II Redattore Sociale Trento 2 giugno 2000

Profeti di paura?

"Le associazioni del sociale e l'informazione" Suggerimenti e indicazioni per migliorare l'efficienza e il rapporto con il giornalismo

Intervento di Stefano Trasatti

 

Stefano Trasatti - ufficio stampa Cnca*

Vorrei ricordare che Faustini era presidente nazionale dell'ordine dei giornalisti quando Redattore Sociale è partito; lui, grazie alla sua sensibilità su queste cose, ha dato la sigla a questa iniziativa in modo convinto, non di maniera, quindi è una buona coincidenza che lui sia qui adesso a parlare. Questa galoppata ha riassunto in modo sintetico, ma non troppo, i titoli di quello che potrebbe essere un corso di formazione sull"informazione, su come si comunica, o meglio su quali sono i meccanismi della comunicazione, un corso per imparare a capire la comunicazione. Io credo che come i responsabili e gli operatori sociali impiegano ore, soldi, dopo cena, per professionalizzarsi, per frequentare corsi, ed esempio sulla fiscalità del no-profit, sulla comunicazione sociale, su questa comunicazione che è quella che sia per fare raccolta fondi, sia per fare la relazione con le persona accolte, o corsi per condurre un gruppo del no-profit manageriale, così pure con la stessa priorità dovrebbero acquisire questa conoscenza di base che chi lavora nel sociale deve sapere. Deve perché, al pari delle altre materie, anche queste sono necessarie perché la propria azione di testimonianza, di presenza, di denuncia, sia efficace nella società. Conoscere i meccanismi, le gerarchie all'interno di un giornale, nel contesto locale, è importantissimo; sapere a chi rivolgersi per arrivare subito dove si vuole arrivare. Senza questa conoscenza non potrà esserci, a mio parere, quel rapporto-interazione strutturale tra il cosiddetto mondo del sociale e il mondo dell"informazione, che detti così sembrano proprio due mondi, due pianeti separati. Se non facciamo comunicare questi due mondi continuerà ad esserci quell'incomprensione che lamentiamo noi e anche i giornalisti. Negli atti dell'anno scorso, l'oggetto del seminario era proprio un ragionamento su questo rapporto fra operatori del volontariato, del sociale, e venivano elencati dieci capi di accusa da parte delle associazioni e dieci risposte da parte dei giornalisti. Queste accuse e risposte continueranno sempre ad esserci e non si comporranno mai. Se non si conoscono i meccanismi dell'informazione, non si è nemmeno capaci di protestare o lo si potrà fare soltanto in modo generico, trovandosi smontati perché la nostra protesta era basata su una conoscenza della situazione oggettiva. Ci sono situazioni oggettive, ne parlavano lo stesso Faustini e Zoppella stamattina: il tempo, i condizionamenti dell'editore, lo spazio, la notizia. E' in questi condizionamenti che sta il nostro ruolo come operatori sociali. Questa conoscenza è la base perché chi lavora nel sociale si attrezzi, non serve un ufficio stampa, a volte non è tanto l'ufficio stampa come cose materiali, è un atteggiamento, un'ottica da assumere, perché essere pronti a comunicare in modo efficace è importante in quanto da come si viene rappresentati sui mezzi di informazione dipende la nostra immagine, quindi occorre che questa sia come noi la vogliamo dare, che non venga falsata, occorre essere pronti, fosse anche una volta all'anno, a essere presentati in modo corretto affinché i nostri messaggi vengano recepiti in modo il più completo ed efficiente possibile. Quindi non è tanto un ufficio stampa, quanto un atteggiamento, ma in ogni caso la sostanza di questa necessità di attrezzarsi nei confronti della comunicazione deve essere sempre commisurata in base alle proprie dimensioni, piccole associazioni non potranno dotarsi di un ufficio stampa e nemmeno di un addetto stampa, neppure part-time, perché non ci si può permettere una persona stipendiata. Diventa allora cruciale la sensibilità che hanno i dirigenti, i quadri dell'associazione. Un dirigente, due quadri e otto volontari è la situazione di molte associazioni, è importante appunto che i dirigenti stessi sviluppino questa sensibilità a comunicare. Sta per uscire una ricerca della Fivol, Federazione Italiana del Volontariato, su volontariato e comunicazione. È stato chiesto ad un campione abbastanza vasto di associazioni italiane quali sono le cose che vorrebbero imparare più in fretta rispetto alla comunicazione. Le percentuali più ampie si trovano su come fare un comunicato stampa, come organizzare una conferenza stampa, come fare delle azioni di comunicazione. Invece bassissima la percentuale di coloro che considerano una priorità conoscere come funziona la comunicazione. Conoscere le normative, anche queste a livello basilare, ma non va dimenticato che ce ne sono molte che riguardano i soggetti più deboli, il rispetto delle persone che sono protagoniste della cronaca, il complesso della deontologia, sono cose che ci riguardano. Purtroppo la situazione è questa, senza una inversione di tendenza non si potrà iniziare, magari ci si potrà dotare di un costosissimo ufficio stampa ma mancheranno poi le fondamenta di questa attività.
Fatta questa premessa io vorrei, più che dare delle indicazioni pratiche, dare delle indicazioni di comportamento generale. Sono 5 punti, esortazioni, rispetto al nostro atteggiamento nei confronti della comunicazione, nel momento in cui abbiamo scelto di entrare, si può anche scegliere di stare zitti, di evitare qualsiasi contatto; non è una scelta da censurare, è una scelta politica, strategica, se ne può discutere, ma nel momento in cui si sceglie di comunicare a livello etico ci sono degli atteggiamenti da tenere.
Il primo è non frustrarsi se non si ha spesso successo, se non veniamo pubblicati, se non vediamo spesso la nostra sigla, non frustrarsi per un semplice motivo: si frustrano i politici, la confindustria, le associazioni dei commercianti, insomma queste lobby potentissime si lamentano più di noi di come vengono trattati, non riescono a far passare i loro meccanismi, quindi siamo in buona compagnia, la chiesa si lamenta tantissimo, il problema è che l'informazione non è governabile.

I linguaggi sono diversi da quelli che si usano nei confronti dei giornalisti; pensiamo ad un convegno, ad una conferenza come questa, ad un incontro pubblico, ad un comizio in piazza; ci sono registri diversi tra un comunicato stampa, una telefonata al giornalista ed altre cose quali, per esempio, una circolare. A volte sarebbe meglio che questi linguaggi non venissero mischiati. Un esempio è quello di un giornalista che venisse per soli cinque minuti ad un convegno come questo, di cui si può fare una sintesi, anche con un breve articolo, prendendo i materiali che erano in cartella, parlando con l'organizzatore per tornarsene poi in redazione per scrivere l'articolo; se un  giornalista della redazione chiede una cosa del genere a volte è meglio dire "no grazie, preferiamo di no", questo perché quello che verrà pubblicato sarà una cosa diversa da quella che è stato il seminario, o talmente banale che è meglio non scrivere nulla o scrivere semplicemente che si è svolto un seminario che aveva l'obiettivo di…aveva, senza entrare nel merito.
Una quinta cosa, ulteriormente suddivisa in piccoli punti, è quella di non cercare, di fare di tutto per non accettare le logiche che la comunicazione cerca di imporci; quanto meno avere l'utopia di correggerle, di cambiarle. Non dirò cose assurde: se voi ascoltate un giornalista a cui avete chiesto "dicci come dobbiamo essere, che cosa dobbiamo fare per comunicare", questi vi dirà alcune cose che sono sempre quelle, delle regole abbastanza conosciute per chi lavora nel settore. Vi dirà per prima cosa che l'informazione sociale è un vaso di coccio in mezzo a tanti vasi di ferro, che è una cosa che non tira, che è una cosa che vi pubblicano solo per darvi un contento, solo come un rimorchio di qualcosa di più eclatante; poi però c'è chi dice (ad esempio, Gad Lerner in uno dei nostri convegni, non di redattore sociale ma di coordinamento degli uffici stampa) che le associazioni, oggi, sono detentrici dell'unica materia prima che i giornalisti cercano, cioè della realtà; ed è vero. Allora facciamola pagare cara questa realtà!
Quindi non è più vero che l'informazione sociale non tira più, e comunque cerchiamo di uscire da questa dimensione dell'informazione sociale: questa è informazione e basta. Ed a volte è cronaca, è politica, è economia; perché una cosa che fa la banca etica deve entrare nell'informazione sociale e non nell'economia, perché una riflessione sui senzatetto o sulla tossicodipendenza deve entrare nella pagina del volontariato e non nella pagina della cronaca? Essere confinati non è mai produttivo, anche se magari, lì per lì, ci dà più visibilità.
Il giornalista o il capo redattore che contatteremo ci diranno anche che a volte noi sottolineiamo o indugiamo, nei nostri comunicati stampa, nei nostri messaggi, in aspetti che non sono notizia, e magari ne oscuriamo altri che invece notizia lo sono. Questo è vero, ma talvolta può essere una cosa voluta, una cosa da fare. Perché se il nostro sforzo nei confronti dell'informazione fosse quello di far sì che certi stereotipi ormai vecchi non si perpetuino, di far sì che certe visioni anche un po' morbose vengano accantonate o messe in secondo piano semplicemente perché falsano la rappresentazione e la realtà del fenomeno, beh, allora è proprio il caso di non usare questa chiave molto facile che è quella di andare direttamente su quello che il giornalista vuole e cercare di far capire che c'è una notizia pure qua, che non è stata mai trattata e che ti spiego, perché questo è il nuovo fenomeno da trattare.
Facciamo qualche esempio. Se si parla di handicap, il giornalista che magari non conosce affatto l'handicap, cercherebbe storie di discriminazione: il disabile scacciato dall'albergo, violenza ecc. Allora perché non si fa un servizio altrettanto attraente, altrettanto visibile, sul fatto che la medicina oggi aiuti a vivere molto di più i disabili, per molti anni, ma che le condizioni in cui questi disabili vivono non sono assolutamente degne e dignitose, con il paradosso che si vive di più ma si vive peggio.
Oppure con le droghe. Un giornalista potrebbe chiedere, per un servizio sulle nuove droghe, delle storie di overdose causate dalle nuove droghe o di persone uscite di senno a causa dell'uso di queste; nel primo caso è impossibile, nel secondo caso la percentuale rispetto alle situazioni causate dall'eroina è molto piccola, e non è questo da studiare, ma la provenienza delle persone che ne fanno uso, del fatto che si tratta di "giovani normali".
Anche questi messaggi sono passati ormai, ma è stato molto faticoso. Insomma per ognuno dei settori che voi seguite ci sono delle cose che, come vedete, non vengono mai rappresentate.
Terza cosa che ci dirà il giornalista è quello di essere sintetici. Siate il più sintetici possibile perché non abbiamo tempo. Occorre rispondere con la qualità; potremmo anche fare un comunicato stampa di una pagina e mezzo se ci sono cose che al giornalista servono, e se ne accorgerà se gli servono. Magari quel giorno non potrà pubblicarle ma per la conoscenza di un fenomeno ci ringrazierà; è un valore aggiunto che noi dobbiamo dare. Poi magari di quella notizia lì, quel giorno, saranno pubblicate una ventina di righe ma nel momento in cui si vuole parlare dell'affidamento familiare in Trentino, in quel comunicato stampa c'erano i dati che gli abbiamo dato quel giorno. Diamogli dei punti di vista puntuali, originali, tempistici da parte di chi lavora sul campo. E' un servizio di conoscenza che dovremmo dare al giornalista. Allora lì non serve più essere sintetici, potrebbe essere un contributo del giornalismo di precisione che oggi mi sembra lo slogan della giornata. E' vero, nel sociale non esistono fonti di questo genere, se un giornalista finanziario dovesse fare un'inchiesta, basta che dia un'occhiata allo scaffale o clicca su qualche sito e ne avrà anche troppo di materiale. Il nostro settore no, quindi dobbiamo darglielo.
Quarta richiesta che ci faranno è che dobbiamo porci nel flusso degli avvenimenti. Se in questo periodo si parla di immigrazione, è inutile portare una notizia che parla di orfanatrofi. Quella notizia non avrà spazio. Qui occorre però capire se abbiamo qualche cosa da dire, che cosa abbiamo da dire, da offrire.
Quinta raccomandazione che ci daranno: dateci delle storie. Perché senza storie non si può costruire la notizia. E' vero... a volte, perché la storia serve per esemplificare il fatto. Non bisogna aver paura e chiudersi a riccio quando queste storie ci vengono richieste. Ovviamente, questo è un terreno minato perché poi occorre tenere presente la necessità di rispettare le persone coinvolte, di dare esattamente il contesto di queste storie e soprattutto di cercare con il giornalista per quanto possibile (qui è un terreno più minato ancora) quel rapporto fiduciario con il quale noi gli diamo tutti gli elementi per capire e lui deve capire però che questa storia va scritta fino a un certo punto. Fino a quel punto in cui è essenziale per semplificare il fenomeno. Sul rapporto fiduciario con il giornalista si potrebbe fare un altro convegno o altri due, e comunque è una cosa che per noi è più urgente che per altri settori.
Ultima constatazione che ci fanno è che conoscere i meccanismi della comunicazione aiuta un po' a capire se queste scusanti (il fatto di rendere morbosa una notizia solo per fare audience) sono vere o no. Questo è il primo passo per riequilibrare quel rapporto tra il mondo degli operatori sociali e il mondo degli operatori dell'informazione che oggi è squilibrato e che, invece, dovrebbe essere improntato a una pari eticità, a una pari dignità e non alla soggezione che noi abbiamo nei loro confronti.

Dibattito

Don Dante Clauser

Con il suo intervento Lei mi ha fatto capire che il mondo dell'informazione è una selva oscura. Ma allora qual è la nostra posizione? Cosa dobbiamo fare noi che ci occupiamo delle persone che camminano ai margini della strada e della vita? Io credo, è la mia opinione, che non dobbiamo preoccuparci che l'informazione parli di noi, soprattutto non dobbiamo preoccuparci che l'informazione parli delle nostre istituzioni, o comunque si chiamino. Non è questo lo scopo! Quando mi domandano "Cos'è Il Punto d'Incontro? Cosa fa?" Io dico: "No! Per favore niente, io non faccio propagandista del Punto. Qual'è il nostro scopo? E' quello di tenere sempre assolutamente presente la gente che cammina sulla strada. Anzi che cammina ai margini della strada. Sono questi i nostri padroni, sono queste le persone delle quali ci dobbiamo occupare.". Allora noi che lavoriamo nel privato sociale abbiamo un solo compito nei confronti dell'informazione, hai detto giustamente che non pretendiamo niente, assolutamente niente, ma dobbiamo essere la voce della strada; voi mi capite, è inutile che vi faccia adesso una lezione sulla strada, la strada è la vita, e per noi la strada è la vita delle persone che camminano ai margini e noi dobbiamo fare, con l'informazione, da tramite rispetto alle situazioni di queste persona. Prima hai detto una cosa molto giusta: noi dobbiamo essere attenti; se in questo momento il problema è quello degli extracomunitari o dei malati di AIDS, o qualsiasi cosa, cioè quelle realtà con le quali noi quotidianamente ci incontriamo, è inutile che parliamo di altre cose, questo è il problema, questa è la strada di oggi, fra tre giorni, fra tre mesi o fra tre anni sarà totalmente diversa, noi dobbiamo essere quelli che captano continuamente questo fatto. I nostri fratelli emarginati, i nostri fratelli devianti, chiamateli come volete, i nostri fratelli hanno il diritto di far sentire la loro voce, ma siccome la loro voce non viene ascoltata, e siccome non hanno la possibilità e, molte volte, la forza di esprimere questa loro voce, se non con le manifestazioni esterne sulla piazza alle quali noi abbiamo il sacrosanto dovere di partecipare (l'altro giorno, quando gli stranieri hanno dimostrato, io mi sono sentito in dovere, anche come cristiano, come prete, come uomo, di essere presente in mezzo a loro e di non parlare, ma di dire con la mia presenza che quei desideri, quelle richieste, le vivo dentro di me). E allora se loro non hanno la possibilità, la forza, la preparazione culturale, (cultura ne hanno più di noi, è una cultura diversa ma più importante della nostra) noi dobbiamo essere la loro voce. Io vorrei andare ancora al di là, perché qual'è lo scopo di tutto il nostro lavoro? E' semplicemente questo: aiutare queste persone a diventare cittadini a pieno titolo, io desidero che gli extracomunitari e quelli che frequentano il Punto d'Incontro, scusate se nomino il Punto d'Incontro, è perché è lì che opero, un giorno si ribellino, e come negli antichi barboni, che oggi non esistono più nel Trentino, il segno che il barbone cominciava a uscire dalla sua situazione per diventare persona umana era quello che cominciava a lavarsi, oggi io desidererei che queste persone dicano: "Ma perché io non posso votare?". E lo dico continuamente a loro: "Ricordati che tu devi votare", ma non per dovere morale, come dicono i preti, "Tu devi votare per la tua responsabilità di cittadino". Allora sgranano gli occhi… "Vai a votare perché il tuo voto ha la stessa importanza del voto del Presidente della Repubblica". E allora salta fuori l'utopia che un giorno nelle nostre istituzioni debbano finire, debbano chiudersi per mancanza di clienti, perché queste persone sono cresciute, si sono assunte le loro responsabilità, sono cittadini a pieno titolo. E' un'utopia, lo so che è un'utopia, ma se un uomo non ha un'utopia non è più un uomo, è una tartaruga.

Dario Fortin

Grazie, questo altro intervento ci aiuta a rimanere sempre fedeli ai valori di fondo e anche agli obiettivi del nostro fare comunicazione; da non dimenticare quindi il motivo finale per cui siamo qui e operiamo.

Andrea - Volontario Unimondo

Ci sono già state esperienze di gruppi, coordinamenti di associazioni che si sono dati uno strumento di comunicazione unico nei confronti dei media?

Stefano Trasatti

Un embrione di organizzazione è questa degli uffici stampa del no-profit, è una cosa del tutto informale, nata due anni fa, che finora ha prodotto tre seminari di studio, di presentazione, anche con i presidenti di alcune associazioni, e soprattutto ha delle pagine web all'interno del sito della Federazione della Stampa. Un primo obiettivo è quello di mediare fra il linguaggio non immediato, magari di un presidente che parla per relazioni da dieci pagine, e semplificare il tono di fondo di questo linguaggio; si accusa il sociale di essere una giungla incomprensibile di sigle, a volte questo scoraggia la stessa informazione dall'occuparsene, o dal farlo bene. Un altro obiettivo è quello di studiare l'informazione in genere e quella sociale in particolare; queste pagine sono un embrione, perché non c'è un presidente, non c'è una segreteria di questo coordinamento, è un coordinamento virtuale, e nonostante questo ha organizzato delle cose, comincia ad essere visibile, raggruppa più di cento associazioni italiane, tutte le più grandi (non so se c'è anche Unimondo, non credo però… no, c'è Movimondo, che è un'altra cosa!). Tra gli obiettivi futuri c'è anche quello di abbassare la diffusione di questo coordinamento a livello regionale, nel senso di creare una rete di aiuto alle piccole associazioni, questa è l'unica realtà che io conosco oggi, in Italia per lo meno. Poi ci sono dei siti, come quello di Unimondo, come quello di Peacelink, ci sono alcuni siti come quello del gruppo Abele che aiutano un pò a raggruppare quello che succede, perché questa è la prima esigenza. Altre cose non le conosco.

Graziella Anesi - Cooperativa Handicrea*

  Sono Graziella Anesi, presidente della cooperativa Handicrea; noi ci occupiamo di handicap in una maniera un pò insolita perché cerchiamo di fare anche un discorso che coinvolge i giornalisti, che può essere quello di partire da una situazione o da un avvenimento per fare della formazione. Da tredici anni mi occupo di queste cose e anch'io, come il dott. Faustini, me ne accorgo dai capelli bianchi e dal fatto che spesso mi ritrovo a riflettere su come è cambiato il modo di scrivere e di parlare da parte della stampa e della televisione rispetto al problema dell'handicap, ma in generale a tutti i problemi che riguardano questo sociale, che a volte fa un pò impressione anche a noi. Dire che ci occupiamo del sociale, come fosse un qualcosa che non si sa bene definire meglio. E' un'esperienza che, in questi anni, personalmente mi ha portata mio malgrado, forse, ad apparire più volte sulla stampa, non certo per un bisogno mio di apparire, forse perché sono in una condizione, anche fisica, di diversità evidente e quindi spesso vengo interpellata dai giornalisti, (voglio dire che è capitato, non ho tutte le mattine i giornalisti in fila che mi intervistano), capita che mi si chieda un parere, per esempio quando quel ragazzo della Val di Non era rimasto bloccato per dei problemi con i vicini di casa, non poteva scendere le scale con l'elevatore, mi è stato chiesto un parere. E lì è facile, forse ci sono caduta anch'io in questo gioco, personalizzare la risposta e non tener conto che quell'occasione può diventare anche un'occasione per far riflette sulla situazione, ed è una motivazione che piano piano ho cercato di fare, nel senso che per esempio quella volta ho dato la sentenza della Corte Costituzionale che sanciva il diritto, per il disabile, di passare anche su un terreno di altra proprietà. In un caso, con un giornalista che oggi qui non è presente, la prima volta che ci siamo incontrati ci siamo scontrati sul problema delle barriere, ci siamo incontrati invece più volte, oggi siamo anche amici, e in questo percorso io non ho insegnato nulla, sia chiaro, è lui che, probabilmente stimolato dalle mie osservazioni, ha anche acquisito una conoscenza del problema che prima non aveva. Allora qui mi riallaccio a quello che viene fuori, soprattutto dall'invito di Don Dante; noi abbiamo anche una grossa responsabilità, come portavoce di queste situazioni personali, che coinvolgono, che a volte anche emotivamente si lasciano prendere e che quindi possono essere travisate. Volevo poi fare un'osservazione: mi dispiace molto che, nella riunione preparatoria di questa conferenza, c'erano più giornalisti di oggi; pensavo che quella loro partecipazione fosse un pò l'antipasto di quella che poteva essere oggi la loro presenza. Può nascere un nuovo impegno a mantenere il contatto con il mondo della stampa, con il mondo dell'informazione, cercando sempre di più un rapporto corretto ed equilibrato, ed è una responsabilità che credo le persone qui presenti sentano, e ne sono investiti, chi perché giornalista, chi perché operatore sociale. Fuori è più facile essere scambiati o per degli egocentrici, o delle persone che si vogliono in qualche modo costruire qualcosa in torno. Forse il lavoro che devono fare le cooperative, le associazioni assieme al giornalista, far capire che quando si descrive una condizione, una situazione, si descrive, nel modo più lucido possibile, anche il modo per venirne fuori, le conseguenza. L'altro giorno, parlando di barriere, abbiamo fatto una relazione sulla situazione della provincia di Trento, partendo dal problema minimo di non salire sull'autobus, che non è un problema minimo, per arrivare ad una condizione di esclusione; io alla fine chiedevo al giornalista quanto costa, quanto vale il tempo di un disabile; forse il ponte è proprio questo: cogliere l'occasione della notizia per far riflettere sulla situazione in generale, grazie.

Don Gigi Vian

Volevo mettermi ancora sulla scia della comunicazione, non è un argomento semplice, facile, l'abbiamo anche sentito e intuito, mi metto nei panni di un giornalista che si trova ad avere all'improvviso sul tavolo una notizia, una rapina, e allora il direttore del giornale e tutti i colleghi si precipitano per avere le prime notizie, per stamparle, metterle alla conoscenza dei cittadini, dare un buon cibo di curiosità, che sia appetitoso questo cibo. Leggevo la notizia e ne ero rattristato perché avevano già individuato chi poteva essere, e chi poteva essere? Un tossico, un maledetto, uno scoppiato, certamente era lui, non sapevano nulla però si poteva presumere dalla situazione, da come è andata, da come hanno intuito i cittadini che l'hanno intravisto che certamente era un tossicodipendente. Due giorni dopo esce la notizia con un piccolo trafiletto in fondo che in realtà non era un tossicodipendente ma era un normale cittadino che era dedito a furti, non si drogava per niente, non era dedito a queste faccende, ma un trafiletto in fondo e basta. Poi guardavo se c'era qualcuno che protestava, le famiglie dei tossicodipendenti, che sono state schiaffeggiate da questa notizia, disonorate un'altra volta, i tossicodipendenti delle comunità terapeutiche; nessuno si è mosso. Per cui lo stereotipo diventa un fantasma che gira dappertutto, nelle fabbriche, negli uffici, nelle caserme dei carabinieri; basta che sia un tossicodipendente o che si presuma che sia tale, per cui lui può fare tutte le ribalderie, che siano vere o non siano vere, tutte vengono catalogate, per cui continuiamo ad accettare che questa categoria di persone, nell'ambito sociale siano considerate perdenti a tutti i titoli, tanto che i nostri che sono al governo stanno decretando di liberalizzare tutto, che tanto è già liberalizzato che i tossici si sono portati via tutto. Secondo: che non vale più la pena tirare fuori denaro per aiutare le comunità che sono in giro, perché gente che quando è stata lì un po', ha svernato, si è tirata su una costola, si è presa la patente, si è messa su i denti, escono e sono peggio di prima. Quindi non serve tirare fuori denaro per aiutarli. Tornando alla notizia è vero, abbiamo dei giornalisti che amano lo scandalo; ma ci sono in giro anche dei professionisti, gente che ha un'etica, una morale, ma ci sono anche degli squali, che corrono in cerca della prima notizia e rovinano la gente, rovinano la società, l'opinione pubblica, le famiglie, i datori di lavoro. Io ho dei giovani che escono dalle comunità e, per fortuna, viviamo in questo famoso nord est dove il lavoro c'è, però qualche datore di lavoro va a vedere: "Dove sei stato? Da dove vieni? Ah, sei un tossico, non c'è lavoro…". Allora va bene, si troverà da un'altra parte, però questo fantasma gira un pò dappertutto; possiamo fare qualcosa noi, con la nostra stampa? Io quella volta ho protestato, e volevo parlare con il giornalista che ha firmato, ma non sono stato capace di parlare con lui. Me ne hanno passato un altro, che ha detto: "Ma sa… le cose così… sa com'è la redazione, siamo tutti interessati a dare le notizie, a mettere in guardia la gente". Allora ho chiesto di parlare con il Direttore, mi hanno passato un vice direttore, il quale ha rincarato la dose con frasi speciose, e ho chiesto di uscire con un articolo dove si andava a rettificare; l'articolo non è uscito, sto ancora aspettando… Credo che anche noi possiamo fare i giornalisti e difendere la società, la nostra società, i poveri, quelli che vanno per la strada. Non basta che noi solo diciamo …linguaggi sono diversi da quelli che si usano nei confronti dei giornalisti; pensiamo ad un convegno, ad una conferenza come questa, ad un incontro pubblico, ad un comizio in piazza; ci sono registri diversi tra un comunicato stampa, una telefonata al giornalista ed altre cose quali, per esempio, una circolare. A volte sarebbe meglio che questi linguaggi non venissero mischiati. Un esempio è quello di un giornalista che venisse per soli cinque minuti ad un convegno come questo, di cui si può fare una sintesi, anche con un breve articolo, prendendo i materiali che erano in cartella, parlando con l'organizzatore per tornarsene poi in redazione per scrivere l'articolo; se un  giornalista della redazione chiede una cosa del genere a volte è meglio dire "no grazie, preferiamo di no", questo perché quello che verrà pubblicato sarà una cosa diversa da quella che è stato il seminario o talmente banale che è meglio non scrivere nulla o scrivere semplicemente che si è svolto un seminario che aveva l'obiettivo di…
Aveva, senza entrare nel merito.
Una quinta cosa, ulteriormente suddivisa in piccoli punti, è quella di non cercare, di non accettare, fare di tutto per non accettare, le logiche che la comunicazione cerca di imporci. O quanto meno avere l'utopia di correggerle, di cambiarle. Non dirò cose assurde.
Se voi ascoltate un giornalista a cui avete chiesto "dicci come dobbiamo essere, che cosa dobbiamo fare per comunicare" questi vi dirà alcune cose che sono sempre quelle, delle regole abbastanza conosciute per chi lavora nel settore. Vi dirà primo che l'informazione sociale è un vaso di coccio in mezzo a tanti vasi di ferro, che è una cosa che non tira, che è una cosa che vi pubblicano solo per darvi un contento, solo come un rimorchio di qualcosa di più eclatante; poi però c'è chi dice (ad esempio, Gad Lerner in uno dei nostri convegni, non di redattore sociale ma di coordinamento degli uffici stampa) che le associazioni, oggi, sono detentrici dell'unica materia prima che i giornalisti cercano, cioè della realtà; ed è vero. Allora facciamola pagare cara questa realtà!
Quindi non è più vero che l'informazione sociale non tira più e comunque cerchiamo di uscire da questa dimensione dell'informazione sociale: questa è informazione e basta. Ed a volte è cronaca, è politica, è economia; perché una cosa che fa la banca etica deve entrare nell'informazione sociale e non nell'economia, perché una riflessione sui senzatetto o sulla tossicodipendenza deve entrare nella pagina del volontariato e non nella pagina della cronaca? Essere confinati non è mai produttivo, anche se magari, lì per lì ci da più visibilità.
Ci diranno anche, il giornalista, il capo redattore che contatteremo, che a volte noi sottolineiamo o indugiamo, nei nostri comunicati stampa, nei nostri messaggi, in aspetti che non sono notizia, e magari ne oscuriamo altri che invece notizia lo sono. Questo è vero, ma talvolta può essere una cosa voluta, una cosa da fare. Perché se il nostro sforzo nei confronti dell'informazione fosse quello di far sì che certi stereotipi ormai vecchi non si perpetuino, di far sì che certe visioni anche un po' morbose vengano accantonate o messe in secondo piano semplicemente perché falsano la rappresentazione e la realtà del fenomeno, beh... allora è proprio il caso di non usare questa chiave molto facile che è quella di andare direttamente su quello che il giornalista vuole e cercare di far capire che c'è una notizia pure qua, che non è stata mai trattata e che ti spiego, perché questo è il nuovo fenomeno da trattare.
Facciamo qualche esempio. Se si parla di handicap, il giornalista che magari non conosce affatto l'handicap, cercherebbe storie di discriminazione: il disabile scacciato dall'albergo, violenza ecc. Allora perché non si fa un servizio altrettanto attraente, altrettanto visibile, sul fatto che la medicina oggi aiuti a vivere molto di più i disabili, per molti anni, ma che le condizioni in cui questi disabili vivono non sono assolutamente degne e dignitose, con il paradosso che si vive di più ma si vive peggio.
Oppure con le droghe. Un giornalista  potrebbe chiedere, per un servizio sulle nuove droghe, delle storie di overdose causate dalle nuove droghe o di persone uscite di senno a causa dell'uso di queste; nel primo caso è impossibile, nel secondo caso la percentuale rispetto alle situazioni causate dall'eroina è molto piccola, e non è questo da studiare , ma la provenienza delle persone che ne fanno uso, del fatto che si tratta di "giovani normali".
Anche  questi messaggi sono passati ormai, ma è stato molto faticoso. Insomma per ognuno dei settori che voi seguite ci sono delle cose che vedete non vengono mai rappresentate ed altre che invece continuano ad essserlo.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.