II Redattore Sociale Trento 2 giugno 2000

Profeti di paura?

"Sicurezza e microcriminalità nelle città; esiti ed effetti delle misure alternative al carcere"

Intervento di Mario Resta

 

Mario Resta, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Trento*

Desidero ringraziarla personalmente per questo invito e ringrazio tutti i presenti. Vengo immediatamente al tema assegnatomi. Volevo cominciare dicendo che prima di iniziare le mie funzioni come magistrato di sorveglianza, per vari anni ho fatto il giudice della cognizione: sono stato dal 1970 al 1980 pretore a Verona. Quindi ho avuto esperienza sia come giudice di cognizione, in quel periodo, sia attualmente come giudice dell'esecuzione.

L'uso corretto delle parole

Ricordo di un episodio che si verificò mentre ero pretore. Mi trovavo in carcere per alcuni interrogatori ed al termine di questi una guardia penitenziaria mi disse che un detenuto voleva parlare con me. Accettai di buon grado e il detenuto mi parlò a lungo, chiedendomi dei consigli, di vari problemi che non ricordo, tra cui anche dei suoi personali. A questo punto io mi interessai di lui e gli chiesi per quale motivo si trovava in carcere. Rispose: "Signor giudice, io mi trovo in carcere per colpa di mia moglie". Io dissi: "Ma per quale motivo, cosa le ha fatto sua moglie?" E lui: "No, lei niente, sono io che l'ho strozzata!"

Perché ho riferito questo episodio?

L'ho fatto per dire come a volte l'uso delle parole, anche di una parola sola, può travisare completamente i fatti e la realtà. Lui disse "per colpa di mia moglie mi trovo in carcere". Qualche volta sui giornali troviamo delle parole che forse non corrispondono completamente alla realtà dei fatti. Molte volte, e mi rivolgo all'attività che svolgo, da parte dei giornalisti (ma questa, ci tengo a precisare, non è una critica nei loro confronti, è una obiettività che ritengo sia opportuno mettere in risalto), quando ad esempio si verifica che una persona che è in esecuzione di pena e per esempio si trova in affidamento, in semi libertà, in permesso premio, compie una violazione; quando una persona che si trova in detenzione domiciliare ed evade perché per esempio la sera decide di andare in discoteca e poi rientra, io vedo che viene messo in risalto a caratteri cubitali: "detenuto in semi libertà, oppure "in affidamento" o "in permesso premio", quasi in  grassetto, "evade" oppure "viola determinate prescrizioni". Io ritengo che dal punto di vista giuridico la notizia sia stata data in maniera corretta. Però ritengo anche che sia stata data in maniera suggestiva. Nel senso che viene messo in risalto quel "in permesso premio", "in affidamento", quasi a dire che se non ci fosse stato il provvedimento del magistrato, quella violazione, quel reato non sarebbe stato commesso. Quindi da un certo punto di vista, in maniera implicita, viene scritto "ciò si è verificato per colpa del magistrato".

Entriamo quindi nel concetto della suggestione

Io ritengo che il giornalista abbia il diritto, anzi, quasi il dovere, di evidenziare determinati fatti ed anche di criticare l'operato del magistrato, quando si ritenga che il provvedimento sia stato preso a cuor leggero, con imprudenza, in un certo senso, anche con imperizia.
Però ritengo che forse sarebbe opportuno specificare anche determinati altri fattori; mettere in evidenza non solo come sia vero che a volte si verificano delle violazioni con le misure alternative, ma anche il valore di queste, che nella maggior parte dei casi vanno a buon segno.
Allora viene introdotto a mio avviso il concetto di suggestione, di cui parlerà in maniera più articolata il relatore che mi seguirà. Io dico che la suggestione è un concetto che si trova anche sul nostro codice di diritto penale. Infatti gli articoli 579 e 546 parlano proprio in maniera specifica della suggestione, parlando del consenso, che può essere estorto, con violenza, con minaccia, con inganno o con suggestione.

La suggestione rientra quindi nel concetto di forza irresistibile

Ho trovato una definizione di suggestione da parte del celebre psicologo Musatti. In una rivista di psicanalisi del '54, c'è un capitolo che fa riferimento alla suggestione: "Nel suggestionato c'è un'alterazione di tutte le specie di attività psichica, automatica, riflessa e volontaria. La suggestione nell'attività psicogena esagerata è allentata, tale da rendere la volontà inerte o consenziente alle sue esplicazioni. La suggestione può essere considerata come un fenomeno psicologico per cui un convincimento, un'idea, una ispirazione si impongono alla coscienza per un'azione diretta od indiretta di un'altra personalità, o comunque in virtù di una forza esterna cui non si riesce ad opporre una resistenza valida".
Quindi il mio è un appello, non una critica, al giornalista; un appello nel senso di cercare, nei limiti del possibile, di svolgere la propria attività nel modo più obiettivo possibile: mai omettere le notizie, facendo pure una critica costruttiva, ma nei limiti del possibile, bisogna cercare di fornire la notizia nel modo più completo evidenziando non solo il fatto, ma ponendo in risalto anche gli aspetti positivi che eventualmente nel fatto si possono ravvisare.

Le misure alternative al carcere (oppure: il senso delle misure alternative al carcere)

Io vi devo parlare delle misure alternative. Ovviamente non parlo a voi che siete esperti quanto e più di me. Dirò semplicemente qual'è la filosofia delle misure alternative. Prendo spunto da un fatto molto antico. Plutarco in riferimento a Dracone, il famoso legislatore greco noto per la sua severità - si parlava appunto di leggi draconiane - racconta che ai filosofi che si rivolgevano appunto a Dracone per chiedere se lui ritenesse giusto che fossero puniti con la stessa pena, quella di morte, sia il parricida che il ladro, rispondeva: "Io ritengo che per il ladro sia giusta la pena di morte. Poiché non sono riuscito a trovare una pena più grande per il parricida mi accontento di punirlo con la stessa pena del ladro."
Perché vi racconto questo fatto? Perché ritengo che il nostro legislatore nel 1975 si sia trovato nella stessa situazione dell'epoca, ovverosia: per l'oltraggio a pubblico ufficiale, per il parricida, per la strage vi era la stessa pena, vi era la reclusione o l'arresto, però in sostanza si trattava di privazione  della libertà.
Certo la quantità di pena era differente ma la qualità della pena era identica: la privazione della libertà. Ad un certo punto si è ritenuto che ciò non fosse giusto. Si è ritenuto che per reati di minore gravità la pena detentiva, la privazione della libertà, fosse una pena esagerata e dovessero invece essere puniti con delle pene alternative o delle pene sostitutive. Questa è la ratio, questa è la filosofia che sta alla base delle pene alternative o delle pene sostitutive, ed io ritengo che si tratti di un principio di alta civiltà. Indubbiamente io leggo tra le righe dei giornali ogni giorno, anche con quel sistema della suggestione a cui ho fatto riferimento, che probabilmente i mali della società odierna, della microcriminalità, sono dovuti forse alle misure alternative, al fatto che persone che dovevano essere in carcere non erano in carcere ma in affidamento, in semi libertà o in permesso premio.
Ma io mi chiedo: prescindiamo per un momento dalla finalità della misura alternativa… diciamo che nessuno crede a tali finalità. Infatti le misure alternative dovrebbero essere rieducative, dovrebbero servire come un sistema per il reinserimento nella società, un reinserimento graduale.
Per un istante fingiamo di dire che non esiste alcuna finalità nelle misure alternative ma che si tratta semplicemente di misure che vengono adottate in quanto il carcere non può contenere oltre un certo numero di detenuti e che quindi sono una forma di detenzione succedanea, di detenzione meno grave, senza avere una finalità di inserimento. Ma quindi se non ci fossero queste misure alternative allora la soluzione sarebbe semplicemente una: l'amnistia o il provvedimento d'indulto, poiché noi sappiamo che le nostre carceri non possono contenere più di quarantacinquemila persone ed attualmente ce ne sono cinquantadue/tre mila: abbiamo un surplus di detenuti e quindi il sistema per sgomberare il carcere non potrebbe che essere quello della clemenza generale a cui in questi giorni si fa espresso riferimento.

I provvedimenti di amnistia

Del resto i provvedimenti di amnistia, quando non esistevano le misure alternative, erano all'ordine del giorno. Vi faccio un esempio di quello che succedeva quando non esistevano le misure alternative.
Ho qui un piccolo schema di tutti i provvedimenti di amnistia che ci sono stati dal 1942 ad oggi. Dal 1942 al 1947 ci sono stati tredici provvedimenti di amnistia in cinque anni (però si trattava di un periodo speciale, quindi sono comprensibili). Dal 1948 al 1966 ci sono stati nove provvedimenti di amnistia. Dal 1968, periodo in cui sono entrato in magistratura, al 1992, ci sono stati esattamente nove provvedimenti di amnistia. Ad esempio: uno nel 1968, uno nel '70, nel '73, nel '78, '81, '82, '83, '86. L'ultimo è stato nel 1989 e successivamente uno nel '92 per reati tributari.
Ad un certo punto me ne sono andato dalla pretura e vi dico il perché.
Io ho lavorato in pretura dal 1970 al 1982. Le mie sentenze erano circa 1200 all'anno. Quindi dal '70 al 1982 avrò scritto dodicimila sentenze. Io ritengo, e ne ho avuto la prova, che nessuna di queste sentenze sia divenuta esecutiva, perché ogni due anni circa c'era un provvedimento di amnistia. Io mi occupavo di lesioni volontarie, lesioni colpose, danneggiamenti, ingiurie, diffamazione, tutti i reati del codice della strada, introduzioni in fondo altrui… i reati del pretore.
Tali reati erano, sempre, coperti da amnistia.
Vi racconto di un caso emblematico: avevo condannato una persona, per guida senza patente, un reato per cui ad un certo punto la patente non c'era: il codice prevedeva tre mesi di reclusione. Il difensore ammette il fatto, l'imputato ammette il fatto. Chiede il minimo della pena: tre mesi, ridotto di un terzo per le attenuanti generiche: due mesi e dieci giorni. Faccio la sentenza, mi impugna l'avvocato. Io ero quasi risentito nei confronti dell'avvocato. "Ma avvocato", gli chiesi, "qual'è il motivo per cui lei impugna?" "E' stata accolta la sua richiesta, e confesso, è un reato obiettivo, l'imputato ha ottenuto quello che voleva e lei mi impugna?" E lui: "In attesa di amnistia". Ed infatti aveva ragione lui, ero io ad essere in errore, e dopo sei mesi intervenne un'amnistia e questa persona che se non avesse impugnato sarebbe entrata in carcere, non ha avuto la condanna. 
Di queste dodicimila sentenze - quando io ero un pretore in Italia c'erano tremila pretori, il che fa circa tre milioni di sentenze - tutte sono andate nel nulla.
Io mi sono sentito frustrato, non perché io sia un forcaiolo e volessi che queste persone andassero in carcere, ma perché ritengo che in un processo ci siano sempre due parti: ci sia sempre un imputato e ci sia sempre una vittima. Nel momento in cui questi processi vanno a finire in non cale (?) non c'è semplicemente il lavoro del giudice che viene eliminato, ci sono milioni di persone che hanno subito un torto, hanno subito delle lesioni colpose volontarie, che hanno presentato delle denunce, c'è stato un rapporto da parte delle forze di polizia, questo rapporto è giunto al giudice, il giudice ha istruito le pratiche, l'ha rinviato a giudizio, c'è stata la sentenza, c'è stato l'appello, c'è stato il giudizio di secondo grado, c'è stato eventualmente la Cassazione… tutto questo lavoro viene cancellato con un provvedimento di amnistia.
Ecco, allora io mi sono sentito come un geometra, come un ingegnere che costruisce delle case. Per costruire una casa ci vuole un anno, due anni, tre anni, arrivato al terzo anno, quando la casa è completamente costruita, è stato fatto anche il tetto, non so, dei bombardieri gettano delle bombe e le case cadono giù. Si ricomincia il giorno dopo: si spazzano le macerie e si ricomincia nella costruzione delle case. Passati altri due o tre anni, arriva il secondo stormo di bombardieri, arriva la seconda amnistia. E così via, per dodici anni, arrivato al dodicesimo anno ho detto "io cambio mestiere", perché il mio lavoro era assolutamente frustrante.
Ho portato un solo esempio per dimostrarvi quali sono gli effetti dell'amnistia; non che io sia contrario all'amnistia di cui oggi si parla, però ritengo che l'amnistia debba essere una cosa estremamente dosata, che si deve verificare eventualmente e semplicemente in determinati momenti, momenti che siano contingenti. Nel momento in cui l'amnistia diventa una regola, porta delle conseguenze che io ritengo essere delle conseguenze assolutamente negative. Perché?
Perché a differenza delle misure alternative su cui oggi molti si scagliano, l'amnistia è senza alcun controllo, la persona esce dal carcere e non è controllata da nessuno; nelle misure alternative, sia pure considerate come blanda detenzione, un eventuale probabile controllo esiste.
Ho portato un certificato penale, ovviamente ho cancellato nome cognome e generalità, per fare un esempio di ciò che succede. Questa persona inizia a delinquere nel 1963, ci sono dieci pagine di certificato penale, arriviamo al 1993.
Sono 30 anni di vita di curriculum delinquenziale di una persona. La maggior parte dei reati sono di emissione di assegni a vuoto e reati contro il patrimonio.
1963: emissione, emissione, emissione. Ci sono circa 47 condanne.
Emissione, emissione, emissione. Dopo i primi pagamenti di pene pecuniarie, il giudice si rende conto che la pena pecuniaria non fa effetto e determina la pena detentiva.
Iniziamo: amnistia, amnistia, amnistia, amnistia del '68, amnistia del '72, amnistia, amnistia, appropriazione indebita, condanna, amnistia ai sensi di DPR90, mesi due di reclusione. Assegno a vuoto, amnistia, '79 amnistia, amnistia, amnistia, amnistia. 1980: truffa, mesi otto di reclusione, pena condonata, (in questo caso non poteva avere l'amnistia ma ha il condono), continua con emissione di assegni a vuoto, ricettazione ed ha la pena condonata, assegni a vuoto, amnistia. Altre dieci emissioni di assegni a vuoto, bancarotta fraudolenta, amnistia, condono; amnistia e condono. Arriviamo al 1993, bancarotta fraudolenta, quattro bancarotte fraudolente, anni tre di reclusione; dovrebbe entrare in esecuzione tra un mese, a meno che… nei primi giorni di luglio non ci sia un'amnistia. Questa persona per trent'anni ha truffato altre persone, ha vissuto alle spalle degli altri, ma non ha fatto un giorno di carcere. Questa è l'amnistia. E' per questo che dico che quando si sparla delle misure alternative si sparla a torto, perché la conseguenza della loro non applicazione è questa: cioè il non pagare in nessun modo. La misura alternativa è, sì, un pagamento diminuito rispetto al carcere, ma è un pagamento ed inoltre tramite queste misure c'è un'effettiva possibilità di reinserimento nella società.
Ho dei dati riguardanti una relazione fatta sulla criminalità del Trentino negli ultimi dieci anni, in cui i risultati degli affidamenti in prova al servizio sociale sono i seguenti: circa il quaranta per cento terminato l'affidamento tornano a delinquere, sono cioè recidivi. Ma questo significa anche che il sessanta per cento di queste persone non tornano a delinquere. La misura alternativa dell'affidamento in prova ha un esito positivo quantomeno nel 60 per cento.
Inoltre a mio avviso il problema di queste misure viene sopravvalutato, perché a mio avviso ne viene data un'eccessiva enfasi. Ho qui i quadri generali delle pene e i dati dei metodi alternativi. Nel quinquennio '93/ '97, sono i dati del Ministero di Grazia e Giustizia per Trento, ci sono stati ventisette mila condanne in cinque anni e le misure alternative sono state 715: il 2,61 per cento, una misura minima rispetto al numero delle condanne. In Italia, nello stesso periodo, il numero delle condanne è stato di un milionecentocinquantamila, le misure alternative sono state 47692. Come possiamo vedere, c'è un'esagerazione sugli effetti delle misure alternative che hanno una portata molto minore rispetto a quella che si vuol far credere. Concludo con i dati dell'ultimo biennio ('98/ '99).
In questi due anni sono stati concessi, dal magistrato di sorveglianza, 287 permessi premio. Ho gli esiti di questi permessi: nel 1998 a fronte di 121 concessioni abbiamo una evasione, una sola; si trattava di una persona a cui era stato concesso il permesso premio il 15 agosto '98 e che è stata poi ripresa tre giorni dopo. Quindi su 121 solo una persona non ha ottemperato a quelli che erano gli obblighi del permesso premio. Nel 1999 abbiamo 166 permessi premio e due evasioni: uno è rimasto latitante e l'altro è stato arrestato nuovamente quattro giorni dopo. Vorrei inoltre far notare che il secondo evaso avrebbe terminato la pena solo cinque giorni dopo la concessione del permesso premio e nessuno aveva pensato che fosse così stupido da evadere al termine della pena: in questo caso oltre all'arresto, è stato condannato a sei mesi di reclusione, per evasione.
Concludo dicendo che le misure alternative sono un sinonimo di civiltà e servono a differenziare la pena a seconda del tipo di reato: non è giusto che tutti debbano subire il carcere che sarebbe un'esperienza assolutamente negativa per alcuni tipi di reato. Le misure alternative possono invece servire per il reinserimento nella società. Io ritengo, e quindi mi riallaccio un po' al tema della relazione, che i giornalisti debbano giustamente evidenziare le notizie, devono parlare dei fatti e nessuna censura deve essere fatta nei loro confronti; tuttavia devono ricercare al massimo l'obiettività e cercare di spiegare nel modo più completo la finalità di queste misure senza generare paure ma nemmeno sottovalutando il fenomeno. Grazie.

Dario Fortin

Pare proprio che stiamo entrando nel vivo delle questioni. Ci siamo accorti, per chi ancora non lo sapeva, di questa discrepanza tra oggettività e dati reali, relativamente a queste misure alternative; tali misure sono, nella maggior parte dei casi, applicate in maniera puntuale, con la collaborazione delle nostre realtà e con dei risultati veramente positivi; siamo nell'ordine dell'oltre novanta per cento, quindi il risalto che viene dato nei casi negativi non è realistico. Credo che ora possiamo tranquillamente passare la parola al prof. Grossi, che ringraziamo perché è venuto da Torino, dove insegna Sociologia della comunicazione, ed è quindi attento conoscitore di questo mondo e  perciò vicino alle nostre realtà.
Egli vi illustrerà la relazione centrale della mattinata dal titolo "Profeti di paura?"; il punto interrogativo esprime non delle certezze, ma solamente un tentativo di cominciare a farsi delle domande e di vedere se insieme, tutti quanti, riusciamo a cavarne fuori qualcosa. La parola al professor Grossi.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.