III Seminario Redattore Sociale 8-10 Novembre 1996

Periferie umane

I giornali nel mirino dei poteri. No alle norme, sì ai princìpi. Gli imprevedibili effetti della notizia. L'informazione, mediatrice di conflitti sociali

Intervento di Gad Lerner

 

Gad Lerner - inviato de La Stampa*

Mi ero preparato sul terzo settore, sul futuro, sulle prospettive, ma mi avete sommerso con delle domande che riguardano il mio lavoro quotidiano e anche le responsabilità che ho avuto in un giornale fino a poche settimane fa, quindi non faccio finta di non averle avute e di non aver contribuito alla costruzione di quel prodotto nel suo insieme. Per rispondervi comincio anch'io da una domanda, che rivolgo più che agli operatori dell'informazione presenti, agli operatori del sociale, a Don Vinicio, al Cnca, a Marcon. Quanto potere avete voi dentro questa società? Quanto contate per poter influenzare noi giornalisti? Non voglio imitare Stalin che chiedeva quante divisioni aveva il Papa - anche perché poi andò a finire male, nel senso che, pur non avendo delle divisioni militari, è noto che la chiesa cattolica ha avuto una parte importante nel crollo del comunismo. Allo stesso modo ho visto questo ingenuo - scusa se sono così esplicito - documento che Don Vinicio vuole inviare al Garante dell'editoria, al presidente dell'Antitrust, al procuratore della Repubblica di Fermo, nel quale si lamenta per la quantità dei servizi di moda "griffati" e firmati sui giornali, per gli inserti "Motori" che sono chiaramente pubblicitari, così come per le tante anticipazioni sull'uscita di libri, film e cassette. 
Non ti sei mai chiesto perché non ci siano particolari lamentele nei confronti dei redattori delle pagine sui motori dei giornali per le imprecisioni, i titoli scandalistici, i dati inesatti, attinenti alle recensioni delle automobili, oppure per le recensioni della nuova linea primavera-estate di Armani, o della nuova provocazione di Moschino? Perché evidentemente questi signori hanno un potere sul giornale e sui giornalisti. Questo è il punto di partenza, un potere che talvolta si manifesta anche attraverso l'editore, la proprietà di quel giornale. Ma non occorre necessariamente essere giornalisti della "Stampa", cioè dipendenti della Fiat per parlar bene della "Marea" stationwagon appena uscita: si può farlo anche su "Repubblica" che è di De Benedetti, si può farlo sull'"Unità" che è del Pds, si può farlo pure sul "Manifesto", perché è una questione di interferenza dei poteri in un luogo, quello della comunicazione - scritta, televisiva o radiofonica - che è tradizionalmente e storicamente, in Italia più che altrove, soggetto all'influenza dei poteri. In Italia più che altrove per la storia culturale di questo Paese, dove non si è formata e consolidata un'opinione pubblica che, in quanto tale, potesse funzionare da contropotere rispetto al peso degli altri poteri politici, economici, sportivi, musicali, automobilistici e quant'altro. Detto questo la mia domanda su quanto potere avete è tutt'altro che paradossale. E' una domanda che può avere una risposta tutt'altro che sconsolata e pessimistica: secondo me avete del potere e ce ne avete molto più che nel passato e potete contare molto di più di quanto non abbiate contato fino ad oggi, nell'intimidire coloro i quali fanno titoli grossolani, riportano notizie sbagliate, fanno del danno attraverso il loro lavoro giornalistico. Credo che oggi siate in grado di intimidirli, e non esito ad usare questa parola, con più efficacia che nel passato e probabilmente il perché oggi ci sia questa possibilità lo spiegherà meglio di quanto non possa fare io, Ugo Ascoli, quando parlerà del peso crescente che nell'intero sistema italiano - e quindi nella relazione fra i diversi poteri che compongono questa nostra società - il Terzo settore va e andrà sempre di più assumendo.

No alle norme, sì ai principi

Detto ciò non voglio sottrarmi alle domande che mi sono state rivolte, a cominciare da quella su come si arriva alla formazione del titolo e dell'articolo - a partire dalla prima notizia che può arrivare dall'Ansa, ma anche dal corrispondente locale, dalla cronaca locale - in un grande giornale. Non sto a ripetere la litania degli sbagli e delle superficialità e delle grossolanità, perchè le sapete: non ho assistito alla relazione del sociologo Prina, ma immagino che i titoli che vi ha mostrato siano eloquenti e non ho nulla da difendere. Voglio solo dirvi che non credo che su questo terreno possa servire la via normativa più di quanto non sia già stato fatto; le aziende automobilistiche non hanno avuto bisogno di norme speciali per avere dei buoni titoli, per evitare che ci siano imprecisioni sulle prestazioni delle loro automobili. Non è una questione normativa: è una questione dei criteri che ci possiamo dare nella diffusione di queste notizie. Noi siamo sempre a cavallo, siamo sempre sull'equilibrio ambiguo e altalenante fra due funzioni: una è quella dell'assecondare i gusti, i bisogni, le morbosità, le curiosità anche più basse dei nostri utenti - o di quelli che presumiamo essere i nostri utenti, perché molto spesso li facciamo meno intelligenti di quello che sono - l'altra è la funzione educativa, che anche il giornalista ha.
E' evidente che ciascuno percepisce il proprio ruolo e la propria funzione soggettivamente: c'è chi vedrà il suo lavoro prevalentemente come un lavoro di prestigio, nel quale si può fare carriera e reddito in fretta, e chi vi attribuisce, per sua storia personale, una funzione di utilità sociale, lo interpreta come lavoro socialmente utile. Le due cose spesso convivono: magari uno pensa di poter salvare capra e cavoli, la carriera e l'utilità sociale, e ci riesce pure. Poi, a seconda dei periodi, prevalgono gli uni e gli altri atteggiamenti, ma intanto la nostra è una macchina molto tecnica, per rispondere alla domanda su come si formano quei titoli e quelle notizie. Molto tecnica com'è probabilmente l'anticamera di una sala operatoria per i chirurghi. Può succedere che facciamo due riunioni di redazione, una alla mattina in cui si imposta il lavoro del giornale, una alle sei del pomeriggio in cui si arriva al dunque, alla fattura pratica, e allora può succedere che il responsabile, il capocronista di Torino alla mattina ci dica: "Hanno trovato un cadavere di donna carbonizzato in un fossato verso Nichelino, stiamo un po' a vedere". E tutti dicono "speriamo, almeno ci dà un bel titolo per la cronaca, perché è da un po' di giorni che perdiamo copie". Poi alle sei di sera quello stesso capocronista arriva sconsolato e dice: "accidenti era una nigeriana, porco cane, mi dispiace perché è una nigeriana e quindi sarà un titolo a due colonne". Se fosse stata una di via della Rocca, se fosse stata una signora del ceto medio di Torino, ci avrebbero fatto le 8 o 9 colonne della cronaca. Ma ti può succedere di trovare questo capocronista con le dita incrociate che dice: "accidenti speriamo che non sia lei, speriamo che non sia lei". E allora chiedi: perché? "Perché se hanno trovato un cadavere, penso che sia della ragazza scomparsa, della diciassettenne di Ivrea che stanno cercando da una settimana e aspettiamo da un momento all'altro il giorno in cui finalmente trovino il cadavere, che ci farà vendere un sacco di copie. Ma che non succeda oggi che ci sono le elezioni, che non ci serve a niente, speriamo che la trovino tra una settimana, quando l'effetto vendita delle elezioni sarà già finito". 
Questo non vi scandalizza, non scandalizza neppure me, perché attiene semplicemente alla tecnicalità che è contenuta nel nostro lavoro. Anche i chirurghi, per non parlare degli anatomopatologi o dei macellatori di professione, ma forse anche gli operatori delle tossicodipendenze o dei centri di igiene mentale, quando descrivono, tra di loro, glacialmente e tecnicamente le grane del proprio lavoro, adoperano un linguaggio che talvolta diviene cinico. Poi alcuni diventano cinici veramente, e gli cresce un pelo così sullo stomaco, ad altri no, ma quello non dipende tanto dal linguaggio che si usa in queste riunioni. E dunque ripeto: non può esservi normativa in proposito, perché questa tecnicalità derivante dall'equilibrio tra l'assecondare i bisogni del tuo lettore al quale vendi una merce e la necessità però di dare anche un messaggio, di essere uno strumento di conoscenza della realtà, questo equilibrio nessuna norma riuscirà mai a vincolarlo e allora si tratta di ricorrere a dei principi che noi cerchiamo di darci e che però devono esserci anche imposti da fuori.

Gli imprevedibili effetti della notizia

Si è detto dei suicidi, del suicidio di un bambino. Rispondo che sicuramente è presente nella direzione del mio giornale, ma credo anche di altri giornali, il pericolo della catena imitativa. Si sa, magari da poco tempo, che dare con grande risalto la notizia di un suicidio può provocarne degli altri a catena. Però c'è una tendenza piuttosto consolidata a dare questa notizia, perché comunque si viene a sapere e sarebbe sbagliato non darla. Credo che non esistano notizie che sia vietato dare, tranne quelle che possono produrre un danno di vita o di morte su una persona. Questo è il criterio che io mi dò. Quindi le notizie che possono creare catene imitative vanno date, ma con scarso rilievo e vanno limitate al massimo. Le notizie che possano provocare la morte di una persona non si danno. Su tutto il resto il problema è come le dai, perché, non nascondiamoci dietro a un dito: comunque tu dia una notizia cambi la vita delle persone che in quella notizia sono coinvolte. 
Quante volte mi è successo personalmente di pensare di fare un favore a uno scrivendo la sua storia sul giornale e di trovarlo turbato quando l'ha letta, oppure di produrre con il mio articolo le conseguenze più impreviste. Quante volte l'indiscrezione acuta, il denudamento, quella che poteva apparire un'umiliazione, è stata la salvezza per una persona. La denuncia di certe situazioni sanitarie, manicomiali, che passavano attraverso la riproduzione fotografica di un povero corpo nudo derelitto con la sua faccia, non sbarrata, sul giornale, hanno prodotto il risanamento di quella situazione e quante volte viceversa abbiamo avuto effetti negativi di tipo opposto: pensavi di far delle cose utili, ma non è stato così. Vi racconto solo un piccolo caso recente che mi è capitato. Descrivendo in termini veritieri e oggettivi, e lo rifarei, l'approccio di imprenditori calzaturieri italiani, pugliesi in particolare, che andavano in Albania per prendere manodopera a bassissimo mercato, cioè donne albanesi per fare le tomaie, ho descritto l'approccio, anche culturale, piuttosto rozzo di questi bravi imprenditori che andavano lì e portavano anche molto lavoro. La reazione è stata di indignazione feroce delle donne impiegate in questi stabilimenti che, letta la traduzione dai giornali albanesi di quel mio servizio, hanno fatto degli scioperi in difesa della propria dignità contro il maschilismo degli imprenditori, che sono andati a lavorare lì da loro e che avevano espresso quegli apprezzamenti. Orbene, questa conseguenza non me la sarei mai immaginata. E' positiva? E' negativa? Abbiamo creato dei conflitti di lavoro in Albania? Va bene? Non va bene? Abbiamo difeso la dignità delle donne albanesi raccontando frasi relative ai peli che potevano avere o non avere sulle gambe, prima che arrivassero gli italiani, al rossetto che si sono messe dopo? 
E' molto difficile misurare le conseguenze sulla vita quotidiana degli oggetti della nostra informazione, ma non c'è niente che noi possiamo o che noi dobbiamo nascondere, neppure le notizie relative ai bambini che si suicidano. Il problema è come si danno. Perché altrimenti mi dovete spiegare qual è il male che può andare sui giornali e qual è il male che invece non ci può andare. Pietro Veronese oggi su "Repubblica" ha scritto un articolo terribile sui confini tra Rwanda e lo Zaire, in cui racconta la storia di una bambina che è stata costretta ad assistere all'uccisione di sua madre, oppure nel medesimo articolo si racconta di un padre che è stato costretto ad assistere all'esecuzione dell'intera sua famiglia e poi col coltello alla gola gli assassini lo hanno costretto anche a dire che avevano fatto il loro dovere, cioè praticamente a ringraziare per quello che aveva visto. Allora, perché se è relativo al Rwanda lo possiamo scrivere e se è relativo a casa nostra non possiamo scriverlo? Il problema è, ripeto, solo il come.

L'informazione, mediatrice di conflitti sociali

L'ultima cosa che volevo dire in questo primo intervento riguarda San Salvario. E' una cosa che ho seguito da vicino e che "rivendico", difendo. L'informazione, per il ruolo che ha assunto dentro questa nostra società, è sempre una cassa di risonanza che, come tale, deforma, enfatizza, rende eccezionale ciò che è abituale, dà luogo a cosiddetti casi esemplari che possono essere utili o dannosi. Si dà anche il caso assoluto che possano essere dannosi per la realtà specifica locale e utili viceversa per dare un messaggio più ampio, per un progresso di consapevolezza a livello nazionale. San Salvario è un caso in cui, secondo me, hanno coinciso un'attività feconda sul piano locale, con il lancio nazionale del caso stesso. Una realtà del quartiere - e nel caso specifico il prete, Don Piero Gallo, parroco di San Salvario, che considero un politico sopraffino, un dirigente del quartiere con grandi capacità tattiche - ha usato noi, e noi ci siamo consapevolmente fatti usare. Questo prete, persona molto seria, fa un lavoro di convivenza in un quartiere che non è tra i più difficili d'Italia e neanche di Torino, ma ha soltanto la caratteristica, che fa comodo per renderlo simbolico, di trovarsi nel centro della città. Se queste cose succedono in centro si notano di più che se accadono in periferia. 
Questo prete ha visto che l'attenzione nel quartiere era arrivata a livelli di guardia, che potevano portare allo scontro fisico tra i residenti di nazionalità italiana e i nuovi immigrati, e ha pensato di adoperare la leva dell'allarme sul giornale, di fare lui l'allarmista prima che scoppiassero gli scontri e noi abbiamo portato in prima pagina questa cosa. Dieci giorni dopo che si è cominciato a concentrare l'attenzione su San Salvario - e quindi dopo che questo portare in prima pagina l'allarme del disagio contro i guasti provocati dalla presenza di numerosi spacciatori, di numerose prostitute nigeriane che andavano a esercitare altrove ma che, abitando lì, avevano un codazzo di magnaccia, se non altro aveva lenito l'arrabbiatura dei parrocchiani, che hanno visto l'interesse dei giornali, del questore, del prefetto, addirittura del Ministro dell'interno per loro - con la stessa tecnica ha lanciato l'allarme contro gli affittacamere strozzini italiani. Il messaggio è stato: se c'è questo degrado nel nostro quartiere, se gli immigrati dormono in venti, in trenta, in appartamentini di due stanze, pagando oltretutto pigioni scandalosamente alte, non sarà per colpa di quei mascalzoni di affittacamere nostri, che sono bianchi e che sono abitanti di San Salvario, che pensano di lucrare in questo modo sull'immigrazione clandestina? Con abilità tattica ha posto l'altra parte della questione e ha portato, in diverse circostanze, a confrontarsi realtà che altrimenti sarebbero andate allo scontro fisico. Questo esempio l'ho voluto citare, perché talvolta i mass media si possono anche adoperare, sapendo qual è la loro logica. La logica dei mass media è anche il passaggio attraverso l'enfatizzazione: stare in prima pagina è efficace, serve e non si sta semplicemente raccontando quel che va bene e la normalità. Però bisogna esercitare una forza. Torno alla domanda iniziale: quanta forza avete voialtri e come siete in grado di esercitarla? Secondo me ce ne avete.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.