III Redattore Sociale Milano 23 aprile 2009

In mare aperto

Guadagnarsi l’autonomia

Intervento di Piero Colaprico

Piero COLAPRICO

Piero COLAPRICO

Giornalista, inviato del quotidiano la Repubblica, è autore di diversi romanzi.

ultimo aggiornamento 23 aprile 2009

Nuotare oggi a Paura-city

Se mi permettete, visti i temi della ricca giornata, in cui sentirete parlare anche di cronaca nera e di stranieri, vorrei cominciare con un libro. Un mio libro. Lo so, state immaginando di avere a che fare con il solito trombone pieno di sé, ma vi chiedo fiducia.

Il protagonista di questo libro è il maresciallo Binda, lo vediamo che infila tre proiettili nel tamburo del revolver e ripensa alle stagioni cattive di Milano, dove il noir si mischia al bianco, e questa miscela crea quel colorino tipico, il grigio milanese. E così, stagione dopo stagione, Binda arriva a una stagione ormai passata in cui a finire in galera erano (finalmente) amministratori e imprenditori, i colletti bianchi...

ATTRICE:

I colletti bianchi che andavano sotto processo dopo decenni d'impunità e di ruberie. Arrivò infatti la stagione di Tangentopoli, i cui effetti si trascinano ancora, come se fosse una stagione infinita tipicamente italiana, come l'eterna primavera che a Roma e Firenze invadeva i cuori dei viaggiatori inglesi. Ma allora, in quel momento, sembrava che, grazie anche all'Europa e all'economia, al computer e alla borsa, stesse per aprirsi una nuova felicità collettiva. E invece nessun mago, nessun religioso, nessuno scienziato, nessun politico aveva previsto che sarebbe arrivata la quinta stagione: la stagione delle città dentro le città, degli aerei contro i grattacieli, del nemico - non più del ladro - sotto la porta di casa.

La quinta stagione era rappresenta dai barbari. I barbari arrivati ancora una volta, forse l'ultima, la definitiva, alle porte dell'impero: sul piatto della bilancia gettavano non la spada di Brenno, ma le loro pistole automatiche calibro nove. Pronunciavano il rispolverato guai ai vinti a forza di proiettili. Forse Binda stava semplicemente assistendo alla fine del suo mondo. Infilò gli altri due proiettili nel tamburo e soppesò l'arma. Era pronto. Era calmo. Era inevitabile: doveva provarci».

COLAPRICO

Ma mentre nel libro «La quinta stagione» i nemici di Binda sono dei criminali, oggi chi è arrivato nelle nostre città a confonderci la mente, la politica, la cultura, e anche a diventare l'esempio pratico di un giornalismo che non sa più raccontare la vita? Chi sono questi fantasmi che ci stanno intorno?

ATTRICE:

«Mi chiamo Joan Lovinescu e alle sette spaccate, puntuale come ogni giorno, eccomi nel mezzanino del capolinea della mm rossa, a Sesto San Giovanni. Devo essere puntuale, perché gli impegni sono impegni e io ne ho tanti da rispettare. Con un orario preciso.

Lasciata la baracca, dopo il tragitto insieme con i miei amici, ora sono solo. Solo in mezzo a tanti, soli come me. Vanno a lavorare verso il centro di Milano e leggono il giornale distribuito gratis fuori dalla stazione. Lo sfoglio anch'io. Magari dire che leggo è un po' esagerato ("Leggo", tra l'altro, è proprio il nome del giornale), qualcosa però capisco, qualche parola non è molto diversa dal romeno e il resto lo immagino guardando le foto...

COLAPRICO

Il barbaro è arrivato, Lovinescu pensa, la mm corre, il libro - un altro, sempre mio, che ci volete fare? - continua con lui che ha in mente una cosa, una cosa molto, molto, molto importante.

ATTRICE:

Obiettivo Mc Donald's. Sono le sette e venticinque ed è illuminato, è già aperto. Entro, non guardo nessuno e scendo di corsa le scale per il cesso. Ci resto quasi un quarto d'ora: devo approfittare di un bagno aperto e deserto anche per sciacquarmi un po'. E per sbarbarmi. Devo sbarbarmi.

Ogni giorno lo faccio. O cerco di farlo. Non so esattamente se domani potrò, ma dopotutto non so bene che cosa può capitarmi fra cinque minuti. Respiro e va bene così. In questo periodo ho solo una lametta e un po' di schiuma da barba, che di solito non uso. Quindi ci metto un po', ma mi piace sbarbarmi, vedere la mia facciona, dopo sembra che io sia ringiovanito, anzi di più: rinvigorito. Mi sono fatto questa opinione sotto le armi e la mantengo da oltre trent'anni.

Qualche volta sono andato anche dal tunisino che fa barba e capelli sulla panchina di Largo Marinai d'Italia: costa un euro e 50...

COLAPRICO

E così, sbarbato di fresco, con l'uomo dei bagni Mc Donald's che fa finta di non vederlo, Joan esce e sembra avere fretta. Ma dove va? Dove vai, Joan?

ATTRICE:

Mi basta attraversare la strada e sono in piazza Santa Francesca Romana. Entro in chiesa, esco dalla chiesa. Questione di secondi, giusto il tempo di dare un'occhiata alla situazione. Sì, dentro c'è già un po' di gente che comincia la giornata non in metropolitana, ma con una preghiera, un cero da accendere.

«Buongiorno signora». 

«Ciao buona giornata».

E' il mio lavoro. Mi chiamo Joan Lovinescu e il mio posto giusto è sul sagrato, praticamente all'ingresso. Non mi piacciono i piagnistei e i toni tragici. Quando una persona si avvicina, io sollevo la mano, saluto e solo in un secondo tempo abbasso la mano e porgo il palmo per chiedere dei soldi. Il mio messaggio è chiaro: elemosina, ma con dignità. Chi si avvicina armeggiando con il portafogli o frugando nella tasca avrà un caloroso ringraziamento, quando mi porgerà la moneta. Gli altri non vedranno comunque il mio viso negare un sorriso.

Gli impiegati prima di andare a lavorare, le mamme prima di accompagnare i figli a scuola, le vecchiette prima di correre a comprare il pane. Il "prima" di tutte queste persone, di tutte queste categorie così diverse, si chiama Santa Francesca Romana, si chiama preghiera del mattino. E io ne faccio parte. Per questo, quando dico buongiorno, la mia voce augura davvero un buon giorno, non chiede pietà. Così, tra un buongiorno e l'altro, tra una moneta ricevuta e tante rifiutate, arrivano le nove e mezzo e si avvicina una signora e mi porge un grosso sacchetto, che contiene vestiti da donna. Biancheria, un maglione di un bel colore del cielo, pantaloni, calze corte.

La ringrazio, lei mi saluta e nel giro di pochi secondi scompare.

COLAPRICO

Pensavo a Joan, alla sua difficoltà di fare delle cose che sono molto semplici per noi, come sbarbarsi. Lavorava in una fabbrica di giocattoli che ha chiuso, prima del Natale 2004 è arrivato a Milano e qua ha provato a lavorare. Ha tentato un lavoro, non è stato facile.

Lo seguiamo mentre chiede un panino al solito panificio dove ormai lo conoscono bene, quando va a spruzzarsi il profumo da un distributore su corso Buenos Aires, eccolo ricaricare una trappola di telefonino per 50 centesimi, timbrare il biglietto della metropolitana, perché lo compra, e tornare presto nella sua barachina.

E confrontavo le sue lamentele alle mie, che pure sono rare. Le sue fatiche con tutte le volte che ho faticato io. Penso qualche volta a un giovane collega che è morto da poco, Marco Formigoni, aveva la leucemia, e nessuno l'ha mai sentito che dire uffa, che balle, cercava sempre di sorridere. Penso che una cosa che bisognerebbe fare, subito, la prima... In nome dell'autonomia, ma anche in nome della Provvidenza del cronista, che agisce sempre, ed esiste, io ne ho infinite prove...

Insomma, bisogna da subito smettere di lamentarsi. Smetterla con il piagnisteo. Lo so che è dura, ma piangersi addosso non serve a niente.

Non perché guardando a chi sta peggio di noi si sta meglio, ma perché ditemi, seriamente, quando eravamo bambini e facevamo i capricci, siamo stati sempre accontentati? Non credo. E così è adesso, questo è un mondo che è difficile da leggere e da vivere, ma non ne abbiamo un altro, non ne avete un altro. In mare aperto le lacrime si confondono come la lacrime del replicante di Blade Runner, non resta traccia, si perderanno, come lacrime nella pioggia. Volete perdervi anche voi?

ATTRICE:

«Non sono ancora le dodici meno un quarto e la coda è già lunghissima. Decine di persone aspettano di entrare alla mensa dell'Opera francescana e io con loro. Ieri, come oggi, sono andato al mio posto, davanti alla Chiesa, poi a prendere il pane, poi all'Internet Point a ricaricare il telefonino, poi in corso Buenos Aires: tutto come ieri, tutto come sempre. La vita che si ripete. Quella strana cosa che passa - e finisce - mentre sei impegnato a fare altro. La vita.

Il pranzo dai frati è un momento piacevole della giornata. Non solo perché mangio gratis: piatti caldi, cucinati bene, con qualche possibilità di scelta. Ma perché mi specchio negli occhi degli altri. Vedo i miei vestiti e sono i loro vestiti. Le mie mani forse non sanno stringere bene un martello, non sanno guidare un trattore, in Italia le mie mani sinora sono state capaci solo di tendersi verso l'altro, ma non sono diverse dalle mani degli altri che vedo qua. Mani che hanno bisogno. Un bisogno chiamato pane. Chiamato famiglie lontane. Chiamato speranza che cambi. Un bisogno chiamato smettere di avere così tanto bisogno.

Non mi siedo mai allo stesso tavolo: in questo modo riesco a conoscere gente diversa ogni giorno e di tutti i paesi, italiani, marocchini, albanesi…. Mi piace, quando per la strada incontro degli stranieri, indovinare subito dal loro accento da dove provengono, anche se non capisco bene le lingue, ma mentre mangiamo, parliamo di tutto in italiano: ci diciamo da dove veniamo, dove e come viviamo, oppure chiacchieriamo di calcio. "Tutti pazzi per Materazzi" l'ho imparata qua, fa ridere, pazzi per Materazzi.

COLAPRICO

Il sociologo Paul Virilio è stato il primo a parlare di onnipoli, la città dove c'è l'omnium . Dopo metropoli, onnipoli. Un mondo intero in poche decine di chilometri quadrati. Un mondo che è cambiato velocemente perché nel '89 crolla muro di Berlino, globalizzazione, Internet...

In questo mondo cambiato, uno studioso, Slavoj Zizek, usa termini come biopolitica e postpolitica .

Lo cito esattamente: «La post politica sostiene di lasciare dietro di sé le vecchie lotte ideologiche per concentrarsi su una gestione e un'amministrazione competenti. 

...

mentre la biopolitica designa come proprio obiettivo principale la regolamentazione della sicurezza e del benessere delle vite umane».

il risultato qual è? 

«Una volta che si rinuncia alle grandi cause ideologiche, ciò che resta è solo l'amministrazione efficiente della vita… o quasi solo questo».

È da questi concetti che nasce l'idea del sindaco come di un amministratore del condominio. Un condominio però che sembra una casa dell'orrore, un condominio di spettri, vampiri, orchi, killer, immigrati feroci come il feroce Saladino.

Non a caso. «L'unico modo per introdurre passione in questa politica post e bio - prosegue Zizek - e per mobilitare attivamente la gente è usare la paura come costituente fondamentale… Per questa ragione la biopolitica è in definitiva una politica della paura, incentrata sulla difesa contro potenziali persecuzioni o molestie… La paura - prosegue sempre Zizek - come ultima risorsa di mobilitazione: paura degli immigrati, del crimine, dell'empia depravazione sessuale, di un eccesso di stato, con il suo fardello di tasse pesanti, delle catastrofi ecologiche, paura delle molestie».

E' Joan Lovinescu, è l'estraneo che cammina con la sua sacca sulle spalle all'interno della nostra cittadella a farci paura. Perché le nostre onnipoli sono ormai diverse da quello che immaginavamo. Come disse già negli anni sessanta il sindaco di Philadelphia, i confini non sono più tra gli stati, ma sono dentro le nostre città. C'è il territorio degli Altri.

ATTRICE:

«Imboccarono via Imbonati e, dopo un isolato, l'ispettore della Omicidi Francesco Bagni ebbe una sorta di illuminazione sul melting pot, il calderone milanese, il crogiolo di quella che sarebbe stata la città futura. Bastava leggere le insegne. Phone center Aladino. Rosticceria cinese Feng Cheng. Trattoria piemontese da Sergio. Drogheria asiatico-sudamericana. Euro Asia videoteca. Articoli da regalo indiani. Ristorante italo-cinese, che in un menu a lettere cubitali pubblicizzava la cotoletta alla milanese. Royal Bangla take away. Slim Shamir, prodotti tipici libanesi. Il vero Kebab. Sala del tempio dei testimoni di Geova. Puglia sound. Questo e altro, tutto in duecento metri di marciapiede, di fronte a una vecchia e desertificata industria, la Carlo Erba.

«Ma guarda che Roba, la Milanistan fetente», disse il suo collega Marulli.

«Che cosa dici?», chiese Bagni. Non aveva capito.

«Non è più Milano», rispose l'altro. «Preferisci chiamarla Milaq? Siamo in pieno territorio straniero. Checkpoint Charlie, come a Berlino… A me non piacciono. Si stanno allargando troppo. E poi hanno quei kamikaze del cavolo. A loro deve piacere farsi esplodere come un fuoco d'artificio… questione di un attimo. Boom ti spari direttamente nel tuo paradiso. Ma se ne becco uno io, il fuoco glielo faccio assaggiare con un accendino, pezzo a pezzo, perché noi italiani siamo bravi e buoni, ma finché non ci girano. E sai quanta gente stanno girando? Sai quanti amici miei cominciano a fare discorsi strani?».

COLAPRICO

La paura ha ragioni reali. Da quando banche e poste hanno aumentato le difese attive, da quando anche chi è ricco può permettersi sistemi d'allarme efficienti e vigilantes armati, i criminali meno abili (va usato quest'aggettivo) hanno cominciato ad arare un terreno che prima non frequentavano. I trilocali, i bilocali, sono case da magro bottino, ma pur sempre in grado di produrre reddito. Come si sa, i ladri non risparmiano più nemmeno le medagliette della Comunione. 

Crescono infatti i furti nelle case, sale il numero delle rapine in casa e in villa, e anche le truffe agli anziani aumentano in un anno del 20 per cento: le truffe della solitudine.

Poi ci sono altre ragioni fondate in questa paura che dilaga. Le informazioni che scopriamo grazie al lavoro dei magistrati e dei detectives ci parlano de: i kamikaze della porta accanto, i bambini rom della centrale, i protettori di prostitute che si muovono come schiavisti, usano la tortura sistematica sulle ragazze che si ribellano e sembrano portarci indietro, ai barbari del maresciallo Binda. 

Ma accanto ai dati occorre aggiungere anche un'impressione. E cioè che in questa stagione così complessa la politica (la cattiva politica) ama la paura perché porta voti. 

Ma noi amiamo chi per i voti ci mette sempre più paura?

Noi giornalisti che risposte diamo? Anzi diamo risposte?

Oppure registriamo i fatti senza dar peso alla circostanza che invece di governarlo, (ammesso che ne siano capaci), gli amministratori pubblici alimentano lo stress. 

Marce di commercianti. Fiaccolate. A guardare qualche talk show tv, dove persino la Bovisa diventa pericolosa come Kabul. Guardate via Paolo Sarpi, il quartiere cinese: per quindici anni hanno permesso ai grossisti di aprire esercizi, poi gli dicono facciamo l'isola pedonale. Per decenni i cinesi immigrati hanno lasciato i figli in quel laggiù misterioso, a casa loro, lavorano, poi riuniscono quella che credono sia ancora una famiglia e alcuni di questi ragazzi, di questi figli, arrivano a Milano e sono «spersi», non finiscono la scuola, gli piace avere il rispetto. Sono come Al Capone a Chicago, come Totò Riina a Palermo, come i catanesi nella mia Milano degli anni Ottanta. Sono tutti giovani di 20, 25 anni, criminali. Come i giovani cinesi, perché il gangster da strada è sempre giovane... anche in Alaska.

Ma questo non lo sa più nessuno: è evidente (a un cronista) che davanti alle telecamere delle tv vengono selezionati non quelli che hanno cose nuove da dire. Ma i peggiori luogocomunisti. I tipi giusti per sentirsi dire: «Viviamo nel terrore». Guardate i Tg…

Non è che gli italiani sono razzisti, un po' lo saremo anche, come dimostrano i cori di Torino contro Mario Balotelli. Ma è che è cambiato anche il modo di spiegare le cose come stanno. Come stanno davvero. Perché la verità è amica della notizia, non è nemica. La verità non uccide la notizia, la verità è la notizia.

Attore: E una verità è che oggi tutto sembra dover apparire all'improvviso. Tutto sembra «un miracolo». Ma non è così. Un progetto esiste sempre. C'è un progetto nel diventare gangster, nel fare le rapine, persino nell'accompagnarsi con una prostituta che sappiamo essere una schiava del racket necessita di un progetto anche se minimo. Di una preparazione. Non sarà complessa come la rapina delle tute blu di via via Osoppo del 1958, ma…

Ma non esiste la lama all'improvviso che nel buio viene impugnata da una persona e colpisce e uccide un'altra persona.

Scuola della periferia milanese. Un ragazzo uccide una compagna di scuola, un colpo di coltello alla gola, e lei muore: c'è da restare senza parole. Chi è l'assassino? «Un bravo ragazzo», «Nessuno l'avrebbe potuto immaginare», dicono tutti, professori e compagni di scuola. Questo dicono le tv. Il raptus, quindi, che divora l'anima, la psiche, la ragione.

Ma, se si parla un po' di più, si scoprono tante cose e ne voglio dire solo due. Qualche tempo prima, rimproverato da una professoressa, l'assassino s'era sfogato nell'intervallo con la cattedra. L'aveva distrutta a calci, pugni, spaccata. L'episodio era stato in qualche misura perdonato e «inscatolato».

Questo ragazzo ha una casa, una famiglia, una mamma. Questa mamma racconta che quando il piccolo andava all'asilo, lei non si voleva staccare da lui, gliel'hanno dovuto togliere a forza e lei «Nelle prime settimane dell'asilo di mio figlio - così diceva - giravo davanti alla scuola, aspettando l'orario di uscita, per poterlo riabbracciare, il mio bambino».

COLAPRICO

Era un bravo ragazzo, su questo non c'è dubbio, e nemmeno lui voleva ammazzare una compagna di classe, nemmeno su questo ho il minimo dubbio. Ma non ho il minimo dubbio nel pensare che, quando lui estrae la lama, non l'ha estratta all'improvviso. Il coltellino non ci nasce addosso, come un pelo, lo si compra. I nostri scatti d'ira ci sono già stati. Se un giorno, mentre sono così agitato, prendo il mano un coltello, dove mi porterà questo coltello? Io maneggio il coltello o è il coltello che s'impossessa della mia mano? In ogni caso, la lama non esce dalla tasca all'improvviso.

Ma perché la gente pensa che le cose accadano all'improvviso?

Una volta una scrittrice mi ha sottoposto un suo progetto di libro. Voleva finirlo con l'omicidio-suicidio tra amanti. Le ho procurato l'appuntamento con un vecchio ispettore, qualche carta di un'autopsia, e lei scrive il libro. Storia di una coppia di amanti, alla fine lei ammazza lui. Alla fine lo scrive e me lo fa leggere. 

Che ne pensi?, mi dice. 

«Che non può essere».

«Perché?».

«Perché uccidere un uomo, se non l'hai fatto prima, non è facile. La vittima non sta ferma, come nei film, e anche all'assassino trema la mano. A meno che non si sia allenato. E poi come fai a colpire praticamente a freddo? Prima fagli dare qualche schiaffo, falli litigare».

«Ormai il libro è in via di stampa».

Ecco, la nostra realtà è in via di stampa, o è in via di televisione. Se nessuno s'interroga davvero su assassini e vittime, tutto sembra accadere all'improvviso.

Questo, converrete, già lo diceva Michel Foucault nelle sue lezioni raccolte nel ciclo «Gli Anormali». Come reagisce la società al crimine, commesso dal mostro, che la colpisce nel profondo? Dice che è successo all'improvviso e poi analizza il mostro: chi erano i genitori, se aveva manifestato squilibri, insomma si trova la malattia per tracciare dei confini tra noi perbene e lui, permale.

Confini che servono, perché altrimenti finiamo nei guai anche noi.

ATTRICE:

Perché, potevamo fare qualche cosa? Beh, noi stessi, se siamo stati vicini a qualcuno, l'abbiamo visto cambiare, peggiorare, seguito il suo umore, ma non abbiamo saputo, potuto o voluto intervenire. Non aiutiamo, non siamo aiutati, non parliamo, non siamo raccontati più. La biografia del coltello vince sulla biografia dell'essere umano.

Pensaci, pensaci davvero. Immagina che un tuo vicino abbia sgozzato la vecchia mamma malata e arriva una tv. Tu che dici? L'avevo sospettato, era sempre peggio, e non ho fatto niente? 

Lo sapevo, che il mio compagno di scuola era un pazzo con un coltello, ma non ho fatto nulla.

Lo sapevo che mia moglie stava uscendo fuori di testa, ma a chi ci si rivolge?

COLAPRICO

ECCO, esiste non tanto una dittatura, come qualcuno talvolta dice, ma una dettatura della realtà sì. Una dettatura alla quale - se facciamo i giornalisti in maniera autonoma - oggi più che mai dobbiamo resistere, se vogliamo.

Perché inutile raccontarsi storie. Ogni neo giornalista, ogni aspirante cronista, deve chiedersi perché vuole fare questo mestiere. Che tipo di sogno ha? Vuole stare con il potere, o vuole stare con i fatti? Non c'è niente di male a stare con i cattivi se si è cattivi, ma se siete San Francesco non cercate la compagnia dei Borgia, e viceversa, se volete soprattutto fare i giornalisti perché pensate che si diventa celebri, che si fa carriera, che si guadagna tanto, che si rimedia al vuoto della propria vita guardando le vite degli altri, beh, svegliatevi, prima che sia tardi. I giornali sono pieni di capi che diventano anziani e nessuno si fila più, di gente che va in pensione e non riceve più una telefonata.

Saper dire di no è importante, come'è importante dire di sì. Ma perché noi vogliamo fare i giornalisti? Per servire il potere, gli interessi o per servire la verità?

Nulla è così assoluto, ma in fondo in fondo tra la verità e il potere, se c'è una divergenza, da che parte vogliamo stare?

Questo voi che cominciate lo dovete sapere. Nel vostro cuore ci deve essere chiarezza. Lasciamo da parte morale, etica, deontologia. Parliamo di cosa pratiche. E cioè che cosa scelgo, quando posso scegliere?

E perciò, personalmente mentre auguro a tutti noi di fare ottime indagini e inchieste e fotografie e riprese e quanto altro facciamo nella nostra vita di mani nella merda, mani che toccano la merda ma non si sporcano e non s'infettano, sogno per noi cittadini comuni la forza che aveva il maresciallo Binda. Ve l'abbiamo presentato che infilava tre pallottole nella pistola, non gli sono servite, l'hanno preso e, proprio come dice il titolo del convegno, è finito in «Mare aperto», lo portano in Albania e...

ATTRICE:

«Le onde rotolavano sotto il traghetto, il rumore delle eliche riempiva l'orizzonte, Binda sapeva di essere nei guai eppure pensava ad Addinsell e al suo concerto di Varsavia, alla Polonaise che Chopin aveva composto per la sua terra martoriata. E poi a Guernica di Picasso, all'amato e ascoltato Beethoveen che aveva composto l'Eroica perché credeva che Napoleone avrebbe risollevato le sorti del mondo e a Jacopo Ortis, che, quando Napoleone aveva tradito quelle speranze, s'era ucciso. Secondo quanto aveva letto per decenni sui libri di storia, c'era qualcosa che rendeva l'Europa un'unica terra: dal dolore e dalla sofferenza non aveva tirato fuori solo la sete di vendetta, la spirale dell'odio, ma anche tutte le sue bellezze, il suo patrimonio d'arte… L'Europa era sopravvissuta perché dal dolore e dalle speranze fallite aveva estratto anche il coraggio di credere nella bellezza».

COLAPRICO

E' quello che dobbiamo fare noi oggi, in un posto come l'Italia. Nonostante tutto.

C'è una parola andata davvero fuori moda: è onestà. La prescrizione, gli avvocati, alcuni processi dimostrano che l'onestà è patetica. Gli schieramenti nei quali si entra, i gruppi organizzati, spesso hanno un'onestà di massa, imposta dall'alto: «Noi siamo onesti, quegli altri no».

E' anche questa la dettatura del presente.

E piano piano anche il giornalismo è stato trascinato dentro paura city: non farò mai carriera, perderò il posto, non mi assumeranno mai, stanno per cacciarci tutti. Ma poi arrivano, che so, Beppino Englaro, e non sai da che parte stare. Arriva il terremoto, e devi correre a raccontare sia la tragedia, sia le case costruite con la sabbia. Oppure, più modestamente, ti accorgi che esistono le "notizie ultime", e porca miseria, qualcuno come te le dovrà pur raccontare!

E raccontare bene, con chiarezza, per siti Internet e per giornali letti anche dagli immigrati, che hanno un italiano basic, ma che grazie a voi possono capire, imparare, ragionare meglio.

Perciò la sfida per un giovane non è solo essere assunto (prioritario, certo, se no che parliamo a fare...) ma cambiare se stesso e cambiare il mondo dove andrà a lavorare. Prima o poi ce la farete, se avete un sogno. Che è credere nella bellezza. Anche nella nostra bellezza di esseri umani fragili, ma anche duri, e, non posso che finire citando un famoso pensatore del secolo scorso, John Belushi, come sapete, diceva lui, quando il gioco si fa duro...

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