VII Redattore Sociale 1-3 dicembre 2000

Corre la lepre...

Tra l'urgenza, la sofferenza e la storia: il giornalismo e le fonti "sociali"

Intervento di Carlo Rognoni

 

Carlo Rognoni - vicepresidente del Senato*

Il giornalismo come quarto potere

Non c'è dubbio che i giornali tradizionali e l'informazione normalmente il sociale lo guardano come non il maggiore dei propri interessi. Sarebbe sciocco pensare o dire diversamente: così è, poi magari arriveremo a capire il perché. Ormai sono in pensione, dal '92 faccio il senatore, ho diretto per sei anni "Panorama" ed erano gli anni in cui il terrorismo stava per finire. Ho vissuto in prima persona lo scandalo della P2, l'ho portato fuori sui giornali, magari qualcuno di voi non sa neanche che cos'è, ma è stato un grande scandalo, ha dimostrato che c'era un'Italia sotterranea. Ho diretto poi "Epoca" per 2 anni, sono stato direttore editoriale di tutta la Mondadori e poi per 5 anni, fino al '92, per il "Secolo XIX" che è un grande giornale regionale. Il giornalismo sta cambiando, questa nuova agenzia è la prova evidente che con Internet il sistema dei media nella società dell'informazione sta diventando un'altra cosa, e anche il mestiere del giornalista. Le osservazioni che sono portato a fare e che vi comunico, non sono osservazioni molto incoraggianti per chi vuole incominciare a fare questo mestiere o per chi lo sta facendo da poco. Quando si parla di giornalismo è bene sapere che si sta parlando del quarto potere, si parla in un sistema di democrazia di uno dei poteri della democrazia, quindi la qualità dell'informazione, del quarto potere non è assolutamente indifferente alla vita dei cittadini, alla loro formazione, alla possibilità di essere cittadino. Si è parte del grande gioco della democrazia, la democrazia può essere più partecipata o più delegata. Siamo in un momento decisivo. Gli strumenti tecnologici, li abbiamo visti, ci consentono di partecipare di più. Il sistema politico sta producendo degli effetti devastanti sui cittadini, che o non vanno più a votare o se ne fregano e quindi produce il contrario, un massimo di delega. Siamo in una fase delicata, dove il ruolo dei media, dell'informazione, della qualità del sistema dell'informazione è vitale.

La notizia deve essere "eccezionale"

Cos'è una notizia? Quali sono i fatti che meritano di diventare notizia? Lo stereotipo delle vecchie scuole di giornalismo è quello che: il cane che morde il padrone non fa notizia, fa notizia il contrario, cioè il padrone che morde il cane. Ma voi avete mai conosciuto uno che abbia morso un cane? Tanti anni fa mi è capitato di diventare amico di un pittore, era quello che allora si chiamava un pittore maledetto, passava più tempo al bancone di un'osteria che non davanti alla tavolozza, una sera,  indispettito da un cane che gli abbaiava da dietro le inferriate di un villino ha scavalcato il cancello e lo ha morso. Sono testimone di questo però non l'ho mai scritto, primo era un mio amico, secondo non sapevo dove scriverlo e probabilmente era troppo paradossale. Un fatto per diventare notizia ha comunque bisogno di un quid in più rispetto alla normalità, cioè rispetto al tran tran della vita di tutti i giorni. Le storie truci, i grandi delitti, come la maldicenza, pagano di più in termini di lettore rispetto alla riflessione e all'opinione. Ma allora quel quid in più che trasforma un fatto in una notizia qual è? La sensibilità cambia a seconda del momento, del tempo che si vive, a seconda del comune sentire di una determinata epoca e anche a seconda di dove si vive. Mille morti di fame in Africa possono fare meno notizia di un ragazzo col motorino senza casco schiacciato da un'auto di lusso sotto casa, nel centro di una delle nostre città. Conta dove il fatto accade e più accade vicino al potenziale lettore, più lo tocca nella ragione e nel sentimento e per toccarlo deve essere sentito, deve essere vissuto. Il sociale fa notizia quando? Se ti capita sotto casa, se ce l'hai sotto gli occhi, se è una cosa che vivi direttamente, questo è un elemento che non va mai trascurato nel pensare come un fatto diventa notizia. Poi non c'è dubbio che fa più notizia un fatto negativo che un fatto positivo. C'è la ricerca di qualcosa che non è nella norma, che è fuori norma. Un fatto fa più o meno notizia a seconda anche di chi ne è il  protagonista. Il ricco fa più notizia del povero. L'attore, il divo, il politico di livello nazionale fanno più notizia del vicino di casa anonimo, dell'impiegato, del lavoratore, del pensionato. Quando scoppiò Tangentopoli ci furono proteste e denunce contro il fatto che televisione e giornali pubblicavano foto di politici in manette. Si gridò allo scandalo. Prima quando un delinquente qualunque veniva ripreso in manette nessuno aveva sollevato obiezioni. Altro punto nel passaggio dal fatto alla notizia è il tempo. Se è la prima volta fa notizia, se lo stesso fatto si ripete, piano piano è destinato a scomparire dai giornali, oggi è una notizia il fatto che un animale sia stato clonato, fra qualche anno non lo sarà più. Qualche anno fa un morto di Aids faceva notizia, oggi ci vuole un'epidemia. A un cronista alle primissime armi si spiega da subito che la notizia che scrive per essere sensata e completa deve dare una risposta ad almeno 5 interrogativi:chi, che cosa, dove, come, quando.

Il male del giornalismo italiano: educare, non informare

Il giornalismo italiano nel passare dal fatto alla notizia fa bene fino in fondo il suo mestiere oppure pecca di superficialità, di reticenza, di faziosità? Perché in Italia si legge meno che in altri paesi europei? Delle due funzioni che si attribuiscono di solito alla stampa, informare o educare il giornalismo italiano quale ha, in genere, prediletto e perché? Ancora, perché la credibilità dei nostri giornali è così bassa? E perché il livello di fiducia dei cittadini nei  confronti dei giornalisti è fra i più bassi? Se si prendono le indagini di opinione, si scopre che al primo posto ci sono probabilmente i Carabinieri, poi c'è il Papa, agli ultimi punti vengono i politici e forse dopo i politici o poco prima, i giornalisti. Si leggono pochi i giornali forse per il tipo di prodotto che i giornalisti offrono al pubblico. Vendiamo in Italia 5/6 milioni di quotidiani, che sono gli stessi che vendevamo negli anni Trenta. Un contributo prezioso, per spiegare i bassi indici di lettura, è offerto da un giornalista del Corriere della Sera alla fine dell'800, Dario Papa, inviato negli Stati Uniti, mandato a studiare il giornalismo d'oltre Oceano scrive: "i giornali americani non sono come i nostri, infestati da una quantità di uomini di lettere che non si sentono nati a fare i piccoli servizi del pubblico, che hanno sempre delle grandi idee da espettorare, ma rifuggono dalla fatica di fare del giornale un veicolo di notizie anziché un'accademia e così avviene che i giornali di là hanno tutti fra loro un tipo diverso e se ne possono leggere parecchi in un giorno, sicuri di trovare sempre del nuovo, da noi si somigliano tutti eccetto che nelle opinioni propugnate, si rassomigliano nelle parlate lunghe e retoriche e magari irte di erudizione presa dall'enciclopedia". Un giudizio pesante ma molto contemporaneo, è passato più di un secolo, ma quelle parole colgono una caratteristica che non è ancora stata superata. Poi c'è la concorrenza della televisione, sia sul piano della comunicazione più diretta, più semplice, più popolare, che in quello economico - in Italia il mercato della pubblicità è per  oltre il 55% nelle mani delle televisioni, nel resto d'Europa è abbondantemente sotto il 50%, questo sta da anni mettendo il sistema della carta stampata in ginocchio. Quando sono nate le televisioni locali, la difesa un po' corporativa dei giornalisti è stata tale che ha impedito, secondo me, di far nascere televisioni locali con giornalisti, perché i giornalisti costavano troppo, ci voleva la capacità elastica di capire che per quel tipo d'informazione televisiva locale bisognava probabilmente avere il coraggio di fare contratti diversi, difendendo dei diritti. La difficoltà di questo mestiere è anche nella famosa questione delle due funzioni che gli si attribuiscono: "informare ed educare". Il giornalismo italiano ha sempre prediletto la seconda, che a parte ogni considerazione è la meno appetibile. Coloro che hanno fatto i quotidiani in Italia attraverso gli anni, si sono preoccupati di esporre idee piuttosto che dare notizie, per convincere i lettori, magari per guidarli, per indurli a fare certe cose piuttosto che altre. Nel periodo fra le due guerre, nel ventennio fascista la tendenza a educare e quindi in ultima analisi a fare propaganda ha raggiunto il massimo d'intensità, tutti sanno quanto fosse ossessiva, ma la vocazione educativa c'è sempre stata prima e dopo. La differenza di partenza da cui discendono tutte le altre tra il giornalismo italiano e quello americano riguarda la concezione del ruolo dell'informazione. In Italia è essenzialmente percepito come ruolo politico, negli Stati Uniti come ruolo sociale e da qui l'idea di informazione come servizio pubblico.

Da strumento per fare politica a "portavoce" dei magistrati

Il controllo dei mezzi d'informazione diventa uno strumento per fare politica direttamente, meglio ancora indirettamente, serve come merce di scambio con la classe politica. La Fiat si compra e si tiene La Stampa, fa capo all'industria tessile lombarda di Crespi il Corriere della sera, quando l'ultimo Crespi vende, si profila Cefis, la Montedison, che garantisce Rizzoli. Tocca a un petroliere avere Il resto del Carlino eLa nazione. Lo stesso Secolo XIX ha avuto come editore i Perrone, allora proprietari di banche, gli Agnelli degli anni 30. La Repubblica di De Benedetti passa attraverso la Mondadori e oggi è diventata di Berlusconi. Allora se prima gli industriali facevano gli editori e si servivano dei giornali per ottenere piaceri e per fare piaceri alla classe politica di governo, con l'editoria televisiva diventa il politico in prima persona ad avere il controllo dei media e a fare politica. Sono temi che dimostrano la difficoltà della nostra democrazia. La crisi della politica è sotto gli occhi di tutti e sta trascinando dietro di sé, per quel legame un po' perverso, la crisi di credibilità dei giornali, della stampa, dell'informazione in generale. Anziché migliorare, l'informazione è peggiorata in questi tempi, in faziosità, in appartenenza politica, slogan del tipo "o di qua o di là" fanno si che siano sempre meno le voci indipendenti. Lancio una grande accusa ai giornalisti in generale, che con tangentopoli, secondo me, hanno perso una grande occasione. Potevano emanciparsi dai poteri forti dell'industria, dell'economia, della politica, che in quegli anni erano tutti accomunati da una specie di ondata purificatrice di "mani pulite". Non ne hanno approfittato. Questi giornali hanno scritto che i loro editori andavano in galera, hanno scritto che alcuni referenti economici erano accusati di corruzione, ma hanno smesso di prendere delle linee dai politici e si sono messi a prendere le veline dai magistrati. Quattro poteri: la stampa, la magistratura, gli altri due li conoscete sono il governo e il legislativo.

Internet è la strada delle notizie

Sto avvertendo una grande e storica occasione per questo paese grazie alle tecnologie e al cambiamento che sta avvenendo con la rete, si sta producendo sicuramente il gusto per la notizia più che per il commento, c'è stata una crescita culturale più ampia e quindi la possibilità per ognuno di noi di farsi il suo giornale, di leggersi le notizie che vuole e le notizie diventano importanti più ancora dei commenti. Incomincia ad esserci una nuova strada per le notizie quella di Internet e il fatto che nasca un'agenzia di notizie del sociale - ci sarà anche il commento che leggeremo, ma soprattutto di notizie - è un segnale importante, perché la rete è una grande risorsa di notizie. Cosa diventerà importante? La scelta di queste notizie. Perché quei principi che ho detto relativi a quando un fatto diventa notizia valgono molto per la carta stampata; le agenzie selezionano meno, hanno più rispetto della notizia in sé. Il giornalismo è alla vigilia di una fase di cambiamento molto importante e anche molto delicato dove in gioco c'è la qualità della democrazia. Iniziative come questa aiutano a sperare che la si potrà migliorare.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.