I Redattore Sociale 27-28 maggio 1994

Redattore Sociale

Dibattito

 

Rodolfo Palieri - Agenzia Italia (Roma)*

"Ricci in un precedente intervento aveva parlato di circolarità dell'informazione editore-giornalista, sottoli­neando con questo che non si può dare tutta la colpa all'editore o al direttore, ma che il giornalista ha una sua responsabilità nel diffondere un certo tipo di informazione.  Si stabilisce cioè una sinergia perversa, possiamo dire, che punta allo scoop, nella quale il giornalista si trova piuttosto bene, evidentemente.      
D'accordo, ma guardiamo all'aspetto mercato (io mi sono permesso di segnalarlo a Don Vinicio già nella conferenza stampa). Rendiamoci conto che l'editore opera in un certo tipo di cultura: che è quella lamentata da tutti noi. Una cultura fatta di efficientismo, produttività, rampantismo...Quindi è un discorso di sistema. Ha detto don Vinicio: "Un'altra volta invitiamo gli editori". Sì, invitiamo gli editori, ma invitiamo quanti in qualsiasi modo - probabilmente noi per primi - possono intervenire per cercare di modificare questo sistema, questo tipo di cultura. In cui tutti, poi, sono "costretti" a rispettare delle regole.
Le regole del mercato sono quelle che sono. Se accettiamo questo libero mercato così rampante abbiamo un certo tipo di giornalismo, con un circuito dal quale è difficile sfuggire.
(...) Mirta Da Pra ha fatto una delle relazioni più stimolanti. Gli spazi sui giornali...Io non sento mai dire una cosa, nemmeno dagli addetti ai lavori: che i giornali hanno degli spazi ascritti, preassegnati. Io le quattro pagine di sport ce le ho e anche se oggi non ci sono stati grossi avvenimenti me le gestisco come mi pare; gestisco le quattro pagine dello spettacolo, dell 'economia, e così via. Avendo questo spazio, magari, colgo l'occasione per metterci il pezzo raccomandato dal diret­tore, ma comunque le pagine sono le mie e io non cedo spazio.

In questa sistematizzazione - questo è un discorso tecnico che noi giornalisti dovremmo fare più spesso - se voi vedete quale spazio è riservato, per esempio, a questo convegno...è zero. Perché resta nelle cronache italiane o negli interni dove ci sono delle zoomate sulla realtà: il grosso fatto di sangue, il grosso omicidio - e questo rispondendo al mercato può essere, da un punto di vista editoriale, una scelta pagante - e poi non c'è più spazio per i convegni, non c'è più spazio per quasi nulla.
Le agenzie danno ogni giorno un migliaio di notizie, i giornali ne pubblicano una decima parte. Il proble­ma non è più quello di acquisire l'informazione. Il problema è di selezionarla. Noi abbiamo un cestino che è fatto con il 90% delle informazioni che danno le agenzie. E le agenzie già ne danno una terza parte: noi riceviamo circa 3.000 notizie al giorno, ne diffondiamo 6-7-800 (non arriviamo a mille), i giornali ne pubblicano il 10%. Quindi il vero problema dell'informazione è come selezionarla. E naturalmente sul come ci possono essere cattiva fede, mancanza di coscienza professionale, come dice Di Cicco, ma ci può essere anche l'umano errore.
"Le notizie continuano", dice Da Pra. Sì, ma il mercato risponde: "Le notizie invecchiano". Perché chi di voi partecipa alle riunioni di redazione con il direttore, ogni giorno, al terzo giorno, al massimo, in cui si parla della stessa notizia si sente dire: "Eh, ma basta! Ormai ci hanno scocciato!" Quante volte ce lo sentiamo dire, a meno che non sia un fatto grossissimo da prima pagina? Quindi anche qui il problema del mercato.
Formazione o informazione? Dobbiamo farci cari­co della formazione, e quindi dei problemi morali che essa comporta, e dire che è giusto dare al lettore questa notizia, approfondirla, dare un risvolto, vederne la corni­ce? Oppure no, soltanto informazione cruda perché il mercato questo chiede?

Da Pra ha detto: attenzione ai giornalisti che opera­no nel sociale (nei confronti del volontariato). Di Cicco è andato oltre, approfondendo il discorso della coscienza critica: non legittimare troppo, mi pare di aver capito, questo volontariato. Giustissimo. lo dico però una cosa: qui si hanno le idee piuttosto confuse su cosa sia volon­tariato. Don Vinicio, don Gelmini, don Picchi, don Ciotti...per me, che sono un credente, siete tutti santi. Cioè voi fate un'opera santa. Ma il volontariato non è questo! Tu lo fai perché sei un sacerdote, sei molto più bravo degli altri sacerdoti che non lo fanno, però non è volontariato. Perché qui tu hai delle persone, sante anche loro, ma alcune hanno una retribuzione, altre sono assi­stite...
Il volontariato è: gratuità e continuità. Questo lo dobbiamo avere chiaro. Perché se io prendo una volta all'anno il treno per andare ad accompagnare gli handi­cappati a Lourdes e poi scrivo nella scheda dell'Istat che sono un volontario, beh secondo me faccio un abuso. Io ci vado da tanti anni a Lourdes, e anche a Loreto, però non mi ritengo volontario, perché ci vado tre giorni all'anno per scaricarmi la coscienza.
E allora il volontariato qual è? E' il piccolo volontariato. E qui voglio rivolgermi a Di Cicco, perché non ho capito bene fino a che punto questo setaccio fino va applicato."
"Guarda che c'è tanto eroico volontariato piccolo che veramente è sconosciuto e che non riesce ad avere neanche dei piccoli rigagnoli dei grossi finanziamenti che vengono al 95% assorbiti dal grande volontariato; il quale, come abbiamo detto, può essere santo anche da un punto di vista sociale però, secondo me, non sempre ha una qualifica e può essere appunto così qualificato.
Infine volevo segnalarvi che c'è una rivista gratuita che si chiama Alfa e che è datata, stampata tempo addietro, fatta da ragazzi che hanno molti problemi, tra l'altro anche culturali, quindi ci sono dentro forse degli sbagli, però se ve la prendete fate una cosa grata a tanta gente, dato che è gratis e che è il frutto di un volontariato piccolo di chi crede. Grazie."

Irene Merli - Vera (Milano)*

"Abbiamo vissuto - non so se in un piccolo gruppo, comunque con gli altri che hanno parlato ieri con me - dei momenti di difficoltà; perché, come dire, chi esce, cresce. Fantastico. Ci piacerebbe tantissimo crescere. Non riu­sciamo ad uscire, io parlo del mondo femminile che conosco bene, perché nei giornali c'è un verticismo pazzesco. C'è un verticismo che probabilmente c'è sol­tanto nell'esercito. Abbiamo pochissimo spazio per pro­porre. Abbiamo delle grosse difficoltà ad uscire.
Non ci danno più, perlomeno nella mia testata, le testate straniere perché costano troppo. Per essere più pratici noi abbiamo delle difficoltà a fare bene il nostro lavoro, anche volendolo fare bene. Perché è vero che abbiamo tanti colleghi che lo fanno male, ed è vero che probabilmente qualche volta l'abbiamo fatto male anche noi perché abbiamo tirato dritto, però ci sono veramente delle grosse difficoltà,a cercare di fare un lavoro critico. Perché fare un lavoro critico vuol dire metterci di più e spenderci di più. E questo non è un discorso popolare.
E' vero che il sindacato non ci ha riflettuto molto fino a questo momento, perlomeno il sindacato nelle sue vesti ufficiali, e che sta cominciando a rifletterci, anche, perché c'è una disoccupazione enorme e si comincia a reinvestire anche sui discorsi della professionalità. E' vero che anche l'Ordine non ci ha riflettuto molto.
Mi dispiace che non ci sia il segretario nazionale perché francamente nella Carta dei doveri, che è stata sottoscritta a luglio ed è stata dichiarata ufficialmente vigente da ottobre, beh noi - come diceva ieri la direttrice di Aspe - non abbiamo nessuna sanzione. E questo perché? Secondo il segretario dell'Fnsi, re­centemente sollecitato sull'argomento, perché non ci sono i soldi per il giurì, cioè non ci sono i soldi per organizzare la commissione che possa vedere chi sbaglia. E quindi è una Carta che è carta morta perché fondamentalmente, come tutte le carte fatte fino a questo momento, compresa la Carta di Treviso, è una carta che regolarmente i colleghi si mettono sotto i piedi.
Allora sicuramente dobbiamo impegnarci noi.
Però c'è anche molto bisogno della società civile. Abbiamo bisogno degli operato­ri, qui ce ne sono tanti, andrebbero denunciate tutte le notizie date male. Un sacco di volte si vedono delle cose pazzesche sui minori, riguar­do la salute ecc., che passano tranquillamente. Probabilmente i direttori comincerebbero a riflettere se ricevessero una valanga di querele, perché poi ci sono anche dei discorsi di costi.
Aiutateci anche a formare degli osservatori, fatti da noi e voi, che sarebbero una cosa interessante e potrebbe­ro essere utili anche a livello di documentazione. E poi (ripeto, mi dispiace che non ci sia il segretario dell'Ordi­ne) l'Ordine dovrebbe vigilare molto, molto di più su tutti quelli che sono i nostri errori deontologici. Quindi riassumendo, e credo di essere stata anche un po' confu­sa, io dico: aiutiamoci noi ma aiutateci anche voi, per favore".

Paolo Mori e Antonietta Serani - La Strada (Pisa)*

"Io sono delegato dalla collega in virtù del vertici­smo e del maschilismo regnante. Non vorrei che il nostro brevissimo intervento appaia un pochino riduttivo rispet­to a quelli che ci hanno preceduto. Io mi sono segnato, come redattore de La Strada, volutamente, anche se sono giornalista part-time all'Ansa, perché volevo suggerire a questa assemblea una cosa. Noi vedremmo molto bene un coordinamento almeno di tutte le testate, chiamiamole "minori" ma non in senso dispregiativo, che il mondo del volontariato e delle cooperative sociali non sta produ­cendo in questo momento in Italia.
Questo soprattutto per un motivo semplice, che è quello di far veicolare in maniera più capillare ricchezze e risorse, professionalità che nelle varie redazioni esisto­no. Molto probabilmente La Strada, che è un mensile nato a settembre, non ha la forza di farsi conoscere fuori dalla diocesi di Pisa, o fuori dalla provincia di Pisa. Ma Partecipazione non credo che abbia un abbonato in provincia di Pisa. Sì? benissimo, uno omaggio ce l'ha.
Quindi un intervento pubblicato da Partecipazione può essere benissimo girato sulla nostra rivista oppure potremmo noi chiedere allo stesso redattore o specialista che ha firmato quel pezzo un nuovo intervento su quel­l'argomento, così che le sue conoscenze, il suo messaggio soprattutto, può essere in qualche modo fatto conoscere anche in una realtà che è diversa da quella marchigiana o laziale, emiliana ecc.
Non so se ciò è possibile, non ho ancora pensato a come potrebbe esser fatto questo coordinamento. E' un piccolo sasso lanciato in uno stagno: vediamo se abbiamo, don Vinicio, la forza di raccoglierlo, di rifletterci, di creare magari una struttura capace di poterlo realizzare" (...)

Marco Ceccarini - Tirreno (Livorno)*

"Ne abbiamo parlato abbondantemente in questi due giorni. Credo che il problema fondamentale sia appunto quello delle fonti, perché un'istituzione o un partito politico accede in modo molto più semplice, con dei riscontri maggiori, ai mezzi di comunicazione. Que­sto, secondo me, è un problema essenzialmente di comunicazione con i mezzi di informazione. Per questo io pensavo, sentendo questi dibattiti in questi giorni, che forse occorrerebbe anche educare e sostenere economica­mente delle iniziative che possono essere sia delle agen­zie di informazione, sia anche dei giornali, delle riviste essenzialmente di carattere locale e regionale, perché credo che questo tipo di informazione debba essere fondamentalmente radicato nel territorio.
E per far questo chiaramente occorrerebbero delle leggi specifiche, che purtroppo però mancano sia a livello nazionale che a livello regionale. Io vengo da una regione, la Toscana, che pur prevedendo nel suo statuto la possibilità di una legge regionale per l'informazione, di fatto sono venti anni che non è attuata perché non esiste, pur essendoci vari progetti di legge ecc. Io credo che attraverso certi meccanismi legislativi potrebbe esse­re seriamente incentivato un tipo di informazione che altrimenti è difficile ed anche molto costoso fare. Io prima sentivo con attenzione l'esperienza di questi ragazzi di Pisa che fanno il giornale La Strada. Ecco, iniziative come queste forse potrebbero trovare in leggi specifiche regionali dei supporti e dei meccanismi per poter vivere.
Io credo che l'informazione sociale avrà un futuro anche se avrà dalla sua parte strumenti legislativi che possono garantire degli incentivi economici. Questo credo che sia un qualcosa che deve essere conquistato".

Graziano Maino - Fuori Orario (Milano)*

"Vorrei suggerire un'integrazione al documento: cioè, dove si parla della difficoltà di Aspe e delle altre agenzie, di introdurre anche le riviste del volontariato e delle associazioni, nel senso che hanno lo stesso identico problema. Infatti volevo semplicemente sottolineare i problemi che hanno i periodici, le riviste, i bollettini delle associazioni, dei coordinamenti e delle comunità. Hanno problemi di carattere organizzativo, che sono stati in parte ricordati, fondamentalmente di diffusione; e in parte credo che si debba poter aprire un ragionamento, una discussione in merito all'uso della pubblicità.
Abbiamo anche problemi più legati al coordinamen­to: quello della documentazione, del trasferimento, diffu­sione, scambio, informazione di notizie, cioè la circolarità sia delle fonti che delle acquisizioni e delle riflessioni. In particolare vorrei sottolineare come i bollettini, i periodici, le riviste siano strumento non soltanto di informazione ma strumento anche di formazione per gli operatori. Qui raccolgo sotto il termine operatori - mi sembrava che ci fosse molta confusione nel primo intervento - le persone che professionalmente si occupano di sociale nei più diversi livelli, ma intendo anche il volontariato.
Conseguentemente dobbiamo tener conto anche di questo aspetto. Cioè un pubblico specifico, un bersaglio specifico che legge queste riviste, che su queste riviste si forma, che attraverso queste riviste discute. In questo senso le persone che scrivono, i redattori, i vari interventi, necessitano sempre di possibilità di approfondimento e di informazione proprio nel fare gli articoli, nel trasmettere riflessioni e informazioni. Grazie".

Andrea Chioini - Sede Rai Umbria, Tgr (Perugia)*

"C'è da inventare un metodo per chiamare alle proprie responsabilità ciò che scrivono, titolano, eviden­ziano o nascondono tutti e tutte coloro che producono notizie. Ho da poco sentito che Aspe sta già realizzando un repertorio delle "storture", delle superficialità, delle banalizzazioni trasformate in brodaglia mass-mediologica. Una banca dati di controllo perennemente consultabile dal cittadino/utente.
Sono convinto che oltre il livello al quale siamo arrivati, anche come fatto di coscienza personale di chi lavora nei mass-media, non credo che - alle condizioni date - si possa valicare la frontiera ormai toccata. Cioè, noi possiamo metterci tutta la buona volontà, tutto il nostro desiderio per scalzare magari quel verticismo di cui parlava la collega della testata cosiddetta femminile, ma oltre questo livello non si può andare se non troviamo gli alleati, ovvero coloro che leggono e che possono criticare, magari nel privato, quello che leggo­no o che ascoltano dal video.
Se non sviluppiamo delle funzioni di controllo e di verifica di quello che è il lavoro fatto, sono convinto che non sfioreremo la situazione esistente. Se le persone che leggono, che guardano la Tv non sono in grado di ridare un segnale di apprezzamento o di critica - che non è certamente L'Auditel, o la quantità delle copie vendute - su quello che effettivamente viene fatto - non credo che andremo oltre il livello che abbiamo toccato.
Penso ai materiali che debbono essere messi a disposizione delle scuole e delle università, dove aumen­ta ogni giorno il numero delle persone che fanno ricerca sulla comunicazione. Credo che le scuole e le università siano il luogo dove si concentri il maggior numero di potenziali alleati per chi ha a cuore un modo corretto di fare informazione.
E poi, come dicevo prima alla collega, rifletterei ancora di più sul ruolo dei colonnelli nelle redazioni. E non a caso lei ha parlato di un'organizzazione militare: ci sono i colonnelli in redazione che sono i capiservizio, i capi redattore, sui quali, secondo me, debbono essere esercitate le pressioni dall'esterno. Perché essi sono sempre anonimi quando scrivono; come ho sentito citare (il titolo) "ammazzato un uomo e un marocchino a Trieste" o qualcosa del genere, è probabilmente (opera di) uno di questi colonnelli completamente anonimi che stanno nelle redazioni e combinano questi guai. Ecco, sul loro appiattimento, la loro tendenza ad assecondare quel­la che è la brodaglia, io penso che una riflessione e degli alleati vadano trovati".

Beatrice Luccardi - ASCA (Roma)*

"Io volevo solo chiedere di riflettere sull'aspetto linguistico. Il professor Ascoli, ad esempio, nel suo intervento ha detto: "Io non userei mai il termine razza". Effettivamente si può sostituire più correttamente con gruppo etnico, etnia, nazione, origine, a seconda dell'esatta collocazione. Io credo che se viene comunica­ta male, una buona notizia può fare altrettanto danno rispetto ad una notizia non tanto buona.
L'altra osservazione è rispetto a come definire, questo è molto specifico, il setaccio sul volontariato. Io ho la fortuna di collaborare con l'Asca e mi è capitato di fare una serie di otto interviste ai maggiori esponenti del volontariato nazionale, tra cui don Vinicio, Maria Eletta Martini, don Benzi, ecc.: sono emerse otto risposte diverse. Quindi il non qualificare, il non riuscire a collocare la situazione crea, secondo me, dei problemi nello spiegare ad altri".

Nicola Perrone - Partecipazione (Comunità di Capodarco - Roma)*

"Tre cose molto in breve. Una per quanto riguarda i contenuti e i metodi dell'informazione. Abbiamo detto non solo notizie. Mi sembra che sia fondamentale inse­rirsi in un discorso di approfondimento, di contestualizzazione dei fatti, di analisi delle cause: non possiamo solo dire che al disabile a Catania hanno tolto la barriera architettonica, dobbiamo dire qual è la situazione sociale a livello locale, qual è la situazione economica, ecc. Quindi (occorre) un salto qualitativo a livello culturale e politico, con uno stile divulgativo, non da specialisti, non per parlare solo tra di noi.
Seconda cosa: mi sembra che momenti come que­sto convegno, se vogliamo parlare di formazione, non devono rimanere così isolate, ma avere una continuità che si inserisca in un filone di multidisciplinarietà. Quindi non solo giornalisti, non solo operatori del sociale, ma allarghiamolo agli opera­tori della comunicazione, al mondo culturale, al mondo dell'università. Dal nostro punto di vista, comunque.
Terza cosa: proposta concreta per quanto riguarda il Cnca, ma anche tutta l'area movimentista editoriale qui presente, e mi inserisco anche nel filone delle propo­ste di Mirta: se abbiamo l'esigenza di non fermarci ad oggi ma guardare avanti, bisogna andare verso la creazio­ne di un osservatorio permanente sui mass-media, politi­che sociali, mondo del disagio. Questo osservatorio - butto lì alcune proposte concrete - potrebbe fare per esempio ricerche approfondite in termini di sociologia della comunicazione per quanto riguarda l'analisi del contenuto di ciò che viene pubblicato; quindi in termini scientifici, e in questo senso (avere) un collegamento più stretto col mondo universitario. Ogni anno si potrebbe identificare un argomento chiave, per esempio tossicodipendenze, povertà, stato sociale, e su quello lavorare in maniera approfondita facendo l'analisi dei mass-media (qui si è parlato molto di quotidiani e di riviste ma io non escluderei la televisione che mi sembra un elemento fondamentale in termini di analisi critica). Per conclude­re tutto questo lavoro con un convegno da fare ogni anno, che può essere intitolato "Un processo a questi mass-media", creato come un vero e proprio processo, con difesa, con pubblico ministero, con sentenze e tutto quanto. Potrebbe essere un'occasione anche per aggrega­re maggiormente il pubblico, o comunque gli operatori che di solito sono distratti da quelle che sono le nostre cose.
In conclusione: come possiamo inserirci nei pro­cessi di trasformazione? Avevo letto il libro di uno scrittore, qualche anno fa, che diceva che questo mondo così com'è vale la pena di essere vissuto soltanto in quanto può essere cambiato. Credo che questo oggi sia il nostro ruolo fondamentale. Grazie".

Letizia Cesarini Sforza - Esclusione e Soli­darietà (Roma)*

"Io vorrei presentare il "Forum permanente su Sviluppo umano e lotta all'esclusione sociale" che è stato formato a Roma il 4 e 5 febbraio scorsi da tre organizza­zioni: "Povertà 3", che è uno dei programmi comunitari di lotta alla povertà della Comunità Europea; "Prodere", che è un programma delle Nazioni Unite sui rifugiati in Centro America; e il "Cilap", che è il Coordinamento Italiano di lotta alla povertà. Cito questi tre primi inizia­tori del forum per indicare che è un tentativo di lavorare insieme a organizzazioni e movimenti di cittadini, che hanno le stesse pratiche sia in Sud America che in Italia e in Europa.
Parlerò soltanto tre minuti di quello che il forum sta facendo e intende fare rispetto all'informazione. La prima cosa di cui ci siamo resi conto lavorando nel forum è che sono una miriade le organizzazioni grandi e piccole che lavorano su questo campo, che non si conoscono tra di loro, o solo a spezzoni e che non sono mai state sistemate. Quindi è molto difficile a questo livello riuscire a trasmettere l'informazione giusta.
Io mi rendevo conto qui, quando si parlava del volontariato (che cos'è, passa tutto attraverso il volontariato e così via) di quanto non si abbia una visione totale dell'esistente. E questo è uno dei primi grossi lavori che sta impiantando il forum e su cui sta lavorando ora: un censimento dell'esistente sulle organizzazioni che lavo­rano (volontariato, movimenti di cittadini, cooperative) e delle risorse già esistenti, perché c'è un calderone incredibile.
Le risorse esistenti in Italia e le risorse esistenti a livello CEE: voi sapete benissimo che le risorse dei fondi strutturali per l'Italia vengono rimandate indietro per il 60% perché non ci sono le informazioni. Il forum ha portato avanti un primo dossier, che io intendo presentare qui, su tutti i fondi strutturali CEE rilevanti per le politiche sociali. E' un primo avvio e noi intendiamo continuare ogni 2 mesi ad illustrare come l'Italia usa questi fondi.
Tra i vari programmi di solidarietà lanciati dalla CEE ci sono i fondi Povertà 4. Bene, vediamo come vengono usati questi fondi in Italia, se sono stati usati. Sappiamo che la maggior parte delle organizzazioni non fa progetti perché non sa dove presentarli e questo è un servizio che il forum intende portare avanti d'ora in poi. Per il primo dossier c'è Aspe, e dovrebbe essere messo in stampa entro poco tempo.
Sempre giocando sulla trasparenza, un altro lavoro che abbiamo fatto con il forum è stato sull'uso dell'8 per mille in gestione diretta dello Stato. Dovrebbe essere usato per l'interesse sociale, a carattere umanitario: sia­mo venuti a scoprire che quei soldi vengono dati alla mostra dell'arte cinematografica di Venezia, agli studi filosofici di Napoli... Abbiamo avuto fortuna in questo perché adesso siamo al momento del 740, per cui è stato rilanciato su tutti i giornali. Abbiamo scritto una lettera aperta a Berlusconi e quindi per conoscenza ai ministri competenti, non so come sono andate a finire le cose perché la lettera è stata spedita l'altro ieri e io poi sono venuta qui.
Per concludere sul lavoro del forum, abbiamo an­che un bollettino che è nato come Povertà 3 e che proseguirà adesso come portavoce del forum.
Il problema della rappresentatività che noi abbiamo rispetto ai media passa anche attraverso la nostra fram­mentazione, da come noi ci presentiamo ai giornali. Dicevano 10.000 notizie: forse bisognerebbe cominciare ad avere dei portavoce (il forum Io sta tentando); non dico una voce sola, viste tutte le nostre differenze, ma almeno garantirci una rappresentatività attraverso degli organi­smi di collegamento tra di noi. Grazie".

Vincenzo Varagona - Segretario Assostampa Marche (Ancona)*

"Una riflessione: pensavo in questi due giorni al distacco profondo che c'è tra i contenuti di cui parliamo noi 150 e la realtà profonda della categoria. E parto da un esempio: quattro giorni fa, e siamo già alla quarta puntata della telenovela, un quotidiano qui nelle Marche pubbli­ca la notizia falsa di un funerale mai esistito. Tra le risate generali, il giorno dopo insulti dell'altro quotidiano concorrente, in neretto, riquadrato ecc. Il giorno dopo insulti dell'altro quotidiano. Oggi, quarta puntata e do­mani chissà. Sfogliavo per cercare qualcosa su Capodarco. A parte l'Ansa, non c'è niente. Pigrizia oppure paura anche nell'affrontare temi come questi? Paura di interro­garsi sulla nostra professione?
Nei due anni in cui ricopro questa responsabilità, mi sono accorto che c'è una grande difficoltà nell'inter­rogarsi sui motivi della professione, per poi arrivare anche a questi risultati. Ne parlavamo con Di Cicco un mese fa in un incontro analogo che abbiamo avuto a Civitanova Marche. Un ritmo vorticoso che ti prende, ti assorbe, soprattutto nei piccoli giornali, ti fa lavorare anche 14 ore al giorno, e alla fine non ne esci fuori. E qui la sintesi: parliamo di tante cose, parliamo di giurì, parliamo di doveri. Io mi rendo conto lavorando con decine di colleghi qui nelle Marche che grande parte della categoria pensa che, per esempio, il diritto al silenzio reclamato a Torino da alcune colleghe sia autolesionismo professionale: non ce lo impongono gli altri, perché ce lo dobbiamo imporre noi? Che l'autoregolamentazione nella categoria sia una pratica suicida, comunque che non si accetta assolutamente nessuno che giudichi la tua professione dall'esterno. Penso alla famosa polemica su come comporre i giurì: soltanto da giornalisti, magistrati, docenti universitari... Proprio nelle Marche è stato istitu­ito dall'Ordine il giurì. Un'unica decisione è stata presa: i due chiarissimi docenti universitari hanno pensato seriamente di abbandonare perché il quotidiano che è stato preso di mira, dopo un appello di 40 colleghi, per un incidente stradale pubblicato con gigantografie di morti ammazzati, sangue e così via, il direttore di questo giornale ha insultato e minacciato pesantemente i membri del giurì. E credo che le Marche non siano un caso isolato.
Allora la  paura è che non ci fermeremo negli scempi fino a  quando non sarà troppo tardi. Penso anche che il clima sindacale, con la nuova era che si sta aprendo, non ci porterà molto lontano. Non credo che le cose cambie­ranno in meglio insomma. Penso allora a quanto lavoro ci sia da fare. Nella nostra piccola realtà abbiamo già avviato da un anno il patto giornalisti utenti. Dopo qualche mese è miseramente naufragato: perché? Penso sia stato per la  pigrizia della categoria, ma anche per un altro elemento: la scarsa capacità anche dell'opinione pubblica ad assalire i giornalisti quando sbagliano. C'è uno scollamento tra opinione pubblica e colleghi che lavorano. Quante volte c'è reattività di fronte a questo modo di fare giornalismo?
Due proposte che accennavo prima a Vinicio. La prima è coinvolgere i colleghi che non vengono. Voglio dire: qui nelle Marche siamo 150 professionisti, e a questo convegno saremo 7-8, neanche 10.
Allora io credo che sia il dibattito sul giornalismo locale (che abbiamo fatto un mese fa a Civitanova Marche), sia questo vadano propinati in qualche modo, con atti ecc., siano materia di riflessione, non si limitino soltanto ad un'occasione che comunque non viene sfruttata. Allora vedremo, come sindacato, oltre agli atti, di fare un documento che sia materia di riflessione per tutti i colleghi e lo invieremo. Poi, se servirà come strumento, anche nelle altre regioni, siamo dispo­nibili a fare uno sforzo un po' più ampio.
Seconda cosa: abbiamo in cantiere un'agenda marchigiana del giornalista, per fare un servizio anche per il giornalismo sociale con una parte di indirizzi, di recapiti, di riferimenti che i giornalisti cercano alla fine per approfondire, per documentarsi, per la capacità di inchiesta. Perché il giornalismo sociale, diceva prima un collega, è il modo di fare il giornalista, sia in politica, sia nel sindacale che in altro: nell'agenda ci sarà una parte di numeri dedicati al giornalismo sociale". 

Domitilla Conte - Ansa (Trieste)*

"Intanto volevo ringraziare chi ha organizzato que­sto seminario che ci ha dato degli importanti strumenti di riflessione su cui credo occorrerà lavorare ancora. Vole­vo soltanto aggiungerne un paio.
Uno è quello del livello sindacale (su cui mi ha anticipato in parte il collega che ha parlato prima), che secondo me deve essere necessariamente coinvolto in questo dibattito. Si è detto della impostazione verticistica dell'organizzazione del lavoro nelle varie testate che consente a noi, umili redattori ordinari, solo di cercare di fare seriamente il nostro lavoro e al più di fare delle proposte che comunque non hanno nessuna possi­bilità di essere accettate se la linea editoriale è un'altra. In particolare, come saprete, all'Ansa abbiamo una ver­tenza in cui i nostri soci proprietari stanno cercando di imporre una filosofia di mercato che ha portato alla redazione di un piano di ridimensionamento che sostan­zialmente esclude l'informazione sul sociale e sul sinda­cale, o quantomeno ne prevede una grossissima riduzio­ne. Questo secondo noi è molto grave.
Crediamo che il ruolo delle agenzie in questo tipo di informazione sia fondamentale; anche perché, ovvia­mente, il lavoro di tutte le varie riviste specializzate e lo sforzo delle associazioni sono importantissimi, però rischiano di rimanere in un ghetto se poi le notizie non arrivano alle grandi testate. In particolare l'Ansa ha un'articolazione capillare sul territorio unica nel suo genere e questo è, secondo me, un patrimonio di tutti che non può essere sacrificato. Aiutateci a difendere questo strumento perché temo che nei prossimi mesi diventerà sempre più un problema di tutti. E vorrei fare un appello ai colleghi: a parte il discorso sindacale c'è anche da parte nostra, che siamo più sensibili a questi problemi - perché siamo qui - la necessità di chiedere un coinvolgimento più forte dell'Fnsi su una maggiore democrazia partecipativa all'interno dell'organizzazione del lavoro giornalistico. Ovviamente vanno richiamati ai loro doveri sulla tutela di questo tipo di informazione il Governo, le case editrici, ecc. Non ce lo dimentichiamo: abbiamo un duopolio e possiamo fare tutte le rivistine che vogliamo ma finché la situazione è questa, l'informazione circolerà sempre nello stesso modo.
Un grosso problema che secondo me possiamo affrontare anche noi con i nostri poveri strumenti, che poi tanto poveri non sono, è quello della concorrenza. La concorrenza tra le testate è quello che porta purtroppo, il più delle volte, a mettere il mostro in prima pagina. E' una cosa che brutalizza la cronaca, costringendoci ad essere superficiali, a non contestualizzare come giustamente invece è stato auspicato qui. Brutalizza anche l'informazione, brutalizza i rapporti tra di noi. E qui torno in parte al discorso sindacale - mi scusino i giornalisti perché forse troveranno questo discorso un po' troppo da addetti ai lavori. Però la tutela del posto di lavoro, per esempio, è un fatto sociale, rientra a pieno titolo tra i temi del disagio. Ovviamente non si tratta soltanto di tutela del posto di lavoro, si tratta anche della qualità del lavoro, della qualità della vita.
Ecco, su queste cose purtroppo nella categoria la solidarietà sta sparendo. L'Fnsi non è in grado di promuovere uno sciopero generale neanche di fronte alla minaccia che l'Ansa chiuda, che la Rat venga ridimen­sionata. Ora, purtroppo, molti di noi sono disillusi e hanno anche perso ogni speranza che l'Fnsi diventi sensibile a questi temi. Ecco, l'appello è a riacquistare questa speranza, a cercare di lavorarci. E' anche succes­so, purtroppo, in occasione di nostri scioperi che altre agenzie - qui lo voglio dire senza alcun intento polemico, ma con una preghiera di pacificazione in questa platea, che è riuscita ad unire iniziative di ispirazione cattolica ma anche non cattolica nella ricerca di temi comuni su cui lavorare - hanno raddoppiato la vigilanza mentre l'Ansa scioperava. Se parliamo di solidarietà con il disagio, con i più deboli e di tutti questi temi, non possiamo poi dimenticarcene quando dobbiamo pensare se il nostro giornale venderà più copie o arriverà per primo, o quando dei colleghi scioperano per la difesa dei posti di lavoro. Grazie".

Alessandro Scaglioni - Radio CNR (Milano)*

"Io volevo fare soltanto una proposta che riguarda la formazione. Nel documento, nella bozza che stava preparando Mirta, c'è un discorso di preparazione, di formazione. Credo che, con l'aria che tira, sia uno dei pochi settori dove possiamo lavorare; perché possiamo fare gli osservatori, possiamo fare quello che vogliamo, ma quando abbiamo un garante che deve controllare il Governo il cui presidente ha in mano l'informazione, diventa un po' difficile.
Sulla formazione, nel programma per l'esame a Roma di ammissione all'Ordine, c'è tutta la parte che riguarda i codici di autoregolamentazione. I colleghi professionisti, quando chiedi che cos'è la Carta di Treviso, ti dicono: "Ah, quella cosa che riguarda i bambini. Probabilmente l'han fatta negli anni '70...", e non sanno di che cosa si tratti. Un controllo che funziona su questo inizia ad esserci, perché da Roma è iniziato a funzionare un osservatorio. Ad una collega che ultimamente aveva scritto il nome di una bimba violentata dal padre sono stati dati, mi sembra, 5 o 6 mesi di sospensione. Queste cose diciamole! Volevo dirlo a Gigotti: non c'è, lo dico a don Vinicio. Spieghiamo queste cose, diciamo all'Ordine che venga messa insieme ai libri che vengono distribuiti per la preparazione (nel programma d'esame c'è) e che venga chiesta la Carta di Treviso: perlomeno chi andrà a fare questa professione ne saprà un pochino di più".

Marco Vitanza - Televideo Rai (Roma)*

"Due brevi spunti di riflessione. Ho sentito più interventi, di Stefano Ricci e altri, che parlavano del ruolo e dell'importanza delle leggi. Altri colleghi dicevano che su alcuni campi di intervento mancano le leggi, le norme, quindi lo stato di diritto ecc. Io credo che su questo fronte, su questo settore, il redattore sociale, quindi, come dire, quella funzione di coscienza critica che altri hanno segna­lato e sottolineato, sia molto carente.
E' molto carente perché, secondo me, l'informare sui meccanismi, sui modi, sulle norme e sulle leggi è soltanto un primo passo, non è tutto per chi fa informa­zione sociale, quindi per il redattore sociale. Nel senso che io ritengo che il redattore sociale, oltre a dover informare sull'importanza e sul ruolo delle norme, e quindi su come funzionano anche le istituzioni, deve essere più tosto di altri, più duro e convinto, più deciso di altri: cioè deve andare a verificare, deve seguire su un argomento, su un settore, su un campo di intervento che fine, che tipo di attuazione hanno queste leggi.
Perché sennò il rischio è di perpetuare una richiesta continua di regolamentazione, di garanzie per i cittadini, ecc., senza che poi si vada a fare un bilancio su questo tipo di cose. Io voglio fare un paio di esempi che mi sembrano emblematici. Si è parlato"tantissimo, qui, di minori: informazione e minori, il minore cittadino, i minori da tutelare ecc. Sui minori, lo Stato e le istituzioni sono stati assenti, l'informazione ha delle carenze, ha delle colpe, delle responsabilità. Nel 1991 c'è stata, credo, l'unica legge operativa che prevedeva il finanziamento e quindi la possibilità anche per il mondo del volontariato, dell'as­sociazionismo, ecc., di attivare dei piani di recupero per i minori a rischio criminalità nel Mezzogiorno e per il disagio minorile più in generale nelle altre regioni d'Ita­lia. A tutt'oggi è l'unica legge che si occupa di questo problema. E' una legge carente, che ha tutta una serie di cose che non funzionano; comunque è l'unica legge. Mi ricordo che quando è stata approvata questa legge se ne è parlato per un po' sui giornali, sui media, sembrava una piccola panacea su questo fronte. Da allora, il silenzio assoluto. A me non risulta che istituzioni, stampa o informazione di alcun genere si siano mai preoccupati di andare a fare una riflessione sui fatti, sui dati, su che fine ha fatto questa legge. Su che fine hanno fatto questi soldi che noi tutti, come cittadini prima ancora che come redattori sociali, abbiamo tirato fuori. Lo Stato ha stan­ziato dei soldi, pochi, per dei progetti, alcuni buoni, altri meno buoni; ma, ripeto, nessuno è andato a verificare se questi progetti sul recupero dei minori a rischio hanno avuto successo o se sono stati dei soldi buttati.
Secondo esempio: si parlava molto di formazione. La scuola, il valore, il significato della formazione per la crescita, la democrazia, ecc. Nel 1993, quindi non dieci anni fa ma all'inizio di questo anno scolastico, per la prima volta c'è stata un'intesa tra la Commissione parla­mentare antimafia e il Ministero della pubblica istruzione che ha poi portato ad una circolare a tutti i Provveditorati agli studi e quindi a tutti gli insegnanti, ai presidi, ecc. per inserire nei programmi scolastici, in forme diverse, la riflessione degli studenti e quindi delle nuove generazio­ni, sui temi della cultura della legalità, che è l'elemento decisivo, fondamentale per la formazione dei cittadini di oggi e di domani. Benissimo. Ma anche su questo fronte a me non risulta, adesso che è finito l'anno scolastico, che nessu­no, né istituzioni scolastiche, né ministro, né commissione parlamentare (purtroppo poi è finita la legislatura e quindi alcune cose sono rimaste forse sospese) si sia occupato di an­dare a verificare questa circo­lare - contrabbandata all'ini­zio dell'anno scolastico come una grande rivoluzione nel mondo della scuola - che tipo di risultati ha ottenuto.
Sempre su questo fronte, mi risulta ad esempio - qual­che anno fa abbiamo fatto un po' di informazione, ci abbia­mo provato a parlare di queste cose - che nelle regioni meri­dionali (ieri la direttrice di Aspe ha fatto un intervento impor­tante ed ha innestato in questa riflessione nostra anche il tema della criminalità, di che cosa significa l'oppressione criminale in alcune regioni del meridione ma anche in tutto il Paese) ci sono tre leggi. In Sicilia, in Campania, in Calabria, con un passo avanti rispetto alla direttiva di inizio anno, alcune leggi regionali prevedono corsi di approfondimento, corsi di sensibilizzazione per inse­gnanti e studenti sempre su questi temi. Sul tema della cultura anti-mafia, le regioni oppresse dal fenomeno hanno cercato di dare una risposta.
Su queste cronache, su questi dati di fatto, su questi strumenti che esistono, non sulle cose che non ci sono, su cui è giusto attivarsi e vedere che cosa può succedere, ma sulle cose che esistono, purtroppo il redattore sociale - e questa è una forma di autocritica che faccio anche a me stesso - non ha fatto un passo in più. Il redattore sociale non deve essere soltanto coscienza critica dell'esistente e di cosa è successo, ma deve essere coscienza critica, nel senso che deve seguire un iter e deve portarlo avanti con assoluta convinzione e coerenza.
L'ultimo esempio che mi viene in mente sul rischio di continuare a perpetuare l'autocommiserazione; sem­pre sul fronte della criminali­tà, che mi sembra non sia com­pletamente astrusa dalle cose che stiamo dicendo. Negli anni scorsi sì è parlato, tutti vi ri­cordate, della legge anti-racket che doveva risolvere il fenomeno delle estorsioni. Gran­di campagne di stampa, gran­de pubblicità nella legislatura scorsa. Approvata la legge, di questa legge non si è più parla­to, come se il fenomeno non esistesse più. Questa legge è di fatto male applicata, perché a me non risulta che ci sia un solo caso di commerciante che, subìta un'estorsione, sia stato parzialmente risarcito del danno. Di questa legge non si parla più come se il fenomeno fosse finito. E' ovvio che la situazione non è assolutamen­te in questi termini: cioè il fenomeno esiste, anzi è sem­pre più grave e le persone che Io subiscono sono sempre più sole proprio perché il fatto di non parlarne più, il fatto che non c'è questa coscienza collettiva della società, di fatto emargina sempre di più e rende più soli.
Oggi però è diventato di moda un altro argomento: l'usura. Adesso molta informazione si fa, nei mass-media, sul fenomeno dell'usura, dove non c'è una legge: tutti chiedono una legge sull'usura. E' il meccanismo che abbiamo visto in passato per la legge anti-racket. Allora, il rischio qual è? Che dopo un processo di dibattito nella società, in Parlamento, ecc., si arriva ad una legge sul­l'usura e fra tre anni ci ritroveremo in un altro convegno a dire che di questa cosa non si è più parlato e ci sarà nel frattempo un altro fenomeno che sembra di interesse collettivo e si chiederà un'altra legge su un altro argo­mento. Questo è un lavoro fatto a metà.
Un'altra brevissima cosa, a cui tengo moltissimo. Si è parlato qui e là di mercato. La storia del mercato, la concorrenza tra testate che determina distorsione nell'in­formazione e altro: i colonnelli in redazione, ecc. Un'al­tra cosa per il redattore sociale, non solo in quanto redattore sociale ma in quanto, prima di tutto, cittadino, un contributo alla riflessione nelle redazioni e fuori da esse, è su un punto cruciale del nostro lavoro: è nel rapporto con la società. La legge Mammì, per come la vedo io, ha un punto importantissimo da tutti sconosciu­to, da tutti mai abbastanza valorizzato: afferma, in uno dei suoi articoli, che il bene informazione è un bene prima di tutto collettivo e in quanto bene collettivo non può rispondere a leggi esclusivamente di mercato. Questo è un meccanismo che noi dobbiamo infilare dentro le redazioni e non solo. Quindi tra i colonnelli veri o presunti, nelle redazioni, nei posti di lavoro, ecc., biso­gna affermare il principio, far passare questa voce che il bene informazione è un bene di tutti.
Quando ieri la Da Pra diceva che alcune trasmissio­ni di servizio, con  difficoltà, le fa soltanto il servizio pubblico, non è che il servizio pubblico è buono e bravo. Il servizio pubblico deve valorizzare questo aspetto perché è una questione di democrazia fondamentale, sancito dalla legge: ed anche se non fosse sancito dalla legge, il discorso non cambierebbe di una virgola. Allora il fatto che le reti Fininvest non facciano informazione sociale, non è che lo fanno perché sono autorizzate a non farlo, ma perché non rispondono ad un'indicazione di democrazia che tutti quanti dovremmo avere metabolizzato. Su questi punti sia che uno è redattore sociale, sia che è semplice cittadino, sia che uno è semplice operatore deve, prima di tutto, convincersi e cercare di innescare questa convinzione anche nelle persone che vivono intor­no. Grazie".

Pino Ciociola - Avvenire (Roma)*

"Vorrei fare due minuti di pratica. Ore 8.20 di sera, redazione, casino: la prima edizione chiude alle 9. Arri­vano le agenzie che vi battono la notizia che 4 bambini sono stati tolti ad una famiglia. Voi che fate? La date o no? Si può non darla. Se non la dai decidi di guadagnare un giorno, non stai sulla notizia, il mercato ti spazzerà via prima o poi; non se ne esce. Quindi c'è un dramma, che è quello che chiudi, ma ce n'è un altro che è ancora più drammatico - scusatemi il gioco di parole - che è quello che non farai più passare i tuoi messaggi. Allora la notizia la dai, seguendo, da un punto di vista formale, i codici di autoregolamentazione che ci siamo dati; non dai i nomi, cerchi di essere vago, provi in quei 10 minuti che hai a disposizione di acchiappare il giudice, chi ha disposto il provvedimento di allontanamento e via dicendo. E il giorno dopo cercherai di capirne di più.
Rimaniamo in redazione. Io credo che forse ci siamo stati un po' poco in redazione in questi due giorni. Se c'è un appunto che mi sento di fare è questo. Bellini e Gocciolone - non so se ricordate la storia - ci fu un momento in cui sembrava fossero morti. Il mio capo mi disse: vai a casa di Bellini - io non ricordo, adesso, ma credo sia giusto qui nelle Marche - e vai a sentire la moglie. In quel momento sembrava che arrivasse da un giorno all'altro la notizia che erano morti tutti e due. E io dissi: "Capo, vado, sto là, però se arriva la notizia della morte io non ci vado a parlare, perché che cosa gli vado a chiedere: "Come ti senti?" La notizia ci sarebbe stata se la moglie mi avesse detto: "Sì, finalmente sono liberi". Cin­que minuti di discussione; dopodiché il mio capo mi ha detto: "Ok, va bene".
Questo che significa? Noi ragioniamo, certo, è giusto farlo, sui massimi sistemi. Però è vero, poi, che da lunedì torniamo tutti nelle redazioni e i problemi even­tuali sono col caporedattore e col direttore. Io ho la fortuna di avere un capo col quale mi trovo benissimo, col quale litigo però funziona tutto alla perfezione. Se tu non hai questa fortuna, il problema si crea. Torniamo al dramma del non dare la notizia: che fai? Vai a finire muro contro muro? Ti ritrovi dopo una settimana a scrivere i necrologi. E non passerà più il tuo messaggio, la tua voglia di fare giornalismo in una certa maniera. Allora che significa? Che necessariamente bisognerà mediare in qualche modo, per cercare di portare il tuo capo sulle tue posizioni.
Un paio di risposte a Mirta, volevo darle da ieri: la pubblicità. Anche qui è una questione di pragmatismo. I giornali non campano, Mirta, tu Io sai meglio di me, sui lettori, sulle vendite. Campano sulla pubblicità. Quindi non è facile dire: rifiutate tutte le pubblicità. Io sono in un giornale che le rifiuta le pubblicità, se non altro per scelta religiosa, però i problemi ci sono.
Buontempo. Tu hai detto che si è dato troppo spazio. Io non definisco Buontempo perché diventerei estremamente volgare. Però è un dato di fatto che ha sbancato a Roma come voti e allora è giusto andarlo a sentire. Poi, tra l'altro, a parte quei due o tre quotidiani che conosciamo, le interviste a Buontempo sono davvero esilaranti, solitamente.
L'ultima considerazione. Io non ho ricette, non mi arrogo sicuramente il diritto di avere la verità in tasca per capire o sapere come si fa il redattore sociale. Credo però che andrebbe tenuto presente quando si scrive, quando si è in redazione o fuori, un concetto: ognuno di noi è una persona, dal più vessato, più sofferente, più disgraziato, al peggiore assassino che esiste in assoluto. Se si riesce a tenere conto sempre quando si scrive di questo, proba­bilmente non ci sarà più bisogno di fare seminari sul redattore sociale. E ve lo dice uno - tra l'altro ci tengo a sottolinearlo perché non sono in cattedra, non posso mettermici - che ha fatto molti errori in questo senso in passato e spera di averne fatto tesoro. Grazie".

Laura Barsottini - Telepiù (Milano)*

"Innanzitutto due parole su Telepiù, che non è la televisione ma è di Silvio Berlusconi editore, quindi siamo nella bocca del lupo, e si occupa di televisione. A me sembra che, senza tradire con questo ciò che il seminario voleva insegnarci sul redattore sociale, serva a recuperare i princìpi fondamentali della professione che, a volte, perlomeno nelle redazioni come la mia, in realtà come quella di Vera, come alcuni periodici che sono forse anche un po' diversi dai quotidiani, sono un po' dimenticati. Secondo me questa è appunto una cosa da recuperare e forse da far recuperare anche ai colonnelli.
I colonnelli si devono sicuramente trovare a fare i conti con pubblicità e via dicendo, però sempre umani sono, insomma. Quindi (occorre) far recuperare, non so come, lo dico così sinceramente, creando più momenti di questo genere. Da noi è stato appeso in bacheca il volantino e nessuno se ne era accorto. Forse pubbliciz­zando di più oppure facendo girare documenti come quello di Mirta che mi sembra contenga tanti punti fondamentali giusti, coinvolgere anche questi colonnelli che possono decidere e che a me come a tanti altri non lasciano assolutamente nessuno spazio. Ritroviamo i criteri del giornalismo, quelli che forse ci hanno portato a scegliere questa professione. Grazie". 

Nanni Vella - Radio Colonia (Roma)*

"Radio Colonia è una redazione italiana di una testata estera, che appunto lavora da Colonia per gli italiani all'estero, in Germania, ed ha un ufficio di corrispondenza a Roma. E' il più grande ente radiofonico-televisivo tedesco, la WDR. Parla in italiano ma paga in marchi, infatti sono molto contento dell'andamento del mercato quando la lira perde...
Io volevo dare solo due indicazioni per eventuali lavori e appuntamenti di questo tipo. Se avete avuto altri appuntamenti prima di questo io non c'ero, ma sono assolutamente urgenti, dignitosi, abbiamo fatto bene a farlo. Ho l'impressione che però la figura del redattore sociale, e qui Pino Ciociola mi pare ci abbia aiutato, sia una figura virtuale così come l'abbiamo dipinta oggi. Cioè, non solo esiste un difficile potere di interdizione del redattore a pieno titolo, professionista, ma esiste un esercito di persone che sono precari che magari si occu­pano di sociale e che non hanno alcun potere di interdi­zione nella redazione: neppure c'entrano e se c'entrano non ci dovrebbero essere, magari si occupano di altre cose, non hanno il tempo di approfondire.
Di queste persone, qui io ne vedo di molto giovani: io ho trent' anni, non sono né giovane né vecchio dal punto di vista professionale, però mi sembra che dovremmo veramente cercare di capire, se vogliamo formare e non solo informare un redattore sociale, le condizioni reali in cui egli lavora. Io per esempio sono andato a seguire i naziskin, sempre per i tedeschi: avevo 5 minuti a dispo­sizione, neanche 24 ore di tempo; e che ne so se ho fatto un buon lavoro? Non ho preso i naziskin, ho preso la zona grigia, cioè coloro che dicono che non lo bastonerebbero mai un marocchino però se i marocchini non ci stessero si starebbe tutti meglio. In 5 minuti di tempo io questa frase la devo inchiodare, però non ho spiegato che Ostia è un quartiere dormitorio, non ho spiegato il livello di istruzione:ho cercato di non dare giudizi e di far venir fuori la voce, ma è un buon lavoro questo in 5 minuti? Si ha l' impressione che questi ragazzi siano tutte persone da condannare e ricominciamo col cliché. Io però in queste condizioni mi trovo a lavorare e non sono neanche un redattore a pieno titolo.
Quindi, per fare una provocazione, mi piacerebbe sapere di più. Il decalogo di Mirta era assai interessante e valido, però la Bibbia non è fatta solo di due pagine: dal Vecchio Testamento, il decalogo dei dieci comandamen­ti e il comandamento dell'amore nel Nuovo, è fatto di tutta la fedeltà e infedeltà di questo decalogo, in cui sono caduti tutti i migliori giornalisti. Allora a me piacerebbe sapere i peccati di Carlo Di Cicco, con tutto il rispetto per il suo lavoro. Mi piacerebbe capire come è possibile che poi si cada nella retorica, si cada nel razzismo strisciante. Perché succede, visto che succede? Io vorrei riuscire ad, essere formato da questo punto di vista.
Abbiamo insomma dei fondi a disposizio­ne, abbiamo questa sinergia tra giornalisti e operatori del settore, abbiamo dei fondi che le leggi ci permettono di utilizzare, perché non ci inventiamo uno studio più qualificato? Grazie".

Goffredo Fofi - direttore La Terra vista dalla luna*

"Ci è stato ricordato da molti che esiste anche un'area di disagio sociale, se così possiamo dire, che è quella dei giornalisti che in una situazione di chiusura, di attacco contro le libertà del giornalismo, di concentrazione dei poteri editoriali, di colonnellismo, di autoritari­smo dei direttori, di distinzione molto netta tra vecchie volpi e giovani apprendisti all'interno della professione, ci sono oggi delle tensioni, degli attriti che riguardano direttamente il modo di fare giornalismo e quindi anche il modo di affrontare le questioni che questo convegno, questa riunione ha messo sul tappeto. Io per ora le accantonerei, però chiedendo anche ai relatori di accan­tonarle un po', e di ritornare al tema della discussione iniziale. Anche se mi rendo conto che questi problemi sono fondamentali anche per questa discussione e spero che si trovi il modo, se non altro tra le piccole testate, di approfondire invece in un'altra sede, in un altro momento questi temi più insiti alla professione e alla difesa di questa possibilità di esercitarla in un modo degno e adeguato nell'Italia che ci si prepara.
Dò la parola a Stefano Ricci e poi a Carlo Di Cicco, Mirta Da Pra e Vinicio Albanesi per le risposte e le conclusioni".

Stefano Ricci - Comunità di Capodarco*

"Nel mio intervento iniziale mi ero fatto una do­manda: perché mai i giornalisti dovrebbero essere diversi dagli altri cittadini? Chiaro. Però sono cittadini, e questa, ricordava anche Mario Vitanza, è una responsabilità grande.
Con il Cnca sei anni fa lanciammo un'idea slogan che era "cittadino volontario". Il volontario non è il superman della situazione ma è una modalità diversa di percepire, di concepire il proprio modo di essere cittadi­no. Da questo punto di vista, senza fare le apologie di rivoluzioni francesi o altro, vale anche l'idea del cittadi­no giornalista, cioè la responsabilità che ognuno di noi, ognuno di voi ha; prima ancora che all'interno dellaprofessione ce l'ha in quanto cittadino di questa Repub­blica.
In questa situazione, in questo contesto storico ben preciso, ciò significa una serie di cose. Significa una resistenza che in qualche modo debba tenere alto il livello del confronto dell'ideale di una giustizia, di un'ugua­glianza, di una libertà che probabilmente rischia di essere più stretta. Da questo punto di vista, l'obbligo che viene da questo convegno per ognuno di noi non è tanto quello di essere un redattore sociale più o meno bravo, quanto quello di ridefinire, di comprendere il nostro modo di esser cittadini".


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.