III Seminario Redattore Sociale 8-10 Novembre 1996

Periferie umane

"Alla periferia del giornalismo". Chi conosce la Carta di Treviso?

Intervento di Gian Luigi Gasparri

 

Gian Luigi Gasparri - caporedattore del Resto del Carlino, Ascoli Piceno*

Introduzione

"Alla periferia del giornalismo"

Il tema dell'incontro - Periferie umane - si attaglia perfettamente ad un certo tipo di giornalismo. E' un tipo di periferia professionale di cui a volte si possono godere i vantaggi - che consistono nel fare quello che uno vuole, finché gli viene consentito - ma che ha anche una serie infinita di svantaggi. Adesso non sto a parlarvi delle mie esperienze, però quel signore che si è risentito per alcune mie inchieste è morto, ma prima ha cercato di ammazzare me perché, tra l'altro, lo strumento di pressione che ha utilizzato è stato quello di una querela da 42 miliardi, cioè voleva 42 miliardi di risarcimento danni da me. Ridendo si dice sempre che chiedere a qualcuno 42 miliardi sia come chiedergli una lira, ma vi assicuro che non è vero, si vive abbastanza male sotto queste "minacce". Il tema di oggi, Il pazzo, il giovane, il vecchio, il negro, nella vita di una redazione provinciale di periferia ha un'incidenza abbastanza relativa. Il giovane e il vecchio rientrano molto nei luoghi comuni, nel senso che sono problemi che vengono accolti con benevolenza, perché i giovani sono futuri lettori quindi devono essere corteggiati, ingraziati e il vecchio è un personaggio che fa tenerezza, quindi va coccolato. Salvo poi quando si va ad intervenire sui fatti reali, sulle case di riposo, sulle emarginazioni, non tanto sociali quanto economiche, perché quando una persona si trova a non avere delle disponibilità economiche, più è anziano e più sta male, più è anziano e più viene scartato. 
Quando il giornale entra nel vivo del problema, si suscitano un sacco di reazioni da parte delle istituzioni, delle strutture. Arrivano querele, pressioni, ma anche inviti a pranzo: io però ho due fortune, non faccio mai pranzo e sono anche vegetariano, per cui non mi costa troppa fatica rinunciare. Poi c'è il problema del negro, ma il negro dà poco fastidio, bastano mille lire quando viene in redazione a domandare se "Vu' cumprà un accendino". Mille lire e poi lui è contento se l'accendino gli viene cortesemente rifiutato. Oppure è argomento di cronaca banalissima quando viene pescato dai prodi finanzieri che gli trovano addosso delle cassette più o meno fasulle. Ogni tanto magari qualcuno, nonostante sia musulmano, beve, dà una coltellata a un altro povero disgraziato e noialtri scriviamo, scriviamo. C'è il vantaggio che i negri non querelano mai, per cui uno può dire quello che vuole e non succede mai nulla; gli albanesi sono un po' più pericolosi, gli zingari poi sono terribili perché hanno imparato la via degli avvocati, ma insomma questi tre tipi di problema sono piuttosto relativi, sfumati. 
Il problema del pazzo è una cosa abbastanza particolare. Posso raccontarvi un paio di episodi che mi sono accaduti proprio un mese, un mese e mezzo fa. Il primo è su un signore che ha l'abitudine, bellissima, di arrampicarsi sui campanili delle chiese e poi minaccia di buttarsi di sotto, e non lo fa mai. Una volta è venuto a raccontarmi la sua storia. Mi ha detto "Sono tre giorni che non mangio". Io sono un cuore di mozzarella, mi intenerisco facilmente, allora gli ho dato ventimila lire, ma non le voleva e diceva: "No, per carità... assolutamente non deve, non sono venuto per questo". Ho insistito, è andato via tutto contento, ringraziando. Il giorno dopo si presenta un altro signore e mi dice: "Sa, sono tre giorni che non mangio, mi trovo in difficoltà" e allora io invece di ventimila lire gliene ho date 15, ed è andato via. Il terzo giorno si è presentato un signore che mi dice: "Sono tre giorni che non mangio". La cosa buffa era che questo signore, questo numero 3, era vestito come un damerino, aveva i capelli imbrillantinati, i baffi a manubrio da ciclista dei primi del Novecento, una giacca di velluto verde a coste, un gilet, un panciotto rosso, la cravatta, era bellissimo. Quel signore che non si butta mai dai campanili aveva sparso la voce che c'era uno che, se una persona gli diceva "sono tre giorni che non mangio"... gli dava dei soldi!
Un altro episodio invece è accaduto a ridosso di quella prima situazione. E' entrata in redazione una signora dall'aspetto molto per bene, così l'ho catalogata. Voi lo sapete, i giornalisti appena vedono una persona tendono a catalogarla, io per lo meno faccio così per avere grosso modo un'idea di chi si ha di fronte. Questa signora aveva un aspetto assolutamente innocuo: aveva sui 50 anni, piccola, un viso un po' schiacciato, insomma sembrava una persona piuttosto pacifica. E questa dice: "Sono venuta a parlare di un problema di cui voi giornalisti dovete assolutamente occuparvi". Dica pure signora. E lei: "Bisogna dire al sindaco che la smetta di mandare ai giovani le cartoline rosa per il servizio militare". E allora ho risposto: "Non dipende da noi, ma perché non dovrebbe?". Questa signora mi ha ribattuto: "Perché è un servizio che Gesù non ha previsto". Allora ho cominciato un po' a sospettare. Poi ha continuato: "Il sindaco deve mandare le cartoline ai giovani per invitarli a un corso di danza, perché Gesù ha detto che la danza è armonia". Quindi ho risposto: "Questo coinvolge anche le donne, anche le ragazze". Lei ha insistito: "Sì, tutti devono fare i corsi di danza, compresi gli spermatozoi!" Insomma, questa signora voleva far fare dei corsi di danza agli spermatozoi. Poi c'è stato un finale abbastanza fantozziano, nel senso che, alla fine, siccome era molto insistente, ho detto: "Signora, la prego, mi lasci lavorare". Lei si è irritata e ha cominciato a inseguirmi dietro la scrivania cercando di colpirmi a calci nel sedere. Era una scena di una comicità terribile: io guardavo come se fossi uno spettatore questa signora che, con le sue gambine corte, correva dietro a un caporedattore cercando di colpirlo nel sedere. Al di là di queste amenità, c'è un grosso problema che riguarda il giornalismo di periferia.

Chi conosce la Carta di Treviso?

C'è una sistematica violazione della Carta di Treviso, in tanti casi addirittura perché non è conosciuta. Di questo problema ho parlato molte volte con Stefano Trasatti e con Vinicio Albanesi, e non si è mai riusciti a fare nulla, salvo ottenere delle prese di posizione da parte dell'Ordine che lasciano il tempo che trovano. Non ci sono mai state delle reazioni, iniziative di tipo penale, perché in provincia le cose vanno così. In fondo i giornalisti stanno in tribunale dalla mattina alla sera, per cui come si fa a denunciarli? C'è sempre un occhio di riguardo. L'Ordine affida la questione al Gran Giurì e il Gran Giurì impiega forse otto o nove anni prima di definire una cosa. Nel frattempo il giornalista è andato in pensione: insomma, non succede nulla. E' un problema reale. Non capisco veramente i colleghi che fanno queste cose, anche perché poi noi giornalisti abbiamo una pessima abitudine: prima facciamo le stupidaggini, prima diamo le martellate sulle persone - vuoi per la fretta, che poi non è una scusante, vuoi per altre motivazioni - esercitiamo delle prevaricazioni, poi facciamo i coccodrilli. Questo perché la grande città assorbe più facilmente, la piccola città invece porta il cronista a contatto della gente, il cronista di periferia non è un personaggio sconosciuto, è uno che incontri per la strada tutti i giorni, gli offri il caffè, lo chiami per nome, gli dai del tu e quindi il giornalista finisce per essere il giornale. Da questaconfusione di ruoli nasce il discorso del primato, dello scoop fasullo, ridicolo, il discorso del giornale che deve avere un suo trend positivo, e questo porta a fare delle forzature. Una persona che si butta dalla finestra a Roma, tranne che nel suo quartiere, passa inosservato. Uno che si butta dalla finestra in una città piccola come può essere Porto San Giorgio, diventa un fatto particolare di interesse estremo, per cui venderà sicuramente di più colui che avrà riportato la fotografia orrenda, orripilante, del corpo rimasto a terra, con tanto di nome e cognome. E' successo proprio un paio d'anni fa che un bambino di nove anni si sia sparato una fucilata e sia rimasto ucciso. E' una tragedia che personalmente mi ha sconvolto: abbiamo visto fotografie del bambino, abbiamo visto il nome del bambino, dei genitori, dei fratelli; quando Don Vinicio Albanesi ha fatto un suo intervento sulla stampa, ha avuto anche la rimbeccata polemica da parte di un vecchio redattore che sosteneva che il diritto di cronaca era sovrano, quindi lui della Carta di Treviso non so che cosa ci facesse, forse la usava per avvolgerci il radicchio...
Vorrei presentare il primo dei relatori che parlerà dell'argomento: Il giovane. Si tratta di don Gino Rigoldi, presidente di Comunità nuova, una delle strutture più consolidate di accoglienza della Lombardia. E' responsabile del Cnca della Lombardia, cappellano nel carcere minorile Beccaria. Fra le ultime sue iniziative c'è l'apertura di un grosso centro di aggregazione, insieme con Jovanotti, di cui penso che abbia piacere di parlare. Don Rigoldi è spesso in contatto con il mondo dell'informazione, cura una rubrica sulla rivista per teenagers Tutto e ultimamente - l'avrete visto in televisione o l'avrete letto sui giornali - ha fatto molto scandalo per la sua presa di posizione contro la demonizzazione delle discoteche e gli orari anticipati che, secondo i benpensanti e secondo i luoghi comuni, servirebbero per ridurre il consumo della droga e diminuire o annullare - auguriamocelo comunque - gli incidenti stradali.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.