Incontro con Enrico Mentana
Enrico Mentana - direttore Tg 5*
Come si costruisce un Tg serale
Parto dalla cosa più facile e vi racconto come stiamo facendo il telegiornale di stasera che, essendo qui con voi, io avrò il privilegio di non vedere! Ci sono temi che resistono da molti giorni nel paniere dell'informazione ed uno di questi è sicuramente la vicenda del leader curdo Ocalan. Ecco, attraverso il servizio di un nostro inviato, presenteremo la situazione così come si è andata delineando in Turchia; poi passeremo ad uno spot agghiacciante, che viene proposto in queste ore dalla televisione turca, nel quale compare un piatto di spaghetti al pomodoro: «questa pasta - si dice - è condita con il sangue di 30.000 vittime del terrorismo curdo. Non mangiatela». È, insomma, un invito a boicottare le merci italiane e rappresenta uno di quei rari casi in cui l'impatto televisivo viene usato per un messaggio molto chiaro e molto forte di tipo politico. Successivamente parleremo della vicenda complessiva, ma dal versante italiano: proprio nel nostro Paese, come sapete, si sono creati due partiti, vale a dire quello favorevole all'asilo politico per Ocalan e quello che chiede il suo allontanamento.
Ma non sarà questa l'apertura del nostro giornale, perché nei pressi di Frosinone si è verificato un altro gravissimo caso di pedofilia, vittima un ragazzino, che è stato ritrovato privo di vita nelle prime ore della mattinata. In questi casi è necessario esaminare la storia, cercare di capire cosa realmente è accaduto, ricordare i precedenti, ragionarci sopra, magari cercare una definizione appropriata per la pedofilia, di cui una volta non si parlava, tanto da far credere ad intere generazioni che non esistesse, invece era lì negli stessi termini traumatici e da codice penale di cui stiamo parlando adesso. Questa è l'altra faccia delle grandi notizie, di due grandi fatti che andiamo oggi ad esaminare. Un'altra questione - che in passato non sarebbe stata trattata con tanta ampiezza - è quella relativa all'improvvisa ondata di freddo: cosa sta accadendo, cosa si prevede per i prossimi giorni e poi, entrando nell'aspetto più partecipativo, la situazione penosa delle popolazioni colpite dal terremoto nelle zone tra Marche ed Umbria. Quarto argomento importante del giornale sarà la battaglia parlamentare sul tema del lavoro, nell'ambito della quale è stata coniata una definizione assolutamente terribile che è quella di "rottamazione dei lavoratori" e che cela dietro un'arbitraria forza dell'immagine il fatto di mutuare completamente quella che è la proposta di legge tedesca relativa all'uscita dei cinquantenni dallo stesso mondo del lavoro. Tra prese di posizione e polemiche, il Ministro Bassolino ha ritirato il progetto, mentre i disoccupati napoletani hanno annunciato per questa sera un gesto clamoroso: qui si vede come nella società dello spettacolo e dell'immagine siano entrate anche le categorie meno garantite, che vedono il fascio di luce dell'informazione ricadere proprio su di loro. Completano il giornale, alcune notizie di cronaca, le soft-news, che vengono proposte per la forza della loro delicatezza, per la capacità di far sorridere, per accompagnare il telespettatore al termine dell'edizione.
I tabù del passato, gli eccessi del presente
Questa è, dunque, la composizione scontata dell'edizione serale, che sicuramente così non sarebbe stata concepita fino a 4, 5, 6 anni fa. La notizia del bambino non sarebbe finita sulle prime pagine dei giornali e non sarebbe entrata del tutto nei telegiornali; scarsa attenzione per l'ondata di freddo; la vicenda italo-turca sarebbe stata affrontata in termini totalmente diversi, ad esempio - scusami Vinicio! - sarebbe stata considerata quasi sacrilega la rappresentazione dello spot turco. Che altro aggiungere? Su alcuni aspetti, sicuramente, va registrata un'involuzione. La trattazione del fatto di cronaca nera del bambino ucciso, avrà molte sbavature se vista nel contesto di tutti i mezzi d'informazione, perché ci sarà chi indugerà - non escludo che accada anche per il mio giornale - su come è stato ritrovato, sugli indumenti che aveva, sul dolore dei familiari e su altre cose di questo tipo. Spesso lo si fa oltre i limiti di quello che sarebbe necessario, andando a creare delle situazioni artefatte proprio dalla presenza delle telecamere e, magari, la persona scomparsa, attraverso le dichiarazioni che si raccolgono, diventa ineccepibile, eccezionale, mentre in realtà era il capo della mafia! Purtroppo, queste sono le scorie del nostro lavoro, che - invece - ci impone di valutare attentamente tutti gli elementi, senza sottostimarli o sovrastimarli, senza influenzare il contesto del racconto. Prima di arrivare qui ho visto tutti i telegiornali dell'ora di pranzo e posso dire che c'erano molte sbavature, sia sul versante dell'enfasi, sia su quello dell'eccessivo indugio nel racconto stretto, ad esempio, di come è stato ritrovato il ragazzino. Però, una cosa va detta. Faccio il giornalista televisivo da quasi vent'anni: più della metà del mio cammino è stata accompagnata dal fatto che notizie come questa non sarebbero state narrate, per alcuni era meglio così, anche perché esisteva una completa sottovalutazione da parte dell'informazione italiana.
Se vi capita di partecipare a dei seminari per giornalisti, cercate di capire l'evoluzione della nostra professione, del nostro modo di scegliere le notizie attraverso il prodotto finito: non vi fidate soltanto della teoria o di quello che dicono soloni più giovani come me o tromboni di altro tempo. Scoprirete che fino a 15 anni fa la cronaca non c'era proprio. Certo, vi sarà facile trovare quella giudiziaria degli anni del terrorismo, quella dettagliata e minuziosa delle azioni delle Brigate Rosse o di altre cose di questo genere, ma non quella delle vicende quotidiane che coinvolgono la gente comune e che vanno ad interessare direttamente il telespettatore. Ed erano escluse anche situazioni più leggere, più rosa, che successivamente, invece, sono passate sul fronte dell'eccesso contrario; per non parlare della sopravvalutazione di cui ha beneficiato la politica, intesa come confronto tra i potenti, che veniva rappresentata con totale sudditanza della classe giornalistica. Ma anche in questo caso, ci si è mossi da un eccesso all'altro: ormai non esiste leader che non abbia i suoi schizzi di fango o di irrisione quotidiana; viene portato avanti un sano e continuo lavoro di demistificazione, che però va a determinare un livello ancora basso di edificazione del valore della classe politica rispetto all'opinione pubblica.
La sovranità assoluta dell'informazione
Questo perché il giornalismo italiano - liberatosi tardi e per di più grazie ai giudici, cioè grazie ad una categoria con la stessa sudditanza - continua a calcare la mano per mantenere il suo equilibrio. Ed apro una parentesi sulla televisione, dove i problemi poc'anzi accennati assumevano delle forme parossistiche, ridicole. Se paragonati, i telegiornali di oggi con quelli di dieci anni fa, vedrete la differenza che esiste tra un paese che è uscito da uno stato di sovranità limitata dell'informazione ed uno che vive di sovranità assoluta. Vi sembra un discorso duro? Chi è meno giovane ricorda bene che una volta il prodotto, soprattutto per quanto concerne la sua confezione televisiva, era caratterizzato da un'assoluta, piatta soggezione rispetto al mondo della politica: nella fase a più canali, nella nota suddivisione a "canne d'organo", i telegiornali sembravano veri e propri organi di partito.
La televisione di oggi, nella sua dimensione informativa, è figlia del peccato, ogni tanto ha delle ricadute, ma soprattutto tende a stare più lontana di prima dalla politica; un fatto salutare, anche perché quest'ultima ha perso molta della sua voce, molta della capacità di parlare forte, di dire cose importanti e del resto anche nei giornali vediamo tale aspetto molto meno rappresentato. E sempre la televisione ha conquistato un'altra vittoria: cercare di fornire un prodotto che sia il più possibile vicino a quello che il pubblico s'aspetta, che è molto meglio di quando si lavorava soltanto per far piacere al "principe". Attenzione, però, perché potrebbe trasformarsi in una vittoria di Pirro! In questo momento si tende a lisciare il pelo dalla parte che più piace al gatto, cioè l'opinione pubblica, si fanno dei telegiornali piacioni, perdendo di vista il faro dell'interesse complessivo, del ruolo, della missione della professione giornalistica. Molte volte si è finiti dall'altra parte della sella, del cavallo, magari per evitare di cadere nella barbosità utile soltanto agli uffici stampa dei potenti.
Nel fare i telegiornali occorre porsi il duplice problema di essere eticamente validi, corretti, indipendenti, ma anche di piacere, di essere concorrenti sul mercato. È migliore questo giornale o l'altro? Quale informa di più? Quale sento più vicino, qual è il più fazioso? Dobbiamo tenere presente, infatti, che non esiste un telespettatore "tipo": ci sono quelli che preferiscono un prodotto fazioso, simboleggiato oggi in Italia da quello che propone Emilio Fede, ma che nelle forme più "guascone" è stato rappresentato in passato dal Tg3, che non aveva nessun pudore nel dire da che parte stava.
Questo è il contesto e molte cose sono cambiate nel corso del tempo. Il giornalismo televisivo è completamente diverso da quello di sette anni fa quando nacque il Tg5: oggi tutti hanno un linguaggio disinibito, una gerarchia corretta e competitiva nella scelta delle notizie, sono in grado di togliere tutto quello che è zavorra inutile o che compiace soltanto gli uffici stampa. Una volta era regola fissa far vedere sempre e comunque il Presidente del Consiglio - e forse, da qualche parte, sta tornando a galla - come sempre e comunque compariva il Presidente della Repubblica, mentre molti soggetti erano totalmente assenti dall'informazione: il mix è stato modificato, ma il problema vero sta ancora nella nostra capacità di raccontare, d'intercettare le notizie. Siamo ormai abituati a prenderle dal versante che già brilla di luce propria e le analogie tra telegiornali e carta stampata sono sempre maggiori, basti pensare alla questione dei commenti. Novanta volte su cento - ci scherzavamo sopra con don Vinicio - per un fatto di costume qualsiasi vengono interpellati Luciano De Crescenzo o Alba Parietti, quasi fossero gli opinion leader dell'Italia che si avvia al 2000: un vezzo di pronto intervento che abbiamo un po' tutti quando cerchiamo la reazione dell'italiano medio, che è facile immaginare, è facile trovare, dalla risposta scontata. Un'utilità vergognosa, di cui ci si dovrebbe vergognare, che denota la mancanza di qualsiasi sforzo di ricerca, l'appartenenza degli stessi giornalisti ad un'unica e complessiva foto di gruppo.
Fonti pigre e fonti rituali
Allora, come informare diversamente? Le fonti "pigre", il riferimento è anche alla carta stampata, sono quasi sempre le stesse; quelle "rituali", ovvero le agenzie, sono quasi sempre le stesse; i corrispondenti delle grandi realtà sono variegati, ma a loro volta si avvalgono, quasi sempre, di queste stesse fonti. Nelle realtà minori, nei centri capoluogo di provincia, si ha una sola persona che funge da informatore e che, quando va bene, serve la notizia in salse diverse. Il problema dei telegiornali è addirittura maggiore: scegliamo la Rai che ne ha tre, concepiti sicuramente in modo indipendente. Il prodotto finito, però, non cambia! Fonti simili per le notizie e per il reperimento delle immagini, un bacino che si presenta identico almeno per il 90%.
Ma il fenomeno non è soltanto italiano: tutti i giornali del mondo hanno una rappresentazione che è, più o meno, la stessa. Sappiamo tutto di New York, non sappiamo nulla di altre capitali. Conosciamo alla perfezione il sistema americano ed abbiamo pochissimi elementi rispetto ad altre situazioni e questo vale anche per i disastri con decine di morti. Un esempio per tutti: la notizia più frequente è quella del disastro ferroviario in India, magari con più di 80 morti. Data così non si vede, non c'è, non si capisce, è rituale, anche perché per altri 360 giorni all'anno dell'India non si parla più. Prima della caduta del muro di Berlino, sapevamo tutti chi era il leader politico ungherese o quello cecoslovacco, oggi ci vuole un attimo di riflessione per ricordare chi è il capo del governo russo. Se non ci fossero state le elezioni e la contrapposizione destra - sinistra non avremmo mai parlato della Francia, della Germania. Silenzio anche sull'Inghilterra, fatta eccezione per le storie di Carlo.
L'informazione mondiale si è rinchiusa nel recinto del nazionale, si è rifugiata nella terna che volgarmente viene definita delle tre "S": soldi, salute, sesso. Ed in Italia questa terna è particolarmente enfatizzata, basti pensare ai grandi settimanali politici, come Panorama o l'Espresso che hanno quasi sempre la copertina occupata da un'immagine di richiamo sessuale. I diretti interessati dicono che se così non fosse perderebbero molte decine di migliaia di copie; è una scelta desolante che, però, va a riguardare sia chi fa i giornali, sia chi li compra! Tutta la produzione sul Viagra non sarebbe potuta esistere se non ci fosse stata una domanda forte ed un'offerta altrettanto forte. In questo momento l'informazione ha dei legami molto forti con il mercato, con la necessità di vendere, ma questo non può esimere dall'affrontare altri temi socialmente edificanti, più impegnativi, più coinvolgenti per chi legge o ascolta. Ecco la pigrizia dei giornali, la mancanza di scommessa da parte di noi che li dirigiamo, l'inadeguatezza culturale, come soggetti collettivi, nel proporre un prodotto diverso! La forza di una redazione deriva, prima di tutto, dall'aver chiari alcuni parametri. Una cosa è dire «è uscita la nuova Fiat» ed un'altra «è stata inaugurata la nuova fabbrica della Fiat» che, magari, andrà ad occupare 50.000 persone in un'area considerata depressa.
Il tutto nella consapevolezza di non dover mai eccedere: così come non è vero che nessuna notizia su un nuovo film o su un nuovo disco è importante, ha un senso mandare in onda per la prima volta le immagini di un'opera cinematografica che fa parte di una saga dallo straordinario successo mondiale, come nel caso di "Guerre stellari". A questo punto qualcuno potrebbe dirmi, ed io comprenderei il discorso, che un bel servizio su un cantante è un modo giusto per terminare il telegiornale, trasformatosi negli ultimi anni da semplice notiziario in un vero e proprio programma, in una trasmissione, che ha le sue scansioni, i suoi flussi, la sua armonia. Va tutto bene, fermo restando il discorso sulla peculiarità dell'evento, perché quando il parlarne diventa ripetitivo, allora siamo al cospetto di un discorso merceologico che a me - a costo di sembrare un po' bacchettone - non va bene. Uno dei difetti che mi vengono attribuiti, quando mi metto a discutere del telegiornale, è quello di impiegare sei, sette ore. M'interrompo subito per confrontarmi con voi.
Dibattito
Elvira Serra - Scuola di giornalismo Luiss Roma*
All'inizio ha parlato di rappresentazione doverosa del dolore dei familiari. Ma quale dovere spinge un giornalista ad andare da un familiare e chiedergli che sentimenti prova nei confronti di chi ha ucciso suo figlio? Oppure cosa pensa della giustizia, di come si è comportata nei confronti dell'assassino?
Enrico Mentana - direttore Tg 5*
Certo questo è l'aspetto negativo. Chi si affaccia alla professione giornalistica sa che quella è una domanda cretina, ma nessuno gli spiega cosa in realtà dovrebbe dire in queste circostanze. Le storie di cronaca che riguardano la gente comune provocano identificazione e così, guardando quella signora nel bel mezzo della sua tragedia, penso inevitabilmente a cosa starà provando. E glielo chiedo. Ma questa, secondo il giornalista razionale, è una domanda cretina, anche se poi non pone sul piatto della bilancia quesiti alternativi.
Vi chiedo allora: perché è doveroso rappresentare il dolore di quella donna? Perché chi intervista si sta appropriando di una storia ed ha un dovere di rappresentazione, a patto che l'interlocutore abbia voglia di rispondere, di farsi vedere. La disapprovazione subentra in altri casi, quando - ad esempio - il chiedere «cosa prova?» è l'unico modo per tenere davanti al teleschermo una persona, pur non sapendo cosa dire.
Elvira Serra*
Una curiosità: a cosa serve durante un telegiornale, riprendere una propria giornalista perché ha il colore dei capelli blu piuttosto che rosso? Serve per fare audience, per creare notizia, per fare spettacolo o per cosa?
Enrico Mentana - direttore Tg 5*
Io ho fatto questo? Non conducevo quel telegiornale, non ero presente. C'è stato un servizio ironico, che sarà piaciuto o meno, in cui si faceva il paragone con altre situazioni ed altre persone. A me la logica del "cane non morde mai cane" non piace. Vale a dire che puoi polemizzare con il Tg1, con il Corriere, con Repubblica, molto più spesso con i politici, ma non devi assolutamente farlo nell'ambito della tua categoria giornalistica al Tg5. Se una persona si presenta con i capelli azzurri sa che non fa una cosa ovvia, che non passa inosservata, è consapevole che può anche essere sfottuta. C'è stato dunque un servizio, commentato da una voce femminile che non era sicuramente la mia, nel quale si narrava di una giornalista economica inglese che dava le notizie sull'economia e la finanza improvvisando un autoironico strip; si parlava di Everardo Della Noce che, per il Tg5, commentava la borsa in modo frizzantino, andando nelle varie piazze; si faceva l'esempio di Lamberto Sposini, quando ancora era da noi, che per un certo periodo si era fatto crescere la barba. Poi compariva la giornalista con i capelli azzurri e si diceva: ecco se la vedrete ancora così, vorrà dire che il vostro televisore è rotto. Ora può piacere o no, può sembrare pesante o meno, ma questa è la verità sul caso in questione ed è molto diversa da quanto si è detto e scritto sarebbe accaduto. Noi abbiamo soltanto provato a fare una polemica garbata su un aspetto che andava ad interessarci direttamente, consapevoli che - comunque - gli altri non sarebbero rimasti muti. Ma veniamo alla sostanza: secondo te è normale che una persona vada in collegamento con la borsa e sfoggi i capelli azzurri? Sappiamo tutti che esiste un'attenzione morbosa per i particolari e che se non ci fosse nessuno sentirebbe la necessità di presentarsi in quel modo. Qui non vedo nessuno con i capelli azzurri, non è la norma, non è una scelta che può appartenere ad una persona normale che va in video a rappresentare un intero corpo giornalistico. Dal mio punto di vista è una questione di rispetto nei confronti del telespettatore che non deve essere distratto da quello che lo stesso giornalista dice.
Angelo Maddalena - Il Giorno*
La televisione e nella fattispecie i telegiornali, il vostro telegiornale, mi fanno sentire preso in giro. La pasta col sangue e la storia del pedofilo servono soltanto per crearsi una corazza di cinismo e di difesa, come ho letto recentemente anche su un articolo dell'Unità. Perché o questi argomenti si affrontano con serietà e costanza, oppure non servono. Tre mesi fa sento parlare, per la prima volta nella mia vita, di una comunità per tossicodipendenti, dove una ragazza ha ucciso un altro ospite e si è, quindi, suicidata. Sappiamo tutti che quella delle comunità è una realtà vastissima di cui non si può parlare soltanto una volta in un intero anno e, guarda caso, solo perché c'è stato un fatto di sangue. Questo tipo di cronaca mira esclusivamente ad aumentare gli ascolti immediati, ma non a modificare l'attenzione sui problemi veri e profondi. Ecco perché io metto in campo il cinismo da difesa.
Enrico Mentana - direttore Tg 5*
È evidente che la tua è un'opinione diversa dalla mia e che hai un perfetto diritto di critica. Mi dispiace che non siamo d'accordo. Da come parli della pedofilia, mi sembra che tu non segua con costanza i telegiornali. Delle cause che sono alla base di questo problema si è parlato fin troppo, quasi tutti i giorni, tanto che ad un certo punto si è deciso, almeno noi l'abbiamo fatto, di allentare. Noi svolgiamo il nostro lavoro in perfetta, buona fede. Scusa, mi permetto di ribadire il mio sospetto: tu non guardi i telegiornali.
Dario Quarta - Rai Radio1*
Non vorrei fare un discorso generale sul giornalismo, ma approfitterei della tua presenza per provare a scomporre il telegiornale che ci hai presentato. Mi occorre guadagnare spazio perché vorrei inserire delle novità e, forse, togliere qualcosa. Hai presentato l'ondata di freddo, quindi il servizio sui terremotati, che possiamo eliminare, tanto non dice nulla di nuovo. Magari ci starebbe bene l'intervista al presidente della regione, che spiega perché dopo un anno e due mesi la gente è ancora nei containers. Sul caso pedofilia, mettiamo, non c'è nulla di nuovo. Però a me domani piacerebbe vedere un bel servizio sulla Ciociaria, che è sicuramente una delle aree più depresse d'Italia - dal punto di vista economico, sociale, culturale - nonostante si trovi a soli 80 chilometri dalla capitale. È un'area, restando alla questione specifica, dove sono stati registrati molti cambiamenti, anche per quanto riguarda la sua connotazione politica: la Ciociaria era storicamente un feudo della Dc andreottiana. E veniamo allo spot turco. Tutto bene, però vorrei che si cercassero delle risposte per alcuni miei quesiti: quali sono le aziende italiane che perderanno denaro? Quali sono le merci turche che importiamo? Poi vorrei sapere a quando risale l'ultimo caso di «battaglia commerciale» simile a quella di cui stiamo discutendo. Restando al tuo telegiornale, mi chiedo se il servizio sui disoccupati di Napoli, che annunciano un gesto clamoroso, sia assolutamente necessario. Non si rischia, in questo modo, di cadere nel tranello? Non è meglio verificare prima quanto sta realmente accadendo? Ho molti dubbi anche sulle notizie soft da mettere in coda.
Francesca Capovani - Free lance*
Ho lavorato a Mediaset in un telegiornale molto emotivo come il Tg4 ed ho avuto sempre il terrore di andare a intervistare, in presenza di storie forti, il parente, la mamma. Lei ha detto che tutti criticano, ma nessuno spiega come ci si dovrebbe comportare in questi casi. Allora le chiedo: Mentana, cosa dobbiamo fare? Non dimentichiamo che il giornalista televisivo ha una responsabilità in più che è quella della telecamera, un mezzo invasivo, irruento, dirompente. Un conto è intervistare avendo in mano soltanto il taccuino, un conto dover usare il microfono. Mi dite a cosa serve chiedere ad una madre se vuole la verità? Certo che la vuole. Vuole i responsabili? Certo che li vuole. Cosa facciamo, allora, Mentana?
Enrico Mentana - direttore Tg 5*
L'ho già detto prima, ma forse mi sono spiegato male. C'è molta gente che legittimamente, di fronte ai sentimenti forti, si trasforma, non vuole vederli. Anche a me capita di provare queste sensazioni e sbaglia chi parla di telegiornali cinici messi insieme da gente senza scrupoli: anche noi siamo delle persone, dei padri di famiglia. Se abbiamo il diritto, e forse il dovere, di occuparci della morte di un bambino, dobbiamo ricordare che quello stesso diritto appartiene prima di tutto ai suoi familiari. Puoi farli vedere, non vedere, parlare, non parlare, però ci devi provare sempre perché può essere utile ai fini della costruzione di un contesto che non sia asettico. Vuoi lasciare il bambino lì, da solo con il pedofilo? Cioè, la vittima è uno di noi, un minore, ha una famiglia, una madre, vive in un contesto di degrado, come nel caso odierno. Secondo il mio modo d'intendere il giornalismo, quella madre va fatta vedere. E ti dico un'altra cosa: prima difendevo quelli del «cosa prova?», oggi la tecnica del montaggio ha permesso di togliere la domanda e di presentare il dolore asciutto, che è quello che più conta, che è quello che più parla! Chiedere o non chiedere? È sicuramente una cosa bieca, discutibile, censurabile, ma non nascondiamoci che il quesito «primitivo», nella sua fragranza emotiva, è proprio quello che sta nella testa della gente. Proviamo poi ad affrontare la questione dal versante positivo: «Signora, suo marito ha vinto 140 milioni al Superenalotto. Cosa prova?»
Francesca Capovani*
Immagino quello che può provare una madre quando le muore un figlio ed immagino cosa può pensare una moglie quanto il marito vince al Superenalotto. Lo so, non serve che la televisione mi presenti una donna in lacrime.
Enrico Mentana - direttore Tg 5*
Scusa, ma tu per quale motivo sei qui?
Francesca Capovani*
Perché mi piace questo mestiere, ma cerco di pormi sempre dalla parte di chi legge il giornale, di chi guarda il telegiornale.
Enrico Mentana - direttore Tg 5*
Benissimo, allora tu sei una persona normale, io no. A me non importa niente di gran parte delle cose. Ma voglio farti una raccomandazione: prima della domanda dimentichiamo che siamo parte in causa, siamo rappresentativi. Se ti piace l'informazione hai un rapporto diverso con la notizia perché ci balli intorno, la scarnifichi, guardi la sua rappresentazione, la sua confezione. È la nostra professione. è la nostra pelle.
Francesca Capovani*
Va bene. Allora, mi sembra giusto il discorso che attraverso la madre possiamo avere delle informazioni, possiamo comprendere il contesto. Però, forse, non dobbiamo intervistarla il giorno stesso in cui è stato ucciso il figlio, perché è sicuramente sconvolta, magari la incontriamo dopo una settimana, un mese. Un telegiornale dura mezz'ora ed io mi chiedo perché, a volte, ci si vuol fare entrare di tutto: la cultura, le canzoni, la moda. Perché non si approfondiscono due o tre temi? Perché il finale deve essere sempre bello?
Enrico Mentana - direttore Tg 5*
Non si può dire ad una signora che ha perso un figlio ci sentiamo fra qualche giorno. In questo caso ci sarebbe accanimento. E permettetemi un'altra considerazione: basta con le frasi fatte. Guardatevi bene da un verbo come «recarsi» che non esiste, in quanto noi ci incontriamo tra persone normali. Non ho mai sentito dire « mi sono appena recato da mio zio», «mi sono recato dal giornalaio». Provate a trovare gli errori nei giornali e nei telegiornali, pensate al termine «congiunti» oppure a quell'incredibile «dal canto suo». Ma dove siamo al festival di Sanremo?
Fabrizio Filippone - Scuola di giornalismo dell'Università Cattolica*
Lei all'inizio ha parlato di immagini agghiaccianti e penose, riferendosi rispettivamente al servizio sullo spot degli spaghetti al sangue ed alle immagini dei terremotati sotto la neve. Poi ha descritto il telegiornale come un film, un cortometraggio, un prodotto che alla fine deve piacere... Vorrei partire da un'esperienza personale: lo scorso anno ho fatto uno stage con Italia 1 e ricordo perfettamente quanto accadde per l'omicidio di Marta Russo. La studentessa venne uccisa il 9 maggio, il 14 la Alletto accusò Scattone e Ferraro. Un gran polverone, piazzale Clodio come un campo di battaglia, una telecamera all'ingresso, una davanti all'aula di giustizia, un'altra per inquadrare l'ingresso dei detenuti. Mediaset - e questo va a suo merito, non avendo a disposizione i mezzi della Rai - mise le tre testate insieme per poter avere le stesse immagini. C'erano giornalisti che avevano addirittura la piantina del palazzo di giustizia per cercare di capire in quale direzione andassero puntate le telecamere ed avere così i primi piani di Scattone e Ferraro, che ancora oggi, siamo al 21 novembre, non sono colpevoli di niente, sono indagati, sono sotto processo, alla fine ci sarà una sentenza, ma noi li abbiamo già condannati. Le prime immagini dei due vanno in onda alle 12,25 nel telegiornale di Studio Aperto, per cui io lavoravo; alle 12,58 vengono riproposte da Mentana; alle 13,30 tocca alla Rai e nelle redazioni si dice che a passarle sia stato proprio il direttore del Tg5.
Enrico Mentana - direttore Tg 5*
È stato il suo direttore a passarle, mi dispiace deluderla. Io non le avrei mai date, soprattutto per rispetto di chi ha lavorato. Ricordo che una volta il direttore di un telegiornale mi chiese le immagini di un politico, che aveva vissuto una vicenda simpatica durante la campagna elettorale. Gli dissi che andavano in onda tra cinque minuti, che poteva registrarle, ma che doveva riproporle con il nostro loghetto, perché questo è il modo pulito di fare le cose, altrimenti, pappa e ciccia. Ritornando a Ferraro e Scattone, va detto che le loro facce erano note a tutti perché erano state già diffuse le foto.
Fabrizio Filippone*
Si, ma non erano note le immagini delle due persone ammanettate che venivano trasportate nel cellulare dei carabinieri, così come è accaduto per Carra e Tortora. Ma arrivo subito alla domanda con un esempio. Edizione del Tg5 delle venti: Mentana - senza cravatta perché l'ha sporcata o dimenticata - annuncia che è scoppiata la guerra. Il marito chiama la moglie e gli dà la notizia. E questa: «Ecco perché la nostra famiglia va a rotoli, sei sempre distratto! Non ha visto che Mentana è senza cravatta!» Cioè, voglio dire che l'immagine, alla fine, sostituirà la notizia.
Enrico Mentana - direttore Tg 5*
Adesso ho capito. Chiedo scusa, ma per fortuna la forma e la sostanza sono ancora molto distanti tra di loro: può darsi che alcuni giornalisti riescano a farsi notare, ma professionalmente parlando hanno una vita molto breve. Gli ascolti dei telegiornali non sono determinati da chi li conduce, bensì dal loro marchio; l'abitudine nel seguirli è sicuramente maggiore della forza che può avere un singolo personaggio. Insomma, uno può presentare qualsiasi edizione a testa in giù, può farsi tirare una torta in faccia durante un collegamento e sarà anche ricordato per quell'episodio specifico, ma non andrà ad influenzare i dati di ascolto. Credo che la sobrietà sia un'importante forma di rispetto per i telespettatori, la forza della notizia non va dispersa dal conduttore, deve passare direttamente dalla fonte al fruitore. Oltre all'aspetto formale, c'è quello che si può riassumere nel «parla come mangi»: rappresentare le stesse notizie come le si pensa, nella formula grezza, senza tradurle, come le si racconterebbe tra vicini di casa. La ricetta di un buon telegiornale è quella di avere il più possibile argomenti che riguardino tutti, che non creino fazioni. Mi si diceva prima che la questione parlamentare sul prepensionamento dei cinquantenni sarà sicuramente rappresentata da Emilio Fede in termini ululanti, come se fosse la prova del nove dell'inadeguatezza del governo. Tutto si può dire di Fede, meno che sia uno che fa queste cose a tradimento. Nessuna persona di destra si è mai lamentata perché nel Manifesto sono rappresentate tesi di parte diametralmente opposta, lo stesso si può dire televisivamente del Tg4. Semmai, si potrebbe contestare un altro aspetto, vale a dire che non tutte le forze hanno a disposizione un telegiornale.
Tornando a forma e sostanza, puoi stare tranquillo che soltanto nei film americani qualcuno tenta di superarle: noi abbiamo molti problemi, ma per il momento questo non c'è.
Nanni Vella - Ansa*
Ieri un collega ha parlato di un tono un po' emergenziale, allarmistico delle informazioni generali. Ci siamo chiesti se questo è vero o se è un artifizio "paraculo", tra quelli che tu prima hai enunciato, per rendere il tutto più gradito. Faccio un esempio con l'emergenza clandestini. Nel '91 è arrivata una nave brulicante di persone e quella era sicuramente un'emergenza; nei successivi otto anni, a parte quella che è affondata, sono approdate in Italia centinaia di piccole imbarcazioni, provenienti da tutte le parti del mondo. L'emergenza è da considerare continua? Possibile che, in tutto questo tempo, non siamo ancora riusciti a far capire agli ascoltatori la differenza fra clandestini e regolari? Insomma, il concetto è se questo clima allarmistico è un condimento sicuramente scorretto e stucchevole, che non aiuta a capire. E passo alla seconda domanda: don Vinicio lancia la sfida di un'agenzia sociale che sarà firmata dal Cnca: cosa aspetti di trovarci dentro? Cosa, una volta aperta, può convincerti a chiamare l'amministratore delegato, forse l'ufficio del personale, e dire che è il caso di abbonarsi?
Enrico Mentana - direttore Tg 5*
Allora, andiamo per ordine. Giornalismo un po' gridato - non gridato nel senso di Sgarbi, ovviamente - che tende a usare più un tono forte che un mezzo tono. È la reazione a un giornalismo che era troppo ingessato. Ora l'onda lunga si sta attenuando, ma non bisogna mai dimenticare che molte cose sono conseguenza di altre: stiamo diventando tutti un po' più garantisti, mentre prima si era molto giustizialisti, basti pensare a quanto accaduto nel '92. Ci sono fasi che spesso interagiscono con l'opinione pubblica, attraverso l'urlo di alcune frasi e di alcuni titoli chiave, anche perché lo strillare è prassi giornalistica di sempre. C'è un codice, però, che si lega da tempo alla professione giornalistica riguardo ad alcune tematiche e che è stato esteso anche alla cronaca. Ricordo una polemica formalista su quello che accadde il giorno del rapimento di Aldo Moro: l'omicidio di cinque persone può essere considerato una strage? Formalmente sì, ma sostanzialmente? Spesso tendiamo ad enfatizzare solo a fin di bene. Il problema è un altro. Certo, non si può parlare di epidemia se uno ha il morbillo, si crea allarme sociale. Cento persone che sbarcano non è un'emergenza clandestini, ma se dopo tre giorni ne arrivano altre 60, allora si può parlare di emergenza, perché si crea una sequenza che non sappiamo se verrà interrotta. Comunque sia, mi sembra che il giornalismo possa avvalersi del fatto di "speziare" il titolo, soprattutto nel lavoro di agenzia. C'è stato un periodo in cui nelle redazioni non si riusciva a captare le notizie Ansa, perché i titoli non erano abbastanza catturanti e si beccavano dei buchi formidabili. L'avvento dell'ultimo direttore ha molto giornalisticizzato, secondo i canoni della carta stampata, la stessa agenzia che ha, poi, contaminato tutte le altre. Oggi l'Ansa orienta gran parte dei giornali italiani, e non solo per le notizie più importanti, anche per quanto riguarda la titolazione finale; il suo ruolo è importantissimo - possiamo dire che è una delle migliori - ma rischia di diventare soffocante. È ovvio che se le esigenze dei mezzi d'informazione sono giuste o sbagliate, come stiamo impietosamente analizzando, la colpa è soltanto la loro che lisciano il pelo dove altri vogliono. Il progetto di don Vinicio? Diffido delle fonti di stampa che ti promettono tutto quello che gli altri non possono darti. Un'agenzia così correrebbe il rischio di essere troppo o troppo poco: personalmente sento la necessità di una fonte che fornisca notizie diverse, ma che sia il meno possibile legata ad una fonte di diversità, com'è l'esperienza straordinaria di Capodarco o delle comunità. La portata dell'impresa è enorme, però tanto vale pensare ad un'agenzia a tutto tondo, che si cimenti in mare aperto, che vada ad innestarsi su uno scheletro già esistente. Dico questo a cuore aperto, perché l'estraneità rispetto ai circuiti esistenti impone di partire da troppo lontano e di non arrivare mai: attualmente esistono 9, 10, 11 fonti d'informazioni, ha senso farne una dodicesima? Per parlare di quali argomenti? Siamo sicuri che la leggerebbero? Ecco, questi sono i dubbi, le perplessità, gli interrogativi che pongo... Resta inteso che se partisse un'iniziativa del genere sarebbe viltà civile non abbonarsi e non solo per l'amicizia ed i rapporti, attivi su altri settori, che ho con don Vinicio...
Mariuccia Cocco - Direttrice Caritas di Cagliari*
Inizio con un complimento. Non entro nel merito della sua professionalità, non ho gli strumenti per valutarla come giornalista, però mi sento di farle un mezzo complimento: è un buon avvocato d'ufficio, ha difeso molto bene il suo telegiornale. Dicevo stamattina nella mia relazione che in Italia ci sono circa 7 milioni e più di poveri, di cui il 71% al sud. Mi sembra che non ci sia molta attenzione nei confronti delle povertà che esistono in questa area del Pese, preferite alcune regioni a scapito di altre?
Silvana Migoni - Unione Sarda*
Mi riallaccio a questa domanda. Credo che venga stabilita a monte la natura di acciaio o di cristallo di una determinata notizia, addirittura credo che a monte si stabilisca se un'area geografica del paese è acciaio o cristallo, nel senso che quando una testata giornalistica mette un solo redattore in un'intera regione - parlo della Sardegna perché conosco bene questa realtà, ma penso che ci siano altre situazioni analoghe - è chiaro che la si considera di minore importanza. Qui si è detto che si fanno i telegiornali esattamente come la gente vuole che siano, allora ci sono evidentemente notizie ed aree geografiche che non interessano: esiste un ruolo dell'informazione nel dare anche quello che non viene chiesto? Esiste questo compito sociale del giornalista?
Enrico Mentana - direttore Tg 5*
Noi abbiamo un solo giornalista in Sardegna, uno in Toscana, uno in Emilia, uno in Piemonte, uno in Liguria, uno in Puglia, sessanta tra Milano e Roma e così facciamo il telegiornale. Signora, provi a cambiare la domanda e mi chieda se preferirei averne tre in Sardegna... Le risponderei di sì. Quattro? Certo, però noi siamo un telegiornale. Sa quanto ci vuole da Roma per raggiungere Cagliari? Trentacinque minuti. Conosco l'ipersensibilità del popolo sardo rispetto all'errata rappresentazione dei fatti che riguardano la loro regione, soprattutto sul versante dei fenomeni di criminalità, ma l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è di una sorta di federalismo dei tg. Francamente posso dirle che in questo siamo poverissimi, cerchiamo di allacciarci alle televisioni locali e di sfruttare l'esperienza di «Videolina» in Sardegna. L'unica risposta che posso darle è che mi ha fornito l'occasione per dire che non si può pretendere troppo da un telegiornale che ha mezzi molto inferiori rispetto a quelli del servizio pubblico, doverosamente ramificati e radicati sul territorio. Noi dobbiamo far quadrare i conti dell'impresa. Non merito una medaglia, ma non mi dica anche che cosa fare...
Roberto Guaglianone - Giornalista e operatore*
Ho frequentato la scuola di comunicazioni sociali della Cattolica: il primo giorno mi hanno insegnato una cosa carina che ti riguarda direttamente, perché abbiamo studiato il numero uno del tuo telegiornale, quando hai iniziato la direzione del Tg5. C'era un servizio su un caso di parapedofilia, o qualcosa del genere, in cui il montaggio era fatto con immagini del film "Il silenzio degli innocenti"... Me lo ricordo benissimo perché sorridevo ponendomi una serie di considerazioni. Salto tutta la parte relativa al rapporto con i poteri politici, visto anche chi è il tuo datore di lavoro... La struttura del telegiornale, soprattutto in una televisione commerciale, credo debba rispondere non solo allo stesso datore di lavoro, ma ad alcuni refenti, che sono fondamentalmente quelli che si occupano della pubblicità, cioè che vendono tutti noi spettatori a chi deve infilare lo spot all'interno del telegiornale... prima del telegiornale... dopo il telegiornale... A chi deve infilare il telegiornale dopo un programma.... prima di un programma... Nella costruzione di un programma ci sono anche tutte queste dinamiche, oltre a quelle strettamente giornalistiche ed è anche qui che scatta l'attenzione morbosa. Non si narra la storia del bambino ucciso, di cui non andrebbero fornite neanche le generalità, senza l'uso delle immagini e questo perché la famiglia diventa anche il target di rete, il target di chi vuole vendere la pubblicità dentro quel telegiornale. Un problema, purtroppo, che non riguarda soltanto le televisioni commerciali, che sta diventando una regola fissa dappertutto. E chiedo a don Vinicio se l'agenzia che ha in mente possa andare servire anche questo tipo di clienti. Mi spiego: ci interessa che le sue notizie vadano a fare le soft - news? Forse, sarebbe il caso di far convergere i nostri sforzi per creare un'agenzia da mettere in rete al di fuori dei canali ufficiali, da dare a tutte quelle realtà che lavorano alla base del territorio, e magari spendere qualche parola perché i televisori si spengano. Se c'è una cosa che ancora non ci hanno tolto è il controllo delle notizie che accadono sul singolo territorio...
Enrico Mentana - direttore Tg 5*
Non voglio rispondere perché il tuo era un «volantino» e non aderisco a idee di questo tipo. Posso dirti soltanto che non vedi il mio telegiornale... Io non conosco la pubblicità che viene mandata in onda e posso fare un esempio concreto. La Standa è stata venduta solo nelle ultime settimane, mentre per sette anni è stata una catena di grandi magazzini di proprietà del gruppo Fininvest e non è stata mai citata dal Tg5. Ho l'impressione che, a volte, l'eccesso di preconcetti occluda la visione delle cose più normali... La mia visione è completamente diversa dalla tua, l'aspetto più bello è che possiamo avere tutte e due.
Adriana Masotti - Radio Vaticana*
Sono molto perplessa da tutto quello che ho ascoltato, perché mi sembra che lei tenda a giustificare un po' tutto quello che accade nel mondo dell'informazione. Allora, i telegiornali italiani - e non dico solo il suo che non seguo abbastanza - sono assolutamente privi di notizie dall'estero e sembra che il mondo finisca lungo i confini italiani: questo è uno scandalo perché priva la gente della necessaria informazione. E poi mi sembra pericolosa l'idea di paragonare il telegiornale ad un programma... Dove vado a prendere il notiziario?
Enrico Mentana - direttore Tg 5*
Forse mi sono spiegato male. Un programma è una cosa diversa da un notiziario, che si presenta come la hit parade di tutte le notizie più importanti. In Italia, come nel resto del mondo, il telegiornale è sostanzialmente l'evoluzione di questa cosa, di quella che era l'impostazione anni '50, '60, '70 e che è rimasta in piedi alla radio vaticana. Per cui chi non può avere da altre fonti le notizie internazionali è ovvio che si affidi proprio alla vostra radio... Per quanto mi riguarda, preferisco un telegiornale o un giornale radio, quelli della Rai sono molto buoni.
Adriana Masotti
Come fa ad essere così sicuro del gusto degli italiani? Crede che il pubblico voglia sempre vedere nei telegiornali, sto parlando di tutti quelli che vengono trasmessi, la moda oppure il calendario?
Enrico Mentana - direttore Tg 5*
Con gliitaliani ci lavoro, quindi conosco i loro gusti. La moda? Non mi sembra sia una presenza eccessiva, almeno per quanto ci riguarda. Non posso farmi carico anche degli altri telegiornali. Le faccio però notare che c'è una parte che è interessata anche alla moda, come c'è una parte che è interessata al calcio... O dobbiamo parlare soltanto di un italiano prevalente che preferisce argomenti edificanti? Quando si parla dei sette milioni di poveri presenti in Italia, si fa notare che non hanno il denaro per comprarsi il giornale; attingono le notizie, quando possono, soltanto dai telegiornali. Noi lavoriamo anche per queste persone, per quella fascia di pubblico, andando magari a scontentare lei che non ha tali problemi. Quando ho iniziato a fare il giornalista, per dieci anni ho seguito la politica internazionale: è molto più edificante parlare di cosa accade nel mondo... ma la gran parte delle persone è interessata soprattutto alle storie di casa propria. Il giornalismo di una volta guardava molto lontano forse a causa del fatto che non vedeva da vicino... Ora si agisce al contrario, ma non ci si venga a dire che così non va o che non sappiamo fare, appunto, il giornalismo... È la più ingenerosa della accuse, soprattutto quando non è rivolta solo a me o al mio telegiornale: la Rai ha compiuto passi in avanti pazzeschi... Mi permetto di dire una cosa che, probabilmente, le darà fastidio: anche la Radio Vaticana è cambiata e penso che sia un'evoluzione positiva.
* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.