Intervento di Stefano Ricci
Stefano Ricci - Agenzia Res, Comunità di Capodarco*
I dati e le storie
Il mio compito è quello di presentare la seconda edizione della Guida perl'informazione sociale, commissionata dal Cnca a Res, l'agenzia di servizi socioculturali promossa dalla Comunità di Capodarco, che in questi anni ha saputo conquistarsi, con molta fatica, un importante riconoscimento di "fonte" per gli operatori dell'informazione che si occupano di sociale. Naturalmente presenterò la Guida, anche perché sono convinto che, tra i molti prodotti di Res, è uno strumento "oggettivamente" utile a chi vuol comprendere come poter conoscere, comprendere e capire quanto accade nel mondo della marginalità, del volontariato e delle politiche sociali; ma stimolato anche dai due interventi che mi hanno preceduto, vorrei offrire un piccolo contributo da operatore sociale che fa anche informazione.
Nel mio e nel vostro lavoro ho incontrato due cavalli di battaglia, due "miti" dell'informazione che, secondo me, potrebbero nascondere qualche rischio. Tutti i giornalisti, e quindi anche i redattori sociali, quando si rivolgono ad una fonte per cercare notizie, per conoscere un fatto, costruire e sostenere un pezzo, chiedono essenzialmente, e a volte quasi esclusivamente, due cose: i dati e le storie.
Tra semplificazione e neutralità apparente
I dati. Sicuramente i dati sono essenziali per far conoscere in maniera precisa, per far capire i fatti e le relazioni; non mi devo soffermare sul valore e sull'importanza dei numeri, sul ruolo che hanno, certamente però hanno anche dei limiti. Il primo è, sicuramente, la mancanza, in quanto non ci sono, o sono sempre pochi, i numeri che riguardano il sociale. Dalle pagine economiche dei giornali sappiamo tutto sull'economia, fino alle variazioni giornaliere, in centesimi, di un titolo azionario; troppo spesso nulla sappiamo rispetto al sociale. Quando ci sono, sono numeri approssimati, stime caratterizzate da imprecisione e inattendibilità; spesso non abbiamo la possibilità di confrontare i dati nel tempo perché i criteri di valutazione e di classificazione nella raccolta dei dati sono diversi; incontriamo sempre più spesso problemi di contraddittorietà tra i numeri del sociale. In questo senso si presenta il secondo rischio, che è quello della scarsa qualità dei dati per l'informazione sul sociale.
Ci sono altri due rischi, sempre più frequenti e collegati con la "scientificità" che sembra essere una qualità connaturata al dato quantitativo. Da un lato la convinzione che il dato, il numero, esaurisce la conoscenza, risolve il problema, poiché lo riduce ad una categoria, ad una dimensione, apparentemente più comprensibile; non solo si rischia la semplificazione (per fortuna la realtà è molto più complessa e articolata di quanto la riusciamo a "comprimere" in un numero), ma anche la mistificazione, perché il dato quantitativo può nascondere relazioni significative o mascherare realtà quantitativamente poco rilevanti ma socialmente decisive. Dall'altro c'è la fiducia nell'oggettività, nella neutralità (apparente) dei numeri. Il numero è qualcosa di "assoluto", di preciso, di certo. Chi presenta un numero si sente "tranquillo" perché l'interpretazione del fatto pare venire quasi "automatica", il problema dei dati, dei numeri è invece la "decontestualizzazione"; un dato ha senso solo se fa parte di un ragionamento, di un contesto; è utile a capire solo se spiega il senso ed il significato di un fatto, se si indicano le cause possibili delle relazioni e degli "scenari" che quei dati mostrano. Mi sento di confermare la centralità del dato, ma anche di affermare che quasi mai è il dato che fa la notizia, e che il numero è una notizia solo se e quando è collegato ad una situazione, ad un fatto che va conosciuto, capito e spiegato utilizzando altri strumenti espressivi.
Attraverso le "storie" far capire la "Storia"
II secondo "mito" verso cui vorrei "ammonire" i redattori sociali è quello delle storie. Mi rendo conto di creare disagio, ma non voglio essere frainteso. Riaffermo il valore e l'importanza delle storie, ci mancherebbe! La centralità della persona ed i valore della narrazione sono due elementi importanti che, secondo me, sono utili al tentativo di costruire un giornalismo nuovo, più attento e rispettoso. Nelle storie ci sono però dei vincoli e dei limiti che vanno riconosciuti e rispettati. Un elemento è la "particolarità" contro la "generalizzazione": non si può dimenticare che la storia è un "pezzetto", un particolare della realtà; si corre il rischio di rimanere "impantanati" nella situazione particolare senza riuscire a comprendere e spiegare il generale.
Un altro vincolo è il rispetto del diritto alla privatezza all'immagine; anche di questo si parla molto, senza esito. La pratica di sbattere in prima pagina o in video, la televisione del dolore, le storie tristi, i delinquenti, i mostri o presunti tali, ma anche gli eroi della solidarietà, è così frequente che la normalità fa dimenticare questa "controindicazione".
Ci sono storie finte, inventate, storie pagate o costruite dai giornalisti, ma attenzione, anche le storie vere, quelle scioccanti o strappalacrime, le storie che trovano "soluzioni" grazie all'influenza della televisione o della stampa, che permettono a molti giornalisti di compiacersi della propria attenzione e del proprio potere. In molti di questi casi la funzionalità della storia alla rappresentazione sociale più adeguata a chissà quali convinzioni e la sua strumentalizzazione, spesso "bidirezionale", dal giornalista verso il soggetto che racconta ma, spesso, anche tra i più furbi nell'ambito del volontariato, dal soggetto che racconta al giornalista.
Facciamo ancora attenzione: sicuramente dentro e dietro un fatto c'è una persona, c'è una storia, ma ci sono anche mille persone e mille storie; e troppo spesso la complessità del fatto viene ridotta e banalizzata proprio dal racconto di una, di "quella" storia. In questa prospettiva la forza di giudizio della storia può essere parziale, a volte può essere addirittura prevaricante. Anche la sola storia non esaurisce la conoscenza di un fatto, perché un evento ha sempre un prima e ha sempre un dopo che quasi mai vengono seguiti dai giornalisti. La narrazione di una storia ha senso se esemplifica una situazione aiutandoci a capire le dimensioni più generali del fatto, se aiuta a comprendere un po' della "Storia".
Perché la Guida
Sì alle storie, ma non fermarsi ad esse: occorre ragionare sul contesto e per questo sono convinto che un giornalista, come ogni cittadino ma con una responsabilità precisa e maggiore per il ruolo sociale, pubblico e politico che gioca, deve studiare, conoscere, ascoltare, confrontare, approfondire il contesto. Solo il collegamento del numero, del dato, delle storie; all'evoluzione del fenomeno, alla relazione e all'integrazione con altri fatti, all'analisi delle cause, al collegamento con le prospettive, con le leggi, con le competenze istituzionali, con le risposte dei servizi, della società civile, della comunità locale permettono di valorizzare le cifre che descrivono e le persone che raccontano, nella prospettiva di un'informazione sociale corretta.
Quanto ho detto giustifica ampiamente, secondo me, la necessità imprescindibile di trovare strumenti per migliorare la nostra conoscenza del sociale, per aiutare chi fa informazione sociale a comprendere e a fare i conti con il contesto. Al di là di tutte le vere e, più o meno, giuste argomentazioni sulla fretta che brucia; le notizie, i frenetici tempi imposti dalla redazione, i condizionamenti del mercato editoriale, pubblicità, mi sembra evidente che il fatto che i giornalisti hanno, di fatto, abbandonato il "reportage", l'inchiesta, i documentari per la TV. E', molte volte, il segno di una rinuncia alla conoscenza, alla comprensione, alla consapevolezza del contesto, da parte delle persone, forse dello stesso cittadino prima ancora che del giornalista.
È anche e soprattutto, per questo che il Cnca ci ha riprovato, perché è recidivo, e ha proposto la nuova edizione della "Guida per l'informazione sociale", per offrire ai potenziali lettori elementi di conoscenza, comprensione, consapevolezza del contesto in cui accadono fatti, notizie che riguardano il sociale. Attenzione, la Guida è uno strumento tra tanti, come questo seminario di Redattore Sociale; anzi, l'una e l'altro sono stati concepiti e vanno usati congiuntamente, insieme a tante altre occasioni.
Cresce la Guida, cala l'informazione sul sociale
Venendo all'edizione di quest'anno della Guida, a confronto con quella dell'anno scorso, emerge una specie di slogan: la Guida per l'informazione sociale cresce, ma l'informazione sociale sulla stampa, sulla radio, sulla Tv diminuisce. Come spazi, come rilevanza, come prospettive, soprattutto come consapevolezza, come luogo culturale, come coscienza, ho l'impressione che stiamo arretrando rispetto a due o tre anni fa. lo mi auguro che il nostro sforzo di aggiungere nuovi contenuti alla Guida e approfondire alcuni aspetti già trattati, possa contribuire a rilanciare la qualità, la diffusione di un'informazione non tanto più "sociale" quanto più corretta.
Nella Guida di quest'anno c'è continuità e rinnovamento rispetto a quella dello scorso anno. Continua ad essere "Guida", cioè strumento agile di orientamento, 'vademecum che si può portare in tasca; non è un annuario, non è un "libro bianco", non è un "manuale", non scrive tutto di tutto ma "qualcosa" che aiuta a far capire meglio, che può favorire la conoscenza e il ragionamento. C'è una continuità in quanto si riprende e si prosegue un ragionamento, anche se non ci sono ripetizioni rispetto allo scorso anno, si è cercato di "dire" altre cose perché gli strumenti di lettura della realtà, anche quella sociale, devono adeguarsi ai cambiamenti. Questo non significa che per la quinta edizione della Guida, speriamo di arrivarci, dovremo portarci dietro cinque volumi; se la usiamo, se la leggiamo, se la studiamo, se la facciamo interagire con le nostre conoscenze, coi nostri contatti, con le nostre esperienze avremo già acquisito quelle competenze di base che rappresentano le coordinate per capire e comprendere i fatti e il contesto.
Quest'anno c'è più "sociale" in positivo, c'è più attenzione ad accogliere quegli aspetti che permettono di ricollegare i frammenti dispersi e spezzati del sociale.
C'è stata la scelta di aprirsi a nuovi fronti e di revisionare alcuni degli argomenti trattati. Nella Guida troviamo tre sezioni. La sezione dei "nuovi temi", in cui si coglie principalmente il positivo, con l'attenzione alla Cooperazione internazionale, al Commercio equo e solidale e alla Finanza etica (e una volta tanto siamo arrivati in tempo sulla cronaca, considerato che in questo periodo se ne parla molto).
La seconda parte, anch'essa importante, è quella dell'aggiornamento dei dati del quadro legislativo della situazione. È chiaro che, a distanza di un solo anno, non ha senso aggiornare tutto indistintamente in quanto le situazioni possono anche non presentare rilevanti elementi nuovi; per questo sono stati individuati alcuni aspetti innovativi, da aggiungere, da aggiornare rispetto a Carcere, Immigrazione, ecc.
L'ultima parte è dedicata agli approfondimenti: di una serie di argomenti già trattati nella prima edizione sono stati colti alcuni aspetti particolari, elementi o "approcci" specifici che possono aiutare a capire meglio il quadro generale presentato in precedenza. Oltre che trattare situazioni di persone, di soggetti, negli approfondimenti abbiamo affrontato un tema trasversale, il suicidio, che si muove dal suicidio giovanile ma apre una prospettiva riguardo ad un problema che non è certo di una sola categoria, ma che attraversa tutta la nostra società. Lo schema generare dei contributi ricalca la scaletta che avevamo proposto lo scorso anno, ma per gli approfondimenti è più elastico, con integrazioni e, soprattutto, un'attenzione maggiore agli indirizzi, alle riviste specializzate.
Spigolature
Vorrei proporre brevemente qualche "spigolatura" non per mostrarvi quante belle ed utili informazioni ci sono - questo lo guarderete e lo scoprirete nei prossimi giorni, con calma - ma per tentare di stimolare la vostra curiosità professionale, per suggerirvi temi da approfondire, spunti per inchieste; ma anche per porre qualche dubbio, qualche domanda per cui poi dovrete andare altrove, fuori dalla Guida, a cercare le risposte.
Una prima cosa da segnalare è la legislazione dettagliata su tossicodipendenza e Aids, in ordine cronologico, ci sono veramente tutti gli interventi legislativi a livello nazionale. Questo può essere estremamente utile per capire il percorso, l'evoluzione dei modi in cui questi fenomeni sono stati letti; diventa interessante provare a rileggere la consapevolezza di una Nazione rispetto ad un problema, attraverso l'evoluzione del quadro normativo-legislativo. Se è vero, come ha detto Tana de Zulueta, che difficilmente si può cambiare la realtà "per legge", è anche vero che la legge è uno "specchio della realtà che cambia" e in qualche modo può anche modificare la consapevolezza della realtà. I dati sono molto aggiornati, quelli riferiti all'Aids, al 31 marzo di quest'anno. Altri dati molto recenti ce li dà Franco Pittau, che ha realizzato il contributo sull'immigrazione, chiedendo il permesso alla Caritas Diocesana di Roma di inserire i numeri dell'ultimo Rapporto presentato non più di un mese fa. Altri dati sono molto meno aggiornati, in qualche caso può essere che non siamo riusciti a trovarli, ma negli altri i dati recenti "non ci sono" ed è una domanda che vi faccio a questo proposito: perché non ci sono? Siete cronisti, cercate e provate a rispondere.
Tanti perché
Un altro punto qualificante della Guida è l'approfondimento su "minori e criminalità". Sarà ovvio, scontato, ma drammaticamente inquietante scoprire che sono in aumento i reati compiuti dai minori di 14 anni, che sono quelli non punibili; ancora un "perché" per voi. Un tema collegato è quello del carcere; leggiamo la tabella relativa al costo giornaliero per detenuto: 1991 £.196.000, 1994 £. 153.000; anche in relazione al rapporto personale/detenuti verifichiamo come ci sia stato un risparmio, c'è stato un taglio alla spesa, perché? Si spendeva troppo prima, si spende troppo poco adesso? Per un po' si è parlato di "carceri d'oro" e adesso? Ancora. Rispetto ai suicidi risulta che al sud ci sono molti meno suicidi che al centro-nord, naturalmente in percentuale; questione culturale, tradizione, però al sud si ammazzano molto più gli uomini che le donne, perché? Ha senso chiedersi e cercare i perché? Forse no, ma qualche ipotesi interessante potrebbe affiorare.
Un'informazione interessante e uno stimolo inquietante viene dal contributo sulla malattia mentale. In una tabella si confrontano i servizi per la tutela della salute mentale in Italia di una ricerca dell' '84 con quelli di una ricerca del '92 (sono dati del '92, sembrerebbero vecchi, ma sono stati pubblicati nel '94, per cui oltre non si poteva andare). Se si fa una semplice addizione delle diverse tipologie si nota come siano molto cresciuti, in questi anni, i servizi per la salute mentale in Italia; non solo, si sono anche molto differenziati per tipologia, e questo, al di là della qualità dei servizi, è un indicatore chiaramente positivo. Ma mi sorprende il fatto che questi servizi non si vedono, sono servizi "invisibili", come sono invisibili i "matti", com'è invisibile la malattia mentale, ormai "rimossa" da ognuno di noi e dalla collettività tutta.
Contributi per i posteri
Ultime due piccole "tracce" che lascia la Guida '96. Una è un documento per i posteri, il contributo sull'obiezione di coscienza. Perché dico che è un contributo per i posteri? Perché vengono riportati i contenuti della proposta per la nuova legge sull'obiezione di coscienza, che ormai rappresenta un "termometro" per verificare la vicina fine della legislatura: appena la Camera comincerà a parlare seriamente di approvazione, potremo cominciare a contare i giorni per tornare a votare, sarebbe la terza volta che succede.
Infine, segnalo il bel saggio di Carla Osella sugli zingari; è diverso dagli altri contributi; l'abbiamo lasciato così, anche se ha uno stile più "poetico" che "informativo", potrebbe stonare con il resto, ma ci e sembrato uno strumento utile per capire la "storia di tante storie", quindi per aiutare a cogliere veramente il contesto.
In chiusura voglio solo ribadire che è sicuramente difficile fare "informazione sociale", per mille motivi oggettivi ma, in questo sforzo, mi conforta citare un amico che non è né un giornalista, né un operatore sociale: Ken Parker. L'antieroe dei fumetti di Berardi e Milazzo che vive in un far west molto vicino a noi; Ken Parker guida oltre che cacciatore senza più futuro, affezionato al suo lungo fucile ad avancarica, perché usare un fucile a ripetizione per la caccia ai bisonti sarebbe sleale. In una delle sue avventure guida una giornalista ad intervistare un capo indiano famoso; Ken Parker sa leggere a malapena ma scopre la voglia di conoscere, di capire, di comprendere leggendo i libri della giornalista che, visto l'interesse e la passione di Ken Parker, glieli regala. In un sentiero accidentato l'asino, che tra le altre cose portava il sacco con i libri, cade in un burrone; Ken Parker, rischiando la vita, recupera il sacco con i libri.
Dopo questo evento la giornalista, stupita, gli chiede i motivi di questo attaccamento alla lettura, alla conoscenza. Più o meno testualmente lui risponde: "Probabilmente non riuscirò a cambiare le cose, ma almeno voglio capire perché e come ci fregano, per potermi difendere". lo voglio pensare che tra i libri di Ken Parker (e tra i vostri) ci sia posto anche per la Guida '96. Non arriverà a risolvere i problemi, ma potrà essere utile a capire i perché, ad accrescere la conoscenza e la coscienza di noi operatori d'informazione e di tutti noi cittadini.
Mirta Da Pra*
Cronaca degli orrori
Si legge: "..senza casa, senza lavoro, un sacco a pelo come cuccia". Ma era un uomo, non era un cane! La Provincia e l'Eco di Biella, 13 e 14 aprile '94, scrivono della violenza subita da una bimba di 5 anni da parte dei genitori: non c'è il nome ma ci sono tantissimi particolari che naturalmente nel paese di Gaglianico, che credo abbia 1500 abitanti, la identificano facilmente. Il giornalista scrive, queste sono parole sue: "Quando i carabinieri hanno perquisito l'abitazione, hanno trovato moltissimi giocattoli, segno che almeno per il resto la crescita della bimba è stata quasi regolare". Non faccio commenti, naturalmente. La Stampa, 19 agosto '94: Fuga in bici per ritornare dalla mamma. Anche qui una bimba, alla ricerca della madre naturale. Il giornalista si permette innanzi tutto di porre un accento molto negativo sul fatto che questa bimba è stata adottata (l'adozione non è un fatto negativo, anzi), in secondo luogo si permette di rivelare che la madre naturale della bimba fa la prostituta. Per di più nell'articolo la madre della bimba viene definita la madre riconosciuta per legge, una matrigna. Adozione e affidamento: c'è una grandissima responsabilità dei giornalisti su come questo argomento viene trattato.
Il Piave, noto giornale su cui scrive poesie e articoli Licio Gelli, che viene diffuso in molte banche del Veneto, 11 novembre '94 (qui faccio anche il nome del giornalista, perché su Aspe tutti i riferimenti possibili li mettiamo), Giorgio De Gai scrive: se tale norma - in questo caso il discorso è sul diritto al ricongiungimento familiare - verrà applicata, gli extracomunitari che risiedono regolarmente in Europa avranno il diritto di portarsi appresso moglie, mogli se sono islamici, figli e genitori, potranno così "colonizzare" lentamente il territorio europeo e aggravare la spesa pubblica, con tbc, colera, peste ecc.
Lo stesso discorso su La Nazione, 9 dicembre '94: vogliono rubarci i bambini.
La Prealpina di Varese, 14 aprile '94, sei colonne: Lacrime per un drogato. E' successo un caso a Giubiano in provincia di Varese dove è stata scoperta l'ennesima "Madonnina piangente". Sono accorsi i fedeli, i curiosi, raccontano tutta la vicenda. Le lacrime in questo caso erano di sangue. Le prime indagini della Digos, dice sempre l'articolo che io vi riassumo perché c'è un limite anche a sopportare certe cose, dicono che il sangue è probabilmente di un tossicodipendente. Bene, un'ipotesi neanche tanto peregrina. Per essere sangue, pare davvero che sia sangue, anzi sangue di un tossico. Un secondo dubbio…e se il sangue fosse sieropositivo? Dice il giornalista: burla macabra in verità, si rivelerebbe questa di Giubiano, sì, perché venerare il sangue di un tossico è roba che non fa piacere a nessuno; diciamoci la verità: solo un poveretto d'animo e di spirito, uno sfaccendato delinquente può divertirsi a "siringare" gli occhi di un'innocua e dimenticata madonnina di gesso usando l'arma del buco quotidiano come ghiandola lacrimale.
Una citazione simpatica si può fare anche sugli immigrati. Il giornale di Bergamo, che su questo è specializzato, ogni volta che parla di giovani che spacciano, di solito sono bianchi, italiani. Quando invece è un marocchino viene specificato. Curiosamente si accomunano napoletani e extracomunitari... infatti c'è un titolo del 13 aprile '95: Spacciatore napoletano, arrestato davanti al Not.
Un ultimo esempio di cronaca degli orrori, che potrebbe anche far venire in mente di istituire un premio per il miglior servizio. Il quotidiano è II Giornale, che meriterebbe proprio questo premio con un riconoscimento particolare a Feltri e a Beppe Guazzalini, che è una fonte per la rubrica degli orrori. Il 13 aprile un titolo: Rimpatriare tutti i clandestini costerebbe 3.000 miliardi. Il giornalista fa tutta una denuncia sull'impossibilità di effettuare le espulsioni. Solo l'anno scorso - scrive - ce ne sono rimasti sulla gobba 50.000 e porta l'esempio di Carlos, un transessuale brasiliano che lui chiama viados.
Chi ha più potere ha più dovere
C'è una frase scritta nel libro "Il giornale che non c'è" di Lopez, che potrebbe concludere questa serie di esempi di cronache degli orrori: editorialisti tanti, giornalisti pochini. Nel senso che tutti si sentono di esprimere il loro parere su cose che non sanno, non conoscono. E' possibile un altro giornalismo? Credo di sì, nonostante gli esempi che ho portato. Da anni alcune cose si stanno muovendo a livelli trasversali: c'è una serie di giornalisti seri nella Rai, nella Fininvest, nelle radio, nei giornali di tutte le testate ma questa serietà è legata molto alle persone. Io metto questo accento perché mi sembra che sia ancora uno degli elementi di speranza di un cambiamento. Le persone sono anche direttori, sono capiredattori e, l'ho detto alla prima edizione di Redattore Sociale, chi ha più potere ha più dovere. Il giornalista ha molto potere, più di chi legge, più di chi ascolta, sicché ha molto più dovere. C'è sempre stato un altro giornalismo, credo ci sia anche oggi, però è anche vero che se noi vogliamo un giornalismo che non sia quello che purtroppo va per la maggiore, un giornalismo usa e getta, spettacolo, di finta verità e di sola emotività, io credo che ci siano alcuni nodi su cui lavorare insieme per cambiare alcune cose, o comunque per dare degli indirizzi.
La coscienza della responsabilità individuale. Credo sia la prima cosa, la più importante. I giornalisti a volte si interrogano, c'è il gruppo di Fiesole, ci sono delle scuole di giornalismo che stanno facendo un buon lavoro in questo senso; chi si interroga poco o quasi nulla sono i direttori, per lo meno dei grandi giornali, i titolisti, i capiredattori. Questi non li vedi mai agli incontri oppure fanno l'interventino e se ne vanno via, delegano sul sociale. Sì, ritengono che il sociale tutto sommato con un po' di colore può tirare e allora fanno l'inserto. Ecco, su questo credo che bisogna ragionare molto approfonditamente.
Le redazioni. Credo che per fare un giornalismo di qualità, di servizio, bisogna rimettere l'attenzione su alcuni punti: il primo, credo il più importante, è il discorso delle redazioni. Non si può lavorare, fare i giornalisti senza avere in testa una redazione, ossia un luogo di confronto di lavoro di équipe. Oggi ci sono i services che possono essere un buon strumento per alcune cose, ma non possono sostituire le redazioni. Non si fanno giornali, a mio avviso, senza una redazione che discuta, senza gente che esprime le proprie idee, giornalisti non omologati o messi lì in un certo modo. C'è gente che pensa con la sua testa, e da una redazione così esce un buon giornale, da un lavoro di équipe, dal coinvolgimento di esperti e da tante altre cose. Non si può rinunciare alla redazione con gli appalti esterni di tutto: si può appaltare la tecnologia, il telelavoro, cose che possono essere utilissime, però non possono sostituire un lavoro indispensabile di équipe, di confronto e soprattutto un lavoro che deve essere fatto in primo luogo per non far sì che i giornalisti si sentano, è già stato detto più volte, dei presuntuosi come tante volte sono. Ma la presunzione cresce quanto più mancano occasioni di confronto. Un'occasione di confronto è qualcuno che ti fa scendere con i piedi per terra, ti dice che manca un elemento nella tua analisi, bisogna sentire un'altra persona e via dicendo.
L'accessibilità delle fonti. Ne abbiamo parlato nel precedente seminario di Redattore Sociale, non dimentichiamole. Le fonti devono essere accessibili e in questo Paese non lo sono. Pensiamo all'ambito militare. L'ho finito da un po' ma uscirà solo adesso un libro sui suicidi che, tra i vari capitoli, ha anche ''Suicidi: istituzioni chiuse". Mi viene in mente il discorso dei militari perché per avere i dati dei militari che si sono ammazzati in caserma ho dovuto ricorrere all'associazione dei genitori che si occupa delle vittime della leva, perché i militari non ti danno i dati delle persone italiane messe lì per lo Stato che hanno incidenti o altro. Questo avviene per tantissime altre cose della pubblica amministrazione: è il classico posto dove è difficilissimo entrare ma i giornalisti devono, hanno anche una funzione sociale in questo senso, rendere accessibili a tutti le cose pubbliche. Attenzione, perché le pubbliche amministrazioni chiedono carte bollate quando da anni ci sono leggi che dicono che si possono chiedere le cose in carta semplice: è un chiaro modo per allontanare, per creare barriere.
Più formazione
Qui dico cose di cui siamo convinti ma bisogna portarle anche in altri luoghi, perché non si può parlare e tantomeno scrivere di ciò che non si conosce, altrimenti si incorrerebbe in errori e in orrori. Ma io credo, e questa è la prima proposta che mi trova d'accordo con la sollecitazione data da Morrione, che non si possa oggi fare il giornalista senza avere degli elementi di economia, di sociale, di ambiente, che significa anche avere elementi di modelli di sviluppo: queste sono le coordinate da cui il giornalista sportivo, il giornalista che si occupa di cronaca, il giornalista che si occupa di economia deve muovere per fare tutto. E allora la proposta è quella di non parlare più di redattore sociale. Bisogna parlare di redattore formato per fare bene il suo mestiere, di cui il sociale è un pezzo indispensabile insieme ad elementi di economia, problemi dell'ambientalismo da cui dipendono poi le guerre, da cui dipendono una serie di equilibri e via dicendo. Perciò, mentre l'anno scorso dicevamo più sociale e ambiente in redazione, quest'anno coordiniamo un po' meglio questa proposta.
E' molto grave in questi anni la disattenzione dei direttori, dei capiredattori: chi si occupa di economia ha una preparazione specifica, chi si occupa di cinema pure e non è che al primo ragazzo che entra si dice: vai a fare un commento al festival del cinema di Venezia. Chi si occupa di sport, lo stesso. Ci sono i nomi generalmente di chi si occupa di ogni settore. Questo non significa che si deve rinunciare ad una specificità, però una specificità senza uno sguardo all'insieme credo che sia sempre avulsa da qualsiasi realtà.
Denunce e proposte
L'altro aspetto che bisogna tener presente quando si trattano tutti i temi, e in questo caso stiamo parlando di quelli del sociale, è sicuramente la parte che riguarda la propositività delle cose. lo sono d'accordissimo sulla denuncia, Aspe è una di quelle che ne ha fatte, continua a farne molte, però io credo anche che bisogna essere capaci di proporre, in particolare per quanto riguarda l'integrazione tra culture e il problema dell'immigrazione, bisogna essere più capaci di proporre gli aspetti positivi che differenti culture possono portare nel nostro Paese. Ad esempio stiamo facendo un'inchiesta sulle coppie miste che di solito, se vengono presentate frettolosamente, risultano spesso come una sommatoria di problemi. Invece le ricerche fatte ultimamente sulle coppie miste dimostrano che esse hanno gli stessi problemi delle coppie "normali" di residenti, i problemi in più riguardano una serie di problemi legislativi, ricongiungimenti, problemi rispetto alla tutela della salute e via dicendo. Questo bisogna farlo conoscere correttamente. Ci sono degli esempi, bisogna tirarli fuori, bisogna farli capire alla gente in modo semplice.
Il linguaggio e i dati
II tipo di linguaggio nel messaggio comunicativo è molto importante. E' un altro aspetto su cui sicuramente bisogna intervenire. Il linguaggio deve essere semplice e non semplicistico, gli interlocutori sono una chiave di volta importante. lo non credo che gli interlocutori (qualcuno diceva in questa sede che ce ne sono una cinquantina che vengono sempre sentiti dai giornalisti) siano i soli o gli unici che hanno delle cose da dire. Questo è molto importante, al nord come al sud, come al centro, ci sono tantissime persone, anche capaci di comunicare, che devono poter parlare. Naturalmente va tenuto conto del mezzo con cui si deve comunicare, perché se uno è bravissimo però fa addormentare la gente non si intervista per televisione, magari però è molto bravo a scrivere un pezzo. Bisogna trovare interlocutori nuovi che abbiano cose da dire, e anche più interlocutrici donne. Prendiamo l'esempio dell'anno della famiglia; sull'educazione vengono sentiti preti, insegnanti, sociologi, ma donne, madri di famiglia, sociologhe, giudici quasi mai, eppure ci sono. Ci vuole un po' più di volontà di ampliare il campo, di avere anche delle chiavi di lettura alle volte un po' diverse. Invitare in una trasmissione Sgarbi e Boso non può che essere una cosa che non ha nulla di buono, oltretutto io direi di spegnere pure la televisione, così se magari ci sono dei rilevamenti abbiamo dato un segnale. Lo dico con forza: oggi ai fanfaroni non diamo spazio, non facciamo riempire le pagine dei giornali di cose senza senso dicendoci poi che per il sociale non c'è spazio.
I dati. Ne ha parlato Stefano Ricci presentando la Guida per l'informazione sociale '96. Credo che i dati siano importatiti, credo che sondaggi, al 99,9% possano essere lasciati perdere, per come vengono fatti, per chi e da chi vengono commissionati. Caso mai si potrebbe fare una lettura su quello che non viene detto sui sondaggi, allora si potrebbe avere un'utile informazione. I dati possono essere molto importanti, però bisogna leggerli e soprattutto avere il coraggio di riportare tutto. Un esempio anche qui: la banda dell'aids. A chi non fa paura rispetto all'aids leggere le notizie che sono state date. lo su questo dico che bisogna fare attenzione: le paure che ci sono in giro sono le paure che hanno i giornalisti, non sono delle persone. Le stesse paure dell'immigrato le hanno i giornalisti e si ritrovano tutte dentro i loro articoli. Allora io credo che per questo sia molto importante fare informazione con i giornalisti perché possono aiutare a capire i fenomeni.
Sulla banda dell'aids è stato detto di tutto, però un dato quasi mai ripreso è che questa legge che ha permesso di non morire in carcere, quando ci sono delle condizioni di salute particolari ecc., ha permesso di far vivere o morire in modo più dignitoso 2.257 persone, di cui solo una ventina ha commesso reati.
lo dico che l'allarme sociale, se si mette questo dato, un minimo diminuisce. E' lo stesso meccanismo di quello che è accaduto con la legge Gozzini rispetto ai problemi delle alternative alle pene. Chiaro che se uno esce e rapisce un bambino questo crea allarme, ma signori, in tutte le cose che danno un minimo di fiducia c'è un margine di rischio e il rischio naturalmente deve essere diminuito al minimo, ma bisogna anche spiegare alle persone che di tutti i detenuti che sono stati messi in misure alternative, l'Italia è un paese che ha la percentuale più bassa per aver utilizzato male questo sistema. Questi dati vanno forniti, aiutano molto a capire.
I giornali hanno o non hanno un potere? Un grandissimo potere. Io qui vi racconto un fatto che non c'entra col sociale però, secondo me, è simpatico. Mio fratello ha un distributore di benzina e l'anno scorso hanno fatto una trasmissione, non ricordo che trasmissione sia, in cui hanno insegnato praticamente come si fa a prendere la benzina manomettendo i self-services. E' stata una trasmissione molto educativa...il giorno dopo, il 50% dei self-services d'Italia erano in tilt, con un sacco di danni. I gestori non potevano ripararli anche perché ci sono dei piombi e tutto il resto, e le società per due giorni a correre in giro a mettere a posto i distributori automatici. Allora la televisione ha un grandissimo peso, e la cosa che mi interessava, oltre all'effetto che ha su chi ascolta, è che le società come l'IP, l'Esso e via dicendo, hanno fatto ricorso, hanno presentato le richieste per vie legali di danni a questa trasmissione. Purtroppo non ci sono le associazioni, i sindacati di immigrati che presentano per vie legali richieste di risarcimento per danni per tutto quello che viene detto e fatto in questi giorni per creare, fomentare il razzismo. Allora io credo che lavorare bene, entrare nelle cose senza scorciatoie, aiuti a razionalizzare. Razionalizzare aiuta. L'emotività, l'enfatizzazione non aiutano niente e nessuno e le paure aumentano. Su questo però c'è un nodo di svincolo importantissimo che è il tempo.
Verifica o rettifica
Credo che non si possa parlare di un buon giornalismo se non si dà un altro valore al tempo che non sia quello per cui c'è questa regola non scritta che è il contrario di quello che viene detto nelle scuole di giornalismo, per fortuna, per cui una notizia, quando arriva, se non c'è il tempo di verificarla va data, casomai poi dopo si dà la smentita. Questo non si deve fare. Il giornalista non deve farlo, deve cominciare lui ad imporsi questa regola, e dopo lo deve fare il caporedattore e via dicendo. Un esempio anche su questo. La vicenda Urod: questa cosa stupenda, presentata come miracolo, in 24 ore tutti fuori dal buco, naturalmente una falsità dall'inizio alla fine. Guardiamo i titoli. (Il Giornale: Liberare dalla schiavitù del buco 500 ragazzi; La Stampa: in 500 per dire addio all'eroina. E tutti avanti di questo passo. A Milano i medici: salvi dopo 36 ore di ricovero. Ecco, io dico però attenzione, questo è il caso di una vicenda che molti di voi conoscono, dove sono state dette tante falsità. Abbiamo fatto un'inchiesta su questo, pubblicando le lettere delle case farmaceutiche che prendono le distanze dal modo in cui vengono utilizzati questi farmaci, con un'intervista agli operatori, perché poi è saltato fuori che anche a Torino fanno questo. invece non è assolutamente vero; la cosa certa in tutta questa vicenda è che tutti erano partiti, senza autorizzazione del Ministero della Sanità - cosa gravissima, perché significa che il primo che si alza la mattina e dice io mi metto a fare una cosa, può farla. Quello che però vale per questa faccenda, che va a toccare la disperazione di molte persone, vale per i farmaci antitumorali, vale per i farmaci che salvano dall'aids. Ecco, io credo che ogni giornalista deve tener conto che la rettifica non neutralizza mai l'aspettativa che viene creata. L'aspettativa ha dei percorsi suoi, che non rientra con una rettifica. Possiamo essere deboli tutti, non occorre avere l'aids, perché uno che ha un problema di tumore (chi di noi non ha qualcuno?) è nella stessa situazione di fragilità se viene a conoscenza di un rimedio "miracoloso"; queste notizie non devono essere date.
Falsi miti
Oggi si sta giocando questo rapporto anche sotto altri aspetti. Uno di questi falsi miti, a mio avviso, è Internet. Attenzione perché tutti questi strumenti vanno utilizzati in quanto tali per migliorare una possibilità di comunicazione, perché possono essere un mezzo per arrivare ad un pubblico più ampio, però non può essere ritenuto un mito. Così pure il CD room che sarà utilizzato bene per alcune cose ma di certo non deve e non può eliminare il libro, anche se può eliminare o comunque sostituire alcuni libri. Per quanto riguarda Internet, di cui si parla tanto, bisogna avere il coraggio di darsi delle regole. Oggi si parla tanto di garantismo, in modo secondo me tutt'altro che appropriato, ma io credo che la libertà senza regole non esista, non è possibile, perché sennò sarà il più forte, quello che grida di più, quello che ha più soldi, la grande concentrazione editoriale che avrà la meglio. E l'informazione sociale questo lo sa bene.
Torno a Internet. Internet è un grande strumento che può aiutare molto, ma se noi non ci daremo delle regole presto, io credo che sarà uno strumento che verrà cassato del tutto, togliendoci anche la possibilità di navigare per delle cose utili, perché su internet tutti i pedofili del mondo fanno i loro annunci: la pedofilia è un reato, soprattutto l'utilizzo dei bambini in questo modo, però Internet è un ottimo strumento, allora diamoci delle regole di utilizzo.
Ci sono altri nodi di cui si deve essere coscienti. Ad esempio la vendita fuori edicola. Se ne parla a intermittenza: attenzione perchè è un grandissimo pericolo, che ucciderà tantissime testate perché Berlusconi, con i suoi mezzi, può andare nel supermercato X mentre altre testate che vanno in edicola non possono fare quelle tirature, quindi non so cosa diventeranno, probabilmente chiuderanno, come hanno chiuso tante testate grazie alle tariffe postali di cui parlo subito.Tariffe postali. Qui è una vicenda lunga, l'abbiamo iniziata più di due anni fa, si chiedeva un'agevolazione per quelle riviste che non sono a fine di lucro e hanno poca pubblicità e tanta informazione. Assieme ad alcuni parlamentari sensibili, dopo aver creato un cartello per il diritto a informare e ad essere informati, a cui hanno aderito credo 250 testate di diverso tipo in tutta Italia, abbiamo elaborato una specie di proposta. Dopo non essere stati ricevuti dai vari Ministeri e aver avuto una volta da un funzionario promesse false, ecc., la proposta è andata alla Camera: si trattava di avere un'agevolazione, una sorta di rimborso per quelli che avevano meno del 30% di pubblicità. Quando la proposta è andata al Senato, grazie in questo caso ad alcuni progressisti, quel 30% è diventato 50% e questa è una cosa gravissima, perché innanzi tutto ci rientreranno molte riviste che non hanno niente a che fare con il nostro tipo di lavoro (molte del gruppo Gemina ecc.). In secondo luogo, entrando moltissime riviste in più, ovviamente il finanziamento si riduce e non ci sarà la copertura sufficiente della legge...questo grazie anche a questi signori progressisti che si sono battuti per questo tipo di cose.
Corsa ai regali
Il discorso dei gadget - e ritorniamo al discorso delle regole. Come è stato detto ieri, ultimamente non si stanno vendendo più giornali, ma si stanno vendendo prodotti, si stanno vendendo cassette, braccialetti, profumi e via dicendo e la corsa appunto non è al miglior giornale, alle inchieste, al servizio, all'informazione di servizio, ma è ad avere il miglior profumo che io credo che potrà anche stordire in tanti sensi, però non produce certamente cultura, non fa informazione e non crea consapevolezza. Su questo però io credo ci vogliano delle regole, bisogna dire che con i giornali non vanno i prodotti, perché noi diciamo solo che non va bene, ma non basta. Tra un po' troveremo che anche Avvenimenti si trova qualche amico che gli regala, che ne so, un qualcosa perché deve incentivare le vendite. La concorrenza è fatta di tutte queste cose. Allora io credo che una regola per cui non si possono mettere allegati ai giornali che non siano prodotti di informazione, aiuti le redazioni, le direzioni, chi fa i conti anche ovviamente con la vendita a dire: se mi avanzano dei soldi non sono per andare a fare una convenzione o comprare un tot di braccialetti, perché così vendo di più, ma possono essere un investimento per fare un'inchiesta, cosa per cui invece oggi non si investe più.
Le proposte
Le proposte allora sono quattro.
Una l'ho già detta, è la formazione: ci sono molti ragazzi delle scuole di giornalismo che potrebbero conoscere meglio le nostre realtà. Noi abbiamo avuto una ragazza che ha fatto uno stage all'Aspe dalla scuola di giornalismo di Bologna. Un tentativo intermedio, finché non c'è questo concetto di professionalità del giornalista, potrebbe essere quello di proporre che le scuole di giornalismo propongano ai loro allievi di fare degli stage in alcuni posti dove entrano in contatto, si formano anche sull'ambito del sociale.
L'altra proposta è di non parlare più di redattore sociale, ma parlare di redattore, di redattore che ha un concetto di professionalità ampio, in cui ci sia la specializzazione. Certo, ognuno nel suo ambito può sapere, deve sapere, deve essere formato, però deve anche conoscere, sapere i percorsi di quei mondi contigui che tante volte hanno anche un grande peso sul suo ambito di lavoro, che però se non conosce non può decodificare e non può aiutare anche i lettori a far capire.
La penultima proposta è quella del locale, è quella dell'informazione locale. Su questo si lavora poco, mentre credo che la grande sfida oggi non siano tanto le testate con lo sguardo di tipo nazionale. Infatti, proprio da un lavoro che ha fatto La galassia dell'informazione, le testate che hanno chiuso negli ultimi mesi avevano tutte ambizioni nazionali o comunque sovraregionali. Ma è molto importante ridare dignità, investire forze, fare cose, affinché l'informazione regionale, i giornali locali, quelli delle diocesi a quelli di vallata, le radio, le televisioni, che hanno un contatto diretto, che sanno legare il grande al piccolo, che sanno collegare fatti e cose, che riescono anche a dare un discorso d'insieme, possano essere la grande sfida. Questo collegamento è fondamentale, ma è un collegamento che non significa ovviamente che chi lavora nell'ambito locale non deve sapere che cosa avviene a livello europeo. E su questo apro una parentesi: sui discorsi europei non si sa quasi nulla. L'Italia, dal punto di vista giornalistico, non investe, non è a Bruxelles. Vi porto un dato: a Bruxelles ci sono 25 giornalisti accreditati degli italiani (del Regno Unito ce ne sono 84 e della Francia 50) di cui, però, 6 sono dell'Ansa, 2 sono del Sole 24 ore. Questo ci fa dire come i nostri politici per primi, che poi sono quelli che determinano anche una serie di cose, si riempiono tanto la bocca di Europa, idem i giornalisti, poi di fatto le scelte in quella direzione, per esserci, per rilanciare, per creare canali, per dare canali anche di un certo tipo, non vengono assolutamente fatte. Qui c'è una grandissima responsabilità.
Rispetto all'informazione locale, aggiungo che oggi molte amministrazioni si stanno muovendo. Noi abbiamo collaborato ad un progetto con il Comune di Roma, ma ad esempio c'è una ricerca della regione Toscana che dice che su 287 comuni il 39% ha dei servizi di informazione con i cittadini. Allora, redattore sociale, secondo me deve essere un termine che va superato magari con delle soluzioni intermedie, non si può fare tutto dalla sera alla mattina, alcuni spazi serve comunque averli, però l'obiettivo nostro deve essere quello di avere tutti i redattori con una sensibilità e una competenza su queste tematiche.
L'ultima proposta è di studiare una strategia di comunicazione. Nell'ambito del sociale non serve fare riviste, creare continuamente cose nuove, investire soldi, energie. Peraltro sono contenta che sia nata Internazionale, una rivista che ha riempito un vuoto, credo che oggi bisognerebbe fare un grande salto: rinunciare ad una voglia di autoreferenza, ad una voglia di apparire, di avere la testata propria. L'obiettivo deve essere quello di arrivare, attraverso gli strumenti che ci sono, ad un pubblico ampio, il pubblico che poi incide su tutta una serie di cose. Vi dò alcuni dati - e con questo concludo. L'obiettivo di Aspe e l'obiettivo di molti di noi qui è quello di arrivare a tante persone; allora io sarei contenta che Aspe avesse 10.000 abbonamenti, però il mio obiettivo è che gli articoli di Aspe vengano ripresi dai giornalisti, utilizzati per fare il proprio lavoro. lo, per quanti sforzi faccia all'interno del sociale, raggiungo sempre una parte, un circuito piccolo, ristretto di persone. Amica ha 209.000 copie di diffusione, Anna 355.000, Donna moderna 647.000, Oggi 851.000, Panorama 616.000 e Famiglia Cristiana 1.084.000. Credo che noi dobbiamo entrare in questi mondi e con questi giornalisti, superare il redattore sociale, studiare una strategia di comunicazione che utilizzi quello che c'è migliorando, creando queste energie, non solo con le parole ma con i fatti.
Dovremmo concentrare tutti i nostri sforzi per creare questo nuovo approccio più completo, più ampio, che mette in circolo informazioni, saperi, competenze, che sa dare i riferimenti, che fa sì che il sociale sia a disposizione, sia cosciente, produca delle cose. Non deve succedere che Famiglia Cristiana senta 50 volte Tonini perché altri non sono a disposizione. Hanno ragione i giornalisti quando dicono: io ho problemi. Il sociale si deve dotare di una serie di risorse, di dati; però non deve lasciarsi prendere dalla tentazione, più che di fare informazione per parlare di deboli, di fare informazione su di sé.
Giovanni De Mauro*
La fatica di informarsi
Quattro cose che a me stanno molto a cuore e che sono i nodi centrali attorno a cui ruota il nostro lavoro, nel tentativo di fare ogni settimana Internazionale. La prima: che cos'è una notizia, come si misura il peso nella determinazione di che cos'è una notizia nella televisione? Morrione non me ne voglia, non è un fatto personale, ma io credo che oggi la televisione, per come è fatta, è un nemico della buona informazione. Il signor Ignacio Ramonet, che è direttore di Le monde diplomatique, in un articolo che noi abbiamo pubblicato su Internazionale nel novembre '93, dice e leggo velocemente: "Molti cittadini ritengono di potersi informare seriamente guardando dal confortevole divano di casa la sensazionale pioggia di fatti a base di immagini forti, violente e spettacolari offerta dal piccolo schermo. È un gravissimo errore per tre ragioni: prima di tutto perché il giornalismo televisivo, strutturato come una fiction, non è fatto per informare ma per distrarre, poi perché la rapida successione di notizie brevi e frammentate, una ventina per ogni telegiornale, produce il duplice effetto negativo di sovrainformare e disinformare allo stesso tempo, e infine perché volersi informare senza sforzo è un'illusione che dipende più dai miti della pubblicità che dalla mobilitazione civile. Informarsi è faticoso e questo è il prezzo che il cittadino deve pagare per avere il diritto di partecipare in modo intelligente alla vita democratica".
Questo è uno dei primi articoli che abbiamo pubblicato su Internazionale ed è un articolo che ci ha ispirato e guidato. Crediamo che informarsi sia faticoso e che sia al tempo stesso un compito per cui valga la pena spendere tempo, dedicare energia, perché ha a che vedere con la partecipazione democratica di ogni cittadino. Dicevo del peso della televisione: la televisione, grazie all'impatto e spesso alla violenza delle immagini, è in grado di imporre la sua scelta di cosa fa notizia e di costringere la stampa a fare questa scelta. Credo che l'esempio più clamoroso, più eclatante e drammatico di questi tempi sia la guerra civile in Algeria, che ha prodotto dal '92 ad oggi una cifra stimata fra i 40 e i 50mila morti. La guerra in Algeria è significativa non solo per queste cifre, ma anche perché lì si sta giocando una partita molto grossa, che ci tocca da vicino ed è quella del rapporto, delle possibili integrazioni nel rapporto fra religione e politica; rapporto che avremo anche noi con masse di cittadini che verranno in Italia, in Europa. La guerra in Algeria non produce immagini, e quindi la guerra, e l'Algeria stessa, è scomparsa, sta morendo grazie al fatto che non produce immagini e quindi non esiste per i mezzi d'informazione.
Vale la pena ricordare che fino a qualche mese fa, cioè fino a poco prima che si avviasse la campagna elettorale, c'era soltanto un mezzo d'informazione occidentale ad aver mantenuto in Algeria un suo corrispondente: El Pais.
Crediamo ancora quindi, cercando di fare Internazionale in questo modo, al valore profondo della parola scritta e credo che sempre di più i giornali oggi si vadano dividendo fra giornali che si sfogliano, che si guardano con criteri e con modi che ci vengono imposti dalia televisione, e giornali invece che vengono letti, dove cioè viene restituita o conservata alla parola scritta la capacità di trasmettere una grande quantità d'informazioni. Credo che questo rapporto fra televisione e carta stampata sia un discrimine fondamentale rispetto a dove va l'informazione e come sia possibile operare in maniera onesta nel mondo dell'informazione.
Credo naturalmente che esista anche l'informazione televisiva corretta, seria, che si propone obiettivi realistici rispetto a quello che è il mezzo e che possa naturalmente esistere (ci sono sicuramente casi pregevoli e lodevoli) un'informazione televisiva efficace, che sfrutta a pieno le potenzialità del mezzo.
Informazione tra complessità, manipolazione e tecnologia
Il secondo punto è quello della semplificazione e dell'impossibilità, se si vuole essere onesti con se stessi, con chi legge, con chi ci ascolta, di semplificare quello che è un mondo sempre più complicato. Credo che chiunque di noi, seguendo in maniera sistematica quello che succede nel mondo, si accorge di quanto sia sempre più complicato, perché interconnesso, perché la dipendenza di un Paese dall'altro è sempre più forte, è una dipendenza sotterranea, spesso invisibile, ma su cui è necessario indagare.
Credo che non sia possibile restituire in maniera onesta ai lettori un'informazione semplificata. Per definizione ormai l'informazione può essere solo un'informazione non semplificata e che rende una grande complessità. Credo che non si possa, se mai è stato possibile, più immaginare di esaurire un dato argomento attraverso un articolo, un reportage anche molto lungo e approfondito, ma si è sempre nel lavoro di aggiungere piccoli mattoni, piccoli tasselli che compongono un'immagine molto più complicata.
Terzo elemento, terzo nodo: la confusione tra l'informazione e la comunicazione, che dalla guerra del Golfo in poi è sempre più evidente. Ormai i giornalisti non sono più gli unici produttori di notizie, ma esistono intere strutture, apparati giganteschi, spesso con mezzi ben superiori a quelli dei più grandi giornali o mezzi d'informazione che producono notizie e che producono qualcosa che non è più informazione ma è comunicazione. Dicevo della guerra del Golfo, perché è stato evidente che si è trattato di una guerra in cui gli operatori dell'informazione tradizionale erano completamente marginalizzati e in cui quello che arrivava ai cittadini è stato il risultato del prodotto di uffici stampa, organismi di marketing, multinazionali delle pubbliche relazioni che arrivavano a produrre notizie a uso e consumo dei telegiornali, dei giornali, delle radio, ecc.
Su questo si gioca un discrimine importante anche rispetto alla famosa verifica delle fonti: credo che qui le cose si complicano e si complicheranno sempre di più e che la mole di lavoro per i giornalisti seri e onesti andrà ad aumentare ulteriormente.
Quarto e ultimo punto che voglio toccare è quello della rivoluzione tecnologica. Condivido in parte le preoccupazioni sulla mitizzazione di Internet. Per esempio, un giornale come Internazionale, fino a cinque anni fa, non sarebbe potuto esistere perché è un giornale che fa un uso molto intenso non solo delle nuove tecnologie, ma anche della decentralizzazione del lavoro. Le nuove tecnologie sicuramente vanno usate e vanno individuati tutti i rischi e le potenzialità. Secondo me, tra i miti della rivoluzione tecnologica da sfatare, c'è quello che riguarda tutti noi, e cioè che la rivoluzione tecnologica per ora, e probabilmente ancora a lungo, riguarderà un'élite ristrettissima di persone. Vale la pena ricordare semplicemente una cifra che rende però efficamente l'idea: su questo pianeta più della metà della popolazione ancora oggi non ha fatto una telefonata.
Alcuni strumenti che ormai consideriamo come acquisiti, di semplice utilizzazione e distribuiti sul territorio in modo uniforme, in realtà non lo sono. Per esempio, il telefono è ancora oggi disponibile solo per meno della metà della popolazione di questo pianeta. Le nuove tecnologie porranno ancora di più il problema fondamentale di accesso alla tecnologia e quindi all'informazione: non il telefono, ma gli alfabetizzati o gli analfabeti di domani saranno anche quelli che non sapranno utilizzare un computer. Sono questioni legate naturalmente al mestiere di giornalista, ma che hanno a che vedere con la distribuzione delle informazioni.
Credo infine che Internet non sia per definizione regolabile. Sarebbe interessante per esempio cominciare a discutere sulle ricadute e forse sulle nuove tecnologie, ma lo spazio dovrebbe essere quello di un convegno, una sede appunto dedicata unicamente a questo. Internet, per definizione una rete, è uno strumento non regolabile. In parte, per fortuna. Credo che dentro Internet vengano semplicemente riprodotte con alcune deformazioni e distorsioni, nient'altro che le relazioni umane che caratterizzano la cosiddetta vita reale. Sicuramente Internet, in questo, è uno specchio abbastanza fedele. Una delle deformazioni più forti che avviene nella rete, oltre alla distribuzione di materiale pornografico ecc., è per esempio il fatto che la rete è ancora oggi uno strumento fondamentalmente o quasi esclusivamente maschile, dove la presenza delle donne è estremamente marginale e generalmente colpita, discriminata e marginalizzata.
Interventi
Goffredo Fofi - direttore La Terra vista dalla luna*
Mi pare che in questa altalena tra esperienze che vengono dal sociale e esperienze che provengono dalle grandi istituzioni dell'informazione si pongano problemi molto più vasti, sui quali occorrerebbe riflettere. Spero ci siano altri momenti e luoghi per poterlo fare.
Ieri si diceva giustamente che i giornali non li fanno solo i padroni, che non ci sono solo i padroni e la pubblicità con la loro logica di promozione del consumo e di manipolazione del consenso, ma che sono padroni anche i lettori. La cosa da domandarsi è: chi sono oggi i lettori in Italia? Che grado di autonomia reale hanno? Che positività possono esprimere? Molto probabilmente i nostri lettori maggioritari sono lettori che vogliono le cose che vengono offerte loro, che vogliono quel tipo di stampa e non un'altra, che amano essere consolati, sollecitati, eccitati, manipolati e non amano molto ragionare ed essere informati. Anche di questo bisogna tener conto, perché c'è un aspetto nel lavoro dei giornalisti, dall'interno delle grandi testate e dal piccolo delle testate minoritarie, che è fortemente pedagogico.
Silvio Cortesi (Modena Amica)*
Noi stiamo per festeggiare il primo anno di vita, siamo usciti l'anno scorso a dicembre per la scelta coraggiosa di un editore di Modena. Siamo quattro redattori, tra cui tre giornalisti professionisti, l'unica ragazza assunta e una segretaria di redazione. Il nostro problema è che vendiamo poco. Ieri è stato detto di confrontarsi col mercato: noi lo stiamo facendo e purtroppo fino adesso il mercato non ci ha dato grandi risposte. Abbiamo anche poca pubblicità, nonostante Modena sia una città ricca e con una rete diffusa di associazioni di volontariato. Quindi il compito principale che ci aspetta nel '96 è quello di incrementare la nostra presenza, altrimenti non saremo qui il prossimo anno a festeggiare il compleanno. Noi abbiamo tentato questo esperimento e speriamo che il nostro esempio possa essere seguito in forme diverse, anche in altre città, perché vogliamo fare uno strumento utile, soprattutto per la gente che ha bisogno, e cerchiamo anche di diffondere attraverso questo giornale i valori della società, della gratuità e del servizio.
Maria Serena Patriarca (Scuola di giornalismo Luiss)*
Rispetto al giornalismo impegnato socialmente, credo che occorra estendere il discorso anche all'aspetto della formazione pedagogica, quindi di un'azione giornalistica che agisca sia in campo pedagogico, sia in campo legislativo per una sensibilizzazione su problemi verso i quali spesso si rimane indifferenti, magari perché non fanno notizia pur coinvolgendo moltissime persone. Ad esempio, puntare l'attenzione sull'educazione al codice stradale, perché non dimentichiamoci che accanto alle vittime della tossicodipendenza e dell'aids sono moltissimi i ragazzi che muoiono o che rimangono menomati per la vita a causa di incidenti in motorino o in auto. Quindi sensibilizzare l'opinione pubblica anche per formare delle leggi più giuste, che agiscano su coloro che uccidono degli innocenti per l'alta velocità e che coinvolgono in questi drammi non solo i diretti interessati ma anche le famiglie. Spesso queste voci rimangono completamente nel silenzio, solo perché ci sono incidenti tutti i giorni e non sono eventi che vanno in prima pagina.
Nicola Perrone (collaboratore del mensile Partecipazione e Vice-presidente della Comunità Internazionale di Capodarco)*
Vorrei proporre alcune riflessioni ai relatori della tavola rotonda. Nonostante il pessimismo di Goffredo Fofi, credo che sia possibile un giornalismo diverso, un altro giornalismo, a condizione però di mettere al centro una nuova consapevolezza, una nuova coscienza, sia per quanto riguarda l'analisi del contenuto dei mass-media, sia per quanto riguarda l'aspetto formativo.
Per quanto riguarda l'analisi del contenuto, che cosa è notizia? Ho lavorato negli ultimi dieci anni, anche attraverso ricerche, in particolare sui mass-media, su diversi argomenti; molto spesso è emerso che la categoria principale che ispira la notizia è "l'interesse". L'interesse di chi scrive, l'interesse di chi legge, l'interesse di chi paga, l'interesse di chi è il proprietario della notizia. E la cosa interessante è che si evidenziavano tre cose fondamentali: è notizia quando c'è un interesse politico-partitico a livello italiano: basti vedere quello che è successo in questi ultimi tempi rispetto alle elezioni. Oppure se parliamo a livello internazionale, l'interesse italiano per la Somalia o per la Tunisia: perché? Per motivi politici: nel passato erano Paesi molto legati all'ex partito socialista di Craxi e compagnia. Dobbiamo avere coscienza dell'interesse, capire perché un fatto era notizia quando c'erano interessi economici, diretti o indiretti in Italia. Oppure quando ci sono fatti eclatanti, spettacolari, oppure guerre, corruzione, fame. Qui c'è un interesse di tipo diverso, perché il fatto che altrove ci siano guerre, che ci siano i ''diversi", che ci siano i tossicodipendenti, che ci sia la fame o la corruzione, ci consola o ci rassicura, come "popolo italiano", perché noi non siamo così. Tutto questo per dire che queste notizie, in fondo, raramente o difficilmente tengono conto di chi è il lettore e, se si scrivono, si prendono in considerazione solo da un punto di vista: quello che vale come valore del fare, del vendere, oppure ciò che interessa la massa, e quindi la notizia diventa una risposta ad un conformismo di massa.
L'altro punto è come dare la notizia. Facendo un'analisi del contenuto, troppo spesso dobbiamo avere coscienza, avere consapevolezza che la notizia viene data senza contestualizzazione, senza un quadro storico-culturale e senza che vengano individuati gli aspetti socio-economici o quelli culturali, mancano infatti le vere cause. Se noi informiamo ma non esponiamo le cause degli avvenimenti che raccontiamo, non potremo mai cambiare quella realtà o avere coscienza di dove andiamo, e questa secondo me è una carenza molto grave per il giornalismo italiano. Capisco che non sempre si possano fare cose molto approfondite, molto estese, però è estremamente importante.
Queste due cose, cioè cosa è notizia e come si dà, in realtà è solo una conseguenza di qualcosa che è a monte ed è l'aspetto formativo che riguarda i giornalisti, sia quelli che oggi sono già giornalisti, sia le future generazioni, perché il nostro giornalismo è monodisciplinare. Adesso esistono le scuole, prima non esistevano, però fondamentalmente si apprende praticando, si approfondiscono soprattutto le tecniche, la scrittura, la Tv, la radio, a volte alcuni cenni di base su altri argomenti, e questo è negativo.
Vi racconto, un esempio di quando io ho frequentato una scuola di giornalismo, una decina di anni fa, e i nostri maestri erano Italo Moretti, Sandro Curzi, Giò Marrazzo, persone di grande spessore. Durante questo corso che durava un anno ci insegnavano le notizie, la cronaca, l'economia, le notizie d'agenzia, come si scrive. Eravamo un gruppo di venti persone: un giorno ci chiudono in una stanza e dicono: "Bene, oggi state qua". Non c'era nessuno dei docenti. Eravamo noi venti là seduti e non capivamo il motivo di questa cosa. Dopo due ore quasi di silenzio è arrivato un esterno che non conoscevamo e ci ha domandato: "Che cosa è successo in queste due ore e perché voi volete fare i giornalisti?". Non vi racconto i dettagli di questa giornata chiusi in venti in una stanza, senza mangiare, però le conclusioni purtroppo erano quelle a cui accennava Goffredo stamattina: successo, carrierismo, narcisismo, onnipotenza, autocompiacimento, affermazione, competitività. Di tutto ciò dobbiamo avere coscienza. Dal momento in cui io, o tu, o lui va a scrivere di un avvenimento esterno e non ha coscienza di ciò che accade dentro di sé, la notizia risulta assolutamente falsata. Da questo punto di vista quindi la qualità della propria professione dipende dalla tragica "infantilità" delle motivazioni e dei valori che ciascuno di noi ha nella propria casa interiore. Questo credo che sia un elemento, che a livello giornalistico e sociale, spesso viene trascurato, ma mi sembra essenziale porlo in questa sede, perché solo se riusciamo ad essere coscienti di questi valori possiamo esercitare un mestiere in modo più creativo, purificato dall'ego, più valoriale, più etico, in cui assume valore ciò che si dice, ciò che si è e non ciò che si fa.
Sempre sull'aspetto formativo, gli obiettivi del giornalismo, gli obiettivi dell'informazione: sicuramente conoscere, informare, comunicare sono stati sottolineati molte volte qui. Dal mio punto di vista dobbiamo prendere coscienza che un altro fondamentale obiettivo è quello della trasformazione sociale: che senso ha informare su un fatto negativo se poi non c'è un conseguente guardare avanti chiedendosi dove andare, come trasformare l'esistente, e qual è il modello di trasformazione che ci poniamo?
E' forse quello dell'editore, quello del proprietario, quello del direttore, quello di noi che scriviamo o quello cui ciascuno di noi aspira? Quale esempio può essere fra gli altri di giustizia, di uguaglianza sociale, di tutela di diritti dei cittadini.
Credo che il vero scandalo oggi nel nostro giornalismo è il tacere, o comunque la limitatissima informazione che c'è sul mondo dell'emarginazione, sulle disuguaglianze che esistono, nel nostro Paese come all'estero. Dovremmo infatti, per affrontare questi temi, aver chiaro per quale progetto di società scriviamo, in che direzione, a quale scopo?
E concludo con due proposte: è necessario passare da una cultura di base monodisciplinare, dove la "c" è minuscola, che insegna solo le tecniche, ad una cultura che sia multidisciplinare, e quindi non solo tecnica, ma economica, sociologica, psicologica, antropologica, inclusiva di tutto ciò che serve per affrontare questa realtà che ha un potere così grande nel nostro mondo.
La seconda proposta. Un mio amico navigatore è esperto di costellazioni, si muove di notte con la sua barca guardando il cielo e ha fatto un viaggio in Sudafrica. Mi raccontava che lì, guardando le stelle, cercando di orientarsi di notte attraverso le costellazioni, spesso perdeva l'orientamento perché il cielo si vedeva rovesciato, e quindi se un navigatore non è esperto rischia di schiantarsi sugli scogli, soprattutto se viaggia dì notte. Ecco, io credo che questo è ciò che rischiamo tutti noi se non impariamo a navigare orientandoci con un cielo rovesciato, rovesciando la nostra ottica e il nostro punto di vista, rompendo l'omologazione dominante, il conformismo massificante, la nostra mentalità che molto spesso è provinciale, egocentrica e non tiene conto degli altri punti di vista e quindi alla fine non abbiamo più un nostro cervello, ma un cervello di marca Findus, grazie.
Pino Ciociola (Avvenire)*
Mi ha preoccupato un passaggio che ha fatto Mirta Da Pra sulla banda dell'aids di Torino. Mi è sembrata più realista del re. Ha detto che la legge è buona, e siamo d'accordo; che su 2.700 che sono usciti, venti compiono reati... Francamente è una linea che mi preoccupa. E' un po' come il costo di una catena di montaggio: siamo d'accordo tutti che quando il discorso è riferito alle persone, non si può dire che qualche pezzo viene male, però la lezione al contrario della catena di montaggio è pericolosissima. Un altro punto che mi interessava è quello sulle pressioni. Ci sono da sopportare molte pressioni, politiche, economiche, editoriali ecc: o ti pieghi in qualche modo o ti spazzano via. Credo che per portare avanti un discorso conviene ogni tanto piegarsi.
Stefano Ferranti (Scuola di giornalismo di Urbino)*
Parlo anche a nome di molti miei colleghi che sono qui. Non era obbligatorio per noi venire a questo seminario, siamo venuti con piacere e abbiamo sentito tante cose positive; devo dire che le cose positive che sono state dette qui a noi a scuola le insegnano, dal punto di vista delle tecniche, ma anche da quello dei valori. Si è detto giustamente che non occorre il giornalista super specializzato, se non ha punti di riferimento e una formazione complessiva ampia; anche questo noi lo facciamo. Sì è detto giustamente che occorre un tipo particolare di deontologia, che non sia soltanto il decalogo del piccolo giornalista che si fa a scuola e che quindi si limita ad un'enunciazione di diritti. Noi questo a scuola lo respiriamo.
Il problema che io trovo molto serio, che coinvolge noi delle scuole ma credo tantissimi altri giovani che vorrebbero avere l'opportunità di avvicinarsi al giornalismo: che ci sia a base delle nostre motivazioni non soltanto la voglia di arrivare, il narcisismo. Per qualcuno sarà una componente dominante, ma io credo che per molti di noi non sia così; credo che quelli che stanno nelle scuole vogliono fare il giornalismo per controllare i poteri, come si è detto stamattina, per capire qualcosa di più, per stimolare; e credo che ci sia voglia di farlo in modo serio e onesto.
Poi ci si scontra con la realtà, che è diversa. Abbiamo fatto gli stages e ci siamo misurati con dei problemi a volte diversi da quelli che avevamo visto a scuola: abbiamo visto che dal punto di vista tecnico, sì, c'erano cose da imparare, ma dal punto di vista deontologico o di serietà nel controllo non avevamo niente o quasi da invidiare a persone che navigavano nell'ambiente da decenni.
Il problema serio è quello dell'accesso alla professione, perché sono d'accordassimo con quello che diceva Morrione precedentemente: io non credo nel redattore sociale. Il redattore o è un bravo redattore o è un cattivo redattore. Per essere bravi redattori bisogna essere preparati, bisogna avere la curiosità di sapere di più, bisogna avere anche la modestia di farlo... e tutto questo in molte redazioni non c'è; per la stanchezza, per tantissimi altri motivi che non sono nemmeno in grado di analizzare. Però l'accesso alla professione è un programma importante da affrontare. Noi delle scuole riusciamo ad accedere alle redazioni, facciamo gli stages, ma poi accedere alla professione diventa difficile come per gli altri perché i canali di accesso sono di tutti i tipi meno che professionali. Questo lo troviamo molto grave; si può parlare all'infinito di sensibilità sociali, ma poi a fare i giornalisti vanno persone che hanno delle motivazioni diverse, forse, da quelle che abbiamo noi...
Vinicio Albanesi - presidente del C.N.C.A. e della Comunità di Capodarco* (conclusioni)
Concludendo il nostro incontro abbiamo suggerito di essere redattori e redattori sociali. Non è bene confondere il genere con la specie. Dico questo perché, mentre per scrivere un articolo di economia occorre come minimo sapere la differenza fra prodotto interno lordo e mercato, non si capisce perché parlando dei tossicomani uno debba fare appello al proprio utero o alla propria cultura dell'ovvietà: essere redattori non significa automaticamente essere redattori sociali ...
Ieri vi ho dato un saggio, l'ho fatto di proposito, con la storia di quel ragazzo (Albanesi aveva portato la testimonianza di un giovane ex tossicodipendente che aveva denunciato i metodi violenti di una comunità terapeutica, fatta chiudere proprio in quei giorni dalla magistratura; rivolgendosi ad una nuova comunità quel ragazzo, dopo un giorno, ha voluto prendere un giorno di permesso: la domanda era se fosse ritornato e in quali condizioni).
Su quella storia ho fatto un piccolo sondaggio tra di voi: ho chiesto, dove starà ora quel ragazzo? Quelli che ho interrogato, tra di voi, non mi hanno saputo rispondere. Lui ha detto dove andava, bisognava leggerlo nel suo racconto. A pranzo ieri e stamattina a messa mi è stato chiesto, rimarrà o non rimarrà? lo ero sicuro che non sarebbe rimasto, ne ero sicuro perché aveva bisogno di uno stacco, che avrebbe fatto o ubriacandosi o bucandosi. Poco fa qualcuno, per incoraggiarmi, mi ha detto: ritornerà. Ho risposto, spero non ritorni morto. Non sono un cinico. Ho portato un piccolo esempio. Spero che voi abbiate capito come non basti essere redattori per capire che un ragazzo tossico bisogna conoscerlo, bisogna capirlo, bisogna avere esperienza.
Questi percorsi vanno fatti, ma non in termini emotivi; vanno fatti in termini razionali.
Per comunicare il disagio occorre tutta una serie di bagagli. Se non si conosce il disagio, per esempio il disagio psichiatrico, differente da quello del tossicodipendente, del barbone, del minore e dell'adolescente, il rischio di scrivere sciocchezze è alto. Perché andrete ad appellarvi al senso generico, al sentito dire... sarete dei buoni scrittori senza portare una briciola di verità.
Terminando ringrazio tutti voi: siete stati molto sensibili e molto attenti; vi ringrazio perché siete stati capaci di dare risposte al nostro investimento. Credo alla vostra buona fede e alla vostra sensibilità; però noi adulti dobbiamo dirvi che quando voi incontrerete la realtà, questa non sarà né bella, né brutta: è la realtà. E se avrete immagazzinato una grossa capacità di razionalità ma anche di passione e di conoscenze, sarete utili a voi e agli altri.
Ringrazio i relatori; c'è stata gente come Roberto (Morrione) e Goffredo (Fofì) che sono rimasti per tutti e tre i giorni. Un atto di umiltà per gente di quel calibro, che esprime passione. Altrimenti sarebbero venuti, avrebbero fatto la loro lezioncina, avrebbero fatto come i pavoni, mostrato la loro coda e se ne sarebbero andati: li ringrazio perché sono presenze che non vanno sottovalutate (...).
Sono felice dell'investimento di Redattore Sociale: ve lo dico a nome di tutte le comunità. Ci sono limiti nel nostro convegno, ce ne siamo resi conto: non avete avuto spazio di parola e di elaborazione. E' prevalsa l'ansia di darvi un pacchetto con nomi significativi, probabilmente è un'ansia che dobbiamo attutire ed abbassare per dare spazio.
(...) Noi continueremo con questo investimento, naturalmente aggiustando questo processo, dandogli gli indirizzi possibili, la capacità cioè di essere utile anche a noi. Perché noi che viviamo sempre nell'anomalia abbiamo estremo bisogno di normalità.
* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.