Relazione di Milena Santerini. Conduce Matteo Scanni. Interviene Fabrizio Gatti
Milena SANTERINI
Professore Ordinario di Pedagogia generale all’Università Cattolica di Milano.
ultimo aggiornamento 29 settembre 2006
Matteo SCANNI
Giornalista e autore teatrale, coordina il Master in giornalismo dell’Università Cattolica Sacro Cuore a Milano.
ultimo aggiornamento 28 aprile 2011
Fabrizio GATTI
Giornalista,inviato de l’Espresso.
ultimo aggiornamento 29 settembre 2006
Matteo Scanni
Milano è vero che è crudele però è probabilmente vero anche il contrario, inoltre è una città con dentro mille altre città. È una città dove mancano gli alloggi per gli anziani, dove mancano i servizi, dove c'è molta criminalità anche se sotto traccia, dove molti giornali non si occupano di fatti di cui invece sarebbe interessante occuparsi, però è anche vero che è una città che è capace di dimostrare esattamente il contrario. Milano è anche una città che accoglie, soprattutto è una città che raccoglie in sé mille altri mondi. Di sicuro fare il giornalista a Milano è più difficile che farlo in altre città, perché appunto qua sembra che i fenomeni si muovano sotto traccia. Io credo che fare il giornalista a Palermo piuttosto che a Napoli sia per certi versi più semplice, se togliamo il problema dell'incolumità personale, resta più semplice individuare certi fenomeni. Se uno per esempio volesse semplicemente elencare quali sono i gruppi criminali che a Milano operano dovrebbe cominciare a dire: allora ci sono i rumeni, ci sono i kosovari, ci sono i moldavi ci sono alcuni marocchini, ci sono i figli della 'ndrangheta degli anni '80, ci sono mille realtà di questo tipo, per cui vanno analizzate una per una. Oggi ci ripromettiamo di fare un workshop abbastanza frizzante dove ci passeremo continuamente la palla, iniziamo: alla mia sinistra c'è Milena Santerini che è docente di pedagogia sociale interculturale e si è occupata di svantaggio scolastico di educazione e di relazioni interculturali. Alla mia destra c'è Fabrizio Gatti che in questo momento è inviato dell'Espresso, credo sia molto noto, ha fatto alcune tra le più belle inchieste degli ultimi anni sicuramente ed è portatore, io credo, di un modello di giornalismo raro, diciamo che non piace sostanzialmente molto agli editori ma al suo editore sicuramente sì; si tratta dei classici rompiscatole che chiedono di essere mandati sul posto a verificare certe cose. Inizierei intanto subito con Milena Santerini alla quale chiedo subito: che tipo di città è Milano?
Milena Santerini
Volevo cominciare dandovi un quadro, qualche cenno, come una fotografia potremmo dire, anche se sapete benissimo che in teoria dovremo fare un film più che una foto di Milano, perché è una città in continuo cambiamento. Vorrei provare a darvi dei cenni di questo cambiamento, con qualche riflessione dietro i dati e i numeri dei gruppi etnici-sociali, oltre a qualche riflessione sul come sono stati visti, perché in questi anni abbiamo avuto una serie di ricerche che ci hanno detto come la stampa vede l'immigrazione, non siamo digiuni di autoriflessività, la stampa si è già guardata allo specchio per vedere come parlava dell'immigrazione. Milano è una città, appunto, che ha diversi volti, in un primo tempo il volto dell'immigrazione rappresentato dalle donne domestiche, capoverdiane, filippine negli anni '80 con l'ondata migratoria più grossa che abbiamo avuto, poi il volto dell'immigrazione è stato l'uomo, l'albanese, il marocchino. Negli anni '90 ha di nuovo cambiato pelle ed è diventato il volto dell'immigrato dell'est, anche perché come sapete con la chiusura dei flussi ovviamente è stato molto più difficile per gli immigrati dall'Africa o dall'Asia arrivare… Un altro salto di volto è stato quando, ed è forse uno dei trand che più va aumentando, Milano è diventata latina ed i parchi si sono riempiti di ecuadoregni, peruviani… Quest'anno dei 100mila bambini stranieri che abbiamo in Lombardia nelle scuole, sembra che l'etnia più numerosa sia quella dell'Ecuador, quindi vedete le foto cambiano continuamente. Di nuovo il volto dell'immigrazione però è tornato di donne, ora è un volto anche di bambini, cioè di famiglie, perché come sapete l'immigrazione tende a essere più stabile. Non parlerei dei gruppi che sostengono fortemente in qualche modo un po' l'economia immigrata come gli egiziani o i cinesi, che per altro sono a Milano dal 1910, quindi sono un volto antico della città.
Questo per dire che Milano è la città dai mille volti, che cambia e in cui le relazioni tra le persone cambiano e che assume un volto ora di uomo, ora di donna, ora di bambino, ora di famiglia, ora di diversi punti del mondo. Ma potremmo dire che c'è un'immigrazione che diventa più stabile, potremmo dire che crescono le imprese immigrate ed è vero, le imprese autonome, cresce il numero degli stranieri, degli immigrati che si iscrivono alle superiori e che cominciano ad iscriversi all'università, cominciano ad arrivare i cinesi all'università. È aumentata la ricchezza in una fascia di stranieri che sono qui da più tempo per esempio, perché c'è la cosiddetta catena migratoria, quindi in particolare appunto gli egiziani, quelli dello SriLanka e così via, danno vita ad una piccola attività imprenditoriale dove si inseriscono i connazionali e questo comporta delle differenze. C'è una più forte stabilità, più forte associazionismo, più cultura immigrata…
I fenomeni su cui secondo me va prestata più attenzione sono altri: il più importante è il problema della distribuzione di immigrati, di popolazione immigrata e popolazione italiana a livello di casa, di scuola, di divertimento. Abbiamo sentito dire in modo molto improprio da chi era interessato a dirlo che il multiculturalismo è fallito. Chi parla così non sa cosa dice, perché bisognerebbe capire cos'è il multiculturalismo, cosa intendono. Non è fallito il multiculturalismo in quanto tale, se con questo termine intendiamo le politiche d'integrazione degli immigrati che tendono a far convivere diversi gruppi sullo stesso territorio. Alcuni paesi europei che hanno avuto il fallimento o degli insuccessi come l'Olanda che è stata per altro traumatizzata ovviamente dall'omicidio di Van Gogh, avevano fatto una politica multiculturalistica a metà, nel senso che aveva misure di protezione sociale molto avanzate, ma non aveva affatto impedito la costituzione di enclave separate a macchie di leopardo dentro le proprie città; in particolare il mea culpa degli olandesi più intelligenti è quello di avere permesso lo sviluppo di scuole separate che quasi sempre diventavano sacche di svantaggio sociale e che non avevano possibilità di far mischiare e far crescere i bambini con gli altri. Questo secondo me è credo il problema da affrontare nei prossimi anni, quindi il discorso della concentrazione degli stranieri in alcune zone, via Padova, via Imbonati, viale Zara, a livello di commercio la zona di viale Sarpi. Abbiamo scuole col 45% di bambini immigrati che potrebbero diventare scuole pilota, che devono diventare scuole pilota, dove la convivenza arricchisce anziché ovviamente sottrarre, ma che non lo sono perché i genitori italiani tendono a togliere i propri figli laddove la scuola diventa la scuola degli immigrati. Potremmo parlare di tanti altri cambiamenti che avvengono sotto gli occhi, le bande di ragazzi immigrati, i latinos che è un fenomeno d'importazione e poi naturalmente l'enorme, importantissimo fenomeno che noi trascuriamo completamente, delle badanti, le cosiddette badanti che hanno cambiato completamente il volto della famiglia italiana, che hanno retto l'urto della mancanza della donna italiana che lavora. E' molto interessante vedere l'incontro culturale tra queste signore ucraine, moldave, russe, polacche, rumene e in parte anche latino-americane, e l'anziano italiano, quasi sempre con un titolo di studio minore del loro. Queste donne che si devono adattare alla cultura dell'anziano, l'anziano che non ce la fa, ma con dei rapporti che nascono, spesso bellissimi. Quello che vorrei dire è che anche in questo caso delle badanti, noi non possiamo vedere Milano senza quello che c'è dietro, quello che c'è prima, dove quello che c'è prima sono i paesi da dove vengono, pensate a quello che il sociologo algerino Abdelmalek Sayad chiamava "La doppia assenza". Abbiamo società che cambiano continuamente, l'immigrazione è un fenomeno totale, globale, non puoi vedere qui se non guardi là, in questo senso ancora di più, ringrazio Fabrizio per quando ci ha fatto vedere il viaggio, non ci ha fatto vedere da dove partono, ci ha fatto vedere almeno il viaggio. Se avete visto quel film molto bello, "Cose di questo mondo", che è molto interessante, una sorta di film-documentario, in cui un ragazzino attraversa dal Pakistan tutta l'Asia e l'Europa per arrivare fin qui, la scena nodale è quella finale in cui si trova a chiedere o a vendere qualcosa in un bar italiano e noi rivediamo improvvisamente quel ragazzino oggi, ma noi nel film abbiamo visto da dove veniva e ci vergogniamo di aver visto solo l'oggi e di non aver capito il prima, l'oltre, da dove veniva.
Chiudo con un'osservazione importante. Io mi sono andata a rivedere, visto che dovevo parlare ad un ambiente in cui si interessa di stampa appunto, come in questi anni la stampa ha parlato degli stranieri, degli immigrati, ed ho trovato cose vere, condivisibili, devo dire però sono sempre le stesse. Il 92% dei dispacci Ansa di qualche anno fa, ma come ancora adesso, ha per oggetto solo gli immigrati irregolari quindi guardiamo l'immigrazione solo a partire dai clandestini, cioè prima c'è la notizia del clandestino e poi dietro c'è l'aggancio alla situazione dell'immigrato regolare; c'interessano i fatti di cronaca violenti, c'è un'informazione spesso o pigra intellettualmente o volgare dal punto di vista della mancanza di privacy nei confronti delle persone immigrate che ovviamente vengono presentate, messe a nudo, additate facilmente di delitti, di comportamenti illegali, ecc. Alla stampa interessa l'emergenza, l'equazione emergenza = immigrazione = criminalità. Non sto a ripetere cose che vediamo tutti i giorni. Questo è quello che emerge se ci si chiede come la stampa complessivamente parla degli immigrati, ma ce ne saremmo accorti anche leggendo il giornale o lo stile narrativo, che appunto è uno stile un po' particolare che spesso non tutela la dignità delle persone. Io vorrei dire che c'è secondo me un cambiamento che però queste ricerche e queste inchieste non rilevano: ad esempio quasi tutti dicono che mancano approfondimenti, questo è vero a parte alcune inchieste che non voglio citare di nuovo, ma soprattutto si dice: non ci interessa l'identità culturale dell'immigrato; questo non è più vero, è cambiato, non so da quando, non so come, ma se prendiamo almeno 2 o 3 casi, vi faccio l'esempio della ragazza pakistana uccisa dal padre quest'estate a Brescia, bene, noi abbiamo cominciato a parlare di cultura degli immigrati, magari male, magari a partire dall'Islam. Lo scontro di civiltà, il presunto scontro di civiltà che come sapete è una formula totalmente irrazionale e priva di fondamento, ci ha condotto a confrontarci sui problemi di cultura. Questa è la grande novità, c'è chi ancora non ci è arrivato, ci arriveranno tra poco… Non si parla più soltanto di irregolari, di clandestini, ci interessa sapere anche qualche altra cosa. Ci è interessato per motivi piuttosto ambigui cioè per dimostrare che le culture non vanno d'accordo, che le culture non sono compatibili, ma si comincia a parlare di cultura, di come pregano, di come mangiano gli immigrati, di come s'incontrano con noi, di come leggono la costituzione, di che cosa vuol dire essere cittadini. La conquista sarebbe che la stampa sviluppasse davvero non solo un discorso più approfondito sugli immigrati dal punto di vista del come vivono in un'economia globale, del come vivono a Milano, del come hanno cambiato Milano, ma anche come le culture si incontrano e anche si scontrano evidentemente, non dare una visione buonista, però interrogarsi su questo e questo credo che sia un campo completamente aperto un po' alla riflessione e alla discussione.
Matteo Scanni
Effettivamente alcuni argomenti sembrano completamente spariti dai giornali, soprattutto dai quotidiani. Sfogliando la cronaca di Milano dei maggiori quotidiani italiani si parla sempre degli stessi argomenti: dei navigli, dei parcheggi, dello smog, mentre anche alcuni strumenti d'indagine come l'inchiesta o il reportage sono spariti. È sparita soprattutto secondo me l'inchiesta sociale, quella che ha reso grande certi giornali tipo il vecchio Europeo che prevedeva la formula del bravo inviato che parte, si fionda in una realtà totalmente dispersa che però è lo specchio nel piccolo del paese e te la racconta. È un peccato che si sia perso, non si capisce quale sia il vero motivo. Ci sono per fortuna delle eccezioni, Fabrizio è una di queste eccezioni, prima di chiedergli però come costruisce le sue inchieste, vorrei chiedergli due cose: che tipo di sguardo ha lui sulla realtà milanese, ma in generale sulla realtà, perché quando leggi le sue inchieste dopo dici: cavolo! Potevo farla io! Il problema è che l'ha fatta lui, cioè è riuscito lui a leggere in anticipo un fenomeno della realtà, e poi due, se è veramente vero che Milano è una città crudele.
Fabrizio Gatti
Ciao a tutti, buongiorno e innanzi tutto grazie per questa occasione di scambio di idee e di vedute. Nell'introduzione parlando di crudeltà inevitabilmente si è fatto riferimento anche alla criminalità ed io ritengo che questo sia, se lo si imposta come metodo di lavoro, fuorviante, perché la crudeltà è dentro ciascuno di noi. La cosa essenziale della città di Milano è come porsi, innanzi tutto andare a vedere, girare, convivere con la realtà per conoscerla è il modo migliore, visto che né i giornali, né la tv non ne parlano. Poi c'è un altro aspetto di cui secondo me va tenuto conto. L'aspetto importante è la consapevolezza di vivere un momento di trasformazione drammatico e mondiale, ma se noi la vediamo a Milano e limitiamo i confini poco più in là della provincia, vediamo che in realtà non stiamo vedendo un fenomeno nuovo. C'è stata un'incredibile continuità, anche nei giornali e nella tv, perché forse è il caso di parlare anche di televisione, dato che l'incisività e la capacità d'influenzare il pensiero della tv, rispetto a quello dei giornali è incredibilmente superiore. Andiamo a vedere l'anno di cambiamento, il 1992, e vediamo il prima e il dopo: perché questo? Perché nel 1992 nella criminalità milanese avviene un cambiamento storico e cioè i reati più piccoli, di piazza, di strada, che prima vedevano coinvolti gli immigrati italiani, persone che hanno nella loro storia familiare un'immigrazione da regioni italiane, hanno visto poi passare il testimone agli immigrati stranieri. Gli italiani avevano trovato in sostanza una classe sociale, gli immigrati italiani che vivevano sulla strada e parliamo di reati in genere considerati di micro criminalità che sono lo spaccio, lo scippo, i furti. In seguito abbiamo iniziato ad identificare l'immigrazione quasi sempre con gli immigrati stranieri. Dovremmo però vedere come i mezzi d'informazione si sono posti nei confronti dell'immigrazione in senso generale e vediamo che negli articoli in cui si è accennato prima, i protagonisti sono sempre negativi e sono egiziani, marocchini, albanesi, secondo il tipo di reato, e andando indietro erano pugliesi, calabresi, campani, siciliani. Vediamo che c'è una continuità in tutto questo, abbiamo sostituito semplicemente i contenuti per due motivi: primo, come conseguenza di un dato di fatto e cioè che effettivamente gli ultimi arrivati hanno preso il posto di chi c'era prima, e stiamo parlando soltanto dell'aspetto criminale; poi c'è un dato di fatto dovuto sostanzialmente alla sostituzione dei protagonisti. Inoltre, dal 1992 al 1993 le forze politiche che stavano facendo una campagna non solo elettorale, ma una campagna di raccolta del consenso, puntando sulla negatività dell'immigrazione italiana e non sto a ripetere Roma Ladrona e tutte le altre dicerie dette, avendo la possibilità di entrare al governo, hanno sostituito l'oggetto delle loro critiche con chi non aveva nessun potere e non l'ha tuttora in Italia, cioè gli stranieri, perché ovviamente andare al governo con Alleanza Nazionale, mi sto riferendo alla Lega, e dire i siciliani sono tutti mafiosi, i pugliesi sono tutti della sacra corona, i napoletani sono tutti dei truffatori, con una forza politica che proprio in quelle regioni ha raccolto consenso, creava dei grossi problemi. Per cui abbiamo una sovrapposizione di due fenomeni e poi vedremo perché nei giornali o nei mezzi d'informazione in genere, questo cambiamento è passato così quasi inosservato e sono stati sostituiti i contenuti a notizie che comunque già venivano pubblicate prima.
Per cui il primo punto è di non spaventarsi da operatori della comunicazione dicendo: siamo davanti a un fenomeno epocale che ci stravolgerà. Sicuramente questo è un po' più difficile perché l'immigrazione italiana ha avuto una grande possibilità di riscatto con le associazioni, il sindacato e soprattutto col diritto di voto e quindi sia nel voto amministrativo locale sia in quello nazionale. Con la nuova immigrazione siamo di fronte a cittadini che anche quando rispettano la legge non hanno nessuno di questi diritti. Non solo, grazie a quella forma di raccolta del consenso, sfruttando la criminalizzazione degli ultimi arrivati, i diritti di queste persone sono stati ulteriormente ridotti. Ad esempio il permesso di soggiorno nel '94 poteva durare 4-5 anni, ora ogni anno, al massimo 2, bisogna andare in coda in questura per rinnovare il permesso e quindi dimostrare di esistere e con tutte le conseguenze, perché la questura restituisce il permesso rinnovato nel giro di 15 mesi, quindi paradossalmente è la questura, è la legge non parlo della questura in sé, ma è la legge che crea la clandestinità in questo senso. Vi faccio anche riflettere su un altro aspetto. Nel 1992 proprio da Milano parte un movimento trasversale nei partiti politici vicini alle associazioni, che portava alla chiusura dello zoo. Giustamente la motivazione era che degli esseri viventi non possono stare dietro le sbarre. Nel 1999 Milano introduce uno zoo per esseri umani e che è stato il Cpt di via Corelli e mi riferisco a uno zoo perché la struttura era identica a quella in cui era tenuto l'elefante, anzi l'elefante stava molto meglio. Vedete come 7 anni siano sufficienti a cambiare i punti di riferimento. Nel '92 dicevamo: mai più gli animali dietro le sbarre, perché sono comunque degli esseri viventi, nel '99 come rimedio ad una serie di fenomeni, anche strumentalizzazioni, perché questo ha portato voti ad alcune forze politiche ed è sconfinato anche in altre forze politiche, perché poi il tema dell'immigrazione è stato impostato esclusivamente su questo, bene, nel 1999 dietro le stesse sbarre ci finiscono delle persone. Questa cosa nonostante le critiche ha funzionato per più di un anno, fino a quando dopo un'inchiesta giornalistica, che ho avuto occasione di fare io, il governo manda una commissione, un'ispezione e dice: là dentro la dignità umana non è rispettata! Quindi vedete che il ruolo dei mezzi d'informazione è quello da un lato di raccontare, ma non solo di fronte ad una trasformazione importante della realtà che ci circonda, ma anche di fronte a vere violazioni dei diritti fondamentali.
Vedete come il mondo dell'informazione sarebbe veramente importante, non solo con quello che scrive, ma anche quello che opera nella comunicazione. Sarebbe molto importante perché impedirebbe degenerazioni che spesso sono scorciatoie di un fenomeno di cui a volte nessuno ha colpa, in qualche caso i responsabili ci sarebbero. Se viene fatta un accordo tra Berlusconi e Gheddafi e in base a questo accordo 106 persone muoiono nel deserto, non succede nulla solo perché queste persone sono straniere, ma se fossero state italiane evidentemente ci sarebbe stata una richiesta di responsabilità. Questo è un discorso di metodo, cioè di come porsi di fronte ai fenomeni man mano che accadono.
I mezzi d'informazione hanno una caratteristica di auto-referenzialità rispetto ai propri ascoltatori o lettori, per cui il mezzo d'informazione per esserci quando viene presa una decisione in genere è quella di scegliere gli argomenti che siano d'interesse al proprio pubblico, altrimenti avrebbe anche delle conseguenze economiche. Ma non sto parlando solo di questo, ritengo che non si potrà mai parlare d'immigrazione in termini normali, cioè di convivenza, integrazione, cultura, anche nella tranquillità della quotidianità e non solo quando viene uccisa una ragazza dal padre, fino a quando gli immigrati, in questo caso stranieri, non avranno gli stessi diritti che hanno avuto gli altri immigrati che li hanno preceduti. Per cui alla fine soltanto quando si creerà un pubblico di lettori, di ascoltatori tra gli immigrati, sarà possibile che l'informazione si occupi anche di loro in questi termini. È chiaro che la sensibilità singola dei mezzi d'informazione può essere da stimolo e quindi iniziative come qualche gruppo editoriale ha fatto di pubblicazioni esclusivamente, anche di grande diffusione, dedicate ai problemi dell'immigrazione, queste possono essere da stimolo. Vedo invece, viaggiando in metropolitana o sui treni, come spesso tra gli immigrati la cosiddetta freepress, la stampa distribuita nelle stazioni della metropolitana, è diffusa, perché c'è una necessità ad essere informati.
Abbiamo completamente demolito un modello d'immigrazione per l'Italia e ora ci stiamo muovendo tra le macerie; se a Foggia e non solo, ma anche in Campania, in Calabria e in Sicilia, gli agricoltori e le industrie alimentari sfruttano l'immigrazione a livello di schiavitù è perché stiamo camminando sulle macerie di un mondo che dobbiamo formare. Il ruolo dell'informazione di tutti gli operatori intorno è molto simile a quello dell'informazione o della televisione italiana negli anni '50, e cioè quello di formare il paese, perché attraverso l'informazione ci sarà anche l'uniformazione della lingua, che è l'indispensabile mezzo di comunicazione; ho una cara amica insegnante alla scuola elementare che si è ritrovata in prima elementare due cinesi, un albanese, alcuni sudamericani e così via e spesso il problema della lingua è un problema serio, perché non riesce a capire in che lingua deve parlare per poter comunicare con questi bambini. Credo di aver dato qualche traccia; la cosa essenziale comunque è che secondo me Milano ha una grande opportunità, a Milano c'è il mondo, le persone che arrivano portano anche un sacco di esperienze…
Matteo Scanni
Io vorrei capire più chiaramente in che cosa il suo occhio allenato differisce dall'occhio dalla maggior parte dei cronisti che scrivono sui quotidiani, ma poi ce lo facciamo spiegare perché non scappa. Un altro aspetto che secondo me Fabrizio ha toccato è quello delle periferie, un altro degli argomenti spariti, scomparsi dalle cronache dei giornali. A me viene in mente Foggia, me ne parlava un amico: a Foggia esiste dietro il tribunale, cioè quasi in pieno centro cittadino, credo l'unica baraccopoli in cui vivono degli italiani, non degli stranieri, sono case di cartone e lamiera in cui vivono degli italiani. A me non risulta che ci siano molti altri posti del genere in Italia e neanche mi risulta di aver mai letto nulla su una realtà di questo tipo. Questo per dire che le realtà non mancano, manca la volontà d'investire soprattutto in televisione, ma anche sulla carta stampata. Uno dei punti fondamentali credo sia anche quello proprio delle periferie dove non c'è solo il peggio delle città. Adesso prima di venire qui mi guardavo alcuni dati che mi sono appuntato: a Ponte Lambro per esempio il tasso di disoccupazione è al 23%, quindi in un quartiere di Milano il tasso di disoccupazione è il quadruplo rispetto a tutta Milano. Milano è al 9%, Ponte Lambro è al 23%. A Bruzzano dove c'è stata la 'ndrangheta, la criminalità organizzata milanese e dove adesso sono attivi i figli di questi gruppi criminali, c'è un notevole aumento dell'immigrazione, però peccato che la criminalità registrata sia quasi esclusivamente italiana. A Ponte Lambro e nel quartiere Stadera ci sono invece dei servizi eccellenti. A Molise Calvairate che è un altro dei quartieri un po' a rischio di Milano c'è un gruppo di persone che dal basso sta cercando di studiare e di gestire dei progetti che migliorino la vita di tutti. Molise Calvairate per capirsi è uno dei quartieri a più alto disagio psichiatrico, dove i disabili mentali vivono sullo stesso pianerottolo di famiglie cosiddette normali, sono del tutto abbandonati a sé stessi e molto spesso senza la dovuta assistenza, e questo ha creato e crea grossi problemi. Tutto questo per dire che le periferie non sono solo un problema, molto spesso si muovono e intanto elaborano dei modelli che molto spesso potrebbero servire anche al centro storico cittadino. A Milena Santerini vorrei chiedere che cosa potremmo prendere dalle periferie di Milano, se c'è qualche cosa di buono, qualche ricetta che potrebbe servire al resto della città.
Milena Santerini
Ricette non ne ho ovviamente, però sono d'accordo sul fatto che c'è periferia e periferia; in realtà la parola periferia non significa niente. Il problema sono le politiche urbanistiche, le politiche sociali, il problema è laddove si riesce o non riesce a creare comunità. Quindi è chiaro che c'è molta differenza tra una periferia storica dove però dal basso appunto, forze sociali, o comunque appunto i cittadini sono riusciti a creare un senso di partecipazione, di coinvolgimento ed altro. Ma siccome parlavamo d'immigrati, vorrei dire che la distinzione non va fatta tra immigrati italiani, ma evidentemente tra luoghi di disagio dove gli immigrati e italiani trovano delle strade di illegalità per uscire da una situazione di disagio e strade dove ci sono offerte diverse per i ragazzi. Nella maggior parte dei casi gli immigrati sono facilmente un serbatoio di manodopera per l'illegalità, la maggior parte di immigrati sono nuclei familiari ormai, quasi sempre a Milano, o famiglie, o comunque persone, o donne sole che non delinquono, che vivono in una situazione molto spesso difficile dal punto di vista sociale ed economico. Ormai dobbiamo tagliare trasversalmente i fenomeni, non si può distinguere tra immigrati ed italiani in questo senso. Dobbiamo provare a capire che cosa virtuosamente potrebbe favorire un modello d'integrazione. Io credo che una delle molle principali sia l'integrazione dal punto di vista civile. Si diceva che si scriverà bene di immigrati quando saranno gli immigrati stessi a leggere, quando compreranno quel giornale e quell'articolo. Il voto, la partecipazione civica, la possibilità d'incidere, l'integrazione crea cittadinanza, ma poi vediamo, cito qualche detto, come nel caso relativo al terrorismo nato a Litz dove c'erano dei musulmani ben integrati, che "allora vedete che non basta l'integrazione"… Ma questa è una sciocchezza, perché evidentemente in quel caso noi avevamo dei terroristi istruiti, ben integrati, molto ben motivati dal punto di vista politico, che scusate, come fenomeno assomigliano di più alle nostre Brigate Rosse, sono dei medio borghesi integrati che avevano fatto l'università a Litz… Ho parlato con una docente di Litz dal cui quartiere venivano i ragazzi degli attentati di Londra, che semmai sentono come una ferita il problema delle masse popolari islamiche, frustrate, povere, ecc.
Allora che cosa voglio dire? Che non è vero che è inutile lavorare sull'integrazione perché tanto poi i terroristi arriveranno lo stesso da lì, queste sono le ultime sciocchezze che abbiamo letto sui giornali recentemente. Lavorare sull'integrazione ci permetterà di dare cittadinanza e la molla della cittadinanza è l'unica che ci permetterà effettivamente di avere cittadini leali. Vengo al discorso periferie evidentemente dal basso, tutto questo si crea attraverso la partecipazione, c'è invece uno sbollamento, una spaccatura pazzesca. Le comunità immigrate si vedono al loro interno, si vedono male tra di loro, c'è naturalmente razzismo tra i gruppi etnici per cui appunto molto spesso gli asiatici disprezzano gli africani e così via, quindi c'è da creare un tessuto in periferia, modelli di periferia, dove italiano ed immigrato abbiano delle possibilità di partecipazione reali. Tutto questo non è stato fatto, non abbiamo un modello d'integrazione; questo è difficile in tutti i paesi europei, non so se state seguendo sul Corriere ci sono ampie interviste a esperti internazionali che ci propongono il loro modello d'integrazione, tutti dicono che non c'è, ce lo dobbiamo inventare, deve essere un ibrido, deve essere il meglio del Canada, il meglio dell'Inghilterra, il meglio della Francia e così via. Non c'è un modello, ma sicuramente tutti, in qualche modo, partono da una costituzione, potremmo dire, di cittadinanza. Noi siamo in ritardo sul dare cittadinanza, c'è una scarsissima conoscenza della Costituzione non solo tra gli immigrati, ma anche tra gli italiani perché i ragazzi non la studiano. Non ho ricette e anch'io auspico che nasca dal basso e magari, perché no a Milano? Milano è sempre stato un laboratorio. Mi piacerebbe un modello d'integrazione dal basso, nelle periferie, penso a Corvetto per esempio, un quartiere che ha sofferto molto l'arrivo dei rom, dei rumeni rom e non, perché alcuni non sono rom…
Matteo Scanni
Visto che parlavi di rom e rumeni, è abbastanza singolare secondo me, che gli stessi giornali non abbiano ancora fatto propria la distinzione che c'è tra rom e rumeno, e questo è indicativo. È una cosa che è venuta fuori, non so se vi ricordate, quando ci fu il caso dell'occupazione della palazzina vicino alla stazione centrale. Io ricordo che i giornali se ne occuparono molto nella fase iniziale, appunto descrissero l'occupazione di questa palazzina, poi ad un certo punto ci fu una specie di black out informativo e non se ne seppe più niente. Chi invece si prese la briga di andare a vedere che fine avevano fatto queste persone, le quali avevano tra l'altro tutte permesso di soggiorno regolare, scoprì che lavoravano per aziende italiane, come tornitori, come operai, producevano reddito, non dico tutti quanti pagavano le tasse però avevano una forma d'inserimento acquisita; sono stati poi chiusi dentro un campo vicino al cimitero maggiore, un campo recintato col filo spinato, con 3 latrine se non mi sbaglio, da una parte c'è una rifiuteria di Milano, dall'altra c'era il cimitero, dall'altra parte c'era il campo quello più grosso di via Barzaghi che invece è più noto e c'era una guardiola all'ingresso dove stazionavano giorno e notte alternandosi vigili urbani, poliziotti e carabinieri, i quali teoricamente dovevano fare controllare chi entrava e chi usciva, era un regime di semilibertà. Io sono andato lì a trovarli una notte, dopo le 6 di sera tra l'altro da questa rifiuteria si riversano in questo campo migliaia di topi, loro vivono dentro dei container forniti dal comune, che si scaldano naturalmente sotto il sole durante l'estate e sono gelidi durante l'inverno, non hanno riscaldamento e quando sono andato a trovarli perché conoscevo alcuni di questi ragazzi, ho trovato due carabinieri che con la fionda avevano organizzato una specie di torneo e vinceva chi riusciva a pigliare a fiondate più topi che arrivavano dentro a questo campo. Questo per dire che da allora di quella storia non si è saputo più niente, quel campo poi è stato disperso e quelle persone sono sparite nel nulla. Fa specie perché erano soggetti integrati, avevano i figli che andavano a scuola, hanno dovuto combattere una loro piccola battaglia per fare in modo che un furgone del comune venisse a prenderli e facesse una fermata davanti al cimitero e li accompagnasse a scuola. Poi da quanto mi risulta anche quel servizio è stato soppresso.
Torniamo al modo di fare informazione e fare inchiesta. Lui, Fabrizio, ne ha combinate di tutti i colori, ha fatto la rotta dei clandestini tagliando l'Africa e poi ritornando in Italia, per raccontare come sono queste carovane di disgraziati che cercano di venire in Italia per trovare una vita migliore. Una delle ultime cose che ha fatto, l'avrete letta su l'Espresso, è quella di andare a raccogliere pomodori in Puglia, con i caporali. C'è una notizia e c'è anche una meccanica della notizia che la produce, quindi ti chiedo se ci aiuti a capire qual'è questo filo conduttore, come è elaborato, da che cosa sono nati, perché poi anche queste inchieste nascono da un tipo di osservazione minuta, da fatti minuti, che poi vengono distribuiti, elaborati e messi a tema.
Fabrizio Gatti
Anzitutto non ho ricette e non vi do ricette, soltanto un po' di spunti su cui riflettere insieme. Torniamo indietro al 1992; io lavoravo a Milano per il Corriere della Sera e facevo quello che si dice il cronista di nera, in particolare mi occupavo di commissariati e ospedali, di tanto in tanto avevo i turni in questura o dai carabinieri. A cosa serve il cronista di nera? Per conoscere quella parte della città che poi è legata alla criminalità, si andava dall'incidente stradale fino all'omicidio. Ebbene, proprio in quella fase di trasformazione dei protagonisti della piccola criminalità mi ero reso conto di un particolare: innanzi tutto della disattenzione ad una trasformazione che era in corso e soprattutto della totale assenza dell'immigrazione positiva, positiva nel senso: ma dove sono gli immigrati? Va bene, una percentuale delinque, anche per stato di necessità o per scelta non lo so, va visto caso per caso, ma dove sta l'altra parte di cui non si parla? Tutto dipende da dove mettiamo il punto di osservazione, perché se noi il punto di osservazione lo mettiamo sul mattinale della questura, avremo solo arrestati, delitti e così via; diverso è se il punto di osservazione lo mettiamo sulla città, molti di voi già lo fanno, a volte questa comunicazione non ha poi grande diffusione oppure viene messa in quarta di cronaca. Un giornalista non è che debba scrivere per forza in prima pagina, però vuol dire già la classificazione che si dà alla notizia, c'è una gerarchia, quindi se va in quarta di cronaca vuol dire che va comunque connotata in quel modo. Arriviamo al '99 quando viene aperto il centro di via Corelli, il centro di detenzione o centro di permanenza temporanea come lo chiama la legge. Subito le autorità dissero: i giornalisti e anche gli avvocati per un certo periodo non possono entrare, nonostante queste persone sia per la legge, sia per la costituzione, sono liberi cittadini. Ora vedete come nella disattenzione generale, mi sono ritrovato a Milano quanto avevo vissuto in sud Africa. In sud Africa lo stavano smantellando, noi lo stavamo ricreando e cioè un diritto a doppio binario. Un italiano per essere privato della libertà deve commettere reati, essere giudicato di reati che devono essere di un certo spessore, ad uno straniero invece basta avere commesso una violazione amministrativa come non avere il permesso di soggiorno, averlo lasciato scadere, o non avere il visto e può essere privato della libertà. Non solo, la legge dice che è un libero cittadino, ma non ha nemmeno accesso a quegli strumenti fondamentali e civili della comunicazione, che sono quelli di far conoscere la propria storia ai mezzi d'informazione. Quindi già questo, come giornalista, mi ha convinto che una parte di tutti noi cittadini, indipendentemente dal fatto di dire è giusto o no reagire in questo modo per controllare l'immigrazione clandestina, eravamo privati di una fetta importante di questa trasformazione, perché queste persone venivano chiuse dentro quel centro e da lì non potevano comunicare; in fine venivano espulse.
Cosa devo fare da giornalista? Cercare di entrare e vedere, anche perché la legge italiana consente ai giornalisti di verificare le condizioni di detenzione nelle carceri e siamo arrivati al paradosso che, ed è tuttora così oggi in questo momento alle 4 del pomeriggio, l'unico luogo dove un cittadino straniero gode della pienezza dei diritti è il carcere. Soltanto nel carcere e paradossalmente proprio nel momento in cui commette e può diventare anche un "pericolo" come qualcuno dice, per la comunità italiana, soltanto in quel momento uno straniero gode della pienezza dei diritti. Ma non vi sto parlando solo dei clandestini, ma anche degli stranieri regolari, persone costrette ogni anno a dedicare un quarto delle sue ferie o forse più per fare la coda di giorno, di notte, d'inverno, per rinnovare i documenti e che magari per due anni non hanno neanche la possibilità di andare a casa a visitare i genitori che stanno morendo perché il permesso di espatrio straordinario viene dato solo se i genitori sono morti, magari uno vorrebbe arrivare un po' prima per dare l'ultimo saluto. Bene, io da giornalista, decido che in questi centri devo entrare a vedere. Durante il '99 succede di tutto in via Corelli: ragazze violentate, un'epidemia di scabbia, dei casi di tubercolosi ed ogni volta che le associazioni di volontariato riuscivano a verificare, raccontavano di queste situazioni, le autorità, il prefetto che c'era allora in particolare, diceva: non è assolutamente vero, il centro è gestito dalla Croce Rossa e questo è di per sé già una garanzia perché tutte le norme e il diritto sia rispettato. Ora io credo fondamentalmente che il compito dei mezzi d'informazione sia in una democrazia vero accesso e la possibilità di verificare con i propri occhi, con i propri mezzi, il rispetto delle norme e nessuno deve dare per scontato tutto questo. E quali possono essere questi punti di riferimento? Secondo me è un aspetto fondamentale del lavoro.
Una volta andai a Como a seguire il caso di un sacerdote ucciso al confine con la Svizzera, a Ponte Chiasso e alla stazione di Como trovai centinaia di profughi kosovari, erano donne, bambini e anziani, uomini in età adulta non ce n'erano, tutti accampati alla stazione ed aspettavano di andare in Svizzera o in Germania. Siamo nel gennaio 1999, poco dopo i 9 morti in 9 giorni a Milano che qualcuno si ricorderà ed anche quello è stato un giro di boa, su cui i giornali, i mezzi d'informazione non hanno vigilato abbastanza… e li nella stazione di Como scopro un ragazzo di 16 anni che era completamente sfigurato dai graffi e gli chiedo cosa fosse successo. Lui mi racconta che di notte, entrando dai boschi dall'Italia verso la Svizzera e tentando di arrivare poi a un centro della Croce Rossa dove chiedere asilo, per poi continuare il viaggio verso la Germania, erano stati affrontati dalle pattuglie dell'esercito svizzero che avevano sguinzagliato contro di loro dei cani, dei pastori tedeschi. Questo ragazzo per evitare che i cani aggredissero il nonno e la nonna e i bimbi, se li è tirati addosso in una scarpata. Secondo me era sorprendente che tutta Europa si stava mobilitando per accogliere comunque i profughi che arrivavano da una situazione di guerra e proprio qui, Milano era un transito importante, avveniva una violazione gravissima del diritto proprio da parte di un paese che è la patria della convenzione di Ginevra tra l'altro. Mi ricordo che allora lavoravo al Corriere della Sera, tornai dal capo redattore, che allora era Gian Giacomo Schiavi, uno dei più grandi capi cronisti che ha avuto il Corriere della Sera, ne parlai con lui, ne parlammo con la direzione e secondo me era importante, nonostante io andassi a commettere dei reati, andare a raccontare questa realtà. Ora un cittadino, perché siamo cittadini, può commettere reati? Secondo un'etica diffusa, no, però, e qui conta molto la soggettività, non si può decidere di commettere reati così, ad esempio domani sera c'è una partita a San Siro e voglio commettere un reato per entrare di nascosto, fingo di essere un calciatore per vedermi la partita gratis… insomma la soggettività giustamente ha dei limiti e si deve basare su delle regole condivise, perché il mio atteggiamento illegale possa essere comunque compreso e condiviso da altre persone. Noi abbiamo dei documenti fondamentali di regole condivise e la Costituzione italiana è uno di questi, che tra l'altro garantisce all'art. 21 il diritto ad essere informati, c'è la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo sui principi di uguaglianza che è un documento straordinario, a parte laddove prevede la pena di morte, ma comunque nelle altre parti è un documento straordinario, c'è la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo firmata nel 1950 a Roma. La censura, soprattutto nelle democrazie, non agisce dopo la pubblicazione, o durante la pubblicazione degli articoli, ma agisce in modo preventivo. Impedire ai giornalisti di entrare dove io detengo ogni anno migliaia di stranieri è una forma di censura preventiva. Nonostante tutto oggi ai giornalisti la possibilità di entrare e raccontare cosa sta succedendo a dei cittadini che stanno per essere espulsi è negata, perché è impossibile entrare nei Cpt, nonostante io ci sia entrato 2 volte di nascosto fingendomi immigrato nel 2000 a Milano in via Corelli e l'anno scorso a Lampedusa, questo aspetto è negato. Ora da giornalista, quando il vice direttore del Corriere mi disse: ma noi commetteremo dei reati facendo questo? Gli ho risposto: si, ma secondo me abbiamo validi strumenti per andare davanti a un giudice, anche se non ci darà ragione, saremo sicuri di aver agito nel giusto. Molto spesso c'è un divario tra ciò che è giustizia e ciò che è legalità, e questo era uno di quei casi. Per cui vedete quando si arriva a fare un'indagine under cover come la chiamano gli americani, un'inchiesta di questo tipo, se richiede anche la commissione di irregolarità, il principio fondamentale era che questo reato non doveva essere né un reato contro le cose, né un reato contro le persone.
I punti di riferimento esistono; quando a Milano casualmente per una coincidenza statistica, nei primi nove giorni di gennaio 1999 ci furono 9 morti ammazzati, le forze politiche che avevano interesse a scaricare, a creare la paura nei confronti dell'immigrazione straniera, anche per poi porsi come soluzione e quindi acquisire consenso, cominciarono a sfruttare tutti i loro mezzi a disposizione. Ci furono anche varie coincidenze che a volte sono veramente casuali. In quei giorni i più bravi capi redattori dei giornali erano in ferie, per cui le pagine erano anche gestite da chi si trovava in secondo, terzo piano. Io l'avevo vissuta all'interno del Corriere della Sera e mi ero reso conto di quanto fosse drammatica e pericolosa la situazione dei numerosi arrivi di immigrati clandestini; mi ricordo che il sindaco di Milano di allora, Gabriele Albertini, disse che arrivavano ogni giorno 300 immigrati clandestini e che tra questi buona parte erano criminali. Se fate un facile calcolo, vedete quanti immigrati sarebbero ogni anno e giustamente chiunque si preoccuperebbe, potrebbe avere le caratteristiche di un'invasione. Io mi ricordo che ne parlai con alcuni dei capi redattori, non c'erano purtroppo i più bravi allora, dicendo: guardate, se il sindaco ha detto questo è giusto che noi riportiamo quello che dice, ma forse varrebbe la pena mettere un colonnino, un corsivo accanto dicendo prima di tutto che sono dati non verificati, secondo non risulta sia così e terzo magari chiedere conto anche al sindaco se erano gli effetti dello champagne bevuto a Capodanno, o se in realtà era una sua considerazione dovuta a dati di fatto. Non mi risulta, forse mi sbaglio, ma non mi risulta ci fossero poi dati di fatto che confermassero quella presa di posizione. Lo stesso è avvenuto tantissime volte negli anni successivi.
Ora vi racconto di quando sono entrato nel Centro di Via Corelli. Può sembrare un gioco simpatico, ma bisogna prepararsi una storia, anche l'accento, ovviamente non potevo dire di essere senegalese, ho scelto come nazionalità casualmente quella rumena e nello scegliere il nome poi, quello era uno sfizio personale, ero andato a cercarmi sull'elenco telefonico della Sardegna dei possibili nomi, con il presupposto che in Sardegna come in Romania i cognomi finiscono per "u". Con il cognome sardo-veneto, Romanladu, sono finito nel Cpt di via Corelli. Mi ero preparato una storia, ho fatto a lungo delle telefonate con una collega croata per copiarle un po' l'accento strano, purtroppo nelle conoscenze al momento non avevo rumeni. L'informazione preliminare su tutto il lavoro serve per due aspetti. Uno per prevenire i pericoli, perché potrebbero esserci, soprattutto se bisogna buttarsi in mare e aspettare di essere ripescati in qualche modo, oppure per attraversare il deserto del Sahara e in quel lavoro mi furono indispensabili due informazioni, una ve l'ho raccontata, la stazione centrale e prima un diario di viaggio di un esploratore tedesco del 1845 che era stato l'unico a dare una descrizione precisa della via degli schiavi, perché si chiama così dai tempi dei romani, ancora oggi è la via degli schiavi, la pista che è al di fuori di ogni rotta turistica e che dal Niger sale in Libia e arriva fino al mar mediterraneo, quella usata dai romani per far arrivare schiavi dall'Africa sud sahariana. La soluzione dei problemi molto spesso ha bisogno anche di un pizzico di fantasia, soprattutto se sono problemi nuovi da affrontare e nel mio campo ho cercato d'ingegnarmi in questo modo. Per affrontare l'esperienza di via Corelli andai a chiedere l'elemosina davanti a una scuola di Lodi, perché ancora non ero ben preparato e dopo un po' arrivò una macchina civetta della polizia, la riconobbi perché aveva un'antenna molto lunga, scese una persona, io m'incamminai allontanandomi inducendo al controllo, quello era lo scopo, questa persona si è messa a correre verso di me, io mi fermai con le mani in alto, e il primo impatto, che sarebbe stato quello di uno straniero in Italia è stato con uno schiaffone. Avevo tenuto conto che ci potesse essere una reazione di questo tipo, decisi d'inginocchiarmi dicendo, se mi metto a terra non mi prende a calci, e allora venni sollevato per il giaccone, era inverno, buttato a terra e mi saltò con le ginocchia sulla schiena, ma anche per questo mi ero preparato tenendomi un po' alzato col torace per non finire schiacciato dal peso di questa persona che era particolarmente grossa. Mi chiesero i documenti, io dicevo di non capire, che non avevo i documenti, venni portato in questura, mi spogliarono completamente dentro un ufficio dove entravano e veniva personale della questura, venni sottoposto a una perquisizione anale, senza motivo, e quando trovarono dei biglietti in tasca con il nome di Romanladu e altri dati, siccome io dicevo di non capire, mi diedero un altro schiaffo dicendo vedi che allora hai in tasca dei dati, dei documenti e così via; pensate inoltre che io vi posso raccontare questo e ho potuto raccontarlo a un processo semplicemente perché sono un cittadino italiano. In questo processo poi in primo grado venni condannato a 20 giorni di carcere, però bisogna prepararsi anche a questo e poi in secondo grado l'anno scorso, nello svolgimento del processo ci fu una forzatura per cui venne annullata la sentenza, nonostante il pubblico ministero, il sostituto procuratore pubblico generale chiese l'assoluzione piena in quella circostanza; comunque il reato è andato in prescrizione ed è finita così. Se io fossi stato un cittadino straniero, non avrei mai avuto la possibilità di raccontare davanti al giudice tutto questo, perché sarei stato espulso prima. Quando vengo trattenuto a Lodi fino alla sera, perché allora la legge prevedeva così, mi rilasciano con un decreto di espulsione. Tornai in redazione al Corriere della Sera, il custode mi fermò all'ingresso perché non mi aveva riconosciuto, e ho detto: be' allora funziona, anche contento perché una tappa fondamentale per entrare in via Corelli era avere il decreto di espulsione. Rimasi in giro una ventina di giorni, perché io volevo che questo nome Romanladu venisse comunque annotato nei vari controlli di strada. Mi fermarono di nuovo in via Lippi, dalle parti di piazza Argentina, io mi fermai con le mani in alto, loro mi fecero un controllo e quando trovarono che avevo in tasca il decreto di espulsione fecero un controllo via radio, io in quel momento non potevo essere espulso perché era ancora nell'ambito delle due settimane e dopo che la centrale aveva detto: lasciatelo andare non può essere espulso. Così cominciarono le angherie, perché uno dei due ragazzi disse all'altro: "ma lo lasciamo andare senza prendere nulla?". Io avevo uno zainetto con due stecche di sigarette comprate in corso Buenos Aires, quelle di contrabbando, insomma serviva sempre per allungare un po' i controlli. La cosa più grave fu che uno dei due militari, l'altro non era d'accordo, aveva già in mano la pistola, perché durante la perquisizione si era protetto con la pistola in mano e questo è anche legittimo. Ebbene quando vede che io sono uno straccione, in sostanza uno che aveva addirittura l'espulsione, questo ragazzo che fino a quel momento aveva avuto in mano una pistola che non serviva a nulla perché non aveva il colpo in canna, mette il colpo in canna, e per fare ciò, siccome era particolarmente imbranato, sbaglia tre volte, la terza volta la pistola gli stava cadendo. La pistola mi viene puntata all'inguine e mi dice: se ti muovi ti faccio saltare. Io mi rendo conto che sarebbe bastato uno starnuto… Io in quel momento ho rivisto davanti a me tutti i ragazzi stranieri che venivano spesso al giornale a denunciare violenze subite anche dalle autorità ai quali io non ho potuto dar credito, anche se sicuramente erano andate così le cose, perché spiegavo loro che dal momento che noi scrivevamo quell'articolo dovevamo essere in grado con delle prove inconfutabili di portarlo davanti a un processo. Questo è un fatto fondamentale per un giornalista, cioè non basta solo avere la notizia, bisogna dimostrarla e su un fatto comunque che chiamava in causa le autorità, c'era bisogno di una dimostrazione. Poi alla fine decisi di tener duro e la cosa andò avanti che lui per togliere il colpo in canna fece cadere quasi tutte le cartucce che aveva.
Alla fine m'ingegnai e per essere preso dopo le due settimane che allora servivano prima di essere espulsi, andai a Monza e mi fermai così come mi ero agghindato davanti a una banca. In 5 minuti gli impiegati cominciarono a guardare fuori dalla vetrina e vedendo uno che sempre guardava dentro, chiamarono la polizia, io venni preso e trasferito dentro via Corelli. Una volta dentro il centro ebbi la dimostrazione che tutto quanto veniva raccontato, io non ho assistito ovviamente a violenze carnali e situazioni di tutto questo, ma già una buona metà di quello che era stato raccontato e smentito, in realtà avveniva ed era vero. Il mio servizio poi ha portato alla chiusura immediata di quel centro.
A Lampedusa l'anno scorso c'era più o meno la stessa situazione. Credo che in Europa non sia mai capitato, da quando ci sono le Nazioni Unite, che a un'agenzia come l'UNHCR sia stato negato un diritto come quello di accedere al centro di Lampedusa, guarda caso nel momento in cui funzionari del governo libico erano stati accolti a Lampedusa per fare l'identificazione delle persone. Anche lì è stato un po' complicato, perché io avevo già tentato una partenza dalla Tunisia però la barca ebbe un guasto, per fortuna sotto costa, per cui tornammo indietro. Gli ultimi dati che ho potuto verificare sono del 2004 che ci dicono che il 12% delle persone che parte dalla Libia muore annegata durante il percorso. Quando io ero sui camion in Libia o in Niger o nel deserto con sopra 300 persone, voleva dire che di quelle 300 persone 36 sarebbero morte durante il percorso in mare. Il Corriere chiamò quella serie di reportages di 5 puntate "Il viaggio dei disperati", anche se io non ritengo che quelle persone siano disperate, perché per fare un viaggio del genere non ci vuole disperazione, ci vuole una grandissima determinazione e un progetto valido e una grande fiducia del luogo dove si arriva. Non ho incontrato dei disperati, ho incontrato delle persone che sapevano bene cosa volevano e dove volevano arrivare, poi magari non sono arrivate perché gli imprevisti lungo la rotta sono tantissimi. Mettendomi in mezzo di persona già insomma con via Corelli, portai in prima pagina un caso d'immigrazione che in genere stava nell'ultima pagina di cronaca. Il caso andò sulla copertina de L'Espresso. Se vogliamo questo può essere anche un aspetto negativo, perché vuol dire che in realtà in copertina ci doveva stare qualche straniero, se ancora c'è bisogno che ci sia un italiano a raccontare tutto questo con un'inchiesta under cover, allora vuol dire che siamo molto lontani da quella condivisione di interessi culturali, di scambio culturale. Sicuramente però nei confronti delle autorità ha avuto un maggior impatto il fatto che fosse un italiano a raccontare quello, con uno straniero la reazione di solito è di non crederci, sicuramente s'inventa tutto, comunque è un clandestino…
Il mio lavoro, quello che ho cercato di fare, è di dare un nome, un'età, una storia, un racconto, a ciascuna di queste persone, perlomeno a quelle che ho incontrato e credo in qualche modo di esserci riuscito visto le reazioni, a parte il Ministro della Giustizia dell'anno scorso che disse a l'Espresso: sono tutti bugiardi! Ci fu però anche un parlamentare europeo molto influente come Mario Borghezio che prima del mio lavoro disse che il centro di Lampedusa era comunque un hotel a 5 stelle, anzi lui ci avrebbe abitato per quanto era bello. Io l'ho scritto e tra l'altro l'ho ripetuto davanti a lui pochi giorni fa ad un programma su La7, un programma dove mi avevano invitato a parlare della Puglia e lui mi ha insultato per quella vicenda di Lampedusa, dato che quelle sue dichiarazioni tra l'altro sono anche state riportate, registrate da documentari e dal telegiornale. Io gli ho ripetuto le sue dichiarazioni e gli ho detto che spero che a casa sua non ci sia una spanna di urina e feci nei gabinetti, perché altrimenti avrei una forte compassione nei suoi confronti. Vedete dunque come la strumentalizzazione ha calpestato in questi anni diritti e dignità delle persone. Ritengo in qualche modo di aver raggiunto il risultato, anche se poi nel lavoro di denuncia, di inchiesta dobbiamo porci nella realtà in cui viviamo. Vi ricordate lo scandalo Watergate? Ritengo che se fosse stato denunciato in Italia forse Nixon sarebbe ancora il nostro presidente; è anche vero che forse lo scandalo Watergate va un po' smitizzato, lì l'interesse era far dimettere un presidente ubriacone che ogni mattina voleva dichiarare la guerra nucleare e ci sono riusciti in questo modo. Molto spesso mi viene chiesto anche da colleghi stranieri come mai si dice che in Italia l'inchiesta non si fa più. No, in realtà se ne fanno, solo che spesso le inchieste non hanno riscontri, qui rientra la maturazione civile e la consapevolezza di ciascuno di noi, che siamo cittadini, su quello che avviene. Pensate che in Italia gli attuali, il vertice delle forze di sicurezza, di intelligence italiane è coinvolto con un sequestro di persona avvenuto a Milano e questo non ha portato assolutamente a nessun cambiamento, anzi le stesse persone mantengono il loro ruolo; quindi vedete anche come ci sia una preparazione diversa con cui ciascuno di noi deve fare i conti; possiamo così sognare o pretendere di cambiare una situazione in pochi giorni? Però magari informando, piano piano ci si riesce.
Matteo Scanni
Io volevo girarvi un'ultima domanda flash: con i vostri occhi che sono occhi diversi, occhi che osservano in modo diverso la realtà, mi piacerebbe sapere da voi quali sono le urgenze da raccontare di Milano, gli argomenti su cui vi concentrereste se doveste raccontare in questo momento Milano a un collega straniero.
Milena Santerini
Mi collego un attimo al discorso di dare un nome su cui sono molto d'accordo. Dare un nome, ricostruire storie, impedire che tutto rientri in una massa anonima, credo che questo sia un compito importante. Questa è una forma nobile di giornalismo. Mi vengono in mente altri due esempi: i bei libri di Gian Antonio Stella dove appaiono nomi e cognomi di bambini italiani morti di stenti all'estero nelle vetrerie francesi, in miniera, nomi e cognomi, per quanto è possibile reperirli, di quegli immigrati italiani stipati nelle stive, come oggi gli immigrati che arrivano a Lampedusa. Anche lì il compito di dare un nome e ridare storia; e poi "I fantasmi di Porto Palo", tanto più perché sono vittime, non sono morti anonimi, sono persone. Storie vere di persone che appunto hanno investito tutto per venire qui, credendo molto nello scopo. Lo dico perché ho trovato sempre nell'autocritica della stampa che l'eccessiva personalizzazione sarebbe un difetto dei reportages giornalistici. Qualcuno dice che in fondo si fa troppo appello ai sentimenti, all'emotività, a queste storie un po' da rotocalco. Io dico: ben vengano! Ben vengano le storie, ben vengano i nomi, ben vengano i volti, altrimenti la massa anonima degli immigrati è uno degli alibi che ci diamo per non dare dei diritti. Quindi racconterei storie di adolescenti e di donne, perché sono tra l'altro tra gli immigrati più deboli, racconterei oggi a Milano, andrei, e già lo faccio nelle baraccopoli dei rumeni, perché io sono di un'altra generazione, le baraccopoli a Roma le ho viste solo negli anni '60 e le rivedo a Milano nel 2006, non le avevo più viste. Generalmente invece le vediamo sotto il profilo dell'ordine pubblico, del pericolo, dell'igiene addirittura, non le abbiamo mai viste nelle loro storie, ne avrei tante da raccontare. Con l'associazione di cui faccio parte faremo una mostra dei disegni dei bambini rumeni dei campi, e vi racconteremo queste storie.
Fabrizio Gatti
Innanzi tutto va costruita, è un gioco di parole, una memoria del presente. Credo che più che un editoriale di giornale o un commento, valga la forza della cronaca. Forse questa è anche una mia deformazione professionale, perché ho cominciato come cronista e continuo comunque a fare il cronista, però il racconto dei fatti, della quotidianità, che possa essere confrontato con la nostra quotidianità, ha una grande efficacia e vi racconto brevemente un episodio. Nel '98, per raccontare l'altra Milano, andai una decina di giorni in una baraccopoli che stava in fondo a via Campazzino e quella baraccopoli per me è stata per molti anni un po' la cartina di tornasole, perché andando lì riuscivo a capire se era un'immigrazione esclusivamente maschile, o se c'erano donne, che nazionalità c'era e se era prevalentemente albanese. Nel '98 erano tutti muratori, alcuni in regola, altri no, che lavoravano per la Milano dove viviamo oggi. Nel 2001 incontrai una famiglia albanese, papà muratore clandestino, la mamma e un bimbo di 7 anni che era stato accolto in una scuola in via Ferrari, vicino a via Ripamonti e la sorellina di 5 anni. La sorellina non era stata accolta al comune di Milano, perché la direttrice aveva risposto che la scuola materna non è obbligatoria, il fratellino invece grazie anche ad una circolare e grazie a due maestre bravissime era stato accolto nella seconda elementare e in pochi mesi era diventato il più bravo della classe, in italiano s'incespicava un po', ma in tutte le altre materie era particolarmente bravo. Io ero in quella baraccopoli una sera quando arrivò un controllo di polizia e carabinieri e vedevo questi ragazzi e uomini albanesi che si avvicinavano ai poliziotti e ai carabinieri tenendo il passaporto aperto nella mano sinistra e la mano destra aperta così. Allora andai a curiosare dicendo: ma cosa fate vedere nella mano destra? Facciamo vedere i calli, loro li vedono e quindi capiscono che siamo qua per lavorare, fanno un controllo e ci lasciano tranquilli. Il 28 marzo 1998 è un punto di non ritorno, cambia la legge, entra in vigore la Turco-Napolitano che obbliga le forze dell'ordine a trattenere l'immigrato quando non è in regola con i documenti, per cui con i calli o senza i calli bisogna essere comunque presi. Il 20 dicembre del 2000 la baraccopoli venne sgombrata e tutti furono espulsi verso l'Albania e le baracche rase al suolo; quella famiglia che conoscevo si nascose un'ora in mezzo nel canale che adesso mi hanno detto è stato depurato, allora era una fogna a cielo aperto. Avevo visto sul Corriere la temperatura di quel giorno, era di 2 gradi sotto zero e rimasero un'ora e mezza in questo canale, mamma, papà e i 2 bambini. Io tornai e dissi al mio capo: guarda qualunque sia la legge sull'immigrazione, una legge che impone a una mamma, a un papà e ai 2 bimbi così piccoli d'inverno a stare un'ora e mezza nel canale è sicuramente una legge disumana e noi questo fatto lo dobbiamo raccontare. Si scatenò l'anima buona di Milano che esiste ed è fortissima, si scatenò una gara di solidarietà, di cui qualcuno qua presente fu anche una parte molto importante. Quello che mi ha più colpito fu una famiglia che arrivò la domenica sera, papà, mamma e una bimba di quinta elementare, i bimbi con una letterina fatta a scuola: forza Vicky ce la devi fare! e un astuccio e una bambola per la sorellina. Arrivarono con un furgone e il papà disse: "ho 40 quintali di legna asciutta da dare a questa famiglia. Io sono un leghista della prima ora, ho sempre votato Lega sempre con la convinzione che rumeni e albanesi fossero comunque qui per fare rapine, per organizzare il traffico della prostituzione, queste storie assolutamente non le conoscevo. Probabilmente continuerò a votare Lega, però questa storia mi ha cambiato la vita, perché so che esiste anche questo". Io gli ho detto: "guardi se nel mio lavoro e di tutte le volte che sono stato in questa baraccopoli avessi comunque dato consapevolezza ad una sola persona, sarebbe stato un bel risultato, comunque sono riuscito ad informarla e a farle sapere di una realtà".
Ecco, ciascuno di noi deve comunicare questo. Adesso siamo qui per Redattore Sociale, per cui non siamo qua per dare, per raccontare il top della moda che c'è in questi giorni a Milano, o dell'impresa, ma va tenuto conto che esiste un 10% di popolazione milanese, legale, regolare, che ogni anno fa la coda di notte al gelo o d'estate al caldo per rinnovare i documenti che non ha nessun diritto, perché non ha diritto di voto e c'è un'altra buona parte che lavora e non ha altrettanto diritti perché è clandestina. Io racconterò, ma non tanto a persone fuori di Milano, serve che i milanesi abbiano consapevolezza di quello, perché nasca quel grande sentimento cittadino che ha permesso a Milano, nonostante i tanti problemi, di diventare quella città che è diventata e che anche oggi potrebbe continuare ad essere grazie ai nuovi arrivi di persone, a livello demografico, altrimenti è destinata a diventare un piccolo villaggio di provincia.
Intervento
A me sembra di avere capito che negli ultimi mesi manchi sempre di più nella stampa una conoscenza di quello che è il ruolo dell'opinione pubblica italiana, milanese, pugliese, ecc., nei confronti dell'immigrazione. Faccio un esempio: come è possibile che nelle Puglie ci sono degli sfruttatori, per una buona parte italiani? Prima il sig. Gatti lo ha detto, c'è tutta una classe ormai di italiani che vive sfruttando gli immigrati. Sono tanti i casi di persone che brucerebbero gli immigrati, ma che in realtà li sfruttano. Io auspico che almeno la stampa vada più a fondo in tutto uno strato di popolazione italiana che a tanti livelli vive molto bene con gli immigrati, a parole fa le manifestazioni contro, ma in realtà ci vive. Non denunciando le badanti, sentivo in questi giorni, che almeno il 60-70% delle badanti a Milano sono clandestine e conosco delle famiglie molto danarose che non le metterebbero mai in regola, lo dicono chiaro, per risparmiare. Qui c'è un'intera classe italiana, a tutti i livelli, dal piccolo imprenditore, capomastro, al ricco, al benestante che utilizza questi immigrati secondo le proprie esigenze. La Chiesa è quella che tutto sommato fa di più a livello un pochettino più terra terra diciamo, le istituzioni fanno ancora molto poco perché non c'è la cultura, ma come si fa ad andare avanti se c'è tutta una classe di italiani alla quale in realtà questa situazione fa molto comodo, soprattutto a livello economico?
Fabrizio Gatti
Forse vale la pena raccontare cosa ha risposto il papà di Vicky quando gli è stata consegnata la legna: ha ringraziato anche con affetto, poi quando questo signore milanese se ne è andato, mi ha guardato terrorizzato mi ha detto di non aver bisogno di 40 quintali di legna, ma di una casa, di andare via… Ma non perché lui volesse avere una casa in dono, o chiedesse assistenza, voleva semplicemente, siccome lavorava in Italia e il suo datore di lavoro lo voleva assumere regolarmente, poter avere un permesso di soggiorno, che gli avrebbe dato la possibilità di avere una casa, un affitto regolare e così via, cosa che non era possibile. Va cambiata la convinzione che noi dobbiamo fare qualcosa in termini di aiuto, di volontariato, in realtà dobbiamo ripristinare il diritto, il principio di uguaglianza tra tutti i cittadini. E guardate che il primo passo sicuramente sarà cambiare la legge attuale e aprirla secondo le esigenze, che non è sbagliato, anche dell'economia, ma riconoscere non quest'economia, perché inizialmente, ingenuamente pensavo: ma in fondo delle storture sono inevitabili quando siamo di fronte a un fenomeno così grande. Quando vedo poi che nelle stesse aree in cui alcuni partiti che hanno spinto questa legge disumana per i costi di vita che ha comportato, che ha previsto la chiusura ermetica delle frontiere senza dare altra possibilità d'ingresso, se non quella con gli scafi dalla Libia, o quella con i pullman dall'est Europa e di lavorare qua senza nessun diritto. Bene… il primo passo è sicuramente restituire pieni diritti a tutti i cittadini. Il papà di Vicky nell'intento di trovare una casa anticipò una somma di 3 milioni, gli venne sottratta, non ebbe la casa e questa somma sparì e non aveva neanche la possibilità di andare a denunciare questo furto, perché essendo clandestino avrebbe fatto come Pavel, il bracciante che ho incontrato in Puglia un mese fa al quale avevano fracassato le braccia, per aver denunciato il suo caporale, un tunisino che viveva con un'italiana. Se noi non avessimo fatto uscire il reportage, Pavel sarebbe stato uno dei tanti espulsi perché era clandestino, quindi proprio un invito a chiudere gli occhi davanti all'illegalità. Ora io non sono nemmeno più convinto che questa legge sia stata fatta con ingenuità, e questi siano, come dire, degli effetti collaterali di un giusto intento di limitare l'immigrazione, perché i danni che sta provocando, e guarda caso laddove queste forze politiche hanno acquisito maggior consenso, sono troppi. Mi ricordo a Milano nella campagna elettorale del 2001 che le facce di Berlusconi e Rutelli dicevano esattamente le stesse cose e quindi poi gli elettori si sono fidati più della destra che della sinistra sui temi della sicurezza. Mi chiedo: ma allora questa legge è stata fatta apposta così.
Ho fatto un'inchiesta sull'edilizia nel novembre 2004, in qualche caso sono andato a farmi reclutare come muratore, in altri ho telefonato ai caporali dicendo che avevo un'impresa edile ed avevo bisogno di personale. Andando a Torino qualcuno di voi avrà visto quella costruzione per l'alta velocità; venne fuori un caso drammatico che coinvolgeva in quel periodo, parlo del novembre 2004, le più grandi imprese di costruzione italiane. Ebbene, in un cantiere di Novara lavoravano 1600 operai egiziani tutti in regola con i documenti, tutti con il permesso di soggiorno, lavoravano dal lunedì al sabato 12 ore al giorno, la domenica 8 ore e ricevevano una paga in busta paga, ma era l'unica che vedevano, con cui in pratica venivano pagati effettivamente per quello che avevano lavorato dall'1 al 20 del mese, dal 21 al 31 praticamente lavoravano gratis. Un operaio ha protestato dopo un po' di tempo per questa cosa, il caporale egiziano che coordinava per gli italiani tutto questo l'ha cacciato e lui venendo via si è portato il registro ufficiale del cantiere, anche quello effettivo, quindi da lì è venuta fuori tutta la storia. Ai manovali stranieri quando protestano si dice: prendere o lasciare! Qui siamo a un punto di non ritorno, siamo in una fase molto simile a quella degli anni '50, è un'Italia tutta da costruire, stiamo camminando sulle macerie del diritto. A Foggia si stanno muovendo dopo che l'abbiamo scritto, mentre anni fa non era successo nulla. Se andiamo a vedere le realtà locali notiamo che tutto ruota intorno una sorta di sostegno a vicenda tra imprenditoria, finti braccianti che poi sono i veri proprietari dei campi, autorità locali e così via. Il ruolo dell'informazione, sia che uno faccia il giornalista e scrive, sia che uno lavora con la comunicazione, è proprio questo, anche quello di comunicare secondo un senso etico molto forte, dobbiamo fare i conti con la nostra realtà.
Intervento
Parlavi di diritti civili per gli immigrati, però non pensi che negli anni '90 gli immigrati dalla Sicilia, dalla Puglia, ecc., qui a Milano avevano comunque i diritti civili? Potevano votare, erano cittadini italiani, però c'era la situazione che c'era. Allora premesso che i diritti civili rappresentano un primo passo necessario, forse c'era quel bisogno di un'accoglienza dal basso che veniva detto prima. Quando tu hai dato un volto a Vicky, alla sua famiglia, ecc., non gli hai dato diritti civili, hai dato loro un nome e a quel punto quel milanese è venuto e ha detto che votava Lega ma il suo cuore lo portava lì a dare una mano. Adesso, non per banalizzare, però porto una piccola storia. Mia cognata di Palermo è venuta qui a Gallarate perché mio fratello lavora qui, dopo qualche anno è scappata via con i bambini, è tornata a Palermo, perché veramente non ha trovato l'accoglienza dal basso, si è trovata una città crudele davanti e non ce l'ha fatta. Credo che sia questo il lavoro che va fatto, cioè di dare un volto, un nome, portare la persona al valore che realmente ha.
Fabrizio Gatti
E' ciò che si diceva all'inizio e cioè che la città semplicemente ha sostituito il nemico, in questo senso, quando parlavamo del caso della criminalità. In effetti la città non è cambiata, nel senso che è cambiato l'aspetto esteriore, magari si sono anche aggravati i problemi, ma nella sostanza poi si sono semplicemente, nei punti rimasti vuoti della città, sostituite persone che hanno delle condizioni ancor più gravi perché se subiscono un furto non hanno nemmeno la possibilità di andarlo a denunciare, altrimenti varrebbe ancora di più nei loro confronti la legge sull'immigrazione. Dall'altro, è una città che nei quartieri deve costruire convivenze, in realtà si stanno creando delle grosse fratture tra milanesi, o comunque milanesi di varia origine e nuova immigrazione e questo sicuramente porterà dei grossi problemi futuri. Il punto d'incontro importante può essere la scuola. A Milano non avevamo ancora risolto la vecchia immigrazione italiana, perché ricordate che la Lega quando è nata parlava diterroni senza problemi e adesso parla di terroristi, insomma il passaggio è stato questo, ha semplicemente sostituito l'oggetto con cui prendersela perché politicamente non poteva permettersi di continuare col passato. Se andate a vedere nelle cronache del '92, le notiziole, quelle di cui oggi si parla, le violenze, gli stupri, il papà che accoltella la figlia perché gira con la minigonna, facevano parte di noi, i protagonisti di questi fatti erano italiani e i giornali ne parlavano anche con grande sorpresa dicendo: come è possibile nell'Italia degli anni '90 che accada ancora questo…
Milena Santerini
Accoglienza dal basso e tutela dei diritti dall'alto sono ambedue importanti, questo è il punto, cioè devono andare insieme, non si contrappongono. Vorrei dire qualcosa sul milanese buono che poi in effetti, in gran parte, sfrutta l'immigrato ricattabile, di come si spiega una città crudele e poi dal cuore in mano; sono le stesse persone che però prima di tutto sono state messe in questa situazione non solo da una coscienza immatura, ossia impreparati rispetto agli immigrati e ad un'apertura reale di comprensione del che cosa vivevano. Abbiamo avuto paura di vederci specchiati, era troppo presto, abbiamo poi uno Stato che in qualche modo ci ha permesso di non riconoscere i diritti, perché la coscienza dei diritti non manca negli immigrati, il problema è che effettivamente non sono tutelati. I manuali di psicologia lo spiegano benissimo, c'è una sindrome addirittura che spiega come si possa essere razzisti, ma poi quando gli dici: ma guarda che questo amico tuo carissimo è un straniero, ma lui che c'entra, lui è un'eccezione: perché? Perché nel rapporto personale, nel contatto umano tu superi quella tendenza che spinge a generalizzare, a costruire il pregiudizio.
Il volontariato appunto non serve per fare l'elemosina, il volontariato serve per togliere paura e per ricostruire questa possibilità di far emergere quel cuore buono che è sommerso sotto la coltre del pressappochismo, del pregiudizio, dello sfruttamento, del tanto sono ricattabili. Se ti fermi da un immigrato per strada tutti hanno paura, se qualcuno si ferma, immediatamente mi si aggiunge qualcuno che vuole dare una mano e dice: l'avevo visto anch'io ma non osavo, nessuno va a fare festa con gli immigrati, se fai una festa in un quartiere vengono volentieri, a scuola i genitori non si accostano ai genitori immigrati, ma se glieli presenti e c'è qualcuno in mezzo che fa da mediatore, lo fanno molto volentieri. Dobbiamo fare da ponte; che Milano sia una città diciamo col cuore in mano o che resti città crudele, ancora possiamo scegliere…
Gino Rigoldi
Aggiungo che nelle carceri italiane ci sono circa il 27% di detenuti stranieri, meno del 2% sono quelli che hanno fatto qualche delitto avendo il permesso di soggiorno, tutti gli altri sono senza permesso di soggiorno. Come dire che la regolarizzazione abbatte la criminalità. L'altra cosa è questa riguardo Milano: la fondazione Carialo ha messo insieme 62 milioni di euro per opere sociali, tra cui costruire delle case, ma non troviamo le aree e il comune non si è ancora attivato per darcele, anzi vende con patti speculativi le aree, e senza casa non c'è dignità. C'è bisogno di un ponte anche su questo tema, tra enti istituzionali ed altri soggetti, poi c'è bisogno anche dei giornali.
Intervento
Sono una giornalista palermitana, premetto che condivido quasi tutti i ragionamenti che abbiamo fatto oggi, ma temo che dire: "Milano città crudele", Milano da cui scappano i palermitani perché non sono bene accolti, sia un po' un luogo comune. Io 3 anni fa ho lasciato Palermo perché non mi andava il lavoro che facevo ed ho tentato la fortuna a Milano. Dopo un anno me ne sono andata e sono tornata a Palermo, ma l'accoglienza migliore io l'ho avuta proprio dai milanesi. Sono stati dei siciliani che ho conosciuto qui che mi hanno detto: ma sei una pazza! Te ne devi andare via! E mi hanno trattato proprio male, ma erano i siciliani, non i milanesi, dopo di che io sono tornata a Palermo dove sono stata sfruttata, dove ho lavorato per una televisione che mi pagava pochissimo, per 4 mesi una forma di sfruttamento molto simile a quella degli immigrati. Palermo è un un'altra città che per luogo comune si dice accogliente come le città del sud, mentre proprio ieri sera c'è stata un'invasione al campo nomadi e sono stati presi a sassate. Città crudele Milano lo è probabilmente, ma come lo è Roma, come lo è Palermo, come lo sono tutti i grandi centri.
Intervento
Lo si è soltanto accennato, ma mi sembra che nel fenomeno immigrazione forse c'è un altro snodo che deve essere considerato e cioè il Ramadam che è iniziato in questi giorni. Molti immigrati di religione islamica chiedono dei luoghi per riunirsi per pregare, anche quegli immigrati che si sono organizzati in gruppi insomma, sono riusciti ad affittare dei capannoni, o addirittura li hanno acquistati e si riuniscono lì per svolgere le loro funzioni, ma si vedono immancabilmente dalle amministrazioni locali negare i permessi. La ragione è sempre la stessa: questioni igienico-sanitarie. Ora io trovo che sia molto difficile riuscire a scrivere in maniera serena su questo fronte, percepisco una diffidenza molto diffusa su questi aspetti, anche negli ambienti che normalmente sono più accoglienti. Questo è lo snodo, insomma, sarà semplicistico, ma mi sembra facilmente individuabile. L'11 settembre, il clima di tensione internazionale, l'automatismo che si è creato, per cui l'immigrato islamico che si riunisce con altre persone della sua stessa religione è facilmente identificabile come un pericoloso soggetto, forse un terrorista…su questo io credo che ci sia molto da lavorare…
* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.