I Redattore Sociale Milano 29-30 settembre 2006

Città crudele

Immagini di persone e di problemi

Incontro con Alessandro Cosmelli, Tommaso Bonaventura e Fabio Cuttica. Conduce Giulia Tornari

Alessandro COSMELLI

Alessandro COSMELLI

Fotografo. 

ultimo aggiornamento 29 settembre 2006

Tommaso BONAVENTURA

Tommaso BONAVENTURA

Fotografo. 

ultimo aggiornamento 29 settembre 2006

Fabio CUTTICA

Fabio CUTTICA

Fotografo.

ultimo aggiornamento 29 settembre 2006

Giulia TORNARI

Giulia TORNARI

Editor dell'Agenzia fotografica Contrasto, ha promosso Il Progetto "Zona", gruppo di studio e ricerca sui linguaggi audiovisivi e fotografici. Ha coordinato il progetto "Questione d'immagine".

ultimo aggiornamento 16 ottobre 2015

Stefano Trasatti

Cominciamo questa mattinata con una interessantissima proiezione e poi una breve discussione intorno a questo montaggio di fotografie che fanno parte di un viaggio che i fotografi di "Contrasto", qui ne abbiamo 3, hanno realizzato con l'aiuto della nostra agenzia che gli ha dato le password per entrare in contatto con una serie di comunità di accoglienza in giro per l'Italia, comunità che si occupano di vari bisogni, dalla disabilità, all'emarginazione, tossicodipendenze e così via. Questo montaggio è nuovo, dura 15 minuti, quindi è un percorso ripensato per questa occasione, per il tema di questa due giorni. Il titolo è "Disconosciuti" inteso nel doppio senso che parliamo di sconosciuti, ma parliamo anche di persone e di problemi disconosciuti. I fotografi sono bravissimi, sono tra i più grandi fotografi in Italia credo e fanno parte di quello che ieri sera Dario Di Vico definiva il giornalismo delle basse frequenze, loro fanno parte della fotografia delle basse frequenze, cioè di quella fotografia che continuamente lavora, indaga, va nei posti, va nei luoghi, ma che però poi, nonostante la grande qualità, trova poco spazio, poco ascolto soprattutto all'interno del sistema dell'informazione, di cui pure fanno parte. Subito dopo questa proiezione Giulia Tornari insieme a Tommaso Bonaventura, Alessandro Cosmelli e Fabio Cuttica saranno qui per parlare un po' con noi.

PROIEZIONE

Giulia Tornari

Io attualmente mi occupo di coordinare i progetti dell'agenzia Contrasto. Questo è un progetto che è stato realizzato un anno e mezzo fa circa ed è nato dall'esigenza di raccontare una parte dell'Italia che spesso non si racconta. I fotografi negli ultimi anni hanno la tendenza a scappare dal nostro paese appena possono e preferiscono spesso raccontare il disagio e le problematiche che avvengono in paesi lontani, c'è una particolare attenzione rispetto all'Africa piuttosto che, attualmente, all'Oriente. Noi come agenzia Contrasto abbiamo una lunga tradizione, quest'anno compie 20 anni, di attenzione a determinate problematiche appunto e quindi abbiamo pensato che sarebbe stato interessante far lavorare 5 giovani fotografi sulle problematiche che attualmente in Italia si sentono molto forti e se ne parla spesso sui giornali, ma non vengono documentate fotograficamente, o non hanno un grande spazio diciamo per quanto riguarda il reportage. Insieme a Redattore Sociale, senza la cui presenza questo progetto sicuramente non si sarebbe potuto fare, perché ci ha dato accesso e la possibilità di lavorare con moltissime di queste associazioni, che diversamente non avrebbero accettato la presenza spesso invasiva dei fotografi, abbiamo cercato di raccontare al meglio determinate situazioni. 

Spero che sia trapelato da questa proiezione il motivo per cui ci siamo incamminati in questo progetto che comunque abbiamo realizzato all'incirca in 6 mesi, spero che sia passato quello che noi intendevamo raccontare. In questo caso io ho cercato di realizzare un video che fosse anche abbastanza simile a quello che erano i temi trattati all'interno di questo convegno, per cui è stato diviso in 5 parti. La parte principale forse è l'ultima, quella dei disconosciuti appunto, di cui stavamo parlando, e sono dei ritratti che sono stati realizzati con persone che hanno dato la loro disponibilità ad eseere fotografati, per cui c'era un po' un riconoscimento nei confronti di questi disconosciuti. Le altre 3 sezioni, le prime 3, sono più classiche, legate sicuramente alle problematiche attuali che vedono il nostro paese, soprattutto quella dell'immigrazione. C'è poi uno spazio dedicato ai luoghi, intesi come luoghi dove questa gente vive, che spesso sono luoghi dimenticati, di difficoltà, come per esempio quello degli immigrati. 

Una cosa che ci terrei a dire è che questo progetto, ma di questo ve ne parleranno anche i fotografi, non ha trovato spazio nell'editoria italiana, e penso che questo sia un problema abbastanza ricorrente. Noi abbiamo cercato in diversi modi di far sì che questi servizi uscissero nei magazines, nei nostri giornali, ma la risposta non è mai stata positiva, anzi spesso è stata negativa, perché la risposta, molto semplicemente era di dire: basta! Non se ne può più di parlare di immigrati, di parlare di malattie, ci vogliono temi leggeri, insomma cerchiamo di vedere del nostro paese il lato positivo e non quello negativo.

Tommaso Bonaventura

Io sono uno degli autori delle immagini che avete visto. Volevo lanciare un po' una provocazione, perché quando Giulia giustamente diceva che spesso i fotografi hanno voglia di girare il mondo, di essere in giro per il mondo a raccontare storie di paesi lontani, noi personalmente quando abbiamo deciso di fare questo lavoro eravamo tutti molto entusiasti di stare per una volta in Italia e raccontare un'Italia che spesso non si vede, dare volto a persone che spesso nei magazines, nei settimanali non vengono mai raccontati, dare anche una dignità a queste persone che vivono situazioni difficili, momenti di vita complessi, situazioni piuttosto difficili. Poi però appunto, magari, mi allaccio a quello che diceva Giulia poco fa, un lavoro del genere se fosse stato fatto, non so, in sud Africa, forse sui giornali italiani avrebbe avuto una visibilità. Non so chi è che sbaglia, noi che andiamo spesso all'estero per raccontare delle storie che vengono da altri paesi, oppure l'editoria italiana che non accetta di raccontare una parte d'Italia che vive accanto a noi, che non è così lontana voglio dire… Voi che ora avete visto questo video: vi sembrava di essere in Italia? Rispetto alle immagini che vedete spesso sull'editoria italiana che parlano del nostro paese dove vi sembrava di stare? Eppure sono tutte immagini fatte dietro casa vostra. Quindi io lancio una provocazione per dire quanto i giornali italiani non sono capaci di raccontare questo paese a 360°, che significa naturalmente, non solo occuparsi di persone con tanti problemi, ma neanche non occuparsene per niente. Io trovo interessante che nella sua tragicità questo lavoro non sia mai stato venduto, nel senso che non abbia visibilità in Italia, ma perché non vogliamo parlare di noi come paese, in senso critico? Non vogliamo accettare la complessità di un paese che ha 1000 problemi?

Giulia Tornari

Noi siamo abituati e ci piace raccontare, attraverso la fotografia, questo paese nel bene e nel male, per cui stiamo anche pensando di fare altri lavori che magari siano un pochino più legati a una situazione positiva. Sicuramente però da parte dell'editoria italiana non c'è attenzione a produrre questi materiali ed è tragico, ma la tragicità sta nel fatto ancor più che non solo non li produce, ma neanche li pubblica se un'agenzia, come Contrasto, rischia di suo. Questo è un lavoro che è stato tutto prodotto a spese dei fotografi, grandi spese, perché comunque viaggiare in lungo e in largo per l'Italia, spendere 6 mesi di tempo su un progetto, con tante energie, costa molto, e ora è un peccato che non si riesca a trovare uno spazio dove poterlo utilizzare. E' vero che c'è una grossa attenzione per le fotografie alle mostre dei libri, però io credo che in passato l'editoria abbia avuto un ruolo importante per alcuni fotografi e abbia consentito attraverso il mezzo della fotografia, di poter in parte, oltre allo scritto, raccontare questo paese. Ora per entrare più in dettaglio, mi piacerebbe che alcuni di loro raccontassero le esperienze personali che hanno fatto, per esempio qui c'è Alessandro Cosmelli che ha avuto la possibilità di viaggiare attraverso l'Italia e raccontare la situazione nel carcere di Volterra. Mi piacerebbe che lui raccontasse che cosa significa per un fotografo spendere tutto questo tempo ed entrare in contatto con determinate realtà e che cosa ne ha tratto mettendosi in gioco, e magari continuare a insistere e raccontare sempre nuove cose che accadono, sia positive che negative, o se la voglia è quella di scappare nuovamente verso lidi più lontani e più accessibili all'editoria.

Alessandro Cosmelli

Rispetto a quello che dice Giulia io partirei dall'ultima sezione che avete visto in questa proiezione, che secondo me è molto rappresentativa di quello che è un viaggio di questo tipo, ovvero cosa rappresenta un incontro con delle persone che raccontano contesti difficili, di disagio, situazioni complicate. C'è sempre un rapporto di scambio veramente intenso, cioè relazioni intense con le persone che s'incontrano. Se l'intenzione è quella di scappare da questo paese e raccontare altre realtà, in parte è così e in parte no, nel senso che poi ogni realtà, che sia italiana o in qualsiasi altro posto nel mondo, dal mio punto di vista ha una valenza che va oltre l'aspetto geografico e quindi l'aspetto del territorio.

Giulia Tornari

Fabio Cuttica è un fotografo che sta lavorando molto sul Sud America, infatti sta per andare in Venezuela a documentare le prossime elezioni, farà dei reportage dedicati al paese in attesa appunto delle elezioni. Ha lavorato in Brasile, ha fatto un lungo percorso nelle favelas e forse ci può anche, non so, raccontare invece il suo punto di vista rispetto a questa situazione.

Fabio Cuttica

Ho lavorato molto in America Latina, in Sud America per la precisione, e con questo lavoro ho conosciuto un po' anche il sud di questo paese di cui veramente non sapevo nulla. È stata una bellissima sorpresa sotto molti punti di vista, con degli aspetti anche molto tristi ed inquietanti, per quanto riguarda la situazione. È stato un bellissimo viaggio, nel senso che ti confronti con tante realtà che stranamente hanno molte analogie col nostro, infondo, dicono che tutti i sud del mondo si assomigliano un po', forse effettivamente è vero, anche trattandosi di un paese del centro dell'Europa come può essere l'Italia. Si, è stato difficile, è stato difficile soprattutto quello che è avvenuto dopo, nel senso che siamo tornati carichi di fotografie e di entusiasmo dai nostri viaggi perché pensavamo di aver fatto qualcosa di discretamente bello, comunque d'importante sia per noi fotografi, sia come documento stesso. Però è stato difficile trovare lo spazio sulla carta stampata, ci ha lasciato a tutti un po' di amaro in bocca. Penso che ciò sia legato al problema del giornalismo di oggi in Italia. Il fotografo a differenza del giornalista si deve sempre muovere e deve andare sempre a raccontare le storie. Adesso penso che il giornalismo sia un po' cambiato, non c'è più la necessità fisica di andare sui posti, basta stare davanti a un computer, perciò si perde un po' quella voglia di raccontare. Ecco cosa penso dell'essenza di un giornalista.

Renata Ferri

Attualmente lavoro a "Io donna", il magazine del Corriere della Sera, mi occupo delle immagini fotografiche, ma per 15 anni ho lavorato a Contrasto e sono la colpevole di quel progetto difficile, lungo e complesso. Vorrei dire una cosa per chiudere un po' la polemica che si è aperta, o meglio lo spunto di riflessione per approfondire, visto che mi sento anche responsabile del progetto, ma anche con uno sguardo che è cambiato dalla visione come produttore di immagini, a fruitore di immagini e produttore di conseguenza per un giornale. Credo che quando si fanno dei lavori così importanti, così ampi, che raccontano un paese, che raccontano un aspetto sociale, culturale, antropologico di un paese, bisogna pensare che il referente per un lavoro del genere non è un giornale. Io forse non lo pensavo nemmeno allora, ma oggi ancora di più. Penso che questo lavoro ha una grandissima validità, perché è una testimonianza storica, attraversa un periodo storico e rimane nel tempo come la fotografia di un paese e del disagio che vive. C'è stata un'analisi del problema degli alloggi, il problema dell'immigrazione quindi tutta una serie di cose che noi leggiamo spesso, che vediamo frammentate sulla carta stampata. Di certo non è un lavoro che ha come referente il mondo editoriale, perché nessun giornale è in grado di fare da serbatoio per uno specchio così ampio. Il giornalismo è dinamico e si rivolge a delle notizie, a dei cambiamenti, a delle evoluzioni molto più frenetiche di un lavoro del genere, che ha il pregio, il privilegio anche, di essere specchio di un paese in un determinato momento e di fermare quelle immagini. Quindi l'utenza di questo lavoro, ci ritroviamo qui a un anno e mezzo dalla prima proiezione al convegno di Capodarco con un lavoro ampliato, concluso e definito di una cosa che ha avuto già un bacino di utenza, ha già suscitato dei dibattiti, ha già creato quello che si era tutto sommato preposto, cioè fotografare l'Italia e lasciare una testimonianza, un lavoro di 5 persone, fatto a 10 mani, quindi con dei punti di vista diversi, una mappatura di una situazione di disagio del paese. Secondo me questo è il pregio. 

Il successo di questo lavoro è che siamo qui a parlarne e a rivederlo. La carta stampata, l'editoria in genere, sia quotidiana, che settimanale o mensile, ha un approfondimento giornalistico che è molto diverso e che è molto parziale, per cui un giorno può affrontare un problema, un giorno un altro. Io credo che lavori così vadano incentivati, ma forse c'è anche bisogno di spinte che vengano dall'associazionismo, dalle fondazioni, dalle istituzioni, perché è lo specchio di qualcosa che ha a che fare con le istituzioni del nostro paese, non tanto con il pezzo, l'inchiesta o il servizio giornalistico.

Giulia Tornari

Però questo lavoro l'unico spazio che ha ricevuto in realtà è stato in due convegni del Redattore Sociale ed è stato realizzato insieme a Redattore Sociale. Ora se il nostro referente, per fare dei progetti del genere, deve essere l'associazionismo io credo che non abbia avuto così tanto spazio, o sia stato così tanto visto, ed abbia generato così tanta attenzione, tranne che in uno spazio che era già sensibile a questo tipo di progetti. Io non penso che un progetto così grosso potesse essere prodotto da un giornale, o potesse essere pubblicato interamente da un giornale, ma alcuni servizi singoli forse sì, sennò i giornali che cosa devono pubblicare? La domanda è anche: se nessun tipo di questo reportage viene pubblicato, che cosa dobbiamo produrre noi? Ci troviamo di fronte a una platea di giovani che sperano di fare questo mestiere, sperano di fare del giornalismo sociale, ma se non trovano referenti nei giornali, a chi dovrebbero rivolgersi, alle istituzioni piuttosto che all'associazionismo? Qui si cerca di capire il giornalismo dove va, dove vanno i giornali, che cosa pubblicano e se c'è spazio per fare un certo tipo di discorso credo.

Fabio Cuttica

Volevo solo finire un attimo dicendo che rischia poi di rimanere un'informazione che è ad uso solo degli addetti ai lavori.

Intervento

Io sono d'accordissimo con Renata Ferri che l'editoria, i quotidiani, i settimanali, bruciano le notizie, sono molto più veloci, hanno in qualche modo più fretta, ma secondo me è proprio questo il dato interessante, perché però i settimanali non possono approfondire, non possono occuparsi di alcune tematiche con più calma? Io capisco che probabilmente è complesso da un punto di vista strutturale per alcuni magazine occuparsi di queste tematiche, ma la mia domanda è provocatoria: perché non lo fanno?

Elisa Barazzuti

Sono consigliere nazionale dell'Anffas, quindi io faccio parte di quella fascia di persone più sensibili gioco forza. Non ho grossissime competenze in fotografia, né in giornalismo, però mi pare che il lavoro che avete fatto è bellissimo e vi faccio i miei complimenti, perché siete giovani e lavorate molto bene. È un lavoro bellissimo perché ritrae una fetta di mondo in maniera reale, senza falsi pietismi, senza ricami, senza lavorare sulla notizia per forza, quella che fa veramente colpo e soprattutto rispettando la dignità delle persone. Ecco, questo è quello che per conto mio dovrebbero fare i giornalisti e non è vero, a mio avviso, che i giornalisti o le redazioni, o i direttori di giornale insomma, non abbiano nessuna responsabilità. Io credo che voi possiate in qualche modo indirizzare le notizie. Credo che questi ragazzi fanno cultura del sociale ed è quello che dovrebbe succedere anche da parte dei giornalisti a mio avviso, perché un po' di potere nell'indirizzare al sociale è possibile. Cosa che anche a loro direi: vi prego continuate a fare il vostro lavoro in questo modo perché lo fate benissimo, capisco però la frustrazione, dovete vendere, quindi non basterà fare questo lavoro, dovrete forse scendere a qualche compromesso, però vi prego continuate a fare questo lavoro, perché è veramente fatto bene. Io credo sia molto importante anche prendere un po' esempio da questi ragazzi. Ecco io credo che si possa un pochino indirizzare l'attenzione verso qualcosa d'altro entrando magari pian piano, in punta di piedi, in sordina, però credo sia una vostra responsabilità, ed è un pochino una nostra, come associazione, di aprirci a un certo tipo di giornalismo; credo che collaborando potremo riuscire a fare delle cose di un certo tipo, grazie.

Luca Di Grazia

Io sono appena tornato dall'Afghanistan dove abbiamo seguito la missione Aisaf e avremmo scartato alcune migliaia di foto. Alla fine della missione però c'è stata una mostra fotografica di tutto quello che noi abbiamo visto, nonché un libro. Questo per dire che certo, c'erano dei soldi a monte, ma le istituzioni potrebbero essere un canale più utile. Questa missione ha avuto alla fine comunque un ritorno dal punto di vista di immagine, cioè abbiamo potuto documentare quello che abbiamo fatto, nel bene e nel male, abbiamo avuto delle difficoltà, anche censure, però diciamo che forse è proprio l'istituzione a cui bisogna rivolgersi.

Carlo Giorgi - Terre di Mezzo

Io invece volevo ritornare su una cosa che forse è stata accennata, il rapporto tra giornalisti e fotografi, che secondo me è fondamentale. Tratteggiavi l'immagine del giornalista seduto in redazione, mentre il fotografo è quello che va fuori a far le foto. Secondo me questo è proprio uno dei motivi della crisi dell'informazione. Volevo capire, visto che questa è una platea di giornalisti o futuri giornalisti, quale è la vostra impressione relazionandovi coi giornalisti, cioè sono propositivi, apatici, capaci di dare informazioni, ci si lavora bene a 4 mani o no? Sono dei partners per l'informazione oppure no, dovete arrangiarvi da soli?

Fabio Cuttica

Devo esser sincero, non ho avuto una grandissima esperienza, ma non come qualità, semplicemente come quantità, con un certo tipo di lavoro per i giornalisti. Sul sociale non ho mai lavorato con giornalisti, almeno qui in Italia, fuori sì come in Colombia e in Venezuela con un giornalista cileno. Se devo essere sincero, mi ha fatto molto piacere riscoprire quanto può essere importante per un fotografo avere a fianco una persona che fa il tuo stesso lavoro, ma che anziché con le immagini, con le parole. È importante per la crescita sia del fotografo sia del giornalista e secondo me questo dovrebbe aumentare, mentre diventa sempre più raro. Prima mi ricordo, cioè tanti anni fa che neanch'io ho sfruttato quegli anni in cui il giornalista doveva fare un pezzo e partiva insieme ai fotografi; le agenzie fotografiche sono nate da questo penso, non c'era più il fotografo all'interno delle redazioni e perciò i giornali dovevano prendere le foto da qualche altra parte. Sono nate le agenzie dotate di un archivio di fotografie di reportages, vengono acquistate dalle riviste, dai magazines e poi viene appiccicato un testo. Spesso coincide con le foto, tante volte no. Questo penso sia un dramma, almeno per me lo è, nel senso che noi facciamo il foto giornalismo, sarebbe bello, importante, anzi fondamentale per la carriera di ognuno di noi lavorare con un giornalista al fianco. C'è una grossa crisi del foto giornalismo in Italia. Rimangono le grosse agenzie stampa che lo fanno sempre meglio, però poi quella nicchia di mercato, quella nicchia di fotografi un po' artisti, un po' giornalisti, un po' sognatori così… diventa sempre più difficile, sicuramente anche per questo. Manca però quella parte fondamentale che sarebbe la parte giornalistica.

Giulia Tornari

Diciamo che ci sono delle piccole isole felici, anche nella nostra agenzia, ci sono alcuni fotografi che hanno rapporti diretti con giornalisti, da cui nasce una collaborazione forte, per cui il giornalista viaggia solo con quel fotografo e l'inverso insomma, ma sono delle realtà sempre più rare, anche perché è sempre più raro che il giornalista abbia anche la possibilità di scegliere di viaggiare con un fotografo, deve essere o un freelance oppure deve essere un giornalista piuttosto accreditato che può imporre nel giornale la presenza di un fotografo.

Intervento

Infatti la questione secondo me poi non è tanto su quanto un giornalista è propositivo, quanto è brillante, anche i giornalisti che lavorano nei giornali dal mio punto di vista spesso sono condizionati da un sistema editoriale che impone certe linee, quindi anche proporre delle tematiche o comunque dei lavori che escono da questo trand, spesso è complicato.

Intervento

Io sono una giornalista e consigliere dell'Ordine della Lombardia. In un certo senso torniamo oggi sul tema di ieri. Mi sento la necessità di sottolinearlo e anche eventualmente di avere da voi un ritorno di qualche concetto critico. Nei giornali sta ormai crescendo l'immaginario fotografico come un mondo a sé stante. Io credo che se noi non ci poniamo al tavolo e non riflettiamo su cos'è l'immagine che viene richiesta dai giornali, difficilmente faremo un passo avanti in quello che può essere il vostro lavoro, che è di approfondimento e in quello che è il "nostro", intendo in senso lato, dei giornalisti, che sempre più spesso sono pressati dalle immagini pubblicitarie. Questo concetto non è peregrino per quanto riguarda anche la costruzione di un'immagine, della scelta di un'immagine, per quello che può essere il lavoro che nei giornali facevano i picture editor per usare una parola complicata, cioè quelli che hanno il problema di valutare, scegliere le foto, quali tipi di foto, perché oggi tutto il mondo è raccontato attraverso le foto. Io trovo che in un certo senso continuiamo a trattare le foto come se non fossero un prodotto maturo, invece sono più che mature. Le foto da un lato sono più che mature e dall'altro lato sono condizionate da un tipo di immagine che è commerciale. Su questo fatto bisognerebbe aprire un convegno, un dibattito, discutere, accapigliarsi, dopodiché forse potremmo creare una diversa utilizzazione delle foto, condizionando il mercato, perché le foto che approdano nei giornali sono condizionate per una fetta molto grossa da esigenze pubblicitarie. Cito giornali di altri paesi come il The Guardian dove la scelta fotografica ha tutt'altro impatto, dove i morti delle guerre per esempio, per parlare di un tema molto delicato, sono stati esposti in un modo assolutamente nuovo, per cercare di tenere conto anche che alcuni avvenimenti che vengono fotografati, sono stati spettacolarizzati e noi dobbiamo uscire dalla spettacolarizzazione e dai clichè. Questo è il nuovo mondo della comunicazione con le immagini e questo è un lavoro culturale e lo dovete fare voi e lo dovrebbero fare anche i giornalisti, che invece purtroppo, pressati dalle difficoltà dei giornali che sappiamo quali sono, della non lettura, sono spinti verso un mondo d'immagini assolutamente, diciamo così, di effetto. Non vuol dire che dobbiamo fare una censura, ma dobbiamo riflettere sul fatto che come cittadini di questo secolo noi viviamo perennemente esposti alla violenza o alla bellezza delle immagini.

Renata Ferri

Io sono abbastanza d'accordo, c'è un problema ma non è un problema di fotografia. La fotografia è sicuramente matura, anzi forse ha fatto anche un passo più lungo della gamba, nel senso che ha superato le necessità del mercato editoriale, tant'è che negli ultimi 10-20 anni, in Italia ha trovato altri spazi, spazi che non sono quelli dell'editoria, è un po' il discorso che facevo prima. Giustamente ha trovato altre strade per esprimersi e va e ritorna nell'editoria. Il fatto che questo lavoro sia stato pensato come un lavoro a sé stante e non per una testata, lo porterà nel tempo, in tempi molto lunghi, sulla stampa, perché è un lavoro dai tempi molto lunghi, che tutti i giornali utilizzeranno, a parte che molte di queste immagini sono state già utilizzate singolarmente. 

Il problema della capacità di costruire l'inchiesta che portava ad avere una fotografia documentativa esiste non solo in Italia, è un problema diffuso, nel senso che l'Italia rimane un paese che continua a raccontare storie visive, mentre la maggior parte dei magazines europei non lo fanno assolutamente più. C'è uno spostamento dell'attenzione da tematiche generali, politiche, sociali, antropologiche e culturali, a un'attenzione esagerata, possiamo dirlo qui, perché qui ci riconosciamo in una passione, in un amore per certi temi, c'è un'attenzione che si è spostata tantissimo sui personaggi e tutto veicolato dalla televisione. Questo è un problema di editori, di investimenti e di scelte proprio editoriali, di contenuto. Adesso è esattamente il contrario rispetto al passato, si producono delle grandi fotografie, su grandi tematiche, con grande passione, che sono delle mostre, dei video, delle multivisioni, dei programmi televisivi, dei libri, che poi, dopo tutto questo percorso tornano nell'editoria, perché l'editoria usa l'immagine sempre di più come un'illustrazione, non come una documentazione e la differenza fondamentale, concettuale è proprio questa, illustri qualcosa che produci, spesso a tavolino, ma non è un racconto e una documentazione, una testimonianza, è un accompagnamento e quindi è una funzione sicuramente meno pregnante, anche se l'immagine è bellissima. Queste foto illustreranno nel tempo la povertà, il problema della casa, io stessa le uso, illustro il problema della povertà, degli extracomunitari, del lavoro schiavo, del lavoro immigrato, dei clandestini utilizzati, del caporalato… Non è più però una testimonianza a una documentazione, perché quello che scrivi non sarà quello che stai vedendo e quell'immagine non sarà la testimonianza di quello che stai scrivendo, sarà qualcosa che si ferma in un tempo che è diverso da quello che vai a documentare, a raccontare.

Fabio Cuttica

Questo lavoro ci ha portato un anno e mezzo in giro per l'Italia, siamo molto soddisfatti, cioè siamo veramente molto contenti e lo guardiamo con orgoglio. Si è trovato spazio, per il momento però non sui giornali, il che un po' ci dispiace, ma fondamentalmente siamo contenti. Poi lo troverà? Non lo troverà? A me sinceramente m'interessa relativamente, sono contento di quello che ho fatto, qualcosa d'importante per me come fotografo, ho raccontato gli aspetti del mio paese solo grazie alla fotografia, con questo straordinario mestiere sono riuscito ad arrivare fino a là e basta. Poi se son fiori fioriranno, se ci saranno le fondazioni di mezzo, se ci saranno altre situazioni di questo tipo ben vengano. Fondamentalmente pensiamo di aver fatto un lavoro degno, bello e che guardandolo ci fa piacere.

Giulia Tornari

Volevamo ringraziarvi, vi salutiamo e ringraziamo ancora Redattore Sociale per questo progetto, per la collaborazione e Renata Ferri per aver in realtà realizzato il progetto insieme ai fotografi. Grazie.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.