno continuato a lavorare nelle ONG hanno fatto moltissime volte un lavoro di sensibilizzazione, sperando di ampliare la massa della gente che potesse diventare sensibile sui problemi. Questa fase è conclusa, non basta più. Abbiamo bisogno di avere delle forze di presenza, di incidenza tali da modificare i meccanismi, dobbiamo ottenere dei risultati. Da cinque anni si parla di campagne e da due di costruzione di reti, con l'intento di utilizzare gli strumenti, le tecnologie e mettere in moto delle forze. La proposta che viene fatta ai gruppi che aderiscono a reti tipo Lilliput è: dovete assumervi delle responsabilità, continuare a fare il lavoro che fate a livello locale e cominciare a incidere ad un livello complessivo. Non è facile richiedere un impegno anche ad un livello esistenziale personale. Il passaggio di maturazione che ho cercato di sintetizzare in sette punti, è un processo socio-politico particolarmente complesso.
Ipotesi di economia alternativa
Stiamo cominciando ad elaborare ipotesi di economia alternativa, diversa da quella dominante. Non stiamo delineando uno scenario ideale come ci piacerebbe, siamo costretti a cercare delle strade alternative, perché quella dominante non è sufficiente ed è mortale. E' un discorso duro, non è un esercizio rilassante, un ozio culturale per cui uno dice: mi piacerebbe tanto che tutti avessero uno stipendio, che bello, com'è carino, si va a casa tranquilli. Il problema è come facciamo di fronte a un sistema che non produce posti di lavoro, a creare posti di lavoro: è una cosa molto più terra terra, molto più grezza, molto più greve e non abbiamo solo i posti di lavoro da creare in Italia, ma ne dobbiamo creare 900 milioni nel terzo mondo, non da soli, non loro da soli, ma insieme. Dobbiamo incominciare a lavorare insieme, alla pari, con gli stessi obiettivi, sugli stessi problemi e subito.
Rosario Lembo - Presidente Cipsi*
Giornalisti: narrare i fatti in un modo diverso
Questo discorso della globalizzazione, chiama in causa in modo particolare, chi vuol fare comunicazione. Qual è il nostro ruolo perché questa mentalità non resti soltanto un'utopia? Dobbiamo avere la capacità di produrre narrazioni differenti di ciò che avviene intorno a noi, essere capaci, tra le mille notizie, di scegliere quella che permette meglio di raggiungere la gente, di farla ragionare. L'obiettivo primario è quello di capire le narrazioni prevalenti, analizzarle, cambiarle e sostituirle con altre che aiutino la gente a pensare e a ragionare con la propria testa. Perché noi possiamo creare questa dimensione alternativa soltanto nella misura in cui ciascuno recupera la propria responsabilità. "Democrazia non più delegata, ma partecipata", vuol dire cittadinanza attiva. Si accennava al problema dell'acqua. Il vero problema della tecnologia è il business. È già stato calcolato quanti sono i milioni di cittadini che hanno accesso all'acqua. E' stato creato un fondo di investimenti in Svizzera che quota le principali società, che promette rendimenti del 600%. Questo è l'affare del futuro: garantire un bicchiere d'acqua a tutti, sarà come il petrolio. L'acqua come anche i diritti fondamentali della persona umana, dalla salute all'informazione. La solidarietà deve essere la parola da poter contrapporre al concetto di competitività, dove solidarietà vuol dire la capacità di saper imporre le regole del bene comune, della convivenza pacifica tra cittadini che appartengono allo stesso pianeta, trasferire questi valori all'economia e al mercato; diversamente prevalgono altri tipi di valori, quello della competitività e della concorrenza dove io devo sopravvivere a discapito tuo, a discapito dell'altro. L'importante è cambiare il modo di narrare i fatti, non si tratta soltanto di avere più notizie, a disposizione, ma appunto di narrarli in un modo diverso.
Ivano Liberati - Giornalista Radio Giornale Rai*
Studiare la globalizzazione nel Bangladesh
Vorrei portare una testimonianza su un aspetto: l'effetto della globalizzazione sulla sanità, cioè sull'accesso alle medicine. Per motivi di lavoro sono stato in alcuni paesi tra i più poveri del mondo e ho visto che ci sono malattie di cui si muore ancora, completamente scomparse o quasi nei paesi occidentali. In Bangladesh alcuni medici mi hanno detto: "vede, qui si muore ancora di malaria e di TBC, ci sono centinaia di migliaia di vittime ogni anno, le medicine nei villaggi non arrivano".
Perché c'è la corruzione, che è diventata un sistema, ma mi hanno spiegato c'è una ragione molto più profonda. Il Bangladesh ha provato a produrre delle medicine da solo, farmaci generici, che ovviamente hanno gli stessi effetti terapeutici di quelli con le marche, ma costano 10- 5 volte meno. Questa produzione è stata interrotta, perché il Bangladesh rischiava pesantissime sanzioni dall'Organizzazione Mondiale del Commercio. Esistono accordi che si chiamano "trip" stipulati qualche anno fa all'interno del Wto, l'Organizzazione Mondiale del Commercio. Questi accordi hanno concesso un monopolio di 20 anni alle grandi industrie farmaceutiche, ovviamente occidentali, per la produzione, commercializzazione e distribuzione di circa il 90% delle medicine. Nessun paese, tranne in casi eccezionali o particolari come le epidemie, può pensare di produrre da solo questi farmaci a costi più bassi, senza incorrere in sanzioni pesantissime di milioni di dollari. Gli accordi "trip" sostanzialmente tutelano la proprietà intellettuale, cioè i brevetti, nati inizialmente per proteggere i Cd dalla pirateria. I Cd sono stati estesi anche alla sanità. Ho capito che forse per comprendere i fenomeni sociali come Seattle, più che in America o a Praga, bisognerebbe andare in paesi come questo o come l'Uganda, dove sono andato e dove si continua a morire per una malattia che sembrava scomparsa, la "malattia del sonno", perché il farmaco che la curava dall'87 non viene più prodotto, perché essendo pochi i casi produrre questo farmaco non dava profitti alla fabbrica. Si usano dei surrogati che hanno effetti tossici, la cura molto spesso può significare la morte. Cosa si può fare di concreto e forse di molto più intelligente per cercare di arrivare a qualche soluzione, al di là delle proteste violente o non violente ed il lancio di uova al quale assistiamo ogni volta che si riuniscono queste grandi organizzazioni internazionali che poi alla fine hanno in mano i destini di ciascuno di noi?
Alessandra Parrini - Giornalista Rai Toscana*
Un piccolo impegno personale: raccontare realtà alternative
Sono una giornalista della Rai. Quando si parla di economia alternativa, praticamente si fa riferimento anche alla possibilità di ogni singolo di fare delle azioni concrete? Ad esempio cercare nei negozi dei prodotti del mercato equo e solidale, che forse tutti voi conoscete, oppure rifiutare certi prodotti che sono delle multinazionali? Andare a cercare piccole organizzazioni di cittadini che hanno fatto una scelta diversa, piccole cooperative, piccoli negozi, aiutarli, farli conoscere e sviluppare, oppure cercare di dare più notizie sulla medicina alternativa? Alternativa perché cerca canali diversi. Noi giornalisti che siamo anche singoli cittadini ci troviamo in una condizione anche morale, ci hanno buttato addosso un grande impegno raccontare la realtà da un punto di vista il più possibile distaccato per essere il più onesti possibili. In ogni caso anche noi dobbiamo cercare questa economia alternativa anche se credo che i giornalisti che sono qui parlino già di esperienze molto piccole e molto concrete.
Maria Grazia Bonollo*
Tornare a raccontare la guerra
Sono l'addetto stampa della Caritas di Vicenza e dei Beati costruttori di pace. C'è un altro tassello che manca nell'analisi che è stata fatta: quello della guerra. Ci sono guerre economiche e guerre fatte con le armi. In Congo e nella zona dei grandi laghi, ci sono stati 4 milioni di morti in 4 anni. Ad una delegazione che è stata giù, la società civile chiedeva tre cose: informazione (raccontate di loro in Europa); farli contare quanto i loro diamanti, il loro rame, il loro oro, il loro uranio e infine di incontrare altre persone impegnate provenienti da altri paesi. La questione della guerra è ritornata ad essere uno strumento per difendere quegli interessi della globalizzazione, che sono poi quelli più forti.
Giorgia Bresciani*
Per schiavitù o per gratitudine?
Sono un'allieva della scuola di giornalismo Carlo De Martino di Milano. Più volte sulle pagine di giornale, e recentemente, si è parlato dei laboratori di schiavi cinesi, con una grossa enfasi su questa condizione di schiavitù. Intervistando un ricercatore sociale che si occupa a Milano di immigrazione cinese da parecchi anni, mi spiegava che in realtà in questi casi non si può parlare di schiavitù, non è corretto o per lo meno si fa molta confusione. Molto spesso è semplicemente un periodo di lavoro molto intenso finalizzato a restituire favori a parenti o a persone che li hanno aiutati nell'immigrazione, per un periodo a termine. In questi casi allora è giusto parlare di schiavitù?
Rosario Lembo
Cercare di chiedersi: che cosa c'è dietro ai fatti?
Qualche flash, sulla questione della sanità, nella produzione di farmaci in Bangladesh. Conosco questa esperienza, perché il mio coordinamento ha finanziato un amico bengalese che produceva le aspirine. Spesso il mondo delle organizzazioni governative ha dato delle risposte ad alcuni bisogni per cercare di costruire alternatività e sistemi. Il problema è che nel nostro processo involutivo ci siamo preoccupati più di fare che non di controllare i processi che avevamo attivato, nessuno si è preoccupato di vedere cosa succedeva a Ginevra a livello di Organizzazione Mondiale del Commercio e come tutto ciò che avevamo creato in questi paesi poteva avere sopravvivenza in termini di nuove regole del mercato. Il mondo della cooperazione, della solidarietà oggi non deve essere mero gestore di servizi, non deve buttarsi solo sul fare, anche se dà più soddisfazione. Si vedono meno risultati a studiare e a seguire i processi, ma oggi ciò che è importante è che ci sia qualcuno che studi e che imponga nuove regole per il mercato. E questo si può fare solo se c'è una convergenza di alleanze tra soggetti in ambiti diversi, mondo politico, sociale o in questo momento sindacale. Se cambiano i comportamenti dei cittadini consumatori, cambia il mercato, cambiano le regole del mercato. Questo è il tallone d'Achille e la debolezza del sistema: è su questo che bisogna organizzarci come cittadini consumatori, come cittadini che vogliono difendere i loro diritti e che non vogliono che questi diritti siano affidati alla dimensione del mercato. Allora il mondo della società civile organizzata - è brutto società civile, ogni società dovrebbe essere civile, non credo esistano società incivili - come le organizzazioni non governative, è il mondo che, anche attraverso l'alleanza col sistema della comunicazione, deve aiutare a far maturare una nuova narrazione dei fatti, degli eventi. Credo che ci sia una narrazione diversa degli eventi che avete fare. A noi è arrivato un appello: si era fatto il raccolto delle arachidi e tutte le imprese multinazionali giocavano al ribasso dei prezzi. C'è arrivato un appello direttamente dai paesi produttori: abbiamo bisogno di un credito di 600.000 franchi. 300 milioni, non chiedevano molto, compriamo noi tutto questo ammasso e lo rivendiamo nel mercato nel momento in cui vogliamo, c'era bisogno soltanto di qualcuno che facesse un prestito, perché loro sulle banche locali questo prestito non lo garantivano. Questa è anche gestione alternativa del risparmio. Se lo date in banca allo 0,50% non rende niente, se lo date così praticamente sono prestati. Ci sono piccoli imprenditori che si sono messi accanto a questi paesi prestando soldi, noi come organizzazione diamo la garanzia bancaria che quei soldi verranno rimborsati. È un modo diverso di usare il denaro, il nostro tempo libero, le nostre professionalità, questa è la narrazione degli eventi di cui c'è bisogno. Qualunque evento ha dei protagonisti che possono ridare il senso a quei fatti, interpellateli.
Che cosa c'è dietro la privatizzazione della sanità, dell'acqua, di qualunque diritto fondamentale della persona umana? Ci vuole una planetaria di cittadini che praticamente hanno in comune la difesa dei diritti fondamentali della persona umana, questi diritti ce li dobbiamo conquistiare, difendere perché non ce li difenderà il mercato, il quale renderà sempre più il divario tra ricchi e poveri. C'è stata in Bangladesh, una grossa conferenza internazionale di tutte le associazioni che si sono interrogate sul discorso del modello del mito credito. Ci si sta interrogando se lo stesso modello della Banca mondiale, sia ancora valido o che pone dei problemi. E' un modello tipicamente americano in cui si promuove la crescita individuale delle persone. Non c'è restituzione del vantaggio del miglioramento del reddito individuale agli effetti della collettività, della comunità. Il credito produce più impatto sociale quando è gestito dalla comunità, quando è la comunità che presta i soldi alla comunità, che poi verranno restituiti
Alberto Castagnola
La stampa dovrebbe conoscere meglio alcuni organismi
L'economia è una cosa molto bella e divertente. La dovete prendere come una cipolla, si guarda un fenomeno economico che è il primo strato, poi si leva il primo e cambia tutto, si leva il secondo strato e c'è un altro gioco di rapporti. La parte divertente dell'economia è questa: la capacità di entrare dentro le cose. La primissima cosa che dovrebbe fare un giornalista è adottare questo metodo, nel senso che nessun fenomeno economico che vi si presenta è mai vero in quanto tale, dietro c'è sempre qualche altra cosa. Il bel giornalista dovrebbe essere in grado di capire il quarto livello delle informazioni, sicuramente ce n'è un quinto e un sesto, il quarto comunque già sarebbe buono. Il Corriere della sera, nel supplemento economico, riportava la notizia: "5 multinazionali abbassano del 90% il prezzo del medicinale base, quello fondamentale ad oggi, cioè allo stato attuale delle conoscenze, per la lotta contro l'Aids in Africa". E fanno un accordo con un paese che guarda caso è il Senegal per introdurre il medicinale. Titolo sparato sul positivo, bellissima notizia, finalmente si interviene sull'Aids in Africa dove ci sono 30 milioni di morti previsti. Poi uno lo legge (cioè lo legge il malvagio economista) e chiede perché il Senegal, che non è uno dei paesi dove c'è più Aids? A quel punto uno deve togliere la prima buccia e dire: "forse siamo in presenza di una sperimentazione a basso costo e ci pagano anche il 10%!", cioè non è gratis. Nella notizia apparsa sui giornali c'è qualcosa che non funziona, questa è la verità da mettere in piedi. Qual è il metodo, il sistema da seguire? Farsi una specializzazione, approfondire certi aspetti. Ci sono due parole che mi hanno lasciato un po' perplesso: distaccato e onesto. Francamente non le concepisco, non le posso accettare, cosa significa? Crediamo alle notizie oggettive, sicure, attendibilissime, che fotografano tutta la realtà nella sua complessità? E' questo che significa distaccato? E onesto che vuol dire? Rispetto fino in fondo quello che mi hanno detto o vado in fondo ai problemi? Onesto è un'altra cosa: è andare a fondo, è sapere tutti i protagonisti, è sapere in quel momento se conviene far morire dei senegalesi o far morire dei sudafricani e a quale prezzo. E' questo il lavoro serio di approfondimento, di formazione professionale, di contatti. Perché i Tg non fanno interviste alle delegazioni italiane che vanno al Wto o al Fondo monetario internazionale una volta ogni 15 giorni? Cominciamo a chiedere cosa vanno a dire e al ritorno cosa hanno ottenuto. È un lavoro che non riusciamo a fare, non riesce a fare nessuno. Nel comitato ristretto della tavola verde del Wto a Seattle c'erano solo paesi industriali? I 50 paesi africani hanno detto: "ce ne andiamo perché stiamo qui fuori a passeggiare e loro stanno decidendo delle cose su di noi". Questa è una "segretezza", inaccettabile. Questi sono gli ostacoli da abbattere, non c'è niente di segreto in queste cose, sono segrete solo le trattative tra gruppi d'interesse al di sopra della testa della gente. Bisogna entrare dentro questi meccanismi.
In Italia c'è un organo che si chiama Corte dei conti che pubblica annualmente un rapporto. Se soltanto un giornalista leggesse quel rapporto saprebbe molto, ma molto di più su quello che succede nel nostro paese, di qualunque analisi o indagine o intervista scandalistica, c'è tutto scritto lì. Sulla cooperazione in particolare se metteste in giro le informazioni ufficiali del responsabile del settore, sapreste moltissime cose su quanto accade nei rapporti tra l'Italia e la cooperazione, l'Italia e il terzo mondo in chiave di cooperazione. Lavoriamo su una realtà parziale e deformata, dobbiamo allargarla e raddrizzarla.
Carmen Mattei - Assessore Regione Marche*
Le nuove tecnologie per facilitare la relazione e lo scambio
Sono qui per porgervi i saluti della giunta regionale e del presidente Vito D'Ambrosio che purtroppo era impegnato, non siamo potuti esser presenti in questi giorni di lavoro e ve ne chiediamo scusa, perché c'era in contemporanea un grande convegno a Pesaro proprio sulla globalizzazione dell'economia della piccola e media industria marchigiana, che è un tema di evidente attualità in questi giorni. Sono assessore regionale alle politiche comunitarie e anche all'informatica. Sono l'unico assessore regionale chiamato direttamente dal presidente, non sono stata eletta e non sono stata nominata all'interno di una negoziazione fra i partiti. Questa piccola nota biografica non è un sussulto di millanteria, come potrebbe apparire, ma è una risposta a chi in questa sala un anno fa disse che i disabili sono una macchia sporca su un pavimento pulito. Non voglio riaprire il dibattito evidentemente su che cosa fa notizia, su come si fa notizia: i temi di oggi sono altri. La giunta sta lavorando ad un grande progetto di realizzazione della società dell'informazione, che è un progetto che parte da un input nazionale dell'autorità per l'informazione per le pubbliche amministrazioni e che non prevede solo la semplificazione delle procedure amministrative e la messa in rete dei diversi livelli di amministrazione sul territorio, ma prevede anche la messa in rete di tutti i soggetti sociali e istituzionali della regione stessa, per facilitare il flusso di informazioni di comunicazione e anche l'accesso ai servizi. In questo, ragionavamo proprio con Vincenzo Varagona, della necessità di dare un ampio spazio ai canali di flussi informativi, anche nel senso di comunicazione e circolazione della notizia. Credo che questo sia un potente strumento di sviluppo della possibilità di una nuova visione anche dei mass media. Non voglio entrare nel merito di come si fa notizia, anche se devo dire che, penso che ognuno dovrebbe avere di più la consapevolezza della propria mission professionale. Faccio solo un piccolo esempio per farmi capire. Penso che chiunque può inventare il Grande fratello, ma che il Grande fratello diventi un evento nazionale mi sembra onestamente un indirizzo di regressione civile. Dobbiamo aprire anche su questo il dibattito e trovare nuove strumentazioni di comunicazione diretta, di comunicazione in tempo reale. In questa direzione l'agenzia dovrebbe rappresentare uno strumento di sostegno forte, per questo dovrà riuscire ad utilizzare le nuove tecnologie non come uno strumento per l'azzeramento della relazione umana e dell'interscambio umano, ma al contrario uno strumento per potenziare relazione e scambio.
* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.