III Seminario Redattore Sociale 8-10 Novembre 1996

Periferie umane

Introduzione al seminario

Vinicio Albanesi e Dante Clauser

 

Vinicio Albanesi - sacerdote, presidente C.N.C.A. e Comunità di Capodarco*

Ad aprire i lavori di questa sera sarà un signore con la barba bianca, uno di quelli che ha assistito, come parroco centrale di Trento, alla grande stagione sessantottina nella celebre Università della città. Poi, colpito non so se da Dio, dallo Spirito, o da chi altro, se ne è andato a vivere con i barboni. Oggi vive a Trento, ha come suoi amici quelli che vengono chiamati senza fissa dimora, ma che in realtà sono senza dimora, altro che fissa... Ci tengo che sia lui ad aprire, perché è un po' la nostra immagine, è un nostro padre, una persona alla quale siamo affezionati per la sua storia e per il suo spessore.

Dante Clauser - Punto incontro Trento*

Mi sento come Don Abbondio, vaso di creta in mezzo a vasi di ferro. Credo che alla fine di questo mio breve discorso monsignor Albanesi, volgarmente chiamato Don Vinicio, mi tirerà le orecchie. Ma ho preso tante di quelle tirate di orecchie nella mia vita che dovrei averle come quelle di un asino, e quindi non me la prendo.

Mi presento. Sono un vecchio prete di strada trentinoVecchio, si vede: ad ogni modo per la cronaca non è che abbia 90 anni, ne ho appena 73, li compirò fra pochi giorni.Prete: con molto rispetto per molti di voi che non fossero credenti, non ho mai avuto vergogna di essere prete, è stata la più grande felicità della mia vita e non ho mai avuto due tentazioni: quella di smettere di fare il prete e quella di uscire dalla chiesa. Perché sono convinto che in questa vecchia chiesa, un po' santa e un po' puttana, non bisogna mai sbattere la porta dal di fuori. Uscire e sbattere la porta non serve a niente, lo dico per quelli di voi che sono credenti: già stare dentro questa vecchia chiesa è continuare a sbattere la porta, ma dall'interno, senza paura.

Di strada: anche questo è un grande onore. Prete di strada, quindi a contatto quotidiano con persone chiamate "devianti", ma che comunque, con tutti i loro difetti, hanno una grande virtù: sono abituati a dire pane al pane, vino al vino e culo al culo; questo è il loro stile e questo stile me l'hanno insegnato. Trentino: se qualcuno di voi è stato a Trento, appena uscito dalla stazione avrà visto il monumento a Dante eretto esattamente cent'anni fa, con la mano tesa verso il confine austriaco, quasi a dire: "Straniero, fermati al confine". Ma in Trentino i montanari, gente molto pratica, non attribuiscono questo simbolo alla mano alzata di Dante Alighieri, ma dicono: "La merda è arrivata fino a questa altezza!". E' vero: guardandoci intorno è proprio così. Non occorre essere pessimisti per vederlo. Voi vi chiederete che cosa ci faccio qui, in mezzo ad un convegno di giornalisti, o di futuri giornalisti. Io non sono un giornalista ufficiale, autorizzato, iscritto all'Ordine - di ordine nella mia vita a dir la verità ce n'è poco - però ho cominciato a scrivere 50 anni fa, parlo ogni settimana alla radio locale, spesso compaio in televisione. Sono stato attirato soprattutto dal titolo del seminario: Solitudine e violenza.

Con i giornalisti ho un rapporto di amore-odio. Di amore: perché hanno in mano un mestiere prezioso e pericoloso. Vorrei dirlo soprattutto ai giovani: è magnifico il lavoro del giornalista, è formare l'opinione pubblica e, in definitiva, più di quanto facciano i preti, formare le coscienze; perché purtroppo, sarà superficialità, ma oggi la gente si forma non soltanto l'opinione, ma anche la coscienza su quello che legge sulla stampa. Di odio: certe volte, quando certi giornalisti (non generalizziamo) trattano di emarginazione e di solitudini, scrivono degli articoli così zuccherosi, da dame di carità vecchio stile, e questo mi indigna tremendamente. Anche perché il giorno dopo non se ne parla più: ho fatto il mio colpo giornalistico, ho detto, ho parlato dei barboni, degli emarginati, di chi muore solo; poi tutto torna come prima, c'è una nuova notizia, si va avanti, e questo mi fa veramente indignare. Vi ho detto queste cose con estrema semplicità, come le sento, so benissimo di essere un po' matto, ma il peggio è che sono felice di esserlo, perché mi sento tanto libero e la libertà è il più grande dono della vita.

* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.