VII Redattore Sociale 1-3 dicembre 2000

Corre la lepre...

Le speranze della cooperazione

Intervento di Rosario Lembo

 

Rosario Lembo - presidente del Cipsi*

Che cos'è la globalizzazione?

Quello che insieme dovremo affrontare è un tema particolarmente complesso: è la globalizzazione. Il tema sarà approfondito soprattutto in termini economici. Globalizzazione è un termine che ricorre spesso sui media, sui giornali, sulla nostra bocca, ma tutti supponiamo forse qualcosa di diverso all'interno di questo motto, di questa parola, che ognuno interpreta in un modo diverso. Lo slogan può essere: "le facce oscure di questa parola". Cercando di inquadrarla, cerchiamo anche di capire come si presenta oggi, come si concretizza, come si materializza nella vita quotidiana, in questo villaggio unico globale, che è appunto la terra. Praticamente che cos'è oggi la globalizzazione? Vi porto il mio contributo da questo spaccato del mondo della cooperazione internazionale e da una mia formazione prettamente economica. In una relazione del vice presidente del Senato è stato ricordato che l'informazione rappresenta il quarto potere e chi ha promosso la globalizzazione nel mondo è stata proprio l'informazione, il mondo della comunicazione, con tutti i progressi che la tecnologia ha messo a disposizione.

I diritti trasformati in bisogni

I principi su cui si fonda la globalizzazione sono quelli della liberalizzazione e della deregolamentazione dei mercati. Non devono esistere più regole che impediscano la libera circolazione delle persone, delle merci e di ciò che si produce. Altro principio, è quello di privatizzare tutti i settori possibili: lo Stato non deve più gestire e garantire nulla, tutto deve essere in mano alla competitività, al sistema di mercato. Questo che cosa ha determinato? Una mondializzazione dei mercati, il prezzo delle arachidi non lo stabiliscono più l'incontro tra la domanda dei produttori e di chi praticamente vuole acquistare le arachidi sul mercato del Senegal, ma esiste una mondializzazione dei mercati, dei flussi finanziari, cioè del mondo della finanza, dei flussi commerciali, dei flussi informativi. La globalizzazione ci porta a vivere soltanto il tempo reale della realtà immediata, non conta più il passato, il futuro si costruisce giorno per giorno, momento per momento. La comunicazione assume un ruolo che non può essere neutrale. Tutto è ridotto al tempo zero: i saperi, gli eventi devono essere comunicati nel momento stesso in cui avvengono, in qualunque parte del mondo. Questo è possibile ed è ciò che i consumatori del mondo dell'informazione si attendono.

Conseguenze legate al processo della globalizzazione

In primo luogo la caduta delle ideologie e dei valori, di quei valori che erano dei comuni parametri di riferimento. Oggi si assiste alla liberalizzazione dei comportamenti individuali. Nei gruppi di lavoro ne hanno esaminati alcuni: l'alcool, l'eccesso nel gioco e così via, la crescita dell'individualismo, la difesa corporativa degli interessi. L'altra tendenza è la trasformazione dei diritti umani in bisogni individuali. Ciascuno di noi diventa in questo momento un cittadino responsabile e titolare dei diritti, però titolare di diritti solo se praticamente dotato di cittadinanza, cioè solo se è cittadino di uno Stato. Gli immigrati nel nostro paese: non hanno diritto alla salute, non hanno diritto alla casa, non hanno diritto praticamente all'assistenza. Ho dei diritti in quanto appartengo a una comunità, a uno Stato che nel passato era il difensore di questi diritti. Questo ci chiama a dei comportamenti responsabili non più delegati, ma partecipati, su questo si fonda la sopravvivenza dei processi demografici dei nostri paesi. Seconda tendenza importante: l'individuo oggi è un soggetto libero, anche nei comportamenti etici. Questi possono essere ricercati all'interno di categorie di appartenenza, ma non dobbiamo rispondere a nessuno. La cultura ha messo il mercato al centro del sistema. Il mercato come dispositivo ottimale per soddisfare i bisogni della società. Sia i bisogni del produttore, che i bisogni del consumatore. Il mercato concepito come l'obiettivo storico a cui deve puntare ogni individuo, ogni società, ogni civiltà, ogni paese, sindacato, scuola, singolo cittadino. I bisogni del mercato sono i bisogni della società. In realtà esprime soltanto i bisogni di coloro che possono far parte del mercato, quelli che hanno potere d'acquisto, denaro, quelli che i beni li possono comprare. Qual è l'altro principio dominante che lentamente passa sulle nostre teste? E' che la soluzione offerta e proposta dal mercato, sono di per sé buone, neutre, valide, chiunque le produca, chiunque le metta in circolazione. Conseguenza di questo assioma: i diritti umani si trasformano in bisogni e i bisogni non vengono garantiti dagli Stati, ma vengono garantiti soltanto dal mercato, perché nel momento in cui il bisogno è una merce, è il mercato che soddisfa questi bisogni.

Gli Stati non contano più nulla

Questo è lo scenario in cui si colloca, si snocciola oggi la globalizzazione, questo è il pensiero dominante "I suppose". Tutti supponiamo che la globalizzazione sia così come ce l'hanno venduta: ossia che tutti potevamo comprare le cose che costavano di meno. Il mercato è diventato il solo attore abilitato a soddisfare questi diritti trasformati in bisogni imprescindibili, che sono propri di ogni persona umana, di ogni singolo cittadino, ma che in funzione dei costi di erogazione di gestione non è vero che portano ad un livellamento dei prezzi e quindi alla possibilità per tutti di avere pari opportunità di accedere a quei servizi. Dobbiamo essere consapevoli di quali sono i nemici da sfatare, diversamente la globalizzazione ci sarà venduta come la soluzione Panacea di tutti i problemi del nostro pianeta. I diritti alla salute, all'assistenza, al lavoro, all'informazione non rientrano più nella sfera di competenza dello Stato o in quella del Welfare state, si stanno annullando tutti i Welfare states, perché lo Stato - Nazione non è più colui che determina le regole del mercato internazionale e della convivenza, tra popoli e cittadini. Gli Stati non sono più in grado neanche di poter garantire il potere d'acquisto delle singole monete. Attraverso i processi di privatizzazione si sta cercando di deregolamentare la gestione di tutti i nostri servizi e l'altro elemento importante che dobbiamo tenere in considerazione è il principio della competitività. Per avere speranze diciamo ai nostri figli e la scuola anche insegna questo, che bisogna essere competitivi. La seconda sfida che il mondo degli operatori, sia della solidarietà che dell'informazione devono affrontare, è anche quello di capire quale cultura contrapporre a quella della competitività e mi pare che già noi le vorremmo contrapporre una cultura del bene comune. Oggi i poteri che designano gli scenari internazionali non sono più gli Stati, ma sono i poteri tecnico-scientifici, il potere è dove si ha la conoscenza, il capitale, la proprietà della gestione dell'informazione, della comunicazione, dove si fabbricano le notizie. I processi di globalizzazione, i processi di pace che sono sulla bocca di tutti, non sono gestiti dai protagonisti, ma vengono gestiti dal mercato. L'accordo sul commercio internazionale e le regole non vengono fatte dagli Stati, ma dalle imprese multinazionali, sono loro che stabiliscono i codici, i cavilli che dovranno essere applicati. Il concetto di diritto implica che la collettività deve farsi carico delle situazioni di disagio e di bisogno che si creano, cioè riconosce la sua responsabilità e quindi il suo impegno a creare condizioni finanziarie, politiche e sociali, perché l'accesso a quel diritto (salute, sanità, informazione) sia garantito e sia esercitato nei confronti di tutti. Ne consegue che se noi vogliamo parlare di una globalizzazione intesa come strumento per garantire i diritti umani, le comunità hanno l'obbligo di assicurare la soddisfazione di ogni diritto inerente la persona umana. Questo nella logica completamente diversa della cultura del bisogno, perché la cultura del bisogno si basa sulla capacità del singolo di soddisfare il bisogno da sé stesso e il bisogno lo soddisfa ognuno in funzione del potere d'acquisto, del grado di conoscenza e delle capacità che ha. Questo è legato al principio della competitività. Io sono più bravo, più intelligente, più dotato, nasco in Italia anziché in Africa e quindi ho maggiori saperi, maggiori potenzialità rispetto a quell'altro. La cultura dei diritti, significa riconoscere anche il dovere di far sì che gli altri possano godere dello stesso diritto e quindi impegnarsi anche per questo, agire conseguentemente.

Non esistono più nord e sud del mondo

Chi non è capace di concorrere alla grande gara del mercato internazionale e non ha le strutture economiche per accettare le politiche di aggiustamento strutturale, chi non è in grado di essere competitivo, viene escluso dal mercato ed è questo l'altro salto culturale che dobbiamo fare noi operatori della solidarietà. Non esiste più un sociale nazionale sganciato da un'esclusione internazionale. Siamo sulla stessa tavola, nella stessa situazione. Esiste un problema di inclusi ed esclusi in un sistema: non esiste più un nord e un sud, la povertà esiste a Milano come esiste nel centro di New York e chi va per New York la vede per strada, come la vedete a Calcutta, nelle stesse drammatiche situazioni. Il pianeta non può essere diviso tra il nord e il sud del mondo, ma tra coloro che possono entrare in questo circolo virtuoso dell'economia globalizzata e coloro che invece da questo circolo vizioso ne resteranno esclusi, si dice per incapacità loro di stare nel mercato globale. Dobbiamo sforzarci di comprendere meglio, questo vuol dire confrontarci in primo luogo con un problema dell'identità. Il mondo del sociale internazionale deve essere un gestore di servizi o un laboratorio di creazione di alternatività, di cittadinanza responsabile? Un pensatoio in cui la gente cerca di collocare e di sviluppare comportamenti e atteggiamenti alternativi a quelli imposti dal sistema dominante. Questo è il problema dell'identità, del ruolo su cui ciascuno deve interrogarsi: ciascuno di noi, come presidenti, come responsabili di associazioni, voi come comunicatori. Ed ancora, come coalizzarsi, come organizzarsi per poter difendere queste nuove soggettività dell'alternatività? Come non essere agenzie di esecuzione politiche o trasmettitori di notizie da altri fabbricate?


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.