III Seminario Redattore Sociale 8-10 Novembre 1996

Periferie umane

Il giovane

Intervento di Gino Rigoldi

 

Gino Rigoldi - sacerdote, presidente della Comunità Nuova di Milano*

Giovani, non alieni

Il primo punto che volevo sottolineare è che i giovani non sono un popolo alieno, sono degli uomini e delle donne, dei giovani uomini e delle giovani donne che stanno crescendo, che stanno vivendo un percorso di crescita, che per molti versi è simile a quello che hanno fatto tutti gli adulti. Hanno un loro specifico, vivono in un mondo, in un contesto che è mutato negli anni, che è veloce. Dico questo perchè, quando mi incontrano, mi si chiede sempre quali siano i problemi dei giovani. Quali saranno i problemi dei giovani, conosceremo mai i problemi dei giovani, come si fa? Sembra che siano arrivati dalla luna. Credo che in realtà i giovani siano soltanto nuovi alla vita e come tali stiano imparando, assaggiando, con i loro comportamenti, cosa c'è in giro per il mondo. Hanno dei bisogni molto essenziali, molto primordiali, che tra l'altro sono anche quelli degli adulti, di tutti noi, del tipo: che cosa sono, quanto valgo, come si fa a voler bene, chi mi deve voler bene, dove va la mia vita, chi sono i miei compagni di strada. Esattamente le richieste che ogni adulto fa alla sua vita, su cui si misura, su cui ragiona. I problemi dei giovani sono, esagerando, esattamente i problemi degli adulti, soltanto che questi stanno imparando a districarsi, mentre quegli altri hanno già consolidato degli schemi e dei comportamenti definiti. Occorre leggere i problemi dei giovani non come problemi di alieni, ma come problemi di uomini e di donne che rimandano però a responsabilità e a condizioni che devono essere identificate, soprattutto quando si parla di disagio giovanile, o comunque di problemi inerenti alla crescita.
Mi sono chiesto come mai dei padri e delle madri vengano a dire a me quali siano i problemi dei giovani, avendo magari due, tre o quattro figli in casa. Voi potete dire che il coinvolgimento emotivo, affettivo distorce la visione dei problemi dei propri figli, e questa è una delle spiegazioni. L'altra spiegazione che darei è che, per capire i problemi della crescita della persona in quanto tale, gli adulti devono avere una sufficiente consapevolezza della propria identità, della propria storia, raggiungere un livello di consapevolezza delle proprie emozioni, sentimenti, bisogni, desideri, amori che permetta - proprio con la chiave dall'esperienza personale - di riconoscere i problemi degli altri, in particolare di quelli che si stanno costruendo o si stanno muovendo, quali sono i giovani. Se siamo più bravi ad elencare le cose che facciamo piuttosto che a darci un nostro codice interiore, finiamo per essere persone che, sui comportamenti giovanili, si pongono grandi interrogativi che rimandano spesso a delle drammatizzazioni assolutamente banali e omologate, che non danno il senso della realtà, che non raggiungono la verità. Facendo il cappellano delle carceri minorili vedo tanti ragazzi e tante ragazze: arrivano per aver commesso reati dai più piccoli ai più grandi, dal piccolo furto fino all'omicidio e al pluriomicidio. La prima cosa che mi viene in mente di fare, quando incontro un ragazzo di questi, è chiedermi il perché: Cosa gli è successo? Cosa voleva guadagnare facendo il gesto che ha fatto? Che storia ha dietro? Poi mi rendo conto che invece non bisogna fare come quelli che condannano, che montano l'evento, ma come quelli che vogliono capire la storia dell'evento, anche del più sgradevole, del più violento. Occorre cercare di capire le dinamiche che hanno prodotto l'effetto. Una delle cose che a me pare di ritrovare spesso - soprattutto negli adolescenti che hanno un vissuto emotivo molto turbolento - sono movimenti della crescita che non sono riusciti ad esprimersi nella maniera giusta. Riporto in una frase quello che i ragazzi e le ragazze mi dicono: "Mi hanno detto fin dall'inizio della mia vita che ero piccolo, brutto, terrone, ignorante, antipatico, cattivo perché la mia famiglia era sgangherata, perché il quartiere era quello che era; hanno detto che lì non si entra, però con una pistola in mano esisto anch'io". Se voi capite che questa persona per esistere ha avuto bisogno di impugnare una pistola, intanto farete una serie di ragionamenti sul suo pregresso e poi, se avrete un rapporto con lui o anche se dovrete esaminare o rappresentare l'evento, riuscirete a non stare soltanto in superficie, ma anche a mettere in circolo dei ragionamenti che rimandano alle responsabilità e a condizioni da cambiare.
Riguardo alle condizioni, quello che vedo è che i luoghi tradizionalmente deputati all'educazione sono certamente in grande confusione, in grande difficoltà: parlo della famiglia, della scuola e così via. Quello che si potrebbe definire in senso generalel'accompagnamento alla crescita, gli strumenti che questi giovani hanno per crescere, è da mettere a posto, è da riqualificare. Faccio un solo esempio. Si dice che i giovani sono impermeabili, strani, vanno nelle discoteche, fanno un gran casino, prendono l'ectasy, si rovinano la vita e così via. Ma voi vi ricordate quando eravate a scuola, quando avete trovato un professore capace di relazionarsi, capace di proporre, di entusiasmare, di far gruppo, magari fuori dalla scuola, come questo avesse un grande seguito e fosse stimatissimo e come i rapporti con lui fossero ricercati e positivi? E' proprio vero che i giovani di oggi sono strani, diversi, percorrono posti malandati? Non è vero neanche un pò! E' vero invece che il mondo adulto è poco disposto e poco attrezzato per la relazione, per la comunicazione e, poiché questi giovani guardano lontano, vengono ritenuti abbastanza strani e fuori dalle abitudini.

Una crescita insidiata

Un altro aspetto riguardo al fatto che i giovani possono sembrarvi strani o alieni è che occorre rendersi conto di cosa c'è dietro. Mi sembra che parlare di famiglia confusa, di cultura che induce comportamenti molto consumisti, che propone modelli che non sono alla portata delle scelte quotidiane, possa essere una serie di affermazioni che già conoscete. Quello che però volevo dirvi è che è sbagliato pensare che l'età giovanile sia un'età strana e non sia strettamente, organicamente collegata con quello che i genitori, gli insegnanti, i preti, la società comunica ai giovani, e immaginare che non siano, come tutti, desiderosi di esser riconosciuti, di essere amati. Se sono disordinati è per un verso perché seguono certe mode, ma anche perché il commercio chiede loro di essere vestiti in un modo invece che in un altro, di consumare; anche se hanno dei comportamenti che possono sembrare strani, in realtà le cose importanti per ogni uomo e per ogni donna sono dentro di loro e stanno affiorando, ma questa loro crescita è insidiata da una cultura che spinge verso l'esteriorità , verso il consumo.
Se non ci rendiamo conto di questo, si finisce che, di fronte ad eventi che riguardano i giovani, stiamo a descrivere il clamore, ma non ci rendiamo conto che dietro a questo fatto c'è una storia. Ogni volta che i ragazzi arrivano al Beccaria, di ognuno mi metto subito a conoscere la famiglia, il quartiere, la scuola: c'è veramente, a monte di molti fenomeni, una storia che va conosciuta e riconosciuta. Sono persone che non hanno avuto gli strumenti per crescere, che hanno fatto fatica a diventare adulti. Oltretutto questo si complica perché continuano a diventare grandi con il fai-da-te. Superata l'adolescenza, la famiglia dice che sono già grandi e non vogliono più sentire ragioni, gli insegnanti si tengono alcuni presenti e vicini, altri, molti, decisamente a distanza. Nei quartieri e nei paesi in cui vivono, se cinque soli ragazzi stanno insieme in gruppo, si pensa subito che vogliano fare cose malvagie. Quindi a occuparsi dei giovani superiori ai 14-15 anni non c'è più nessuno, salvo rare eccezioni.

Informazione e Tv: un'overdose di violenza

Riguardo all'informazione, volevo segnalarvi un paio di cose che m'impressionano. Intanto non riesco a capire perché ogni volta che leggo un giornale - qualche volta faccio la rassegna stampa a Radio Popolare - il 99% delle notizie che leggo sono negative. Come se, poiché nel mondo ci sono anche cose belle, ci fosse una specie diselezione delle cattiverie, dei reati, delle schifezze, delle violenze. Una seconda cosa riguarda la televisione. Credo che, non uno su dieci, ma un film su venti non sia di violenza, di ammazzamenti. Certo, sono sempre i giusti che vincono ed i cattivi che vengono puniti, ma c'è un'overdose di violenza, che forse è rappresentata anche per creare una specie di immedesimazione nell'eroe positivo che vince il male, ma è sempre un contenuto di grande violenza. Credo che tra i possibili modelli da presentare ai giovani, il modello utilizzato dai media sia molto negativo.

I giovani, solo attori dei consumi

Penso che i giovani non sono amati, non sono un valore per la società contemporanea. I ragazzi e le ragazze di oggi certamente sono una categoria interessante per i consumi, anzi, una certa cultura giovanilistica li utilizza come degli avanguardisti di nuove mode. Ma in realtà, al di là del loro essere attori del consumo, oppure precursori di mode, utilizzati per le pubblicità e così via, i giovani di oggi sono pochissimo amati: voi giornalisti dovreste parlare di questo. Pochissimo amati, prima di tutto a partire dallafamiglia. Incontro tantissime famiglie: tutte si riconoscono incompetenti ed in grosse difficoltà nei confronti dei figli adolescenti, ma nessuno si prende l'impegno di andare a scuola, di confrontarsi, di impiegare del tempo, delle energie. Amare i figli e lavorare perché la loro situazione socio-economica sia forte ed essere disinteressati o comunque superficiali nei confronti della loro educazione secondo me è segno di poco amore, anche perché educazione per me vuol dire spiegare ai figli quello che è bello, importante, dare la propria anima, se stessi.
Veniamo poi alla scuola. Anche quest'ultima Finanziaria, come le precedenti, mette nelle classi mediamente trenta alunni, come insegnanti quelli che ci sono sempre stati, come didattica la didattica che c'è da sempre. Io abito a Baggio, alla periferia di Milano. Lì si arriva solo alla scuola professionale, dove vanno tutti gli "sfigati" della zona: incominciano in trenta, in seconda sono in 15, in terza sono rimasti in 7. Abbiamo detto a 23 ragazzi che loro sono di serie B, che camminino, che vadano da un'altra parte, a fare qualunque lavoro che capiti loro, ma comunque via di qua. A volte vado all'estero e vedo come in tanti posti è normale fare un centro di aggregazione giovanile, così come è normale fare la farmacia, oppure la salumeria. Da noi i giovani vanno a pagamento nelle birrerie, nelle discoteche, ma non si pensa a strutture adeguate per il tempo libero, che è una risorsa. Crescono come possono, sulla strada, all'oratorio se ci vanno, in una società sportiva se possono.
Lo stesso dicasi per la parrocchia. La chiesa può andare bene per i bambini, ma purtroppo quando arrivano i giovani non ha la capacità di essere elastica, di essere interessante e di fare comunità.

Tutelare la normalità

Credo che i giovani siano formalmente ma non realmente amati, perché se si vuol bene ad una persona le si danno le cose che servono per crescere, per vivere. Gli interventi che si offrono, dal lavoro alla formazione, alla scuola, dall'ambito familiare a quello della socialità, sono proprio poveri, improvvisati, secondari, accessori. E qui ci sono dentro anche i giornali. Avrete letto quanto si è scritto sui pedofili. Non se ne può più. Non dico che i pedofili siano della brava gente e che dobbiamo dar loro delle medaglie. Però dico che se un centesimo dell'indignazione per gli stupri venisse economizzato per far qualcosa per i bambini, per i ragazzi che stanno già male, che hanno segnalato di star male - e nessuno invece fa nulla, compresi quelli che si indignano per i pedofili - staremmo tutti molto meglio. Per fare un esempio, Milano è una città europea, non è Rio De Janeiro ma ha già segnalati al servizio materno infantile circa settemila bambini, il 70% dei quali inferiori ai 14 anni. A questi vanno aggiunti altri 4 o 5mila, che si nascondono perché hanno paura dell'assistente sociale che è in stretto contatto con il Tribunale per i minorenni. Già segnalati, quindi vuol dire che già è successo qualcosa! Un'assistente sociale ha mediamente 120-130 casi ma si occupa di venti-trenta casi: e gli altri cento di chi sono? Di nessuno. Se chiedi: avrei un bambino di due anni da collocare, ti rispondono: "Accidenti, peccato, devo fare il weekend".
Un'ultima cosa. Il Cnca, anni fa, quando parlò in un convegno sul "Cittadino volontario", disse che per occuparsi dei giovani bisogna tutelare la dignità e la competenza della normalità dei posti dove questi ragazzi e ragazze vivono e dove vengono aiutati - o dovrebbero essere aiutati - a diventar grandi, della qualità delle persone, dei luoghi, degli interventi che si fanno. Se è vero che fa clamore, che richiama l'attenzione, l'evento straordinario o l'iniziativa speciale, è anche vero che dei giovani bisogna occuparsene soprattutto prima, piuttosto che quando hanno segnalato un disagio, quando stanno male. Bisogna far sì che nella scuola, in famiglia, nel quartiere, vi siano gli strumenti perché questi bambini o ragazzi non stiano male. Sono le cose normali che vanno salvaguardate. Ce l'ho un po' con un vostro collega, che adesso è anche anziano, si chiama Sergio Zavoli: è una brava persona, però quando vedevo i suoi servizi sui giovani intitolati "I giovani e la droga", "I giovani e l'Aids", "I giovani e la delinquenza" non ne potevo più, perché questi giovani non sono, per il fatto di essere giovani, dei candidati ad essere tossici, delinquenti, dissoluti. Non sono neppure dei santi, degli eroi: sono certamente più esposti, ma non sono dei candidati ad essere tutte quelle cose brutte che dicevo prima. Nelle famiglie, spesso i genitori dicono: "Meno male che mio figlio non verrà più da lei, ha quasi vent'anni, il rischio è superato". Certo che i giovani sono a rischio, hanno bisogno di strumenti per diventare grandi, hanno bisogno che gli adulti siano dei testimoni della volontà, della vita e delle sue promesse, e di incontrare degli adulti - anche dei giornalisti - che gli dicano la verità.

Non prediche, ma esempi

I giovani  credono nell'idea che qualcuno dica loro la verità, non che faccia loro l'apologia e che quindi possano assumere responsabilmente degli atteggiamenti. Penso che i giovani di oggi abbiano bisogno che venga riconosciuta loro la capacità di responsabilità, dalla famiglia alla scuola, e mi pare che i recenti movimenti degli studenti siano in questo senso. L'idea che siano piccoli, giovani inesperti non comporta che non devono avere responsabilità, perché tutti voi sapete che si diventa responsabili avendo delle responsabilità, non aspettandole o se qualcuno ci raccomanda di essere responsabili. Hanno bisogno di strumenti adeguati. L'altro giorno ero insieme a dei ragazzi e delle ragazze che studiano da periti in informatica. In un anno riescono a fare persino 15 o 20 ore di computer. In un anno! Se gli strumenti sono quelli, finisce che questi ragazzi non riescono più a crescere. Siccome i giovani sono abbastanza indifesi - o comunque non hanno tutto il potere che hanno invece gli adulti o quelli che possono difendersi - hanno bisogno di avere delle rappresentazioni di sé, anche quelle sulla stampa, che vadano a vedere la loro condizione e siano dei compagni di percorsi positivi. Non c'è bisogno che ci lamentiamo dell'aumento di violenza, dei cattivi comportamenti: servono dei giornalisti che guardino la situazione con intelligenza, capiscano come è costruita e siano capaci di interloquire, per cambiare la realtà nel senso di dare strumenti veri per la crescita dei giovani. Dicono che i giovani di oggi non hanno valori: non è vero, è vero che hanno pochi compagni di strada e anche pochi strumenti per esprimerli. Sarebbe bello che anche i giornalisti non  trattassero i giovani come dei divi o degli imbecilli, ma riuscissero a definire bene, a capire bene la loro condizione, e ad essere anche un po' maestri e indicatori di percorso.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.