VI Redattore Sociale 26-28 novembre 1999

Di razza e di classe

Dibattito

Mimmo Tartaglia, Giovanni Del Giaccio, Don Virginio Colmegna, Dino Boffo -

Mimmo Tartaglia - Inviato del Tg1*

Faccio da 41 anni questo mestiere uno dei più antichi del mondo, posso essere un po' refrattario al pessimismo di chi mi ha preceduto ma mi preoccupo seriamente di quei tanti che invece il giornalismo vorrebbero farlo domani e dopo aver sentito le relazioni credo che avranno delle grosse perplessità a continuare.
Quando dobbiamo descrivere con poche parole e con poche immagini dei fatti ci scontriamo con la difficoltà della non conoscenza, quando ci muoviamo ci sono limiti oggettivi e non sempre è facile approfondire.
Succede magari quando il contesto viene approfondito che la storia non è più storia e si fa la figura di quelli che lavorano con approssimazione.

Giovanni Del Giaccio - Redattore di Latina*

È difficile quando si arriva in un posto raccontare in 15 minuti ed avere al contempo la possibilità di approfondire.
Li chiamo "gli inviati di un giorno" quelli che per un fatto clamoroso arrivano lì vengono presi dai carabinieri e portati in giro a vedere i posti. Mi sono occupato di un centro di accoglienza a bassa soglia per tossicodipendenti, abbiamo fatto dei servizi, i tossicodipendenti e gli operatori non vedevano di buon grado questa collaborazione, compravamo il nostro  giornale ma non veniva letto con molto piacere: "dite sempre le solite stupidaggini, le solite cose non parlate mai di cose serie" questi erano i commenti.
Un giorno vado lì - il giorno precedente c'erano state due overdosi in 12 ore - e trovo 8 giornali acquistati, la notizia finalmente li aveva interessati. Possiamo discutere a lungo su quel che fa notizia e quel che non la fa.
In questa epoca di "comunicazione scellerata" si ha difficoltà ad avere notizie, posso però affermare che ancora si trovano dei giornalisti impegnati che non fanno troppo piacere al cosiddetto "potere".

Domenico Campana - Ansa*

C'è crisi nel nostro mestiere ma non poteva essere diversamente. Ci siamo chiesti il motivo, le cause per cui va male? Perché è in crisi un sistema. Se questa sera fossero stati presenti gli editori, la nostra controparte, avrebbero trovato i discorsi molto sinergici ai loro. Essi sostengono che i giornalisti non sono più mediatori non servono. Chi ha sostituito i giornalisti nel compito di mediazione? Le tecnologie. Se non apprezziamo quello che stiamo facendo diventa difficile ricominciare da capo. La crisi del giornalismo è la crisi della società e noi che facciamo i mediatori di questi soggetti sociali in crisi non si vede perché non dobbiamo esserne il riflesso. Ne siamo lo specchio nessuna meraviglia quindi, nessuna contraddizione o autoflagellazione. Vorrei che si approfondisse meglio questo aspetto di "redattore sociale" condivido pienamente la proposta di un'agenzia di stampa portatrice univoca della voce dell'operatività nel sociale. È  importante che i soggetti sociali e l'associazionismo in genere non dimentichino l'obiettivo per non rimanere sempre al margine di una informazione ormai spasmodica, online. Anche nella molteplicità dell'informazione il giornalista ha il compito di saper scegliere.

Giovanni Borghi - Collaboratore di varie riviste*

Si dovrebbe spiegare meglio se i giornali mediano la notizia o la rispecchiano, perché non ho mai visto uno specchio che media. Mediare è un'altra cosa. La domanda che mi pongo è: come mai prima di entrare all'interno dell'ordine gli si è contro e dopo si crede e si dice che è il migliore degli ordini possibili?

Daniela Ducoli - Radio Montecarlo*

Ci viene chiesta l'approssimazione per forza, abbiamo dei mezzi molto veloci come nel caso della radio, della televisione, un po' meno nel caso dei quotidiani. Chi lavora nei mensili può permettersi l'inchiesta e il reportage. Se nel corso di un notiziario devo parlare di ecstasy, di Zago che sputa a Simeone e poi di internet in borsa non posso essere preparata su tutto.

Lucia Ferrari - Redazione centrale del T3, redazione Esteri*

Vorrei diventare un "redattore sociale" ma ancora non mi riesce. Ho passato quasi senza interruzione 78 giorni e altrettanti notti in redazione durante la guerra in Kosovo, il T3 la redazione centrale del più grande telegiornale d'Europa che ha quasi 650 giornalisti non ha trovato il tempo di fare una riunione per dire come avremmo dovuto affrontare questa guerra a livello di informazione ai cittadini, alle famiglie dei soldati e a tutti coloro che erano interessati all'argomento. A noi che facevamo due, tre pezzi di apertura al giorno, uno diverso dall'altro e che coordinavamo il lavoro dei corrispondenti in particolare di quelli da Mosca, New York, Parigi e Belgrado nessuno ha detto che linea osservare. Avevamo al massimo un minuto e 20, un minuto e 30 in cui mettere sette righe di comunicato stampa, ovvero di quello che arrivava dalla Tv serba con le immagini relative. Mi chiedo che funzione avrebbe potuto avere un redattore che voleva fare del sociale andando oltre agli asettici comunicati stampa. Nessuno ne ha voluto parlare la ragion di stato, quella economica e editoriale ci ha impedito di fare qualsiasi tipo di approfondimento. Nel futuro dell'informazione bisognerà  formarsi se si vuole restare sul mercato bisognerà offrire qualità. Alcuni di noi entrati in Rai per lotta sindacale, magistratura, scuole, auspicano e chiedono ai nostri organismi sindacali e all'azienda una formazione costante e obbligatoria. C'è un modo attraverso il quale si possa imporre un'attenzione o una volontà e lasciare uno spiraglio aperto a chi vuol fare il redattore sociale?

Don Virginio Colmegna - Direttore Caritas Ambrosiana*

Dobbiamo essere attivi

Quelli che sono qui a ragionare di redattore sociale denunciano che la notizia fatta attorno ai temi dell'emarginazione prende fonti da luoghi che evidentemente la deformano o che appartengono ad una cultura che non è propriamente quella della informazione, questo è il grosso limite. C'è un modo di comunicare che crea opinione. È importante in questa fase una strategia, una capacità di alleanza positiva tra quelli che vogliono fare i redattori sociali. Occorrono delle mediazioni anche di competenze, conoscenze che si traducano in comunicazione. Compiere insieme dei percorsi con modalità da determinare in termini informativi, di ricerca delle fonti, di verifica del lavoro. Siamo in gravissimo ritardo su come collocare l'attenzione dentro il sistema dell'Europa alle fasce deboli e alla riforma dello stato sociale. Siamo in ritardo nel decidere le priorità in termini di comunicazione. Il livello formativo è anche un livello di contenuti. Il contenuto passa attraverso percorsi, posizioni, articolazioni plurali, bisogna conoscere. Informare-informarsi, conoscere-conoscersi,  poi coinvolgersi. Ma il problema è come coinvolgere insieme?

Zeno Zencovich - Docente universitario*

La libertà di stampa è un'espressione

È  un diritto che viene riferito ad una tecnica di manifestazione del pensiero innanzi tutto. Che poi nelle nostre carte costituzionali, nelle carte internazionali dei diritti dell'uomo venga fuori la libertà di stampa è assolutamente naturale giacché grossomodo, fino a questo secolo, la stampa è stata il principale strumento di manifestazione del pensiero. Le tecniche usate sono infinite; c'è la radio, la televisione, ci sono gli strumenti telematici. Ritengo che si debba evitare la confusione tra la stampa come tecnica e la stampa intesa come categoria. La libertà di stampa non è la libertà dei giornalisti i quali mi dispiace dirlo non hanno un diritto particolare, il loro è un diritto dato dall'editore nei termini contrattuali a meno che uno non è una grande firma e ha un contratto particolare. Nel momento in cui il direttore o l'editore non vogliono pubblicare un articolo, non lo pubblicano oppure lo cambiano, il giornalista ha solo il diritto di ritirare la firma ai sensi di contratto. L'editore può far scrivere tutti i giorni un articolo e poi cestinarlo, si può fargli causa e vincerla ma quegli articoli non verranno mai pubblicati. La posizione del giornalista è la posizione di un lavoratore subordinato per quanto di un certo livello. Dipende dal direttore, questa è purtroppo una realtà spesso trascurata per far posto alla mitizzazione di un sistema diverso.

Una funzione sociale

Quando parlo di libertà di stampa quello che vorrei evitare è che si confondesse la libertà che abbiamo tutti noi di manifestare il nostro pensiero attraverso tutti i mezzi, (che poi è il senso dell'art. 21 della nostra costituzione) con il privilegio di una determinata categoria professionale. Sono poco propenso alle letture funzionalistiche dei diritti costituzionali ma oserei dire che con riguardo alla classe giornalistica essi non hanno tanto un diritto quanto piuttosto un dovere. Non bisogna confondere la libertà di stampa con un privilegio della classe giornalistica bisogna vedere il problema in termini di svolgimento di un'attività che ha nei confronti della collettività delle responsabilità non meno di quelle che hanno gli avvocati. Ciascuna categoria è uno spaccato della società ci sono tanti disonesti, tanti cretini, tante persone per bene, intelligenti e tanti mascalzoni distribuiti in qualsiasi categoria professionale. Uno dei problemi che affligge l'attività giornalistica in Italia è che il giornalismo investigativo non esiste. Il giornalismo è essenzialmente: attingere a determinate fonti che sono standardizzate.

La realtà è in gran parte dubitativa

Le notizie di reati, di fatti di devianza, arrivano dalla questura, dalle forze dell'ordine ma il carabiniere deve arrestare dei ladri non deve fare l'ufficio stampa o il collaboratore occulto del giornalista. Se l'unica fonte dei fenomeni di allarme sociale è la questura è piuttosto improbabile che faccia un comunicato stampa dicendo: oggi in una spettacolare operazione anti crimine sono stati arrestati 12 galantuomini rinchiusi ancorché perfettamente innocenti, sconteranno tre mesi di reclusione preventiva, prima di essere messi in libertà prosciolti da tutte le accuse... Non credo che polizia e carabinieri facciano il loro lavoro in malafede, sono convinti, hanno degli elementi che ritengono indizi sufficienti di colpevolezza ma se il giornalista prende per buona soltanto quella versione, perché quella è l'unica voce attendibile, l'unica fonte "notiziale" è chiaro che a questo punto ha rinunciato a fare il suo mestiere. Trasformare l'attività giornalistica in megafono delle forze dell'ordine e della magistratura non è il dovere del giornalista che deve avere l'intelligenza di capire che non tutto quello che esce dalla questura, dalla procura della repubblica o dall'ufficio stampa della grande azienda è oro colato. Deve esserci un confronto con le varie fonti contrapposte, c'è sempre qualcuno che la pensa in modo diverso. Il giornalismo investigativo è un grosso male, spesso vive a senso unico. Se deve dimostrare una certa tesi avviene che il giornalista cambia di ruolo diventa un giudice, sostituendo così il giudizio della carta stampata e della televisione a quello del tribunale. La difficoltà è andare alla ricerca delle notizie, confrontarle e presentarle in modo dubitativo. Se dobbiamo credere che la società è quella che ci viene rappresentata dai giornali andiamo nel primo stanzino, prendiamo una corda, del sapone e ci impicchiamo è infatti a dir poco terrificante. Forse il mondo è meno peggiore.

Dino Boffo - Direttore Quotidiano Avvenire*

Le motivazioni per cui cambia dopo l'esame l'atteggiamento di alcuni di noi nei confronti dell'ordine rispetto a prima sono iscritte nella biografia di ciascuno. Cambia questo giudizio perché fatalmente cambia il nostro punto di osservazione. Prima dell'esame, soprattutto se siamo in una condizione precaria, diciamo che l'ordine sembra una fortezza da espugnare e non vediamo l'ora che le mura cadano, dopo tanta fatica una volta entrati ci si chiede: ma perché devo contribuire a dissolvere quello che tutto sommato è un capitale anche per me? Faccio fatica ad accettare come motivazione che il nostro non è un mestiere in crisi ma che in crisi è la società, è una magra consolazione, stiamo attenti a non far scattare degli strani sistemi di autodifesa o di costruirci degli alibi troppo facili quando c'è qualcosa da fare non chiedere a chi tocca, tocca a te. La mia lettura è eccessiva ma è eccessiva per altri motivi, il giornale non è un prodotto come gli altri e su questo la nostra categoria dovrebbe fare una battaglia più netta.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.