I Redattore Sociale 27-28 maggio 1994

Redattore Sociale

Introduzione al seminario

Intervento di Vinicio Albanesi

 

Vinicio Albanesi - sacerdote, presidente della Comunità di Capodarco*

Interrogativi da porsi 

"Do' il benvenuto a Capodarco ai giornalisti e ai relatori. Saremo qui insieme per un giorno e mezzo per questo seminario di formazione che abbiamo scelto di svolgere a Capodarco anche per far vivere un po' il mondo della comunità. Il primo motivo del seminario è evidente: per introdurre il problema della comunicazione rispetto alla marginalità, che è spesso fatta di curiosità, di ricerca di dati "eclatanti".
Vediamo l'esempio recente del processo Pacciani, accusato di essere il mostro di Firenze: pagine di Repub­blica e Corriere della Sera per raccontare un incesto narrato in pubblico. Mi chiedo, allora, se raccontare quegli episodi senza leggere che cosa significa la violen­za nelle famiglie, oppure se parlare del contadino Paccia­ni incriminato di 8 omicidi e non di un qualche noto professionista che probabilmente esprime la stessa violenza, non siano interrogativi da porsi.
Il problema è per chi fa il giornalista ma anche per chi fa l'editore: tra le due figure c'è una connessione abbastanza problematica, perché il rapporto tra giornali­sta ed editore è un rapporto circolare, fatto cioè di domanda, di messaggio, di input che si richiamano. Penso perciò che il prossimo incontro dovremmo farlo con gli editori, il che sarà senz'altro molto più difficile.

Leggere la realtà  

Ma ritorno agli episodi di cronaca. Questi riguarda­no soprattutto la sofferenza e la vita delle persone. Senza evocare il mostro sbattuto in prima pagina, il mondo narrato è sempre pieno di problematiche: ad esempio, perché quelle due ragazzine figlie di Pacciani devono entrare in campo? Bisogna avere la capacità di leggere le realtà…
E' vero che ci sono tanti pregiudizi, tante paure, ma se quei mondi non si conoscono, le conclusioni che poi si tirano sono estremamente superficiali e tutto sommato sono anche gratuite. Perché liquidare le persone dicendo sei un "handicappato", sei un "drogato", sei un "bambino violento" o "pazzo"? Allora è chiaro che se non c'è partecipazione a questo mondo si fa una violenza sulla violenza. Poi tutto è giustificabile attraverso il diritto di cronaca, attraverso la ricerca della verità ecc.: i motivi possono essere infiniti ma la sostanza è che si cerca di giustificare una propria violenza.
Allora approcciare questo mondo significa non pietirlo, perché è un mondo umano ma anche un mondo con i suoi limiti, i suoi problemi, le sue trasgressioni, ma avvicinarlo con correttezza.

Il problema è di tutti 

II secondo passaggio è poi estremamente importan­te. In Italia non si è ancora arrivati a comprendere che il problema di alcune persone è comunque il problema di tutti. Questo sembra essere molto difficile da capire. Ad esempio il suicidio di un giovane in una famiglia pone, sì, un caso specifico ma si tratta di un problema che è più generale perché nessuno può dire che nella propria vita, nel proprio territorio, nella propria città, non possa esistere il disagio adolescenziale.
Quindi trattare il problema della marginalità come problema categoriale è il più grosso errore che si possa fare. In Italia tuttavia lo trattiamo ancora come problema categoriale: ancora oggi si va a cercare il caso specifico e si segnalano le storie, i lager, i problemi ma non si dice mai che il problema riguarda tutti. Il problema non è di tutti soltanto nell'accoglimento della risposta. Il problema è di tutti perché fa parte di questa connessione della persona con la società. I ragazzi tossicodipendenti ad esempio sono nostri figli, non sono mostri venuti dalla luna o da qualche altro pianeta. I loro genitori hanno la mia età, hanno 50 anni. E questi genitori non sono speciali perché fanno gli operai, i liberi professionisti ecc., hanno una famiglia, hanno tutto quello che ha la gente normale...

Invece si va per "categorie"

Allora voi capite che si dovrebbe far passare il messaggio che il problema di quella persona è il proble­ma di tutti ma, ripeto, non soltanto perché si esigono delle risposte su cui le persone devono dare il loro contributo, ma perché è un problema di connettivo. E' come se uno ha male ad una mano e questo dolore si ripercuote in tutto l"organismo. Ma in Italia siamo ancora allo stadio in cui classifichiamo le persone per categorie.
Allora i minori, che sono una categoria, hanno gli addetti ai lavori per quelli in affido, quelli deviati, quelli della criminalità, con una serie poi di segmenti. Così per gli anziani. Il problema degli anziani è un problema di tutti. E non si può dire: "Vedremo poi cosa succederà quando toccherà a noi essere anziani", perché succederà esattamente quello che sta succedendo adesso agli anzia­ni, cioè che avremo una minore abilità fisica, con una scarsità di strumenti per rispondere alle nostre problema­tiche. Con la differenza che nel 2000 gli anziani sfiore­ranno il 25% della popolazione mentre oggi sono il 19%. Il problema dunque è la connessione di tutti i problemi riguardanti la società.

Violenza contro violenza

Da ultimo, ci sono tante paure, tanti pregiudizi, c'è violenza. Pensavo ai naziskin, ragazzi di venti anni che non possono essere dichiarati delinquenti. Adesso il nostro mondo di adulti ha già creato una barriera invali­cabile, però pensate ai genitori di quei ragazzi che saranno persone normalissime. Ma chi si avvicinerà a quei ragazzi? Saranno convalidati nell'immagine di violenza che loro si sono dati? Ma quale sarà quel giornalista che avrà il coraggio di andare tra i naziskin e dirà: "Sì, questi ragazzi esprimono violenza, ma sono creature umane con questi problemi, con queste prospet­tive, con questa dimensione".
Io non ho ancora sentito nessuno che ha detto qualcosa di diverso da "questi giovani sono da isolare", a cominciare dal Presidente della Repubblica. Allora che cosa dobbiamo fare loro? Li uccidiamo? Rispondiamo alla loro aggressività con altrettanta aggressività? Ecco un esempio per dire che di fronte ad un fenomeno che sta emergendo la società degli adulti si trincera dietro le proprie sicurezze, non affronta il problema e, probabil­mente, il problema incancrenisce. E' vero poi che molti ragazzi di oggi sono tendenzialmente orientati verso posizioni estremiste di destra...

"Non è una notizia..."

I pregiudizi sono tanti e allora l'arte del giornalista, perché si tratta di un'arte, è quella di andare a leggere la realtà, a riferire i problemi, a dimensionare quel mondo, a comprenderlo dall'interno, perché attraverso questa comprensione è possibile informare, è possibile dialoga­re, è possibile affrontare i problemi.
Quotidianamente sul versante delle tossicodipendenze noi subiamo delle forme di pressione, perché in continuazione bisogna esprimere un'opinione su un fatto di cronaca, ma poi quando hai qualcosa da dire, qualcosa che viene dal mondo da cui tu vieni, ti rispondono: "Non è notizia".
Da qui la Guida che presentiamo oggi: ne abbiamo stampate 2000 copie per offrire uno strumento fruibile, cioè consultabile. E' il primo tentativo fatto in Italia e non viene da sociologi, psicologi ecc., ma da gente che vive alcuni mondi di questo disagio; è la proposta positiva perché questa dimensione del "redattore sociale" sia una dimensione che prenda, in Italia, piede.
Mi dicono che già in altri Paesi ciò esiste, ad esempio negli Stati Uniti. Anche in Italia, in alcune redazioni di giornali esiste una "redazione sociale". Ieri mattina il segretario dell'UsigRai si è impegnato a chie­dere alla RAI la costituzione di una "redazione sociale" e ciò sarebbe importante, perché significherebbe approccia­re la dimensione sociale in modo diverso da quella
economica, da quella politica, da quella della dimensione del cuore (il vogliamoci bene).   
Non mi resta che augurarvi buon lavoro. Goffredo Fofi vi guiderà in queste due giornate. Rispetto al program­ma c'è una sostituzione, quella di Ketty Vaccaro del Censis. La relazione sarà spostata al pomeriggio con l'intervento di Ugo Ascoli. Purtroppo don Luigi Ciotti non è presente perché è a Bitonto, dove è andato a solidarizzare con quel barbone ucciso poche settimane fa nel momento in cui qualche giovane, per divertirsi, non ha trovato di meglio che bastonare un barbone che dormiva alla stazio­ne. Giuseppe Graziano, del Dipartimento Affari Sociali, è bloccato perché con i nuovi ministri hanno bloccato tutto: la seconda Repubblica inizia dicendo: "Qui nessuno parla, se non vi consultate con chi comanda".


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.