VI Redattore Sociale 26-28 novembre 1999

Di razza e di classe

Informare, conoscere, coinvolgersi

Intervento di Virginio Colmegna

 

Virginio Colmegna - sacerdote, direttore Caritas Ambrosiana*

In punta di piedi

Non mi sento di parlare ai giornalisti, parlerò quindi a me stesso. Mi interrogo sul perché non vada avanti questo tema di "redazione sociale". C'è un deficit delle aggregazioni sociali, dei corpi intermedi, che evidentemente tentano di trattenere dentro di sé, c'è un problema di comunicazione. Aumenta l'autoreferenzialità, ciascuno cerca di chiedere che le notizie rappresentino la propria esperienza. Il problema è come riuscire a interrogarsi insieme. Mi pongo nell'ottica di vedere se può esistere un redattore sociale non con l'impatto ideologico che la parola ha già ma con l'incrocio di esperienze, interrogativi, inquietudine, sapendo che c'è un percorso difficilissimo. Si tratta di vedere questo sociale come è rappresentato tra la gente, un sociale fatto di volti, contesti, storie, relazioni, sofferenze, un sociale quasi anonimo a cui bisogna cercare di dare dignità. Quale rappresentazione contribuiamo a dare insieme come società che cerca di condividere; quale rappresentazione abbiamo di fronte dei problemi dei volti delle persone e quali tracce lasciamo? I temi sociali sono affrontati nei quotidiani prevalentemente attraverso articoli di cronaca nera, le fonti sono quelle pubbliche: questura, carabinieri, vigili urbani, qualche volta i servizi sociali.

L'accompagnamento reciproco

Non si inventa la comunicazione sociale, bisogna cominciare a comunicare fortemente tra realtà che si condividono, che si coinvolgono in questi problemi, che li anticipano qualche volta e che sanno avvertire quelli in esplosione. Stare vicini, tenersi in contatto continuamente cercando di anticipare e comunicare in termini positivi. Il rischio in questo momento è che la realtà sociale faccia notizia parlando solo di sé senza far capire il fenomeno. La sfida è come far crescere nella gente un'attenzione diversa, come cambiare insieme e partecipare a una sofferenza, a un lutto a una divisione, a una preoccupazione. I verbi possono essere "coinvolgersi", "conoscendo, partecipando e ascoltando". Non è possibile diventare "redattori sociali" senza una comunicazione, una riflessione forte dove al centro non ci sia semplicemente la propria visione di partenza che chiede di essere confermata dai fatti ma un modo continuo di interrogarsi su come si comunica la notizia e su come viene vista la risposta. È un percorso difficile che ha bisogno non di una strategia data in  partenza, ma di dialogo, interazione. Per informare, conoscersi, coinvolgersi, bisogna creare un sistema di relazioni sociali e di comunicazioni tra gli attori, i protagonisti e quelli che fanno notizia. Non si tratta di costruire delle agenzie che informano ma di cominciare a comunicare, contribuire insieme a cogliere, anticipare.

Permettere di capire

Penso al tema giovanile, sembra che tutto sia diventato ecstasy, al problema della psichiatria è evidente che tra un po' esploderà, è già esploso il dramma delle solitudini, della lacerazione di questa riforma della salute mentale che ha dentro la sofferenza dei familiari. Aspettiamo l'evento traumatico sul quale creare il sistema di paura o cerchiamo di sensibilizzare? La scelta di conoscere e di coinvolgersi chiede comunicazione, non soltanto sull'evento significativo che è provocato dal convegno, dalla notizia, dal dramma o dalla cronaca nera. Bisogna anticipare l'evento traumatico e drammatico attraverso la costruzione di un consenso e di una rappresentazione nel quale la gente comune che quasi non legge i giornali si incontri e interpreti. Lasciare tracce positive dell'esperienza, del volto incontrato.

La società dell'immagine 

Lo diciamo con molta facilità, l'immagine e la rappresentazione contano, riteniamo però che questa sia anche la società delle competenze. In questa lettura paradossale il volontariato o 'l'immagine' viene assimilato come: "immagine buonista". Qui si ha il paradosso della contraddizione, un certo tipo di cultura laica dei giornali, dei mass media, attribuisce l'immagine buonista come negativa e il paradosso è che l'impresa economica che poi governa un certo tipo di sistema di comunicazione accelera e moltiplica questa immagine. La contraddizione è enorme e la si intravede continuamente. Un'esperienza presente nella marginalità, ricca di competenze, ha bisogno di uno strumento di conoscenza e di comunicazione che sappia colpire la gente comune, che non faccia intellettualismo. Un percorso da intraprendere: informazione e comunicazione che si interrogano reciprocamente, sperimentano, comunicano.

È vero ciò che appare

Se guardiamo i giornaletti che arrivano nelle realtà del terzo settore non siamo molto usciti dallo stile dei bollettini parrocchiali. È evidente che se convive questo tipo di lettura rispetto al rapporto con la notizia e non c'è un cambiamento, non produrremmo nient'altro, sul terreno poi rimarranno le cronache nere. Accompagnare la notizia creando interazione tra operatori e informatori la riteniamo o almeno la ritengo sempre più importante anche in questo tipo di esperienza. Le stesse notizie che vengono date hanno bisogno di comunicazione, di preparazione perché abbiamo un patrimonio che non riusciamo a rendere o a incidere completamente. È evidente che c'è un patrimonio. Sono entrato in Kosovo dalla Serbia il giorno in cui uscivano i serbi ed entravano i carri armati dei nostri e avevo bisogno di avere lì qualcuno a cui comunicarla, ho visto questa popolazione serba che scappava, gli altri che arrivavano, era una notizia e non stava né da una parte né dall'altra, era la storia della gente, dei profughi, della guerra. Quando si parla di "redattori sociali" i processi formativi sono ancora da compiere.

Il predicatore del buon senso

Il sistema di comunicazione come sistema sociale dovrà riflettere molto sui vincoli e la capacità di ragionare per vedere come dilatarli e come attraversarli, non si possono saltare improvvisamente facendo diventare io un appassionato testimone e il giornalista uno che deve darmi la notizia, che deve accogliere la mia predicazione. Il giornalista deve rendersi conto della contraddizione, dare notizia seria, reale, interrogare anche me che sto lavorando nel sociale che qualche volta mi illudo così tanto che siamo tutti buoni. C'è una rappresentazione falsa anche della bontà, una rappresentazione mitica rispetto anche all'impegno sociale che va proprio demitizzata continuamente. Il patrimonio di riflessione che ha bisogno di attenzioni come va gestito? Non certamente facendo solo convegni, dovremmo riuscire non a dare il volto della persona ma a rileggerne l'esperienza, il vissuto. C'è un certo tipo di dilettantismo anche un po' delutopico rispetto alla notizia, i tempi qualche volta sono pesanti, in termini di comunicazione abbiamo bisogno di tener sempre conto che questa cosa va letta e va accolta anche da altri. I processi di formazione che stiamo tentando di sperimentare vanno fatti insieme tra chi fa la notizia, chi la comunica e chi vive nel sociale, dovremmo reciprocamente interrogarci per costruire poi l'informazione.

Una proposta di ragionamento

Conoscere significa dare priorità. Mi preoccupano, rispetto al tema della redazione sociale, le grandi assenze, le non notizie. Ci sono alcune assenze drammatiche dentro la condizione nella quale viviamo. La capacità dovrebbe essere quella di sollecitare, mettere a disposizione informazioni e conquistare rispetto. Capiteranno tanti incidenti di percorso e chi sta dentro questa società dell'immagine deve farsi carico della sua complessità e a maggior ragione avere una buona capacità di comunicare.
Finora, a parte le conferenze stampa, i modelli di comunicazione sono stati sempre alternativi, ogni associazione crea una sua rivista, una news letter. È un mondo vivace, ricco di individualità e ognuno ha e deve avere qualcosa da comunicare ed è una risorsa anche di crescita interna. In parallelo c'è però la necessità di mettersi insieme per comunicare in modo più efficace e il problema di come costruire questi luoghi di comunicazione seria. Bisogna muoversi in un modo strategico per non finire soffocati. Non so dare una risposta, so che dobbiamo fare un percorso insieme. Ne avverto tanto l'urgenza.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.