I Redattore Sociale 27-28 maggio 1994

Redattore Sociale

Credibilità: come la Micronesia

Intervento di Stefano Gigotti

 

Stefano Gigotti*

Credibilità: come la Micronesia

"Non è certamente un compito facile rappresentare in questa sede la categoria dei giornalisti sul tema che è al centro di questo dibattito: il "dover essere" del giornalista italiano, soprattutto in un momento che segna il passaggio storico verso una società diversa, del tutto da scoprire e, per certi aspetti, da reinventare. E in questa nuova società il problema principale del giornalismo italiano, a mio giudizio, è quello di ridarci una credibilità di fronte agli occhi dell'opinione pubblica, soprattutto in quello che è il principale dovere professionale e deontologico dell'essere giornalista: quello di rispettare la verità sostanziale dei fatti e di aiutare il pubblico a capire. 

Una recente inchiesta condotta dall'Istituto di Studi di New York Freedom Forum ha posto la stampa italiana addirittura al 41esimo posto nella classifica della credibilità e della libertà. Ci troviamo a fianco della Micronesia e della Nuova Guinea, un pochino prima del Brasile e di Panama, ma largamente sotto Paesi come il Belgio, che è al primo posto, Australia, Norvegia, Nuova Zelan­da, Danimarca, Germania, Svezia, Svizzera e così via.
La graduatoria è stata stilata secondo criteri rigorosi connessi alle leggi e ai regolamenti che influenzano l'informazione, il controllo e i condizionamenti economici e politici e la suscettibilità di influenza da parte del governo o di gruppi privati.
Quindi chi ci osserva ci critica, così come accuse arrivano anche da autorevoli esponenti della Chiesa. E' di pochi giorni fa l'affermazione del vescovo de L'Aquila monsignor Peressin secondo il quale i giornalisti sarebbero addirittura figli di Satana.
Sono accuse forse eccessive e del resto non nuove se è vero, come è vero, che lo scrittore austriaco Karl Kraus, in un saggio scritto addirittura 80 anni fa, pronunciava una condanna senza appello del mondo giornalistico, capace a suo dire di mortificare la verità attraverso l'uso dissennato del linguaggio.
Dunque, giornalisti come manipolatori delle noti­zie e quindi della realtà. 

Alla ricerca del fatuo e dello scandalo...

Non mi dilungherò su quello che viene considerato uno dei vizi fondamentali del giornalismo italiano, la stretta connessione cioè fra informazione e politica. In proposito, mi limiterò soltanto a ricordare che questa connessione è nel codice genetico del nostro giornali­smo. Basti ricordare i nomi di Cavour, Cesare Battisti, Mussolini, Gramsci, De Gasperi e il numero, davvero alto, di giornalisti che anche oggi affollano il mondo della politica.
Un'altra forte tentazione che da qualche tempo ormai investe il nostro giornalismo è la ricerca del fatuo, del leggero, cosicché l'informazione, nel complesso, rischia di diventare superficiale con una prevalenza smac­cata per Io scandalismo e il sensazionale.
Le logiche di mercato tendono a privilegiare i modelli di giornalismo più spregiudicato ed è così che siamo invasi dall'informazione spettacolo, la tv spazza­tura, e si accentua la tendenza a sbattere il mostro in prima pagina e avviene spesso che si pubblichi la notizia al di là del rispetto di ogni valore in gioco e dei diritti personali dei protagonisti dell'evento. E allora la stampa, che dovrebbe funzionare da anticorpo rispetto alle disfunzio­ni della società, funge invece da volano.
Ha detto giustamente Dan Rather, uno dei più famosi anchor man della CBS, che per rincorrere sempre più alti indici di ascolto i nostri padroni ci costringono ogni giorno a mandare in onda cadaveri, schifezze e storie sconce.    

Giornalisti-magistrati

Monsignor Maggiolini, vescovo di Como, in occa­sione della festa di San Francesco che è il patrono dei giornalisti, ha denunciato il grado di imbarbarimento del giornalismo italiano, arrivando a confessare un disagio profondo per essere egli stesso iscritto all'Ordine.
E negli ultimi tempi si sono moltiplicati gli appelli per un'informazione corretta, perché se ferma deve essere la salvaguardia di quel "primum informare", al­trettanto ferma deve essere l'esigenza di non superare quella linea oltre la quale chi non è ancora colpevole, e potrebbe non esserlo, finisce invece alla gogna.
Il cardinale Martini ha criticato recentemente i titoli-sentenza: "Sembrano - ha osservato Martini riferendosi a noi giornalisti - tutti diventati magistrati, dimen­ticando un richiamo utile. Non giudicate e non sarete giudicati".
Invece, sempre un tono da toccata e fuga. La fretta, l'urgenza, lo scoop. Basta arrivare primi con l'immagine, la notizia; non importa come, non importa quanto valu­tata, meditata, rielaborata. Così si assiste ad una specie di martellamento o di bombardamento per stupire e passare oltre. All'indomani non si sa più nulla dei problemi gravissimi presentati ieri. Si riparte da capo come se nulla fosse. Il presente sembra non avere radici, memoria, origine, ma nemmeno ha la possibilità di aprirti ad un futuro.

I nemici dentro di noi

La strada verso forme di giornalismo più pacato ma al tempo stesso più riflessivo è difficile da trovare; io credo che gli antidoti possano essere costituiti da un continuo automonitoraggio del nostro lavoro e da un'autoregolamentazione dei comportamenti. La vera sfida a ciascuno di noi è proprio questa: individuare spazi di libertà, di discrezionalità, di creatività dentro i ruoli che ci hanno assegnato nello svolgimento dei compiti che ci sono stati affidati. A volte può essere più facile, in altri casi è complicato. In certi momenti scrivere ha rappre­sentato grossi sacrifici per la stessa libertà personale.
Può capitare che i nemici delle nostre potenzialità espressive non siano il sistema, le controparti superiori e i mezzi di cui questi spesso dispongono (duri, persuasivi o subdoli), ma che i nemici più forti e duri da battere siano dentro di noi, E si chiamano autocensura, conformismo, desiderio di quieto vivere e di non avere grane.
E appelli ci vengono anche da magistrati, come ad esempio il Procuratore Generale di Venezia, Cantagalli, che auspica una più fredda e distaccata, ma anche meno scandalistica presentazione delle notizie e dei fatti. In questo modo si potrebbe rispondere all'esigenza di infor­mare serenamente e obiettivamente il pubblico, ma anche a quella del rispetto della persona protagonista dei fatti.
Il giornalismo italiano sembra più preoccupato di esprimere e riflettere le nevrosi della società italiana che preoccuparsi di capire cosa c'è dietro certi fenomeni,attraverso un minuzioso lavoro di ricerca, di analisi, insomma attraverso un lavoro che punti ad andare in profondità senza rimanere galleggianti in superficie.

Primo: la dignità umana

Queste riflessioni ci portano al cuore del problema del dibattito di oggi, il ruolo cioè della stampa sui temi del disagio e delle marginalità. Purtroppo noi dobbiamo registrare un tipo di comportamento che, a mio giudizio, è errato: guardare cioè il problema del disagio spesso con pietismo o come vero e proprio "fenomeno". Purtroppo questo dipende dai mali che ho già accennato ed è difficile, a mio giudizio, trovare una ricetta per evitare questi errori. Secondo me occorre favorire la crescita morale di chi opera nel settore dell'informazione, soprattutto attraverso un'opera di costante sollecitazione, stimolo e presenza di chi, come voi, rappresenta e assiste con grande dedizione varie categorie di persone che noi definiamo soggetti deboli. Un'azione di stimolo, perché si abbia una stampa più attenta ai problemi delle margi­nalità e al rispetto della dignità dei soggetti deboli va anche svolta dagli organismi rappresentativi della cate­goria, ed è quello che stiamo facendo anche nelle scuole di giornalismo con i programmi didattici ad hoc rivolti proprio alla conoscenza delle problematiche connesse alla tutela dei portatori di handicap.
Dobbiamo però sforzarci ancora di più per creare sul piano generale un terreno più solido su cui elevare le fondamenta di una nuova e più meditata riflessione etica. Ritengo che su questa strada molto più che una legge dello Stato possa un codice deontologico che sia però spontaneamente osservato nelle ipotesi patologiche, cioè quelle di una sua non spontanea osservanza.
E al primo posto di questo codice deve essere il rispetto della dignità umana. 

La Carta dei Doveri

Allora dobbiamo sforzarci di modificare la nostra mentalità, i nostri comportamenti, imparando a rispettare, ricordando che la virtù politica essenziale per poter passare dallo stato di natura allo stato di società politica è proprio il rispetto degli altri.
Questa deve diventare la virtù fondamentale per gli operatori della comunicazione.
Ed è anche questo il motivo di fondo per cui l'Ordine dei Giornalisti e la Federazione della Stampa, nel luglio scorso, hanno sottoscritto la Carta dei Doveri del giornalista. La libertà di informazione, il rispetto della verità e della persona, il dovere di rettifica, l'obbli­go di osservare la propria autonomia professionale sono le regole fondamentali del documento il cui obiettivo è quello di promuovere sempre più il rapporto di fiducia tra gli organi di informazione e il lettore.
La Carta è suddivisa in due parti. Nella prima si stabiliscono i principi tra i quali il rispetto del diritto all'informazione di tutti i cittadini, la responsabilità del giornalista verso il lettore che non può essere subordinata ad interessi di altri e il dovere di rettifica, la presunzione di innocenza, il divieto di accettare privilegi, favori o incari­chi che condizionino la sua autonomia professionale.

"Responsabilità del giornalista"

La seconda parte della Carta è dedicata ai doveri ed è molto più ampia. Questo perché, se nei primi decenni di questo dopoguerra si era prevalentemente insistito sulla rivendicazione dei diritti, cioè su una tutela interna dell'autonomia professionale, oggi, invece, sempre più frequentemente si parla dei doveri, cioè di una tutela, per così dire, esterna; una tutela del cittadino, del cosiddetto "terzo soggetto".
Il primo paragrafo, "Responsabilità del giornali­sta", ribadisce innanzitutto il concetto di un giornalismo a favore dei cittadini con l'impegno, dunque, a creare strumenti idonei per sollecitare il loro dialogo con gli ordini di informazione. In secondo luogo si evidenza il fatto che il giornalista accetta indicazioni e direttive solo dalle gerarchie redazionali della sua testata, purché non contrari alla Legge professionale del '63, al Contratto Nazionale e alla Carta dei doveri. Quindi, si sottolinea il divieto di operare ogni tipo di discriminazione, il diritto alla riservatezza delle persone, l'obbligo di non pubbli­care i nomi dei congiunti di persone coinvolte in casi di cronaca (a meno che questo sia di interesse pubblico) o di fotografie e immagini che rendano possibile l'identifica­zione, soprattutto se questo mette a rischio l'incolumità delle persone. Inoltre non vanno pubblicati i nomi delle vittime di violenze sessuali né tantomeno si possono fornire particolari che conducano all'identificazione, a meno che questo sia richiesto dalle stesse vittime per motivi di interesse generale.

Dal diritto di rettifica ai diritti dei minori

Nel secondo paragrafo, "Rettifica e replica", viene ancora una volta ribadito il diritto "inviolabile'' del cittadino alla rettifica di notizie inesatte o lesive, che va tutelato anche in assenza di una specifica richiesta, qualora ci si renda conto di informazioni riportate in modo errato. La norma impone, ben inserendosi nel recente dibattito giornalisti/tangentopoli, che prima di pubblicare la notizia di un avviso di garanzia è necessario controllare se ne sia a conoscenza l'interessato. Si prose­gue con il paragrafo dedicato alla "Presunzione di inno­cenza".
Nel paragrafo intitolato alle "Fonti" se ne ribadisce l'obbligo di verifica, il pieno rispetto del segreto profes­sionale qualora le fonti chiedano di rimanere riservate, nonché il principio della massima trasparenza delle stes­se che vanno indicate ai lettori.
Quanto al rapporto "informazione e pubblicità", si sottolinea la netta separazione tra le stesse. Il tutto in osservanza dei principi fissati nel 1988 dal Protocollo d'intesa sulla trasparenza dell'informazione e dal Con­tratto nazionale.
Nel penultimo paragrafo si enunciano i casi di incompatibilità per il giornalista, il quale non può subor­dinare al profitto personale o di terzi le informazioni economiche o finanziarie di cui è a conoscenza né turbare l'andamento del mercato.
L'ultimo paragrafo del documento riguarda i mino­ri e i soggetti deboli, le cui vicende vanno trattate con estrema cautela. Riprendendo i principi sanciti dalla Convenzione Onu del 1989 sui diritti del bambino e le regole sottoscritte nel '90 con la Carta di Treviso per la tutela della personalità del minore, la Carta stabilisce alcune norme fondamentali. Tra le principali, il divieto di pubblicare il nome o qualsiasi elemento che porti al­l'identificazione dei minori coinvolti in fatti di cronaca e quello di ogni possibile strumentalizzazione da parte di adulti portati a far prevalere il loro interesse.

"Una forte ripresa etica"

Queste norme, va detto, non sono le Tavole del Sinai, ma un contributo che la categoria unitariamente offre a tutta la comunità per dare concreta risposta alla domanda crescente di etica.
Siamo certi che questo contributo servirà almeno ad alzare il tono del dibattito, a movimentare una riflessione generale sui doveri e sull'impegno di ciascuno di noi a fare la propria parte.
Non è un'operazione di autocensura, ma una presa d'atto responsabile perché le tentazioni del
giornali­smo italiano sono sicuramente superiori alle virtù e che è quindi necessaria una forte ripresa etica della categoria attraverso il confronto all'interno di essa ma anche un dialogo senza chiusure con i cittadini.
Non pensiamo ad istituire tribunali speciali, anche se nei casi di violazioni gravi l'Ordine dovrà assolvere alla sua funzione di severa magistratura deontologica e ciò perché passi finalmente nelle redazioni il rispetto dei diritti inalienabili della persona, dei soggetti deboli, dei minori, dei malati e dei diseredati.

Non parti, ma attori

Insomma, il servizio all'uomo deve essere il nostro punto di arrivo e il contenuto irrinunciabile del nostro lavoro.
Un grande maestro di teatro russo di questo secolo, Stanislawskij, diceva che non esistono piccole o grandi parti, ma piccoli o grandi attori.
L'affermazione può assurgere a massima e valere per l'intero settore della comunicazione. Si può essere piccoli nel produrre un ampio servizio televisivo o nello scrivere una corrispondenza da inviato speciale; si può essere grandi nello scrivere una notizia o un semplice resoconto. La differenza sta nel rispetto delle leggi, nel rispetto degli altri. E proprio per questo rispetto dobbiamo anzitutto ricordarci sempre che il destinatario del nostro lavoro, il fruitore del nostro messaggio - come si dice oggi - è il lettore. Ma dobbiamo anche ricordarci che il nostro compito non è di modificare la realtà, ma di conoscerla e farla conoscere.
Da qualche tempo si sentono enunciare dei concetti di professionalità che fanno rizzare i capelli: la professio­nalità come il diritto del giornalista (un diritto, oltretutto, di cui si ignora la legittimità) di dare al lettore la propria personale versione delle cose. E' un concetto di profes­sionalità che ritengo aberrante perché è prepotenza, pre­tesa di dare la propria verità, una verità in scatola, in confezione spray, laddove invece il nostro compito è quello di dare ai lettori tutti gli elementi perché possano crearsi un proprio autonomo giudizio e così realizzare se stessi come uomini liberi.
E, infine, c'è da porsi una domanda, forse la più amara. Ci ricordiamo sempre che dobbiamo avere rispet­to per il prossimo, posto che i cittadini hanno i nostri stessi diritti; che non possiamo diffamare un'altra perso­na se non ne abbiamo le prove; che non possiamo pronunciare sentenze facendo a meno dei processi?"


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.