Il giornalismo sta cambiando. Non solo nelle pratiche, nell'introduzione di nuove tecnologie o nel rapporto con il pubblico. Stanno diminuendo anche il suo status, la sua forza, la capacità - attribuitagli con un po' di retorica, ma essenziale - di difendere i deboli sorvegliando i forti. A questo si aggiunge il precariato, mai così selvaggio, e il tasso drammatico di disoccupazione. Se un tempo si diceva che "fare il giornalista è sempre meglio che lavorare", oggi la stessa battuta suona piuttosto macabra. Eppure non possiamo permettere che a vincere sia il pessimismo. I giornalisti svolgono ancora un ruolo intellettuale determinante per la diffusione dell'informazione, da sempre "bene comune".
Occorre partire da questa consapevolezza per rilanciare la professione con creatività e, soprattutto, con dignità. Con un unico obiettivo: essere giornalisti nonostante. Perché rispondere alla crisi (non solo economica) della professione è possibile. Sono indispensabili però autonomia, perseveranza, studio e la volontà di investire su se stessi e sulla propria crescita umana, senza subire il fascino del "virtuale". In nome di una riscoperta autentica della realtà e dei fenomeni sociali, troppo spesso mal-trattati, e di un rinnovato senso della responsabilità sociale del fare giornalismo.
Le edizioni primaverili dei seminari di Redattore Sociale, per la quarta volta a Milano e per la prima volta a Roma, puntano ancora una volta l'attenzione sui passaggi obbligati di questa professione, definita lo scorso anno "nella tempesta", ma che resta comunque "bella e possibile". Offrono un momento di sosta e di approfondimento "qualificato", per ripartire con qualche stimolo in più.
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