I Redattore Sociale Milano 29-30 settembre 2006

Città crudele

L’informazione sociale in città: tra emozione e dovere di cronaca, dove va Milano?

Tavola rotonda con Francesco Anfossi, Ferruccio De Bortoli, Dario Di Vico, Ines Maggiolini, Massimo Rebotti. Conduce Vinicio Albanesi

Ferruccio DE BORTOLI

Ferruccio DE BORTOLI

Giornalista, è stato direttore del Corriere della Sera, dal 1997 al 2003 e dal 2009 al 2015, direttore del Sole 24 ORE dal 2005 al 2009. E ditorialista del  Corriere della Sera. Dal 2015 è presidente dell'Associazione Vidas di Milano. Ha scritto, tra l'altro,  Poteri forti (o quasi). Memorie di oltre quarant'anni di giornalismo (La Nave di Teseo, 2017) e "Ci salveremo. Appunti per una riscossa civica, (Garzanti, 2019)

 

 

Francesco ANFOSSI

Francesco ANFOSSI

Giornalista, caporedattore di Famiglia Cristiana. 

ultimo aggiornamento 29 settembre 2006

Dario DI VICO

Dario DI VICO

Giornalista, vicedirettore de Il Corriere della Sera.

ultimo aggiornamento 29 settembre 2006

Ines MAGGIOLINI

Ines MAGGIOLINI

Giornalista,caporedattrice vicaria del Tgr Rai Lombardia. 

ultimo aggiornamento 29 settembre 2006

Massimo REBOTTI

Massimo REBOTTI

Giornalista, direttore di Radio Popolare. 

ultimo aggiornamento 29 settembre 2006

Vinicio ALBANESI

Vinicio ALBANESI

Sacerdote, presidente della Comunità di Capodarco e di Redattore sociale. Dal 1988 ha ricoperto la carica di presidente del tribunale ecclesiastico delle Marche per 15 anni ed è stato direttore della Caritas diocesana di Fermo per altri dieci. Dal 1990 al 2002 è stato presidente del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca).

 

Vinicio Albanesi

Quello che vi chiedo è di non fare accademia perché non serve. Vi ho preparato l"incipit che ho letto ieri pomeriggio mentre salivo a Milano: "Il ricordo della mia miseria e del mio vagare è come assenzio e veleno. Questo intendo richiamare alla mia mente e per questo voglio riprendere speranza". Lamentazioni, cap. 3 versetto 19. Scrivetevelo così ve lo andate a rileggere. Perché questo incipit? Quando noi parliamo della città crudele, io credo che ci siano 3 passaggi. Il primo passaggio è avere passione. Di quelle foto che abbiamo visto scorrere, io conosco la storia profonda e ogni volta che le rivedo così proiettate, è come se le vivessi; spesso sono storie di disabilità mentale. Ci sono stati 3 o 4 passaggi di una ragazzina che è oligofrenica; l'ultima volta che sono andato a trovarla mi ha riempito di carezze, probabilmente avendo i capelli bianchi gli ricordavo il padre. Sai, quando hai questa passione poi il resto non conta. Il secondo passaggio è raccontarla questa storia. Il terzo passaggio è che bisogna raccontarla bene. Perché? Dobbiamo avere la capacità di far emergere le storie intime, anche drammatiche, ma anche nella drammaticità c'è una bellezza; la storia della vita è una storia infinita e quella ragazzina che non riesce a ragionare, a connettere in realtà vive sogni, angosce, speranze, esattamente come ciascuno di noi, una forza interiore che si ha dentro di sé. Distruggere la miseria è il mio vagabondare per ritornare alla speranza. Se avete questa capacità, fate questo mestiere, altrimenti andate in una bella redazione dove parlano ad esempio dei vestiti. E' come per il maratoneta che non fa mai il calcolo col suo vicino, fa il calcolo con sé stesso, perché deve percorrere 42 km con le sue forze, senza tatticismi, perché quando arriverà sarà sfinito, naturalmente occorre questa capacità. 

Iniziamo questa tavola rotonda di tutto rispetto perché questi sono i big, quindi quando fate le domande non metteteci l'invidia per loro, perché loro sono arrivati e voi dovete ancora correre, e correte, figli miei, perché siete giovani e ci vuole fiato e quindi non fate le lamentele contro i giornali e come i vecchi che dicono che il passato è bello, ma perché pensano alla loro giovinezza, mica perché era bello, perché è una specie di imbroglio collettivo. Voi li conoscete tutti. Francesco Anfossi, che è capo redattore di Famiglia Cristiana, non la sottovalutate perché è la più grossa rivista settimanale italiana ed è molto sensibile; Ines Maggiolini, poi abbiamo il mito, Ferruccio De Bortoli, che per me è mitico, siamo anche un po' amici, un po' tanto…; Massimo Rebotti di Radio Popolare e poi è tornato Angelo Perrino.

Il tema è evidente: "La città crudele: fare i giornalisti in tempi di convivenza difficile". Ognuno di loro farà emergere il tema naturalmente dal proprio punto di vista: di un settimanale, di una televisione, di un giornale, di una radio e di un'agenzia. Dopodichè faremo un bella serie di interventi, facendoli belli però, intelligenti, senza dire cavolate e senza soprattutto metterci quell'astio.

Francesco Anfossi

Io mi ero preparato un intervento su Milano, però mi sa che devo un po' allargare lo sguardo, perché mi sembra di aver capito che un po' tutte le città d'Italia e del mondo sono crudeli. Io faccio il capo redattore a Famiglia Cristiana, che è un settimanale e forse conserva più di altri giornali quel rapporto di cui si parlava e che seguivo con molto interesse nel dibattito precedente, tra fotografo e giornalista, nel senso che ovviamente Famiglia Cristiana ha un codice genetico ben preciso, è un giornale militante, è un giornale cristiano, è evidente che s'ispira a una linea ben precisa, ma è anche un settimanale che si rifà ai grandi reportages che stanno sempre di più scomparendo, sostanzialmente per motivi economici. Avrei molto da dire sul rapporto tra giornalista e fotografo, perché deve essere un rapporto assolutamente sinergico e assolutamente paritetico, altrimenti il servizio viene male. A me è capitato più volte di andarmene in giro per l'Italia o per il mondo con un fotografo incapace, incapace perché per esempio non mi aiutava a cercare quelle notizie che poi sarebbero servite anche a lui per scattare le foto, o magari perché quando pensava di aver completato un servizio, diventava un bambino di 3 anni e non vedeva l'ora di tornare a casa. Oppure mi è capitato di vedere servizi giornalistici in cui il giornalista, anche con un po' di senso snobistico, di iattanza, se ne fregava di quello che faceva il fotografo, per cui era come mettere insieme due zeppe diverse, quando poi si trattava di sistemare il servizio. Come avviene quando per esempio compriamo un servizio giornalistico da un'agenzia fotografica e quando poi facciamo le didascalie, non riusciamo a mettere insieme i pezzi, perché il redattore non ha visto i luoghi e questo è molto importante.

Detto questo, io credo che raccontare la città crudele significhi raccontare il nostro tempo che è quello della globalizzazione, il tempo in cui non significa che il mondo si è fatto più piccolo, ma semplicemente che il globale entra in rapporto con il locale ovunque. La parabola satellitare è il simbolo di questa era in cui praticamente noi conosciamo il mondo, subiamo gli influssi dei 4 angoli del mondo più lontani, ma rimaniamo dentro il nostro spazio, dentro le nostre paure, dentro le nostre angosce. La globalizzazione significa eliminazione dei confini. L'esotico, quello che una volta era l'esotico, l'oriente, il vicino oriente, entrano prepotentemente nella nostra vita e creano tutta una serie di paure, di angosce, la paura per il diverso, per lo straniero. C'è un movimento in Italia che a mio giudizio riassume un po', simboleggia, per certi aspetti anche a ragione queste paure, queste angosce che ovviamente è il movimento della Lega. C'è un luogo fisico, secondo me, che noi abbiamo fotografato recentemente, attraverso un fotografo molto bravo, Alberto Roveri e che riassume un po' la nostra era. Questo luogo paradossalmente adoperato nel 1995 come simbolo dell'Italia, delle radici italiane, con la manifestazione della Lega che è appunto il fiume Po. Se voi andate lungo il fiume Po, capirete come l'Italia sta cambiando: vi troviamo ad esempio gli indiani che allevano le mucche, i cingalesi che coltivano i meloni, troviamo sia quell'umanità tipicamente italiana, che veniva raccontata ancora dal Molino del Po di Bacchelli, ma troviamo anche i nuovi simboli, i nuovi insediamenti che ci vengono da mondi lontani. 

Milano è un grande agglomerato, una grande rete di concordanze, di coincidenze, di sistema che ha questa estensione. Ma ormai Milano, come tutte le città metropolitane ha estensione molto più grandi, dovute alla globalizzazione, forse arriva giù fino a Lampedusa e addirittura fino a Tripoli, dove ovviamente c'è il canale di insediamento dei clandestini che io ho recentemente visto, dove tra l'altro, c'è una situazione molto particolare, non ci sono più confini, neanche lì, perché gli extracomunitari sbarcano sul molo turistico e qualunque turista che è a Lampedusa può assistere agli sbarchi di questi disperati che si sono fatti 125 miglia su una bagnarola, rischiando la vita. Uno dei tanti compiti del mio giornale è appunto di raccontare questo nuovo mondo, questo nuovo mondo senza confini, che genera paure, angosce, ma che deve anche generare speranza, deve cercare di far capire che il diverso, lo straniero, non è soltanto una paura, ma anche una risorsa che c'è tutto un mondo che ci può arricchire e che appunto alla fine di tutto può dare speranza. Cito per esempio l'ondata di delitti, che forse Ines conosce molto meglio di me, che c'è stata quest'estate, che ha coinvolto un po' tutte le città del nord da Brescia, a Bergamo e soprattutto Milano; per esempio penso agli stupri alla stazione centrale o alla violenza che è avvenuta se non sbaglio non lontano da qui in viale Umbria, che ha finito per generare tutta una serie di angosce, di paure, che poi hanno innescato una sorta di meccanismo perverso nella stampa. Questi fatti, anche se magari hanno una rilevanza molto inferiore rispetto al passato, vengono percepiti dall'opinione collettiva pubblica, come molto più ingranditi. La percezione di questi delitti, proprio perché c'è in ballo lo straniero, diventa amplificata. E' compito anche della stampa cercare di ridimensionare queste cose, questi fenomeni, cosa per altro difficilissima, perché la stampa vive della percezione di questi fenomeni, quindi si crea una sorta di meccanismo perverso. Avviene un delitto, una rapina, questa rapina colpisce moltissimo l'immaginario collettivo. Il giornale, che vive di immaginario collettivo e che deve dare una priorità alla notizia secondo questa scala, l'amplifica ancora di più e quindi si crea un meccanismo perverso. Compito di un settimanale che ha il privilegio appunto di fermare un attimo il tempo, è di non seguire così l'attualità come per esempio la seguono gli altri mass media, la radio, la televisione, i quotidiani, è forse quello di riflettere un attimo, di raffreddare le situazioni e cercare di fare il punto su una situazione che è molto meno drammatica di quel che sembra.

Vinicio Albanesi

Grazie Francesco, Ines a te.

Ines Maggiolini

Io lavoro al telegiornale regionale della Lombardia, che poi fornisce, per quel che riguarda il territorio lombardo, i servizi anche al Tg1, Tg2 e Tg3 e al giornale radio della Rai. Io credo che di fronte all'informazione di quanto avviene in una città, di come cambia una città, la televisione abbia una responsabilità particolare, perché c'è quello che noi chiamiamo "lo specifico televisivo". In un giornale c'è un testo, ci sono le foto, abbiamo sentito parlare prima dei rapporti che possono o debbono esistere, in televisione questa scissione non può esistere. Io credo che raccontare Milano sia un compito difficile, perchè è una città complessa; io non vorrei raccontare solo la Milano della moda, ma non vorrei neanche raccontare solo la Milano degli ultimi. Ho l'impressione, la convinzione che la responsabilità di fare un telegiornale sia proprio quella di guardare Milano e le persone che qui ci vivono con quest'occhio che cerchi di tener conto di tutti i fattori presenti. Non è una cosa facile, perché come diceva prima Francesco anche noi veniamo determinati dalle mode delle notizie. Quest'estate c'era ad esempio la moda della violenza sessuale, per cui anche le notizie che normalmente non avresti dato, in quel contesto diventavano "la notizia". Io credo che di fronte a questo però noi abbiamo la possibilità di giocare una responsabilità personale, senza diventare eroi, perché siamo tutti immersi in un meccanismo, i giornali hanno meno soldi, comprano meno foto, mandano meno in giro i giornalisti… Questa è una realtà, fa parte della realtà di cui dicevo prima, non si può prescinderne, ma dentro c'è lo spazio della libertà del giornalista e della sua responsabilità. Quando il Tg1 ti chiede di mettere in evidenza Brescia, anche l'omicidio del pittore ucciso da un extracomunitario, che normalmente non avrebbe avuto neanche due righe, tu dici: no! Io questo non te lo documento, se vuoi lo aggiungi tu in coda al servizio con un enfasi e quindi un peso anche specifico dell'informazione che è tutto diverso, perché altrimenti, secondo me, noi finiamo per essere schiacciati da un meccanismo giornalistico che sembra vederci come dei burattini. Io mi rifiuto di far questo, non sono sciocca, subisco censure in continuazione, però credo che ci sia lo spazio per un'originalità…

Vinicio Albanesi

Sono tosti: globalizzazione, meccanismo perverso ha detto Francesco, la moda delle notizie e la spettacolarizzazione ha detto Ines. Sono macigni che poi vanno all'interno di come si costruisce comunicazione. Adesso ascoltiamo un direttore che conta dicono, ma lo penso anch'io.

Ferruccio De Bortoli

Grazie don Vinicio, grazie a tutti. Il sociale ha sui nostri giornali e sui nostri telegiornali un posto relativamente ridotto. Questo è colpa ovviamente di quanto è stato detto con efficacia anche da chi mi ha preceduto ed è anche il portato del fatto che i media in generale dipendono sempre di più dalla pubblicità e questo è un fattore estremamente importante e critico dell'industria editoriale non solo italiana. Badate io ho visto e ho apprezzato moltissimo il servizio di Contrasto. 

L'industria editoriale anche con le nuove tecnologie, i nuovi supporti e tutto il resto si basa sempre di più sul mondo pubblicitario, anche nella misura in cui diventa sempre più gratuito, questo è un po' anche il problema di fondo, nella gratuità dell'informazione si nasconde pericolosa l'insidia della sua maggiore dipendenza dall'ormai unica fonte di sostentamento di questa industria culturale, che proprio per questa ragione rischia di diventare meno culturale e sempre più legata e più dipendente da fattori economici di questo tipo. Però è anche vero che questa professione conserva una straordinaria qualità, un grado di libertà che chi sta dentro apprezza generalmente poco e quando ne sta fuori capisce quale è il privilegio che i giornalisti hanno e anche la responsabilità che questo privilegio poi comporta, cioè il fatto di essere testimoni diretti della realtà. Altre professioni non lo sono affatto, quando succedono delle cose importanti che cambiano la nostra vita i giornalisti sono o dovrebbero essere, ci auguriamo, in prima fila e spesso lo sono stati e lo sono stati molto di più negli ultimi anni che negli anni precedenti e hanno pagato un tributo molto più forte, anche se abbiamo dei mezzi d'informazione che danno al lettore, all'utente la sensazione falsa di essere testimoni diretti di quello che vedono e di non aver bisogno, proprio per questa ragione, di intermediazione.

Sono più importanti i giornalisti, i cronisti, i fotografi che vanno, che spero continuino ad andare anche a fare dei servizi che non gli vengono richiesti dalla committenza. Non esiste una parte virtuosa e una parte meno virtuosa, esiste un problema orizzontale di questa professione ed esiste un problema culturale. Probabilmente però dentro questa professione c'è anche qualche valore e allora io ringrazio don Vinicio, perché l'incontro con lui mi ha fatto scoprire alcuni pezzi di realtà che io non conoscevo, di cui io non avevo nemmeno il sospetto che esistessero. Ho conosciuto parti del sociale che frettolosamente avevo dimenticato, ma ho anche conosciuto delle persone straordinarie che mi danno la speranza, perché la realtà possa essere affrontata con mezzi diversi, perché si possa fare un'informazione più consapevole, che non è un'informazione noiosa e disfattista, non è l'informazione degli ultimi, delle periferie, è un'informazione consapevole del proprio ruolo sociale anche quando non si occupa del sociale. Se per lavarsi la coscienza dedica un pezzetto al sociale e poi può nell'altro 90% del tempo fare tutto quello che viene chiesto, anche l'indicibile, questo francamente non lo accetto. Mi viene in mente come spesse volte la beneficenza sia il tentativo di lavarsi la coscienza per aver passato una vita a calpestare i diritti degli altri. Io qualche volta m'interrogherei sulla qualità di alcune generosità private e pubbliche, così come credo che questa nostra professione, in una mattinata come quella che stiamo vivendo, debba anche porsi il problema non solo del fatto che il successo è misurato anche da quello che si fa e non tanto da quello che si vende, ma anche di indurre questa società ad essere un po' più generosa e un po' meno egoista. Noi negli ultimi tempi e qui mi ci metto anch'io, naturalmente questa è un'autocritica, abbiamo descritto e abbiamo invocato spesse volte una società competitiva nella quale contano i risultati, nella quale gli ultimi spesse volte sono un intralcio, nella quale bisogna forse dare voce più alle paure che alle speranze e nella quale la costruzione di una società multietnica e forse anche in parte multiculturale viene vista come una grande paura. Spesso noi, dimenticando un po' la funzione sociale della nostra professione, abbiamo finito per esacerbare queste paure, per aumentare queste differenze, per innalzare alcuni muri invisibili della comunicazione. 

Quando venivano proiettate queste belle fotografie dei colleghi di Contrasto paradossalmente ci siamo resi conto di conoscere di più delle nostre periferie e dei problemi d'integrazione, delle parti meno fortunate della nostra società quando avevamo mezzi di comunicazione più artigianali. Oggi che dovremmo conoscere di più, anche perché abbiamo a disposizione in diretta una messa d'informazioni incredibilmente più ricca, probabilmente ci troviamo di fronte a dei muri invisibili, che sono stati eretti proprio perché l'utente, il lettore, il navigatore, ha parcellizzato sempre di più la propria attenzione ed è come se cogliesse soltanto quello che interessa al suo piccolo mondo particolare. Probabilmente quindi abbiamo dei cittadini più informati, ma meno legati tra loro, più attenti a selezionare ciò che interessa direttamente loro e meno aperti ad esplorare campi che in qualche modo nella selezione delle loro preferenze hanno già escluso. Questo effettivamente è un problema che dobbiamo porci perché riguarda il modo con cui facciamo questo mestiere, del nostro rapporto con il potere che certamente non gradisce che si pongano alla luce problemi in continuazione. Però è anche vero che ci sono dei professionisti, ci sono delle persone che hanno il senso della loro professione, passione, valori ed in qualche modo sono interessati a descrivere il sociale, non tanto per avere la bandierina di uno scoop, o comunque il merito di aver fatto del giornalismo controcorrente e questo credo che si possa espandere nelle redazioni come cultura di base. Tutto ciò è fondamentale in un processo sul quale tutti abbiamo molte responsabilità e del quale ci stiamo occupando relativamente poco, cioè noi stiamo creando una società multietnica nella quale ci stiamo preoccupando più degli elementi di contrasto e delle paure, che degli elementi di aggregazione e di unità. Paradossalmente una diffusione maggiore dell'informazione ha fatto in modo che si globalizzassero più gli aspetti negativi della convivenza, piuttosto che gli aspetti positivi. 

Non è vero che il mondo del volontariato, il mondo che fa del bene, il mondo che è aperto agli altri, abbia meno ascolto di una volta, ce ne ha di più, però io vorrei che ce lo avesse anche quando non è oggetto di notizia, cioè che informasse ad esempio in modo che si conoscano le varie entità sociali, in modo che possano anche apprezzarsi e non si creino nuovi luoghi comuni e nuove diffidenze, nuovi sospetti, che purtroppo oggi hanno una velocità di circolazione estremamente più alta di quello che di buono e molto si fa in questa società. Il problema di fondo è quello che si discute anche all'interno delle redazioni e che ci sia una consapevolezza anche che quei temi non possono essere l'oggetto di una pagina, di una rubrica. Io mi ricordo che 30 e rotti anni fa, ci si occupò per la prima volta di tutto il mondo dei disabili e si risolse il problema facendo una meritoria rubrica che aveva l'Anffas come sponsor; pensavamo con quella rubrica di aver risolto i problemi di comunicazione del mondo della disabilità. Fu una buona idea, ma quando invece la persona che se ne occupava e che se ne è occupata per tantissimi anni, ha cominciato a parlare di quello che vedeva con tutti gli altri, in qualche modo il tema è passato su altre pagine, sulle pagine di cronaca milanese; si è cominciato a fare una battaglia contro le barriere, è cominciata così perché in qualche modo coloro che si occupavano anche di temi urbanistici, che mai avrebbero pensato di doversi distrarre su temi così angosciosi e drammatici, che pensavano dovevano essere riservati ad altri, hanno in qualche modo avuto una maggiore coscienza. 

Io credo che sia un problema di superare la fase di un'informazione spettacolare, a volte effimera, a volte troppo condizionata nel compiacere l'utenza pubblicitaria, o l'azionista di riferimento sia esso pubblico o privato; io credo che al di là delle governance societarie possa fare molto una consapevolezza dei professionisti che vi lavorano, che abbiano anche la preoccupazione non tanto, che è legittima, di fare una straordinaria carriera personale, ma anche in qualche modo di condividere con gli altri tutta una serie diciamo di valori, di preoccupazioni. Allora da questo punto di vista, se noi riuscissimo a ridurre anche di poco l'egoismo che caratterizza la fase di questa società, io credo che avremo fatto un piccolo passo per portare il sociale dentro i criteri di scelta di tutti gli argomenti quotidiani e anche quelli che possono essere apparentemente più lontani e non di riservarlo in una pagina ghetto semplicemente per salvarsi la coscienza. Grazie.

Vinicio Albanesi

Grazie al direttore. Quattro passaggi: il problema della pubblicità, il grado di libertà che il professionista ha, il problema di un ideale che presenti una società più generosa e meno egoista e da ultimo questa cultura di base che va diffondendosi. Io, a distanza di una ventina d'anni, i risultati li vedo, perché alcuni temi non si trattavano, perché i linguaggi non erano appropriati, quindi se guardiamo l'orizzonte ampio, sono stati fatti passi da gigante. Ascoltiamo adesso Massimo Rebotti.

Massimo Rebotti

Buongiorno e grazie dell'invito. Io non so se la città è crudele, sicuramente la città è indifferente, ognuno pensa molto di più per sé, anche in contesti in cui meno te l'aspetti. Come sapete ogni anno Il Sole 24 Ore fa una ricerca sulle città dove si vive meglio e ha aggiunto un parametro nel corso delle ultime ricerche, un parametro non oggettivo, l'unico non oggettivo, cioè: dove sogneresti di vivere. Milano è penultima, mentre per buona parte degli altri parametri, fra quelli non strettamente legati alla qualità della vita in senso classico, ma ad alcuni parametri significativi dal punto di vista economico, dell'aspettativa ecc., è sempre piazzata molto bene. È una città fatta di gente sostanzialmente in transito e che non la ama. 

Perché questa premessa? Faccio un paio di esempi che mi sono venuti in mente pensando a quest'incontro e pensando anche al lavoro che abbiamo fatto nel corso delle ultime settimane. A Radio Popolare abbiamo trattato ai microfoni ad esempio il tema dei cani feroci a Milano e dopo aver ascoltato i padroni dei cani che li difendevano, mentre le mamme manifestavano la loro paura, telefona un ragazzo normalissimo e mi dice: io vado al parco con il coltello per difendere il mio cane. Questo dice tantissimo di una città, perché Milano ha pochissimi spazi pubblici, quasi non esistono o sono quasi tutti mercificati o commerciali. Se si vive lo spazio pubblico in quel modo, questa è una grande occasione giornalistica. Noi siamo stati in imbarazzo di fronte a questa telefonata assolutamente normale. Io sono molto d'accordo sul fatto che non ci siano settori, questa è informazione sociale. Può essere, la spettacolarizzazione, io col coltello in tasca per difendere il mio Colly, oppure può essere capire cosa succede, la piccola guerriglia quotidiana che avviene in alcuni giardini, che è un dato di tensione, anche difficoltà di convivenza, questa è la parte più complessa e più difficile. Un esempio analogo è quello dei casi delle ultime settimane, di ragazzine che picchiano ragazzine, in rapporto ai fidanzati come spedizioni punitive. Il tema ha una sua rilevanza giornalistica classica, dal punto di vista della spettacolarizzazione, può essere trattato sociologicamente il motivo per cui le ragazzine in un certo senso, come dicono i sociologi, virilizzano i loro comportamenti, aumentano il tasso della loro aggressività, oppure si può avere, che è una delle questioni che manca all'informazione, un po' di umiltà, un po' di ascolto, di rispetto, per cercare di capire. Noi abbiamo anche in questo caso aperto il nostro microfono e ha telefonato una ragazzina che ha detto che ogni sabato pomeriggio nelle discoteche milanesi della periferia il livello di tensione è alto, botte e risse abbastanza spesso. 

Questo è un tema per il giornalismo: essere in grado di cogliere determinati segnali, non avere una ricetta in tasca. Umiltà, ascolto, rispetto e poi qualche forzatura, perché a volte è necessario farla se si segue quel tipo di logica. Le forzature: in queste ore certamente la notizia del giorno, dei prossimi giorni è la legge finanziaria. In quel caso, proprio perché non ci sono steccati, o perlomeno non dovrebbero esserci, serve che ci sia oltre che una passione che è fondamentale, un'attitudine a guardare le cose da più punti di vista e anche delle scelte evidentemente. Ieri un collega ha intervistato un salumiere di un supermercato di Quartogiaro che ha detto: "voi non avete idea negli ultimi sei mesi, come è aumentato il numero di persone che chiedono una fetta di prosciutto". Questa cosa può entrare o non può entrare nelle trasmissioni che in queste ore racconteranno la finanziaria? Perché poi non è così semplice e non si tratta di sentirsi la coscienza un po' più pulita se c'entra, perché può entrarci come bollettino inutile, oppure può entrarci come dato. Può entrare l'elemento dell'ascolto e della comprensione di un segnale che arriva, insieme a molti altri perché non c'è solo la società degli ultimi, c'è anche la società affluente che magari sta male e gli ultimi dati incredibili sul consumo di cocaina a Milano ce lo manifestano. Secondo me queste sono alcune delle sfide fondamentali dell'informazione sociale e che pervadono qualsiasi notizia.

Vinicio Albanesi

Grazie Massimo. Ci ha preso per mano attraverso 3 esempi, ci ha fatto fare un percorso di come si può affrontare il sociale e di come lo si può collocare, con effetti molto diversi. Però è stato bello perché in fondo quella della fettina di prosciutto e la finanziaria sembrano molto distanti, poi in realtà non è così… Grazie Massimo. Ultimo passaggio quello di Angelo Perrino.

Angelo Perrino

Magari la fetta di prosciutto serve per essere messa sugli occhi per non vedere, chissà… Emerge una domanda di senso intorno alla professione del giornalista e io ci aggiungerei anche la professione di editore, perché poi molte delle scelte sconcertanti di cui abbiamo parlato in questi giorni, attengono alle responsabilità dell'editore, non solo del giornalista. Non sempre il giornalista può estendere la sua responsabilità a decisioni che lo sovrastano. L'episodio di Contrasto, il fatto che nessuno abbia accolto quel servizio, è una decisione dell'editore, implica un investimento, implica dei ritorni, è una decisione imprenditoriale e quindi il problema è anche l'editoria italiana, dov'è, di cosa si occupa. In questa domanda di senso che emerge dai giovani che approcciano questa professione io vorrei dare una disillusione e una speranza. La disillusione sta nel fatto che secondo me, dopo 30 anni direi quasi di esperienza giornalistica, io ho iniziato nel 1977 a Panorama, assunto da Lamberto Secchi, quindi faccio parte ancora di quel Panorama di 30 anni fa dove facevamo giornalismo investigativo, bene da allora sono cambiate molte cose. L'editoria tradizionale secondo me, è implosa. Dall'editoria tradizionale io temo che non ci sia più nulla d'aspettarsi, questa è la disillusione. E' un mondo che è imploso al suo interno e ha perso la sua vocazione e la sua mission. Gli editori puri, cioè i Mondadori, i Rizzoli, i Rusconi, non ci sono più, restano i loro nomi, ma la Mondadori è di Berlusconi, la Rizzoli è di un insieme di una ventina di grandi imprenditori. Questi editori puri che operavano appunto per la mission editoriale, sono stati sostituiti da gruppi industriali e finanziari, che non è un'esagerazione ritenere che usino i giornali per le loro lotte di potere. Usano i giornali come pistole cariche ahimé e lo dico, e mi trema la voce, però è la verità, dobbiamo dircela la verità, almeno qui possiamo dircela, pistole cariche da usare nella lotta per il potere al loro interno, all'interno delle loro gerarchie e delle loro oligarchie, le usano tra di loro e verso la politica, come la cronaca quotidiana, il caso Telecom e le intercettazioni ci dimostrano. Sono strumenti dell'élite che si pestano tra di loro, si coattano, si alleano, si rompono in un caleidoscopio del potere, che muta sempre, è un equilibrio instabile, ma che appunto come è cronaca di questi giorni, ha un unico elemento che lo caratterizza: il distacco dalla realtà vera. Una volta Romiti ad un convegno disse ai giornalisti: dovete tirarvi su i calzoni, è tempo che vi tiriate su i pantaloni. Anche qui qualche accenno alla necessità che i singoli cambino, diventino più seri e responsabili, c'è stato sicuramente, chiaro che c'è un aspetto personale, un'etica personale e politica da recuperare, non c'è dubbio, però i giornalisti ed i manager editoriali inseriti nel sistema di cui sopra, cioè all'interno di un'editoria dove gli azionisti hanno ucciso la mission dei giornali, non possono che risentire di questo clima, di questa cultura aziendale e quindi, o si adeguano alle logiche del capitale finanziario industriale, o rischiano il loro lavoro. Questa è la disillusione. 

La speranza io la vedo, ne sono convinto, lo faccio, lo applico, nel nuovo giornalismo di internet. Mi considero un super ottimista, diciamo un entusiasta della rivoluzione digitale, quindi prendete le mie parole attribuendole a un appassionato; comunque io penso e sono convinto che Redattore Sociale è uno straordinario esempio di quello che sto dicendo, di giornalismo nuovo, che ha preso un settore non coperto e che oggi è una realtà importante, che è fatta da giornalisti nuovi, portatori di nuovi valori, che appunto nascono fuori dai circuiti di quelle oligarchie. Affari Italiani, modestamente, il giornale che io dirigo è un altro di questi esempi di nuova editoria che appunto sta innovando queste logiche. Io penso che sia in corso una specie di rifondazione giornalistica, che si muove in modo un po' anarchico, viva Dio per altro, e che rappresenta una speranza per il futuro, ossia la speranza del recupero di quell'editoria che abbia un solo interesse, come ci hanno insegnato i padri, che non è quello delle finanziarie, ma è quello del lettore, l'interesse del lettore. A noi ci hanno insegnato: qual'è la mission di un giornale? Preservare e cercare l'interesse del lettore, non altri interessi. Dietro la parola lettore, c'è la realtà, c'è la società, c'è appunto il sociale.

Vinicio Albanesi

Grazie Angelo. Una disillusione e una speranza. Ci suggerisci la speranza, perché la disillusione è lacrime e sangue… ascoltiamo voi… brevi, concisi, giornalisticamente corretti.

Matteo Ganino - Affari Italiani

Volevo fare una domanda, perché è da ieri che ho un dubbio, partendo dal discorso di Di Vico il quale ha detto: da quando non c'è più il sindacato manca un interlocutore che sappia porre domande, raccontare il sociale e in qualche modo darci anche slogan e un immaginario. La mia domanda è: quali sono oggi i vostri interlocutori per raccontare il sociale? E, secondo aspetto, se noi stiamo dentro l'immaginario del sindacato a me interessa sapere chi sono i vostri interlocutori privilegiati, se esistono, e se possono esistere. Se io cerco una domanda, cerco il sociale, cerco d'indagare il sociale, a chi mi rivolgo? Vado a cercare le associazioni? Vado a cercare l'agenzia?

Elena Flicori

Premettendo che siamo tutti giovani volenterosi giornalisti e che probabilmente il giovane volenteroso è quello più disposto ad andare a cercare la storia, approfondire certi argomenti, andare ad incontrare quelle che sono anche le novità sociali, c'è da dire che finché si affida la novità, l'approfondimento a collaboratori che molto spesso guadagnano due lire per fare un lavoro che se fatto bene, va approfondito, va fatto in giorni d'incontro, di approfondimento, forse le cose non cambieranno. Ieri parlavamo con un operatore sociale che giustamente diceva: io non rispondo più al telefono ai giornalisti, voglio che vengano qui, perché devono vedere, conoscere. Vedere e conoscere vuol dire fare un lavoro che magari, giustamente, ci prende una settimana, dopodiché si manda al capo redattore, 40 righe che verranno pagate 20 euro. Allora o facciamo una professione che è fatta di persone volenterose che lo fanno gratis, perché sono benestanti, o sennò la professione è un lavoro e va retribuita.

Daniela - Radio Montecarlo

Buongiorno, frequento anch'io Redattore Sociale da 10-11 anni e volevo tornare un po' sul tema della responsabilità soggettiva lanciata da Ines del Tg3 e anche dalla consigliera dell'Anffas. Credo sia molto importante, perché io in 10-11 anni di Redattore Sociale sento spesso i redattori che si lamentano del capo redattore, io lo sono, i capo redattore che si lamentano del direttore, il direttore dell'editore e ci si lancia un po' la palla senza mai arrivare appunto alla responsabilità soggettiva. Possiamo e dobbiamo ancora dire molti no e possiamo anche trovare dei canali, perché Vinicio sa qual'è lo slogan della mia radio, è: chic non impegna. Radio Montecarlo è la radio della moda, è la radio del cinema, io stessa vengo inviata ai festival, ecc., e mi diverto pure. Però ciò non toglie che ognuno ha la sua sensibilità personale e deve trovare dei percorsi a seconda della testata dove lavora, perché è ovvio che chi legge Terre di Mezzo e Famiglia Cristiana, chi ascolta Radio Popolare e chi guarda il Tg3 ha già fatto una scelta e si è già posto una serie di problemi. Invidio il vostro target, il vostro pubblico, avete un problema in meno, nel senso che sapete che avete un target sensibile. Io trovo dei canali, li cerco magari dei canali che possono far inorridire, nel senso che al mio editore piacciono molto i personaggi famosi, ecc., ebbene io con tutti i miei canali di associazioni no profit, chiedo loro il testimonial, che è una cosa che a me magari non piace, però se io riesco a far parlare Elio Fiorucci, Lella Costa, Lorella Cuccarini di quell'associazione è ovvio che a livello di radio o di immagine, è più efficace la sua comunicazione rispetto a quella del presidente dell'associazione che io stimo, però il messaggio non arriverebbe nello stesso modo; quindi ognuno deve trovare comunque dei canali, che spesso sono anche efficaci. Chiaro che non devi trovare il trucco perché fai parlare il personaggio dei cavoli suoi e poi a margine dell'associazione, no! in quel contesto lo fai parlare dell'associazione. Spesso sono testimonial che non sanno niente dell'associazione e allora li taglio, ma molto spesso sono dei testimonial che sono fortemente coinvolti, motivati e magari anche battaglieri come appunto la Costa e tanti altri. Quindi può essere un modo. Trovare l'appeal, anche se è una parola che non piace a Vinicio, per raggiungere tutti i target. Sono contenta anche se ne raggiungo soltanto uno di ascoltatore che prima non si era posto il problema. Con tanta invidia per il collega di Radio Popolare.

Fabio Carini

Quello che volevo chiedervi era questo: parlare di violenza, di sesso, di soldi, è molto facile lo sappiamo. È possibile che è così difficile parlare anche di cose buone, come del volontariato? C'è una sorta come di pigrizia, di difficoltà personale, io credo, proprio a mettersi in moto. Ora la mia domanda è: dov'è questa difficoltà? Possibile che è veramente così complicato mettersi in moto?

Miriam Giovanzana - Terre di Mezzo

Faccio un taglia e incolla su alcune parole che avete detto e mi sono rimaste dentro, partendo da quello che diceva De Bortoli e cioè che i giornali e comunque il mondo della comunicazione dipendono sempre più dal mondo della pubblicità. Ora la rappresentazione della realtà del mondo della pubblicità è secondo me indicativa per quanto riguarda il mondo dell'automobile, dove la pubblicità è quella tipicamente di una bella auto che viaggia nel nulla e non nel traffico. Ora tutta la rappresentazione di una realtà che riconduce a una complessità e a un traffico ostacolerà quel modo di finanziarsi del sistema dei media. Come si esce da questa contraddizione? Dipendiamo sempre più da fonti, da padroni che ci chiedono di rappresentare, di semplificare la realtà, ma fino a tanto da raccontare una realtà che non esiste e invece poi facciamo i conti con un mestiere, con una realtà che è sempre più legata a un'infelicità complessiva. Io credo che, faccio questo mestiere da 20 anni, ne ero convinta prima e lo sono adesso, c'è uno spazio di libertà e di responsabilità nelle scelte quotidiane che riguardano davvero diversi livelli. Mi piacerebbe molto fare un convegno dedicato agli editori per passione, per esempio, non è però il mondo in cui viviamo in questo momento, certamente però c'è una responsabilità nei confronti dei giovani, di chi inizia questa professione, c'è una vera responsabilità dei capi servizio, dei capi redattori, dei direttori, degli editori, ognuno per la sua parte, c'è e resta questo per fortuna e ce lo giochiamo. Vorrei aggiungere una parola appunto che è la parola "amicizia". Come si esce da un mondo dell'editoria, dell'informazione così fatta? Io abito a Milano, conosco un po' questa città, in questi 10 anni ha subìto un sacco immobiliare di cui abbiamo parlato poco. Mi chiedo se alle volte alcuni temi che ci appassionano, che ci stanno a cuore e che sono rilevanti per il nostro tempo, per la nostra città, non possano essere condivisi anche tra colleghi e al di là delle scelte dei diversi editori e dei diversi capiservizio possano diventare appunto per i giovani una sfida. Può esserci anche questa parte da giocare, un'amicizia che possa anche incidere su quella che un tempo veniva chiamata l'agenda dei temi? Imponiamoli, forse se a parlarne non è soltanto Redattore Sociale, Terre di Mezzo e qualcun altro, ma appunto si fa un gioco di squadra a partire da quella passione che ha motivato molti di noi a scegliere un lavoro di questo genere, credo che possa essere un piccolo segno, un piccolo strumento di cambiamento.

Gregorio

Per tornare al tema del rapporto fra la stampa e come questa si procura e tratta le notizie riguardanti i disabili, io mi riferisco ad un fatto molto grave che è accaduto alcuni mesi fa in Italia, ad Avezzano, dove un disabile in carrozzella è stato picchiato a sangue, è rimasto in coma 5 giorni e gli autori sono stati messi agli arresti domiciliari. Ciò che mi ha veramente impressionato, al di là del fatto specifico, è che da alcune indagini che poi io ho fatto per vie indirette,  non c'è stata nessuna reazione. Gli autori hanno dichiarato di averlo fatto perché questo tizio dava fastidio, alcune persone della città hanno detto la stessa cosa di questo poveretto che girava in carrozzella. L'altra cosa che mi ha sconcertato è che io ho visto solo su 2 o 3 giornali in tutto un trafiletto, non so se in quindicesima pagina, niente in televisione, niente in altre fonti. Ora va bene che era in coincidenza con alcuni avvenimenti che erano successi tipo quelli che avete citato voi a Milano, la Milano di violenze e pseudo violenze, ecc. però mi sembra un segnale. Ecco su questo caso soprattutto vorrei chiedere come la stampa nazionale si procura queste notizie, se c'è un corrispondente locale che è anch'egli omertoso e se fa parte della comunità locale vuol dire che queste cose le accetta tranquillamente? Come avviene questo meccanismo per cui un fatto secondo me di tale gravità, non viene per nulla messo in evidenza?

Enrico Fovano - Il Giorno

Si è detto, correttamente, dal mio modo di vedere, che nei giornali la scelta degli argomenti deriva dalla pubblicità, dalle mode, dalla televisione, in buona sostanza da ciò che si presume che il lettore richieda. Anziché proporre si va a vedere cosa può essere interessante e lo si sceglie. Ora a me pare di notare che sia la sociologia che la statistica, dimostrano come negli ultimi anni, la gente fa molto più volontariato. Il volontariato si è organizzato, è nata un authority, ecc. Allora la domanda è questa: com'è che nella realtà il volontariato interessa e i giornali non ne prendono atto? Grazie.

Corrado Fontana

Si parlava di risorse, di soldi che gli editori e i giornali cercano, di cui hanno bisogno per far andare avanti giustamente le pubblicazioni e quindi insomma le esigenze di bilancio. Io mi ricordo un'inchiesta di Report che faceva vedere i numeri del finanziamento pubblico ai giornali ed erano sconvolgenti, soprattutto quando si trattava di sperequazioni tra le tirature e l'importanza dei giornali e le quantità di danaro che venivano devolute. Io sono a favore del sostegno pubblico ai giornali, questo ci mancherebbe, ma mi piacerebbe capire quanto questi finanziamenti hanno valore per gli editori. La seconda domanda che vorrei fare riguarda il giornalismo sociale. Ieri al nostro workshop è venuta una rappresentante di una fondazione privata che si lamentava del fatto che quando loro sostengono un progetto sociale, poi non ha abbastanza visibilità sui giornali. La mia domanda è questa: non è che il sociale tra un po' se lo stanno facendo scippare i giornalisti, anzi gli editori, i giornali, dalle multinazionali che lo usano per farsi pubblicità più o meno a buon diritto? 

Barbara Sgarzi

Io lavoro come freelance principalmente nei femminili, quindi quelli che parlano di moda, di sesso, o le scemenze varie. Sono molto d'accordo con Daniela sul fatto di trovare un canale, io stessa a volte riesco ad infilare un colonnino, ecologico o sociale, quando c'è il vip che ne parla ecc.. Mi chiedo però, se è vero che l'informazione tradizionale a volte è un po' blindata e lo stiamo vedendo tutti, perché non pensare anche ad un mezzo alternativo come internet, per parlarne. E' vero che ancora in Italia è considerata un'informazione forse di serie B, ha meno peso, ha meno importanza, c'è il problema del controllo delle fonti, c'è il problema dell'attendibilità, è tutto vero. D'altro canto però, se una notizia veramente ha forza si impone, grazie al passa parola, grazie ai blog, grazie alla comunità. Lo spazio è illimitato ed è virtualmente aperto a tutti. Fatte le debite proporzioni del controllo delle fonti, dell'attendibilità, che dicevo prima, potrebbe essere un ottimo modo per i giornalisti stessi; io per esempio tante informazioni, tante interviste, tante cose che ho occasione di fare e non mi vengono pubblicate le butto in rete dicendo: sono una giornalista, non ho avuto spazio, lo metto qui. Certo il riscontro è ancora basso, però è un'alternativa. Volevo sapere cosa ne pensavate.

Elena

Sono responsabile dell'ufficio stampa di una grossa catena di supermercati milanese. Io vorrei portare una testimonianza, che in parte è anche un po' una provocazione. Ieri e oggi si è parlato di Redattore Sociale, quindi vedo che molti dicono: ma voi giornalisti dovete, potete, fate e non fate…. ma io sono 5 anni che mi occupo di ufficio stampa in questa società e mi scontro quotidianamente con un proprietario al quale cerco di far capire che sì è vero che le multinazionali forse, o le grandi aziende stanno portando via il tema del sociale, ma sarebbe bello che lo facessero tutte le aziende, cioè indipendentemente da che si sia giornalisti, imprenditori, o dall'impegno che ciascuno di noi ha, l'obiettivo comune è quello di aiutare, secondo le proprie possibilità, queste associazioni, la disabilità, ecc. Ho anche cercato di spiegare a questo imprenditore, che ovviamente c'è un vantaggio chiaro, vedi il tuo nome scritto da qualche parte, il vantaggio è duplice, ma è sicuro che le risposte che arrivano anche dagli imprenditori non sono sempre positive. Ciascuno di noi dovrebbe darsi da fare, non solo il giornalista. Vinicio Albanesi.

Tu devi dire al tuo imprenditore che non è grande se non ha la fondazione, allora vedi come la fa, perché ormai siamo arrivati a questi livelli: se non hai la fondazione non sei nessuno. Non basta l'aereo, l'elicottero, non basta più… ovviamente scherzo…

Angelo Perrino

Perchè il volontariato non interessa? La domanda del collega de Il Giorno è molto interessante. In effetti se è vero che è un fenomeno con quei numeri, come mai i giornali non se ne sono accorti… Secondo me rientra proprio nei ragionamenti che facevo prima. I giornali non guardano più la realtà, guardano sé stessi e i loro meccanismi di oligarchie che riflettono poi le loro logiche. Il sostegno pubblico ai giornali è un altro dell'elemento dell'implosione di cui parlavo, cioè è un altro mal costume da segnalare. Ci sono giornali come Il Foglio, Il Riformista, Italia Oggi, Libero che ricevono finanziamenti pubblici per il fatto che sono affiliati secondo una legge incredibile a 2 parlamentari. Questo consente a un giornale di definirsi giornale politico e quindi di ricevere importantissimi finanziamenti, parliamo di 5-10 milioni di euro all'anno, cioè il bilancio di un giornale. La finanziaria in discussione in questi giorni sta cercando di mettervi riparo stroncando questa prassi sconcertante, ma ci sono delle reazioni tostissime e quindi stanno litigando sulla cifra da destinare. Erano 200 milioni di euro, il povero Riccardo Levi cerca di ridurli a 50 e ha scatenato la sollevazione, ma neanche il nuovo governo Prodi, che pure qualche segno di svolta positivo lo sta dando, riesce ad arginare del tutto il fenomeno, per fortuna comunque l'hanno messo sotto controllo. Diceva la collega: "io metto su internet i miei pezzi, però temo che sia un giornalismo di serie B". Assolutamente è così, però probabilmente per chi internet non lo vive, non lo conosce, non lo frequenta, non lo adopera. Io vi posso dire, per quella che è la mia esperienza, Affari Italiani tutti i giorni ha 170- 180 mila utenti unici al giorno: quanti giornali oggi hanno 180 mila lettori al giorno? Noi li abbiamo, quindi non è vero che è serie B, evidentemente un numero sempre maggiore di persone è disposto a guardare internet e ad assecondare forme di giornalismo che appunto garantiscano, attraverso l'utilizzo di giornalisti professionisti e del rispetto delle regole deontologiche, professionali e tecniche, un prodotto di qualità. Ci siamo, quindi speranza ragazzi, non abbattiamoci.

Massimo Rebotti

Se la rete è un'alternativa? Si! Certamente è un'alternativa. C'entra anche con l'aspetto dell'autorevolezza delle fonti, del motivo per cui è difficile parlare del volontariato, ecc... Io non ho un'idea particolarmente sacrale né corporativa dell'idea del giornalista, secondo me i giornalisti servono ancora tanto, proprio perché in realtà di informazioni ce ne sono molte, tantissime, proprio perché c'è un problema di rappresentazione della realtà. Don Vinicio diceva all'inizio: fate il calcolo su voi stessi e non fate il calcolo sugli altri, questa è anche forse una risposta alla questione del volontariato. I giornali, gli organi d'informazione in generale fanno molto il calcolo sugli altri, guardano molto ciò che fanno gli altri, tranne alcune scelte particolarmente forti e la spirale esclude argomenti, esclude rappresentazioni della realtà invece che includere. Se si cominciasse a fare il conto più su sé stessi piuttosto che sugli altri, allora forse anche quella spirale che avvolge gli organi d'informazione che rincorrono gli altri e le notizie degli altri, si può rompere. Ferruccio De Bortoli
Comincerei sulla responsabilità e sul ruolo degli editori e dei giornalisti in particolare dei direttori dei giornali. Ora come si esce dalla contraddizione che in qualche modo i giornali tendono qualche volta, anzi spesso, a privilegiare degli argomenti per i quali vi è un interesse pubblicitario rispetto ad altri per i quali non c'è questo interesse? Negli ultimi tempi sono stati prodotti settimanali, quotidiani, anche prodotti on line, guardando soprattutto alla quantità di denaro che gli sponsor potevano assicurare, cioè il conto economico fatto con la certezza che la pubblicità più che le vendite potessero in qualche modo coprire i costi. Però la storia dell'editoria italiana è fatta a volte di editori coraggiosi che hanno pubblicato giornali, libri, quotidiani, quando non solo non c'era una risposta pubblicitaria, ma non c'era nemmeno apparentemente una domanda di lettori. Se voi guardate al mondo dei libri, spesse volte ci sono stati degli editori che coraggiosamente hanno pubblicato dei libri che certamente la società ha rifiutato e se avessero pubblicato solo i libri che la società in qualche modo gradiva probabilmente non avremmo avuto né grandi scrittori, né anche quei cambiamenti sociali e culturali che soltanto guardando al nostro dopo guerra in qualche modo e fortunatamente abbiamo avuto. Qui si è parlato di responsabilità, io aggiungerei anche il coraggio a fare delle scelte e a mettersi in gioco personalmente. Io devo dire che ammiro moltissimo i colleghi di Radio Popolare perché non solo ci hanno accompagnato in tutti questi anni, ma anche perché sono rimasti coerenti al loro modello, spesso la pensiamo in maniera completamente differente, però c'è l'idea che in qualche modo si possa rompere dei monopoli, fare delle cose che in qualche modo creano poi anche una domanda di lettura. Se invece l'editoria, il giornalismo inseguono quello che i trands in qualche modo disegnano, il conformismo è dietro l'angolo, a questo punto faremo cose sempre più dettagliate, magari anche raffinate, ma dal punto di vista culturale-giornalistico, sempre più omogenee; questo è un po' il rischio che corriamo. Io ho insistito tempo fa perché si dedicasse al volontariato qualcosa di più, perché in qualche modo ci potessero anche essere pubblicazioni che fossero dedicate al sociale, certo è difficile trovare sostegni economici, in questo credo che il sostegno pubblico possa essere anziché un modo surrettizio di finanziare gli amici, o alcuni partiti, un modo per rendere possibili voci più aperte al sociale. Io sono assolutamente favorevole che quella parte di finanziamento pubblico venga meno, dopodiché siccome facciamo tutti parte di una corporazione tenete conto che poi gli editori fanno i conti e arrivano a stringere sul costo del lavoro e quindi a rendere più difficile l'immissione di nuovi giornalisti e di giovani. L'editoria ha questa particolarità che i giovani nei giornali vengono vissuti come un problema, non come una risorsa. C'è una piccola particolarità poi sulla quale forse varrebbe la pena di fare qualche riflessione sul mondo del volontariato: l'altro volto del volontariato è che comunque c'è un tema di trasparenza che è giusto che in qualche modo si affronti, perché io credo che si parlerà molto di più del volontariato ed è giusto che se ne parli di più e con questo credo di rispondere a un paio di domande, specialmente a quella del collega de Il Giorno; però è anche vero che tutto questo mondo deve imparare a rendere conto a tutti coloro che in qualche modo si danno da fare. Credo che tutto sommato ci sia un problema di maggiore attenzione da parte nostra, di maggiore trasparenza di tutto quel mondo e se posso dire, siccome siamo un paese delle corporazioni, in cui c'è a volte un falso disegno solidale.  Don Vinicio sta facendo una grande battaglia, perché questo è un paese molto solidale, dove veramente il mondo del volontariato è uno dei tessuti sociali che lo tiene insieme. Essendo venute meno le ragioni di cittadinanza di altro tipo ed essendo più una società fondata sugli interessi, micro interessi parcellizzati, il fatto che ci sia un volontariato esteso e che abbia comunque mobilitato una forma di generosità pubblica estremamente elevata, è forse uno dei salti culturali che don Vinicio e tutti quelli che hanno collaborato e tutti voi, hanno preparato. Però la strada da percorrere è ancora molta. Grazie.  Ines Maggiolini. Ma siete sicuri, come mondo del sociale e del volontariato di essere sempre interessanti? Spesso la proposta, parlo per la televisione, che mi arriva per raccontare il volontariato è un convegno, che è quanto di meno televisivo esista su questa terra. Il tg regionale della Lombardia io non mi sento di dire che racconti poco il volontariato, tra un convegno Caritas e altre 25 iniziative, ogni giorno abbiamo qualcosa di questo genere. Ma è questo che vogliamo? Non credo. C'è secondo me l'esigenza di andare oltre le formule, appunto uno fa un convegno e ha risolto il problema. Io credo che raccontare il volontariato sia bello quanto raccontare una storia. La gente fa volontariato e noi non lo raccontiamo, i giornalisti raramente fanno volontariato. Quando tu non fai un'esperienza di qualcosa fai più fatica, devi incontrare qualcuno, devi essere testimone dell'esperienza di un altro e quindi questo sta come dire, a te e alla dinamica dei rapporti. Le nostre fonti quali sono? Sono le associazioni, la gente che conosci, l'Ansa, non sono fonti diverse rispetto alle altre notizie e secondo me non devono neanche esserlo. Io credo che laddove ci sia una storia da raccontare, dietro una storia, una problematica, ci sia anche la disponibilità a raccontarla. Non ci riuscirete col primo, provate col secondo, ma non vedo questa ostilità preconcetta. 

Francesco Anfossi

Molti sono i laici che ci leggono sui 3 milioni di lettori che abbiamo, e che vogliono confrontarsi con una certa realtà, così come io che sono cattolico spesso cerco di confrontarmi con altre realtà diverse dalla mia. Non so quale filosofo illuminista abbia detto: "bisogna sempre strusciare il proprio cervello con quello degli altri", per cui anch'io ascolto una delle mie radio preferite che è Radio Radicale. Una domanda che mi ha molto interessato è quella su come raccontare il mondo del volontariato che evidentemente è una parte importante degli argomenti che raccontiamo noi su Famiglia Cristiana, perché raccontare il volontariato, che spesso parla di cose belle, di successi, di speranza, purtroppo dal punto di vista giornalistico è spesso noioso. Fa più rumore un albero che crolla che una foresta che cresce… Il volontariato è questa cosa qui, spesso in un deserto raccontare di questa ginestra che cresce è difficilissimo. Io ho lavorato ad Avvenire prima di Famiglia Cristiana e c'era un vice direttore che voleva fare un giornale solo di buone notizie, ce ne parlava sempre, veniva lì e ci annoiava terribilmente. Raccontare le buone notizie; è difficilissimo. E allora come fare? Una delle chiavi secondo me è quella di dare un volto a queste storie, cioè raccontare i personaggi che lavorano nell'ambito del volontariato, raccontare una storia, una vicenda, un'avventura, è sicuramente molto più interessante che raccontare di iniziative, di convegni come diceva Ines prima. Per esempio a me è capitato di trovarmi, quando sono andato giù a Lampedusa a raccontare gli sbarchi, di avere a che fare con una ragazza avvocato di 26 anni, Simona Moscarelli, che da 6 mesi stava lì; era arrivata da Roma col compito semplicemente di dare indicazioni giuridiche ai clandestini in questo Cpt famoso di Lampedusa poi di giorno in giorno praticamente è diventata una missionaria. Ha cominciato ad aiutarli, a soccorrerli e stava vivendo un'avventura straordinaria che meritava di essere raccontata. Tanto è vero che a un certo punto, ha fatto amicizia anche con una donna che veniva dal Togo, sbarcata che era incinta del nono mese e che aveva attraversato il deserto prima d'imbarcarsi dalla Libia, con un gruppo di 30 persone di cui ne sono arrivate 17. Questa donna incinta di 9 mesi che non aveva mai visto un'ecografia in vita sua, è stata soccorsa dal centro di accoglienza, gli hanno fatto l'ecografia e gli hanno dato questi strani fogli che l'avvocato le ha aiutato a decifrare. La ragazza avvocato l'ha assistita e l'ha aiutata poi a trovare un lavoro. Raccontando queste storie sicuramente si riesce ad interessare il lettore, perché evidentemente il vissuto fa parte degli interessi di qualsiasi lettore, di qualsiasi persona umana. Per quanto riguarda le altre realtà per esempio volevo dare un'indicazione a chi si affaccia alla professione, su una formula che a me interessa molto, che mi affascina molto e che secondo me potrebbe essere la chiave per raccontare Milano: la formula del romanzo-inchiesta. C'è un libro bellissimo "Gomorra", scritto dall'autore napoletano Roberto Saviano, che racconta attraverso delle vicende personali, attraverso i racconti di persone, del vissuto, tutta la realtà camorristica che gira intorno a Napoli. Racconta di quartieri come Secondigliano, Scampia, i quartieri spagnoli e altre vicende di questo genere, attraverso un'informazione dettagliata, tra l'altro secondo me molto corposa, l'economia della camorra e lo spiega proprio rifacendosi a teorie economiche e cose di questo genere, però lo racconta anche attraverso vicende personali, come ad esempio la straordinaria vicenda di un sarto di Casal di Principe. A Casal di Principe, che è uno dei paesi della cintura vesuviana in cui c'è un'attività molto intensa di industrie tessili, in degli scantinati uomini e donne lavorano uno dietro l'altro con la radio che indica il tempo, lavorano alle macchine da cucire tutto il giorno e fanno dei tessuti bellissimi che poi vanno alle grif della moda, perché i napoletani, a differenza dei cinesi, spiega benissimo Saviano, hanno mantenuto l'eccellenza. Per spiegare questo concetto racconta di quando uno di questi sarti gli racconta di aver visto alla notte degli oscar Angiolina Jolie col vestito che lui stesso, con le sue mani aveva confezionato, creandogli un senso di profonda frustrazione, perché evidentemente i sarti di Casal di Principe non possono firmare i loro vestiti; quest'uomo ha cambiato mestiere e si è a fare il camionista. Questo libro è infarcito di questi episodi mescolati alle inchieste, quindi proprio nasce la formula del romanzo-inchiesta, che non è una formula nuova, in Italia c'è una tradizione, per esempio Goffredo Fofi, Staiano, Pasolini… Il romanzo-inchiesta potrebbe essere una formula molto indicata per il futuro per chi vuole raccontare alcune realtà come quella appunto dell'emarginazione, della povertà, della disabilità. Ecco io con questo chiudo e vi ringrazio per l'attenzione.

Vinicio Albanesi

Io ringrazio voi tutti. L'appuntamento lo diamo a Capodarco per chi vorrà venire. La conclusione quale è? Che la strada è faticosa però c'è, i risultati si vedono, bisogna miscelare da una parte la propria disponibilità, la propria capacità di leggere una storia che ci è accanto e dall'altra, come diceva il direttore, ci vuole coraggio, perché per fare l'editore alternativo ci vuole coraggio, ma anche capacità, questo sia nel mestiere di giornalista che nel mestiere di editore. È vero che noi siamo periferici, però la domanda non è se è centrale o periferico, è se stai dalla parte giusta. Io vi lascio questa indicazione: cercate di stare dalla parte giusta. Poi non siamo nè i padri eterni, né gli ultimi relitti del mondo. Grazie e buon week end.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.