Intervento di Vinicio Albanesi
Vinicio ALBANESI
Sacerdote, presidente della Comunità di Capodarco e di Redattore sociale. Dal 1988 ha ricoperto la carica di presidente del tribunale ecclesiastico delle Marche per 15 anni ed è stato direttore della Caritas diocesana di Fermo per altri dieci. Dal 1990 al 2002 è stato presidente del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca).
Io mi sono goduto Lamberto Sechi e il direttore Giulio Anselmi, perché con delicatezza, hanno posto problemi grandi come il mondo, tra parentesi, consolatevi tra vecchi e giovani, perché i cardinali vanno in pensione a 75 anni e il Papa ce ne ha 80 finiti, quindi non sperate di arrivare prima, perché la gerontocrazia ha detto il direttore, è potere, quindi non è che si scherza sul potere… Hanno posto una serie di problemi e vi hanno lasciato delle domande, degli interrogativi, soprattutto Lamberto Sechi, il quale così sfumando, perché si sta distaccando dal mondo, ha buttato là delle cose che esigono molta riflessione. Il giornalista racconta le cose, l'opinionista parla della realtà che che vede lui, che fa emergere, che va secondo le tendenze… Hanno parlato di editori, editori puri, spuri… vendite, pubblicità, quindi tutto il grande mondo di un giornale che è un"impresa a tutti gli effetti, che ha i suoi interessi, ha i suoi obiettivi, ha i suoi allargamenti, ha le sue correttezze, ma anche le sue scorrettezze. Lamberto Sechi parlava di Mondadori come persona molto corretta. Giulio Anselmi ha parlato esattamente, non l'ha detto, perché è una persona saggia, ma il direttore è una specie di vescovo, quindi vi ha lasciato il problema della proprietà che poi è la sostanza… Hanno parlato di linguaggio chiaro, facile, uniforme… tutti questi inglesismi che servono a non far capire o a esemplificare a rovescio… Han parlato di costume, d'imbarbarimento, di lavoro artigianale, di bombe che a volte bisogna innescare… Che cosa si deduce da questa serie di problemi, di nodi? Che il mestiere di giornalista è un mestiere delicato, è un mestiere di potere. Prima si parlava di parlare, di dire le cose così come stanno, è un mestiere di potere. A servizio di chi? È un mestiere indipendente, ma l'indipendenza non è assoluta, a vantaggio anche qui, di chi? Della verità? Di una parte di verità? Di una parte di popolazione? Di chi? Hanno parlato di questi aspetti che sono strutturali ma che sono anche personali. L'ultimo accenno su chi scegliere, il direttore ha detto di aver cercato di scegliere secondo le capacità commettendo degli errori. Alcuni nomi di giornalisti sono cognomi celebri. Se vedete il tg5 quando passa lì il sottopancia, molti di quei nomi non sono così presi dall'elenco telefonico, sono nomi che contano. Tutto questo che cosa pone? Io credo che ponga una grande speranza per voi che fate o sperate di fare questo mestiere, perché andate nel cuore, non da soli, c'è la politica, c'è l'economia, ci sono i controlli sociali, ci sono i territori, ci sono altre variabili, però andate a fare un mestiere elitario. Adesso voi lo pagate perché vi fanno pagare le formazioni, ma certamente il giornalista è una di quelle componenti della società che hanno il loro peso, non sono le uniche. Allora in tutto questo, la domanda che una persona corretta si fa è: lo faccio per che cosa? Lo posso fare per motivi personali, lo posso fare per celebrità, lo posso fare per soldi. Da che parte stare per difendere che? Quanta parte di voi volete giocarvi? Sono tutte domande molto esaltanti, direi anche molto nobili. A voi spetta il compito di sciogliere il nodo, in una realtà che come sempre è fatta di grande risorse, ma è fatta anche di grandi limiti. Grazie.
* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.