III Seminario Redattore Sociale 8-10 Novembre 1996

Periferie umane

I numeri della solitudine e della violenza

Intervento di Paolo Garonna

 

Paolo Garonna - direttore Generale dell'Istat*

Vorrei fare alcune considerazioni introduttive sul sistema informativo e sui dati di cui disponiamo per la lettura del disagio, per impostare analisi, prevenzione, programmazione, monitoraggio e valutazione degli interventi.
Tra le fonti ufficiali di dati, alcune importanti sono quelle amministrative: statistiche giudiziarie, sanitarie, sull'istruzione; statistiche, cioè, che si traggono dagli operatori dalle istituzioni, i quali le ricavano dai processi di gestione. Esse acquisiscono un valore statistico nel momento in cui noi le trattiamo per renderle pubbliche. 
Abbiamo poi alcune fonti che elaboriamo sulla base di indagini statistiche in senso proprio - quindi campionarie - sulle famiglie. C'è ormai un gruppo molto importante di queste indagini: ad esempio quella sulle forze di lavoro, o sui bilanci di famiglia. Si tratta in particolare di indagini consolidate, e che sono anche fortemente armonizzate perché rispondono a degli standards che abbiamo definito anche a livello comunitario. 
Da qualche anno abbiamo una nuova indagine, l'indagine multiscopo, che va più a fondo sul sociale; e anche un'indagine panel. I panel sono importanti perché consentono di seguire i percorsi guardando ai processi in modo diacronico, così come si svolgono nel tempo: quindi seguono la stessa persona nel tempo e ci consentono di conoscere i percorsi individuali. Anche le indagini sulle istituzioni sono rilevanti rispetto al problema in oggetto, per esempio quelle sui bilanci dei Comuni e sulla spesa assistenziale. 
Sulla base di queste indagini abbiamo cominciato, da qualche anno, a presentare alcuni prodotti che le elaborano e contengono anche analisi. Il principale è il nostro"Rapporto annuale sulla situazione del Paese" (oggi disponibile anche in un'edizione tascabile), e poi una serie di note rapide per la stampa sulla congiuntura sociale. Per darvi un'idea di cosa abbiamo pubblicato nell'ultimo periodo su questi temi, oltre al rapporto annuale, ricordo il volume sui disabili e la nota rapida sulle pensioni di invalidità. Vi dò quest'idea dei nostri prodotti non in funzione di marketing, ma proprio perché ritengo sia utile avere un quadro del prodotto, che ci consenta poi di fare le riflessioni. Uno dei prodotti è una nota sulla dispersione scolastica - gli abbandoni, i dati sui ripetenti e sui respinti, sui processi di selezione scolastica; poi c'è un notiziario recente sui permessi di soggiorno degli immigrati; infine un volume, che è stato faticoso ma di cui siamo abbastanza orgogliosi, sugli stili di vita e le condizioni di salute, il rapporto cioè tra condizione di salute e qualità della vita. Queste sono le pubblicazioni più recenti. Sulla base di questo quadro devo dire che negli ultimi anni si può riconoscere un notevole progresso nelle fonti della statistica sociale, in termini di quantità ma anche di qualità di dati disponibili, perché cominciano ad esserci, oltre alle fonti amministrative, anche queste fonti di indagine più controllate dal punto di vista dei processi di produzione.

Tre ostacoli per la ricerca sociale 

Il nostro istituto sta cercando di svolgere un ruolo di leadership in Europa in materia di statistica sociale, trovando però interlocutori non sempre molto attenti. Le materie sociali non sono tutte materia comunitaria, e in particolare la statistica sulle materie sociali non sempre è al centro dell'attenzione del dibattito comunitario. Ci stiamo sforzando insieme agli Scandinavi di portare questa materia anche all'attenzione degli interlocutori comunitari, certi ormai che i problemi della confrontabilità dei dati non riguardano soltanto l'inflazione, ma anche i dati sulla situazione sociale. Certamente questo non significa che non ci siano delle forti carenze, delle insufficienze. Vorrei partire da queste, cercando di sottolineare come gli ostacoli e i vincoli del sistema informativo riflettano quelli della cultura dominante sulle questioni del disagio. Li classificherei fondamentalmente in tre punti.

1. L'attenzione si concentra sugli aspetti economici del disagio

Abbiamo molti dati sulle povertà economiche e sulle povertà relative, sulle disuguaglianze in termini di consumi, tratti dalle nostre indagini sui consumi o, in termini di reddito, tratti dall'indagine della Banca d'Italia. Chi segue attentamente i lavori della Commissione d'indagine sulla povertà sa che essa, insieme a noi, presenta annualmente un rapporto sulle povertà economiche e sulle disuguaglianze. Nell'ultimo vengono presentati dati del '95, ma abbiamo fatto una ricostruzione che ci dà un quadro sulle povertà economiche dall'80 al '95. Invece sappiamo molto meno sullepovertà non economiche e sulle povertà cosiddette assolute, cioè quelle che non dipendono da condizioni relative ma dallo standard di vita. Molto meno sappiamo sugliaspetti soggettivi di valutazione, di autopercezione dei soggetti rispetto alle condizioni di disagio.

2. Una visione eccessivamente statica e macrosociale

C'è poca attenzione alle dinamiche, a come le cose si evolvono nel tempo per gli stessi individui, a quelli che sono i percorsi individuali. Abbiamo piuttosto delle istantanee. L'attenzione si concentra più sulle questioni macrosociali; abbiamo medie, più che varianze, e molta meno attenzione al "micro", ai percorsi individuali, alle storie di vita.

3. Difficoltà di cogliere i segnali deboli

In quella che sbandieriamo essere la società dell'informazione, carente è infine la cultura dell'informazione per le decisioni, e quindi è limitata la nostra capacità di previsione e di prevenzione rispetto a questi fenomeni. Siamo ancora fortemente incapaci di cogliere i segnali deboli che ci vengono dalla società, per cui rischiamo di cogliere il segnale quando è talmente forte che poi diventa poco utilizzabile per le politiche, perché il danno si è già prodotto e il monitoraggio delle tendenze sui piccoli numeri, sulle questioni che hanno scarsa visibilità e sulle forti turbolenze, sui forti cambiamenti, è molto difficile. 
E' difficile cogliere l'obiettivo che si muove rapidamente e che è legato al piccolo numero. La statistica si fonda sulla legge dei grandi numeri, basti pensare al problema della misurazione dell'immigrazione, del lavoro nero, informale. La programmazione e la valutazione degli interventi è ancora carente, perché spesso siamo condizionati dalla logica dell'emergenza anche se ormai, sotto la spinta della necessità di monitorare l'efficacia e l'efficienza delle spese, comincia ad esserci una certa attenzione sul monitoraggio finanziario degli interventi, mentre ancora scarsa è l'attenzione per il monitoraggio fisico degli interventi, cioè il risultato effettivo rispetto agli obiettivi degli interventi. L'informazione non è sistematica: spesso le informazioni sono diseguali, non sono confrontabili e non sono ricorrenti, quindi non ci consentono i confronti nel tempo. Inoltre le informazioni amministrative sono spesso scarsamente sfruttate, perché scarsamente utilizzabili. Nel campo sociale credo che ci sia un'abbondanza, forse una sovrabbondanza di informazioni e tuttavia la scarsa trasparenza comporta che queste informazioni sono difficilmente utilizzabili.

I nuovi strumenti della statistica ufficiale

Allora qual'è stata, qual'è rispetto a questo quadro di luci e di molte ombre, la risposta della statistica ufficiale? Vorrei segnalare alcuni fatti nuovi che mi paiono importanti.
Anzitutto il modello di microsimulazione di cui anche l'Istat si sta dotando. E' un modello che ci consente di simulare l'impatto sociale delle manovre di cambiamento di alcuni parametri. Questo fino a ieri si faceva in istituti privati e in alcuni importanti istituti pubblici, ma da oggi lo fa anche l'Istat, mettendo il suo modello al servizio di tutti gli interlocutori, come la Commissione povertà con cui stiamo cercando di elaborare l'indice di povertà assoluta. Partendo da un basket di bisogni fondamentali e di consumi legati ai bisogni fondamentali, cerchiamo di capire come si evolve la povertà, sia pure economica, ma in senso assoluto e quindi indipendente dalle disuguaglianze. 
La disuguaglianza e la povertà assoluta hanno andamenti che possono essere di vari tipi. Ci può essere un miglioramento della disuguaglianza in situazioni - come le vacche di Spinoza, che nel buio sono tutte nere - di recessione in cui c'è una caduta dei livelli di vita. E' successo agli inizi degli anni '90: con la forte recessione c'è stato un miglioramento della disuguaglianza, siamo diventati più uguali e tuttavia c'è stata una forte caduta nei livelli di reddito e di consumo, che ci ha resi tutti più poveri.
Sulle povertà estreme stiamo cercando di fare un punto di focalizzazione, di attenzione, di misurazione. E' molto difficile misurare i senza fissa dimora, è molto difficile capire qual è l'entità complessiva del fenomeno e quanto il caso singolo rifletta situazioni individuali o sia invece la punta dell'iceberg di un deterioramento di una situazione più complessiva.
A livello europeo siamo impegnati per creare una batteria di indicatori sociali, un po' come gli indicatori di Maastricht, che ci consentano il monitoraggio della congiuntura sociale.
Infine bisogna cercare di avere, come c'è una contabilità economica, anche una contabilità di tipo sociale, che in parte è una contabilità satellite rispetto a quella economica. Stiamo lavorando sui conti satelliti, quello della protezione sociale, della produzione domestica, dell'ambiente, del verde, le cosiddette Sam, le matrici di contabilità sociale, in cui la parte economica è un pezzo di un discorso più complessivo, in cui c'è dentro tutto il sociale che si riesce a cogliere. 
Questo è il quadro degli strumenti. E' bene che gli operatori del mondo dell'informazione sappiano quali sono gli strumenti, le loro potenzialità e quali sono i loro limiti. Mi pare importante sottolineare anche questi limiti, dicendo però che stiamo cercando di farvi fronte.

I dati del disagio: indicatori, percezioni, contesto

Entriamo adesso nel merito del problema, presentando alcuni dati sulla base di tre tipi di possibile lettura del fenomeno. Anzitutto le immagini del disagio che ricaviamo dagliindicatori diretti di disagio, legati a condizioni di difficoltà. 
In secondo luogo le percezioni soggettive, la rilevazione delle opinioni, delle sensazioni individuali sul disagio. Quindi non più l'oggettività, ma anche la soggettività: è il disagio così come percepito dai singoli. E infine il terzo aspetto importante, il quadro di contesto, i dati strutturali, i modelli familiari e la loro evoluzione, le condizioni delle città, della salute, l'uso del tempo, il tempo libero, le relazioni sociali, i dati sulla partecipazione.
Questi non sono dati che di per sé indicano necessariamente il disagio, ma descrivono il cambiamento e quindi, da questo punto di vista, ci fanno vedere insieme al disagio anche alcune risorse che nei processi di cambiamento si generano. Ci fanno capire anche tutti i rischi che un cambiamento non governato produce in termini di disagio. Cominciando da alcuni flash sui casi più gravi e più evidenti, indicatori diretti di disagio sociale, mi riferirò soltanto a quattro indicatori fondamentalmenti: i suicidi e i tentati suicidil'Aids e le tossicodipendenze, gli ospedalizzati nelle unità psichiatriche e gliaborti dei minori.

Suicidi - Su questo problema abbiamo un ritardo storico e c'è ancora molto da fare. C'è un certo dilettantismo, perchè i suicidi sono un campo nuovo su cui ci stiamo cimentando. I suicidi dal '90 al '94 sono restati stabili, intorno alle 4.000   unità, per i tre quarti hanno rigurdato maschi. I tentativi di suicidio hanno mostrato un nettoincremento per entrambi i sessi e sono arrivati circa alla stessa dimensione quantitativa, 3.500 unità. Questi suicidi interessano soprattutto gli anziani, i vedovi, mentre, e questo è importante, i tentativi di suicidio sono soprattutto dei venticinquenni-quarantaquattrenni, dei giovani adulti. Quello dei suicidi è un fenomeno che interessa prevalentemente il Centro-nord.

Aids e tossicodipendenze - Dal '92 al '93 le morti per Aids sono aumentate di circa il 20%, quindi di 650 unità. Il livello è intorno alle 4.000 unità, quindi ancora lontano da quello raggiunto in altri Paesi avanzati, in altri Paesi europei. Tuttavia la cosa allarmante è il tasso di progressione del fenomeno, e quello che più preoccupa è la concentrazione in alcuni contesti, le grandi città, ed in alcuni segmenti di classi sociali.
Al contrario le morti per overdose dei farmacodipendenti appaiono in calo, anche se solo per la componente maschile, mentre per le donne si osserva un numero di casi relativamente stabile nel suddetto periodo, anche se quest'anno stanno risalendo.

Ospedalizzati nelle unità psichiatriche - Il caso degli ospedalizzati è interessante. L'operatore ha, dal suo punto di osservazione, alcuni vantaggi e alcuni svantaggi. E' legato al caso singolo, ha difficoltà a rapportare statisticamente e quindi con credibilità, con affidabilità, scientificamente, il caso singolo alla generalità e può prendere delle sviste. Può magari interpretare un caso come generale quando non lo è, e tuttavia è tempestivo. L'operatore statistico invece ha una visione più complessiva, ma rischia di essere intempestivo; allora qual è la soluzione? E' fare una statistica ufficiale, che non sia soltanto top down e che non sia soltanto affidata ai metodi scientifici della cattura del dato in modo probabilistico, ma che sia fortemente legata agli operatori. Per le povertà estreme stiamo proprio cercando di impostare un modellino di questo tipo, ma non è semplice, perché il prelievo del dato richiede una forte professionalità che non necessariamente l'operatore ha. E' molto difficile immaginare un modello di questo tipo, ma secondo me è essenziale, e una volta che l'avremo trovato e calibrato, avremo fatto un grosso passo avanti. Gli indicatori di ospedalizzazione nelle unità psichiatriche degli ospedali sono anch'essi un indicatore diretto di disagio grave. Mi è sembrato importante proporre alla vostra attenzione risultati che forse già conoscete, ma li volevo mettere insieme perché da questo affresco avrete un po' il quadro di quello che c'è e di quello che non c'è, e del tipo di informazione di cui disponiamo.
Quello che è interessante è che su 115.000 ricoveri in queste unità, soltanto il 25% sono primi ricoveri. Abbiamo quindi circa 100.000 persone che ritornano continuamente. I manicomi sono stati chiusi, però queste persone alla fine ritornano nelle unità psichiatriche degli ospedali. L'idea importante di chiudere il manicomio per chiudere il ghetto e far trovare accoglienza a queste persone in strutture specializzate o in ambienti familiari - che comunque possano garantirne non soltanto l'assistenza, ma soprattutto il recupero e la reintegrazione - in tre quarti dei casi che raccogliamo non funziona, perché queste persone non riescono a trovare tale processo di reintegrazione e ritornano continuamente.

Aborti di minori - Un altro caso che ci sembra importante e grave è quello dell'interruzione volontaria di gravidanza dei minori. Qui devo dire che il segnale è positivo. A testimonianza del fatto che ci sono luci ed ombre, i dati sugli aborti delle giovani donne sembra in leggera diminuzione se si considerano le ragazze dai 15 ai 19 anni: c'è un calo del 6,2 per mille, rispetto ai dati del 1980. Se consideriamo il sottoinsieme delle minorenni, abbiamo un abbassamento dal 4 per mille dell'80 al 2,5 per mille del '94.

La criminalità

I dati sulla criminalità hanno fondamentalmente due fonti e certamente ci presentano oggi un quadro molto più ricco e articolato rispetto al passato. Abbiamo una serie di fonti amministrative sui delitti denunciati (che vengono raccolti dall'autoritàgiudiziaria), e abbiamo anche dati sul versante delle famiglie, che sono quelli sulla vittimizzazione e quindi la testimonianza delle famiglie sullo stesso oggetto. E' interessante cogliere questo fenomeno sui due versanti, perché come è ovvio i due dati non coincidono. Non tutti i delitti vengono denunciati, e questo quindi è un indicatore del grado di fiducia nelle istituzioni che hanno le persone, e della gravità della percezione di insicurezza nella quale vivono le famiglie.

Delitti e denunce - Dal '90 al '94 aumentano i delitti denunciati contro la persona e fra questi la violenza privata, le lesioni personali volontarie; aumentano anche quellicontro la famiglia, in particolare i maltrattamenti; anche i delitti contro il patrimoniohanno avuto un trend crescente; per le rapine, e quindi i reati più violenti, abbiamo avuto una modesta riduzione.
E' particolarmente significativo l'aumento molto forte dei minorenni condannati: nel '90 erano 1.200, nel '94 crescono a 3.700.
minorenni denunciati sono molti di più ed aumentano anch'essi considerevolmente: sono 24.000 circa nel '90, nel '94 diventano invece 26.000.

La percezione dell'insicurezza - Sul versante delle famiglie valutiamo invece la percezione del rischio di criminalità e l'insicurezza. La zona di abitazione è giudicata pericolosa dal 30% delle famiglie italiane. I rischi connessi alla criminalità sono molto più sentiti nelle grandi metropoli e nei comuni con più di 50.000 abitanti, specialmente nel sud e nelle isole. Nelle grandi metropoli del sud le famiglie preoccupate della criminalità superano il 70% e nei Comuni medio-grandi sono il 50%. E' importante notare che le metropoli del sud e i Comuni delle aree di grande urbanizzazione sono il contesto in cui il maggior numero di famiglie si preoccupa delle conseguenze negative, causate dalla presenza di criminalità diffusa sul territorio di residenza.

Scippi e borseggi - I contorni del fenomeno della microcriminalità appaiono particolarmente preoccupanti. Nel '94 sono stati commessi circa 700.000 scippi e un numero pari di borseggi. Le ripartizioni geografiche che hanno subito il maggior numero di scippi sono l'Italia insulare e quella meridionale, invece in quella nord-orientale il dato è di molto minore. La possibilità che si verifichi uno scippo o un borseggio è maggiore nei Comuni di grande ampiezza; nelle aree di grande urbanizzazione gli scippi sono circa 2.500 per ogni 100.000 abitanti mentre per i Comuni più piccoli gli scippi sono circa 800. Quindi, data la diversità di situazioni, in fondo le medie, nel nostro Paese e per queste situazioni, rischiano di dire molto poco. Le vittime di scippi e borseggi sono rispettivamente l'1,2 e l'1,5% della popolazione, quindi insieme circa il 3%. Quelli che hanno subito almeno uno scippo sono circa 600.000 e quelli che hanno subito almeno un borseggio circa 700.000. Dico almeno un borseggio o uno scippo perché è interessante il fenomeno dei "multivittimizzati", come si dice usando un brutto termine, cioè persone che sono particolarmente esposte e vulnerabili. Il 70% delle vittime di scippi è costituito da donne e soprattutto da adulti, raggiungendo il massimo per quelli che hanno 55-64 anni di età, quindi gli anziani. La variabile titolo di studio, che probabilmente è legata al reddito, delinea alcuni tratti delle vittime dei borseggi. All'aumentare del titolo di studio la percentuale delle vittime tende a crescere perché passa dall'1% di quelli che non hanno nessun titolo al 3% di quelli che hanno la laurea.

Furti - I furti nelle abitazioni riguardano l'abitazione principale e ammontano a 700.000, mentre sono 200.000 circa i furti nelle abitazioni secondarie. Le famiglie che hanno subito almeno un furto sono 700.000 pari a circa il 3,3% del totale. La cosa interessante non è che il furto crei danno, determini disagio, che è ovvio, ma è la reazione psicologica delle famiglie che hanno subito un furto. Le famiglie che hanno subito un furto risultano molto più preoccupate del loro ambiente di vita rispetto alle altre. Il 60% delle famiglie che hanno subito un furto giudica abbastanza o molto a rischio la propria zona di residenza dal punto di vista della criminalità: una percentuale molto superiore a quella di chi non ha avuto un furto. 
Quindi l'esperienza del furto lascia tracce permanenti e condiziona i comportamenti successivi, crea in qualche modo un danno che non si rimargina più. Quello che è interessante nel confronto tra i dati di percezione, tra i dati quindi soggettivi e i dati oggettivi è che ci dà il sommerso della criminalità. Abbiamo che circa il 38% circa degli scippi, il 36% dei borseggi e il 26% di furti in abitazione non vengono denunciati. Questo fenomeno tende ad aumentare. E' il problema della giustizia e del distacco crescente della gente, delle famiglie, rispetto a queste istituzioni.

Alcuni dati riassuntivi sulla microcriminalità (1994).

Reato Vittime (%)

Vittime
almeno 1 volta

Sesso Età vitt Titolo di studio vitt.

Reati non
denunciati

Reati in grandi città
Scippi 1,2 600.000 70 % donne 55/ 64 Nessuno 1% Laurea 3% 38% 2.500 ogni 100.000 ab.
Borseggi 1,5 700.000 36%
Furti in casa 3,3

700.000 (1a casa)
200.000 (2a casa)

26%


Disagio e cambiamento: alcuni dati di contesto.

 

Passiamo adesso ad esaminare i dati di contesto, di cui dicevo prima, cioè dati legati a fattori strutturali. In questi dati il disagio si manifesta intrecciato con la complessità e con il cambiamento e quindi anche con l'innovazione: occorre analizzarli con attenzione, perché non necessariamente la causa del disagio è nel cambiamento strutturale. Il disagio nasce certamente dal fatto che questo cambiamento strutturale non è governato o non è sufficientemente governato, in quanto se ne trascurano i costi sociali. Tuttavia, nel disagio che nasce da esperienze di cambiamento sociale, si possono cercare di leggere anche le opportunità che il cambiamento al tempo stesso determina: le risorse che esso talvolta genera consentono poi di governare il cambiamento stesso.

Famiglie "semplificate" - Dall'88 al '93 abbiamo avuto un incremento del numero delle famiglie e una diminuzione contemporanea del numero medio di componenti della famiglia, quindi si semplifica la struttura familiare e aumenta il numero delle persone sole. Queste persone nell'88 erano il 19% del complesso delle famiglie, oggi, gli ultimi dati sono del '94, arrivano al 22%. Mentre aumentano le famiglie costituite da persone sole, diminuiscono quelle con uno o più nuclei. Il nucleo, nella famiglia, è la presenza del rapporto di parentela, è la presenza di partners. Le famiglie con un nucleo passano dal 78% al 75%: tra queste aumentano in particolare le coppie senza figli e le famiglie monogenitori; invece diminuiscono le coppie con figli.
Queste grandi trasformazioni sono legate al calo della fecondità che si esprime nella diminuzione del numero di figli per coppia e all'invecchiamento della popolazione che agisce sull'aumento delle persone sole. Questo cambiamento nella struttura familiare si manifesta in modo diverso nelle diverse parti del territorio nazionale. Nel nord-ovest si registra la quota più alta di persone sole: qui il 24% delle famiglie è costituito da persone sole, la percentuale invece è più bassa nel sud. E' nei grandi centri delle aree metropolitane che si hanno le radicalizzazioni maggiori delle strutture familiari. Il 33% delle famiglie sono composte da persone che vivono sole, soltanto il 34% delle famiglie sono formate da coppie con figli ed è massima la percentuale di famiglie monogenitore. Mediamente le famiglie che vivono nei grandi centri urbani hanno una dimensione ridotta rispetto alle famiglie residenti negli altri Comuni.

Persone sole - Le persone sole sono 4.400.000. Il 21% delle famiglie e l'8% della popolazione. Si passa dal 5,1% della popolazione tra i 25 e i 44 anni al 27% dai 65 anni in su, quindi è un fenomeno tipico dell'età anziana. E' maggiore tra gli uomini nell'età adulta ed è più alto tra le donne nell'età anziana. La supermortalità maschile nell'età matura, l'allungamento della speranza di vita e la più bassa età al matrimonio delle donne sono i fattori che spiegano la gran parte di questo fenomeno e quindi l'alto numero di donne anziane sole. Nel caso delle ultrasettantacinquenni la proporzione arriva al livello che una su due vive da sola. La maggioranza di nuclei monogenitori - anche il diffondersi di nuclei monogenitore è un fatto importante - è composta da madri sole. Tale peculiarità è rimasta stabile negli anni, considerando che nelle situazioni di separazione e divorzio è più frequente l'affidamento dei figli alla madre e che è alta l'incidenza della vedovanza.

Figli minorenni in famiglie monoparentali - I genitori soli con almeno un figlio minorenne sono circa mezzo milione, pari al 28% dei nuclei monogenitore; il nucleo monogenitore ha dei problemi, ma se c'è un figlio minorenne ovviamente si trova in una condizione strutturale di vulnerabilità molto maggiore. Il 50% di questi ha solo un figlio e il 36% due figli, il 13% - che non è poco - ha tre o più figli. Consideriamo la condizione professionale del genitore: emerge che il 33% dei genitori è costituito da occupati, quindi il grosso di questa tipologia di famiglie è formato da occupati non stabili.

I giovani - Nel corso degli ultimi dieci anni, il numero dei giovani che ancora vivono insieme ai genitori è aumentato considerevolmente, passando dal 22% al 33%; quindi i giovani protraggono la loro permanenza nel nucleo familiare d'origine, e questa è la risposta del mondo giovanile, in molti casi, alle crescenti difficoltà economiche: difficoltà d'ingresso nel mercato del lavoro, di trovare abitazioni in affitto a condizioni accessibili, di concretizzare progetti di formazione di nuove famiglie.

I bambini - Le principali trasformazioni sono tre: l'aumento di bambini in coppie in cui anche la madre lavora, l'aumento del numero di bambini che vivono con un solo genitore e la diminuzione del numero dei fratelli e dell'ampiezza della famiglia. Cresce la presenza dei figli unici, oramai molto forte anche in Italia, una sorta di sindrome cinese. Sono ormai il 26% le famiglie con figli unici, il 50% quelle in cui sono presenti due fratelli, soltanto il 24% quelle con più di due fratelli. Gli anni tra i 14 e i 24 sono la fase ancora di grande vicinanza tra genitori e figli, anche dei giovani che lavorano, che in questa fascia d'età non interrompono la convivenza con i genitori. Il 71% degli occupati in questa fascia d'età vive con i due genitori e l'11% con un solo genitore; quasi la totalità degli studenti italiani vive a casa con i genitori o con uno di essi. Questo è un dato che ci pone in una situazione di grande divergenza rispetto al resto dell'Europa e degli altri Paesi industrializzati, dove invece la condizione di indipendenza abitativa dei giovani comincia molto presto.

La "solidità" della famiglia - Alcuni dati, sempre da fonte di indagine multiscopo, rivelano la solidità e il ruolo dell'istituto familiare: tra i coniugati che non vivono con i genitori, il 78% dichiara di vedere la madre almeno una volta a settimana, - in particolare il 34% vede la madre tutti i giorni - il 28% qualche volta a settimana, il 22% si telefona tutti i giorni. 
Questi dati mi sembrano molto importanti e certamente sono molto diversi da quelli degli altri Paesi europei, perché testimoniano quanto i legami familiari siano forti in Italia. C'è però una divergenza tra maschi e femmine: per esempio è molto più alta la quota dei maschi che non si sente mai al telefono con i genitori rispetto a quella delle femmine - il 20% dei maschi contro il 12% delle femmine - ma la cosa importante è proprio la solidità, il ruolo che gioca l'istituto familiare. Quando dico "solidità" non vorrei essere frainteso, che si indulgesse cioè nell'autocompiacimento. Il problema è che la famiglia nel nostro sistema - o nel nostro non-sistema - si carica di fortissime funzioni sociali, quindi spesso questa non è una scelta culturale, ma svolge un ruolo di supplenza. Ad esempio, guardando al mercato del lavoro e alla distribuzione della disoccupazione, vediamo che col nostro elevato livello di disoccupazione abbiamo il più basso tasso di disoccupazione dei capifamiglia e quindi vuol dire che la famiglia in qualche modo funge da meccanismo omeostatico nei confronti di questo fenomeno: questo vuol dire che si caricano le donne e i giovani del problema disoccupazione. Potremmo dire ugualmente rispetto a tutta un'altra serie di fenomeni sociali: questo spiega poi perché l'istituto familiare mostri segni di cedimento in alcuni casi, o comunque sia soggetto a fortissimo stress. La famiglia comunque cambia, come cambia la città e cambia il giudizio della famiglia sulla città.

Alcuni dati riassuntivi sui cambiamenti della famiglia (1994).

Situazioni

Percentuale (%)

Minorenni che vivono con un solo genitore (rispetto a famiglie monogenitore)

28
Persone sole (4.400.000) su totale popolazione 8
Persone sole su totale famiglie 21
Persone sole tra i 25 e 44 anni, su totale popolazione 5,1
Persone sole oltre i 65 anni, su totale popolazione 27
Giovani che vivono con i genitori, su totale popolazione 33
Famiglie con figli unici 26
Ragazzi lavoratori che vivono in famiglia 71
Giovani coniugati che vedono i genitori una volta alla settimana 78
Giovani coniugati che vedono i genitori tutti i giorni 34

La vita nella città

 

- L'inquinamento dell'aria e il traffico sono problemi fortemente sentiti dalle famiglie nel nord-ovest (il 51% delle famiglie), mentre difficoltà di parcheggio e traffico spiccano nelle regioni del centro. Nel sud i rischi connessi alla presenza di criminalità nel territorio sono segnalati dal 34% delle famiglie. Questi sono dati che indicano la percezione delle famiglie rispetto alle condizioni delle loro città. Nei centri delle aree metropolitane sono più numerose le famiglie che evidenziano problemi di sporcizia nelle strade, di difficoltà di parcheggio, di traffico, di inquinamento dell'aria, di rischio di criminalità. Sul versante invece della difficoltà di collegamento con mezzi pubblici, nelle metropoli le famiglie indicano una situazione migliore di quella relativa ai Comuni medi e piccoli. All'interno di questa indicazione di massima, è il nord-est che si presenta come un contesto meno problematico, anche per quel che riguarda le grandi città.

I disabili - Tra i disagi legati allo stato di salute, quello della disabilità è uno dei casi più importanti, perchè una dimensione fondamentale dello stato di salute è proprio il grado di autonomia, di autosufficienza posseduto. Nel '94 risultavano circa 2.700.000 disabili, pari al 5% degli abitanti da 6 anni in su. Le donne risultano fortemente svantaggiate, infatti è disabile circa il 6% delle femmine contro il 4% dei maschi. Questo divario, per altro, aumenta con l'età. Oltre i 60 anni, è disabile il 14% dei maschi contro il 20% delle femmine; oltre gli 80, il 39% dei maschi contro il 52% delle femmine.
La disabilità è un fenomeno che coinvolge soprattutto le persone oltre i 60 anni, circa una persona su 6, mentre nell'età inferiore ai 60 anni il rapporto è una persona su 66. Gli anziani disabili sono poco più del 17%: anziano quindi non vuol dire disabile, ma è vero il contrario, disabile molto spesso vuol dire anziano. Ma in quante famiglie e in quali famiglie si trovano a vivere i disabili? Sono 2.370.000 le famiglie che devono affrontare quotidianamente i bisogni e i disagi che derivano dalla presenza di un disabile: sono l'11,5% del totale delle famiglie. Il 10,5% dell'intera popolazione è coinvolto direttamente o indirettamente dai problemi relativi alla riduzione dell'autosufficienza. 3.200.000 persone, pari al 5,6% dell'intera popolazione, vivono sotto lo stesso tetto con un disabile e quindi hanno in qualche modo la responsabilità di offrire assistenza ed aiuto a disabili. Queste famiglie sono normalmente di piccole dimensioni. 
Un dato allarmante è rappresentato dai 700.000 disabili che vivono soli. Anche qui, numeri che dal punto di vista statistico sembrano piccoli, ma questi disabili sono circa il 25% del totale. Sono per l'84% donne che hanno più di 60 anni. Le donne vivono la loro condizione di disabilità in solitudine molto più spesso degli uomini: sono circa 550.000 le donne disabili che vivono da sole, il 32% del totale. A questo ovviamente contribuisce la particolare struttura per età dei disabili, che è caratterizzata da una notevole presenza di anziani.

Alcuni dati riassuntivi sui disabili (1994).

Condizione

Numero

Percentuale (%)

Donne

Uomini

Disabili nel '94 2.700.000

5% (su tot. popol.)

6% 4%
Disabili oltre 60  anni  

16% (su tot. disab.)

20% 14%
Disabili oltre 80 anni     52% 39%
Famiglie con disabile 2.370.000

11,5%(su tot.famig.)

   
Persone che vivono sotto lo  stesso tetto con un disabile 3.200.000 5.6%    
Disabili che vivono soli 700.000

25% (su totale disab.)

32%  
Donne disabili oltre i 60 anni che vivono sole 550.000

84 %(su tot. disab. soli)

   

 Tempo e lavoro

 

- Le indagini sui bilanci-tempo sono tra le più interessanti che abbiamo introdotto, perché ci danno un indicatore importante della qualità e della struttura di una società. Siamo spesso esposti al dibattito sul tempo di lavoro, perché su questo si misura la produttività del lavoro, ma il tempo di lavoro non è che la punta di un iceberg. Prendiamo un dato medio: soltanto il 17% del monte ore disponibile, cioè del totale delle ore di tempo disponibili, viene impiegato sul lavoro e in più, per ragioni che tutti ben conosciamo, questo monte ore tende a restringersi. Quindi, per giudicare della qualità del tempo e della vita, occorre far riferimento non soltanto al tempo di lavoro ma al resto del tempo; questo è di fondamentale importanza per capire la produttività e la performance, anche dal punto di vista economico-produttivo di una società. 

C'è una tendenza nella società - che abbiamo rilevato per esempio nelle nostre indagini sul commercio, ma che si può ricavare anche da altri dati - a scaricare alcuni oneri legati al sistema produttivo, nel tempo non di lavoro. Pensiamo a tutto il problema della riorganizzazione del settore distributivo, con la chiusura dei piccoli esercizi e il boom degli ipermercati. E' chiaro che i costi di trasporto delle merci dall'ingrosso al dettaglio - che venivano un tempo contabilizzati e coperti all'interno del sistema distributivo, per trasferire le merci nei piccoli negozi all'angolo - oggi restano a carico di chi deve settimanalmente (giornalmente non è possibile) prendere la macchina, una station-wagon ovviamente, e affrontare i problemi di traffico per andare all'ipermercato. Così la produttività del lavoro nel settore distributivo è enormemente cresciuta, ma dietro questa crescita c'è una perdita di produttività. 
Altro esempio è il problema della misurazione della produttività sistemica legata all'impiego delle donne. Il trasferimento del lavoro femminile, dal lavoro domestico non retribuito al lavoro retribuito, porta tutta una serie di vantaggi, di aumenti di produttività dal punto di vista della produzione, ma anche di oneri al di fuori della produzione.
Poi, quando si parla di tempo, occorre rendersi conto che i tempi sono fondamentalmente diversi dal punto di vista del genere, per uomini e donne, e che testimoniano quindi la condizione di segregazione della donna, che inizia sin dall'infanzia. Più della metà delle bambine da 11 anni in poi dedica circa un'ora del tempo a disposizione per le faccende domestiche; nel caso dei coetanei maschi, la quota è solo del 30%, mentre il 70% delle giovanissime  vi si impegna quotidianamente. Qui si evidenzia una diversa educazione ai ruoli che comincia molto presto. La stessa evidenza si trae dall'analisi della distribuzione di responsabilità tra partners, dal diverso tempo di lavoro speso dal partner uomo rispetto al partner donna nello svolgimento dei lavori domestici, dallo svolgimento dei lavori che riguardano l'accudimento dei figli. Le donne che vivono in coppia con figli spendono in media 5 ore e mezzo di tempo per accudire i figli; il tempo per gli uomini invece è di circa 48 minuti in media, per il servizio alla famiglia, e un po' di più, un'ora e 12 minuti circa, per la cura dei figli.

Il tempo libero - E' un importante indicatore di status sociale e di benessere, e i mediaoccupano un peso crescente nell'uso di questo tempo libero. Un dato importante è la fruizione della televisione. I bambini dai 3 ai 10 anni, nel 13% dei casi guardano la tv sempre da soli. Tutti sappiamo che cosa questo significhi dal punto di vista pedagogico: questo tempo di esposizione aumenta ovviamente al diminuire del titolo di studio dei genitori. Guardano più di tre ore al giorno la televisione il 30% dei bambini tra i 3 e i 5 anni, il 36% dei bambini dai 6 ai 10 anni e il 33% dei ragazzi tra 11 e 14 anni. La lettura assidua dei quotidiani è scarsa, si limita alle fasce tra i 35 e i 60 anni, e tende a diminuire con l'età. Anche la lettura assidua dei libri cresce con l'età, ma la partecipazione, quindi la proporzione di persone che leggono libri, tende a ridursi, anche se tende a crescere l'intensità di lettura; in altri termini viene ad evidenziarsi anche una frattura importante tra chi legge e tra chi non legge e questo tende a diventare sempre più un indicatore importante di integrazione sociale. 
Nel tempo libero una parte importante la ricoprono le attività recreative, che sono un indicatore di qualità della vita. La partecipazione a spettacoli e intrattenimenti è distribuita in modo fortemente ineguale. Più del 40% della popolazione non ha mai partecipato a nessuno spettacolo, cinema, rappresentazioni teatrali, concerti, discoteche, spettacoli sportivi, musei o mostre che siano. I grandi fruitori di questo tipo di spettacoli e intrattenimenti sono i giovani; i grandi esclusi sono soprattutto gli anziani. L'esclusione è alta nei piccoli e medi centri mentre invece la fruizione è più alta nelle grandi città.

L'amicizia - L'amicizia è uno dei valori importanti, così come traspare dalla percezione espressa dalle famiglie italiane. Soltanto il 2,5% degli italiani ha dichiarato di non avere amici, solamente il 4% ha dichiarato di non incontrarsi mai con gli amici, laddove quasi il 30% si incontra quotidianamente con gli amici e il 27% per lo meno qualche volta a settimana. Si evidenzia una maggiore presenza di incontri quotidiani tra gli uomini rispetto alle donne, che al contrario si vedono con le persone amiche più sporadicamente, nel corso di una settimana o di un mese. Il valore dell'amicizia si consolida nell'età giovanile, tende però a ridursi fortemente nel periodo lavorativo, per entrambi i sessi. Si avvia invece a risalire in maniera significativa per gli uomini; quindil'età e l'esperienza del lavoro tendono a non favorire l'amicizia, certo per un problema di scarsità di tempo, ma forse non solo per questo tipo di problema. 
E' significativo che nel sud ci sia un livello di socialità maggiore, più alto rispetto a quello del nord. La popolazione del nord però, pur presentando un livello più basso di frequenza di incontri, si dichiara molto più soddisfatta di quella del sud circa le relazioni amicali, come se ci fosse uno scambio qualità-quantità che potrebbe anche riflettere un dato di tipo culturale. Nel contesto settentrionale l'ago della bilancia sembra pendere sulla selettività e sulla qualità delle relazioni amicali, ma forse in quel contesto ci sono più difficoltà, o forse minori aspettative, nei confronti dell'amicizia.

L'impegno nel volontariato - Questi dati sono relativi a coloro che hanno dichiarato di appartenere ad organizzazioni di volontariato e quindi si basano sulla percezione soggettiva dei rispondenti, oppure a coloro che hanno dichiarato di aver prestato attività gratuite per sindacati, associazioni ecologiche o altre associazioni. Esistono diverse dimensioni dell'impegno associativo, ma ciò che colpisce è l'entità, la forza del fenomeno. Un milione e mezzo di persone prestano la loro attività in associazioni non di volontariato, circa tre milioni e mezzo di individui si impegnano gratuitamente per associazioni di volontariato, sette milioni hanno versato contributi finanziari ad un'associazione. Tra i volontari il numero di donne e uomini è pressoché identico, anche se gli uomini presentano tassi più elevati d'intensità di partecipazione rispetto alle donne. La caratterizzazione dovuta alla classe sociale è importante: queste persone appartengono a gruppi sociali contraddistinti da status occupazionale e da tassi di istruzione più elevati.

Conclusioni

Sviluppare l'analisi

So di non aver svolto bene il mio compito, perché ho offerto soltanto dei flash sulle situazioni del disagio, ma da queste fotografie tuttavia emerge l'articolazione, la complessità e la ricchezza delle situazioni. Su questa è necessario anzitutto sviluppare un'analisi che è ancora carente. Noi sappiamo tutto su M1, M2 ed M3, su come incide sui mercati finanziari, sappiamo quasi tutto sugli indicatori di Maastricht e invece sappiamo molto poco su questi dati e su che cosa vogliono dire. Il problema non è soltanto statistico: i dati ci sonomancano le analisi, i commenti, manca uno sforzo interpretativo, di chiave di lettura rispetto al quale non sono soltanto gli statistici, anzi sono fondamentalmente gli utilizzatori a dover prendere la leadership.

Usare i dati statistici

Alla comunità scientifica, al mondo dell'informazione, agli operatori rivolgo un appello affinchè facciano uso dei dati. Se noi studiosi questi dati non ve li diamo sufficientemente e in forma chiara, tempestateci, criticateci; ma, credo che sia importante, una volta che i dati ci sono, utilizzateli!

L'uomo medio non esiste

L'attenzione sugli individui e sulla persona umana, i problemi, le situazioni appaiono frammentarsi su situazioni personali molto diversificate, su percorsi di vita molto eterogenei. Sempre più rispetto alla media contano le varianze, l'uomo medio degli statistici dell'800 non esiste o certamente non c'è più, se mai fosse esistito.

Il disagio è legato al cambiamento

Il disagio è fortemente legato al cambiamento, di cui ben conosciamo le ragioni: tecnologico, economico, ma soprattutto sociale, dei modelli e degli stili di vita, dell'organizzazione sociale, dell'articolazione dei modelli familiari. E' necessario legare l'analisi del disagio all'analisi del cambiamento, altrimenti il rischio è che questa analisi diventi sterile e non dia indicazioni. L'analisi del cambiamento fa infatti emergere anche le risorse, le opportunità che spesso vengono generate da questo stesso cambiamento. Credo che la società civile, soprattutto in questa fase di grande trasformazione sociale, mostri di avere una marcia in più, come si vede da questi dati. Quello che invece mi pare sia difficile cogliere è la capacità delle istituzioni, del sistema produttivo, del mondo economico di adeguarsi a questa forte spinta al cambiamento che viene dalla società; e molto del disagio nasce proprio da questa velocità e dall'incapacità di governare le diverse velocità del cambiamento.

Valori in pericolo

Infine il cambiamento di valori. Da questi dati emerge che è in atto un cambiamento di valori e che è la grande trasformazione in corso che ha delle forti implicazioni nel campo dei valori, con forti rischi di perdita di identità culturale, cioè di perdita di quei valori che rappresentano il cemento della società, di ciò che fa comunità, come il senso della giustizia, il significato della solidarietà, la responsabilità, il senso dell'impegno, il significato dei doveri oltre che dei diritti di cittadinanza. 
In questo c'è una diversità tra il nostro e gli altri Paesi. Avendo seguito la campagna elettorale negli Stati Uniti e in altri Paesi - sapete che in questi Stati si discute nei media, in modo esplicito, del problema dei valori. Sarebbe grave se questi temi, una volta esplicitati ed emersi, dovessero essere lasciati allo scontro politico, specialmente con i toni che esso assume nel nostro Paese, al conflitto tra diverse concezioni del mondo, alla stessa contrapposizione tra impostazioni laiche e impostazioni religiose. In questa discussione sarebbe importante non contrapporsi, ma invece cercare tutto ciò che unisce, tutto ciò che fa recuperare il senso della comunità. Il mondo dell'informazione, di cui certamente l'informazione statistica fa parte, può e deve contribuire a sostenere la discussione sui valori, proponendo schemi, problemi, proponendo fatti e dati.
Sono convinto - questo non è un punto di vista della statistica ufficiale, è una mia umilissima personale convinzione - che la statistica rappresenti in fondo gli occhi e le orecchie di una democrazia vigile, e abbia un ruolo importante da giocare, per far recuperare significato alla solidarietà e per riportarla al centro dell'attenzione. A tal fine è necessario far leva più che sulle ragioni dei sentimenti e del cuore - che sono poi le passioni, gli interessi - sulle ragioni della scienza, della conoscenza, dei fatti e dell'informazione.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.