Uno dei luoghi comuni più ricorrenti nel giornalismo è che le buone notizie "non fanno vendere". Come tutti i luoghi comuni, anche questo ha un fondo di verità: quello che fa vendere, infatti, sono le notizie e basta. Buone o cattive che siano.
Ma in un mondo ormai dominato dall'inquietudine e dalla paura, in cui i media sembrano comunicare solo preoccupazioni, ansie e allarmi, diventa sempre più cruciale il compito di chi seleziona le notizie, individua i luoghi dove andarle a cercare, sceglie le parti da raccontare. Il giornalismo ufficiale ha sempre rifiutato qualsiasi discussione sul suo ruolo "pedagogico". Un rifiuto giustificato dal timore di mettere in pericolo i fondamenti della professione: l"indipendenza, il diritto di cronaca, l'imparzialità.
Dopo l"incontro del 2006 su "La città crudele", in questa seconda edizione di Redattore Sociale Milano apriamo la discussione su un altro di quei fondamenti, che non ha nulla a che fare con la pedagogia: la responsabilità. Vogliamo declinare questa parola soprattutto dal punto di vista tecnico, pensando a chi quotidianamente incontra i fenomeni e i problemi acuti di una metropoli.
Crediamo che il giornalista responsabile non dovrebbe aver paura di portare alla luce anche gli aspetti positivi di una storia, di lasciar filtrare i segni di speranza che fanno parte, sempre, di ogni vicenda, comprese quelle peggiori. Non dovrebbe lasciarsi imprigionare dal presunto "dovere" esclusivo di emozionare e scandalizzare, di far inorridire e indignare (per lasciare poi ad altri la funzione di "ricreare" il pubblico, rassicurandolo con la banalità).
Il giornalista responsabile dovrebbe solo trovare le notizie, buone o cattive che siano. E proporle, nei limiti del possibile, in tutte le loro sfaccettature. Solo così potrà assolvere al servizio che sta alla base del suo mestiere: aiutarci a interpretare giorno dopo giorno il mondo in cui viviamo. E magari a farci tener viva la speranza che è sempre possibile migliorare il peggio.