XV Redattore Sociale 28-30 novembre 2008

Algoritmi

L'economia e i suoi sottoscala - Parte I

Intervento di Loretta Napoleoni

Loretta NAPOLEONI

Loretta NAPOLEONI

Economista, esperta di finanza e di terrorismo, consulente di importanti organismi internazionali, collabora con diverse testate giornalistiche nel mondo e in Italia (tra cui Internazionale); i suoi ultimi libro sono “Economia Canaglia” e “I numeri del terrore. Perché non dobbiamo avere paura” (entrambi Saggiatore, 2008). Vive a Londra.

ultimo aggiornamento 28 novembre 2008

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TESTO DELL'INTERA SESSIONE*

Partirei parlando del ruolo del giornalista nel mondo contemporaneo e per farlo mi riferisco all"attacco terroristico di Mumbai di alcuni giorni fa. Le interpretazioni date dai vari studiosi ed anche dei vari network sono state completamente diverse tra loro: è o non è stata al Qaeda, è stato un gruppo endogeno indiano, erano bambini, adolescenti, si è detto di tutto e di più…
Vorrei partire da questo punto per riflettere su che qual è veramente il ruolo del giornalista ossia che cosa fa oggi un giornalista: rincorre, crea delle notizie o fa veramente un'attività d'investigazione? Dieci giorni fa si è tenuto in Olanda un convegno internazionale di giornalismo investigativo e tra i vari speakers che sono intervenuti c'era un giornalista inglese del The Guardian che si chiama Nick Davies, forse uno dei migliori giornalisti investigativi in Inghilterra. Davies ha scritto un libro interessantissimo,non tradotto in italiano,dal titolo "Flat Heart News", che praticamente sta a significare che la maggior parte delle notizie che leggiamo sui giornali sono false.
Davies si è basato su una serie di indagini statistiche interessantissime.

Flat Heart News: le false verità

Nel Regno Unito esistevano sul territorio 3mila agenzie stampa al 100% privati; negli ultimi 20 anni tutte queste agenzie sono praticamente scomparse perché non riuscivano a sopravvivere, per cui sono state sostituite da alcuni uffici delle grandi agenzie stampa, ovviamente non 3mila; chiaramente queste agenzie sul territorio non hanno la stessa presenza come il vecchio network delle agenzie private. Il che vuol dire che se succede qualcosa in un piccolo centro, immaginatevi un attacco terroristico come quello accaduto a Mumbai, la grande agenzia come la Reuters molto probabilmente è costretta a mandare un giornalista che non lavora a tempo pieno, ma che invece è un precario e che non si trova necessariamente in quel posto; questo vuol dire che il giornalista va su internet, guarda quello che c'è scritto e praticamente s'inventa qualche cosa, perché non ha quel contatto col territorio che invece il giornalista di vecchio stampo aveva. Devo dire che questa storia mi ha veramente lasciata esterrefatta, non immaginavo che la situazione fosse così seria. In questo convegno tantissimi giornalisti hanno denunciato situazioni analoghe. Secondo Mike Davis, almeno in Inghilterra, tutto questo succede, ed io sono sicura che in Italia la situazione è analoga. Il problema è il profitto: i giornali negli ultimi 20 anni hanno aumentato il numero delle pagine ed hanno diminuito il numero dei giornalisti che lavorano nel giornale.
Secondo una serie di statistiche riportate da Davies, un giornalista scrive per settimana 200 volte di più di quanto scriveva 20 anni fa, con lo stesso tempo a disposizione; il che vuol dire che non ha la possibilità di controllare tutte le notizie perché il tempo è quello che è.
Altro aspetto importante è la fonte delle notizie: attraverso questo sistema di agenzie stampa la fonte non è abbastanza controllata e quindi non è possibile verificare la veridicità.
Ecco quindi che ci troviamo di fronte a quello che Davies descrive come le Flat Heart News. Gli esempi più interessanti di questo tipo di fare giornalismo le conosciamo tutti: siamo andati in guerra in Iraq sulla base di una serie di informazioni false, nessuno le ha controllate; Colin Powell ha detto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che al Zarqawi  era l'uomo di al Qaeda in Iraq e tutti i giornali il giorno dopo hanno scritto esattamente la stessa cosa quando in realtà non era così… Io credo che quello che sta succedendo negli ultimi 2 o 3 giorni, cioè la presentazione di questo attacco a Mumbai come il nuovo 11 settembre, come attacco di al Qaeda, si basi semplicemente su una serie di supposizioni che poi finiscono sui giornali, la gente li legge e ci crede, perché è idea comune che quello che si trova sulla carta scritta oppure si vede in televisione sia assolutamente vero.

L'industria del terrorismo

L'industria del terrorismo che è sorta dopo l'11 settembre, è composta da esperti, da agenzie investigative e via dicendo e deve sopravvivere attraverso il mantenimento di un livello di paura, il più alto possibile, nei confronti del terrorismo. E' chiaro che se c'è un attacco tipo quello a Mumbai in un momento di stallo del terrorismo, in cui non abbiamo visto niente di particolarmente eccitante per un lungo periodo, in più dopo 2 mesi che non si fa che parlare della crisi finanziaria, tutti ci si buttano a pesce e quindi eccoci qua che ci troviamo nel nuovo 11 settembre. Secondo me questo modo di fare giornalismo è basato sul sensazionalismo, questo non è il vero giornalismo: non si può né inventare la notizia né tanto meno ingigantirla, semplicemente magari perché attraverso questo tipo di paura o di shock si riesce a vendere più giornali, come poi succede.

La crisi finanziaria: ha fallito il giornalismo finanziario?

La relazione che c'è tra il giornalismo finanziario e la crisi attuale: serve per mettere in evidenza le carenze del giornalismo finanziario e per mostrarvi come il ruolo del giornalista non è stato svolto come avrebbe dovuto essere. Ci siamo ritrovati da una momento all'altro con la crisi.
Il giornalismo finanziario ha fallito completamente in quello che è il suo ruolo, che è quello di riportare le notizie. Possiamo anche fare un'analisi sulla base di quello che sta succedendo nel mercato finanziario e nell'economia globale: fino a luglio 2008 i più grandi giornali di divulgazione internazionale, come ad esempio il Financial Times, il Wall Street Journal e l'International Herald Tribune, celebravano regolarmente negli editoriali la grandezza del capitalismo occidentale come non fosse mai stato così grande, tutto questo quando nei bilanci delle banche c'erano gli stessi buchi neri che troviamo oggi. Com'è possibile tutto questo? Sicuramente non è legato al fatto che chi scrive gli editoriali è un incompetente, perché quasi tutti hanno una conoscenza dell'economia profonda; il problema fondamentale è la creazione di un rapporto incestuoso tra il giornalismo finanziario e l'alta finanza. Questo rapporto io l'ho visto formarsi negli ultimi 30 anni e vi racconto una storia per dimostrarvi come è pericoloso avere questo tipo di rapporto, dimenticarsi cioè  che anche se si è amici - perché molto spesso il rapporto di amicizia è la base portante di una buona produzione giornalistica, almeno nel settore finanziario - non bisogna comunque mai dimenticarsi che noi siamo dalla parte opposta della barricata.
La finanza ha tutto quanto l'interesse a dirci determinate cose e noi abbiamo tutto quanto l'interesse a verificare se quello che ci dicono sia vero o falso. Io ho iniziato a lavorare nel 1981 nella City di Londra dove facevo l'economista per una banca internazionale. Ogni mattina dovevo fare il cosiddetto money meeting, un incontro in cui si parlava con i vari agenti di cambio e noi economisti vi arrivavamo preparati, avendo letto tutti i giornali finanziari. Immaginate che poi all'ora di pranzo noi economisti andavamo a mangiare insieme a quelli del Financial Times e discutevamo su quello che sarebbe stato l'andamento dell'economia e il giorno dopo quelli del Financial Times scrivevano quello di cui avevamo discusso all'ora di pranzo. Questo vi spiega come si è creato un circolo vizioso, o quanto meno per loro, fino a luglio, un circolo virtuale, in cui gli economisti s'incontravano con gli editorialisti e si congratulavano a vicenda sull'andamento del mercato finanziario. Questa è la storia, questo vi spiega perché nessuno ha predetto, neanche economisti di grande fama come Paul Krugman premio Nobel per l'economia, la portata di questa grande crisi mondiale.

Tempo ed idea: le costrizioni del giornalismo

Il problema fondamentale è nel modo di fare il giornalista finanziario e i due elementi di grande costrizione sono il tempo e l'idea. Non c'è abbastanza tempo, gli editorialisti scrivono molto ogni giorno e in una giornata non hanno il tempo di poter fare ricerca. L'altro elemento è l'idea: se si lavora in questo modo in un giornale è come lavorare ad una catena di montaggio, ossia si ha pochissimo tempo per poter sviluppare delle idee. Per scrivere un libro e fare una ricerca vera bisogna concentrarsi al 100% e bisogna inseguire quell'idea. La maggior parte di questi grossi editorialisti finanziari, fanno moltissime cose in simultanea.
Per spiegarvi perché credo che sia importante sia il tempo che l'idea, vi racconto brevemente la storia del mio libro "L'economia canaglia", per darvi un'idea di come in effetti dalle situazioni più incredibili può nascere la produzione di un nuovo articolo e anche di un nuovo libro. L'idea del libro me l'ha data mio figlio piccolo che in quel periodo aveva circa 12-13 anni, il quale mi ha letteralmente costretto a guardare il film Matrix. Io ero convinta si trattasse di uno di quei film per bambini o adolescenti con violenza, giochi elettronici e via dicendo, invece mi ha aperto una finestra sul mondo. Quando ho visto quel film mi sono resa conto che mi sentivo a disagio nel villaggio globale, in particolare in questa economia globalizzata, però non riuscivo a capire bene perché, non ero riuscita a capire quale era il motivo; in effetti io godo dei vantaggi della globalizzazione, come tutti quanti voi immagino. Mi sono resa conto che quello che non mi piaceva era il fatto che alla fine vivere in un mercato e in un'economia globalizzata è vivere come in Matrix, nel senso essere totalmente condizionato ed alla fine fare delle scelte o comportarsi in un determinato modo semplicemente per riflesso condizionato del mondo in cui viviamo.
L'idea iniziale, originale è stata quella di scrivere, di fare una ricerca e di scrivere un libro su come si potevano rettificare le parti negative dell'economia globalizzata. Io non pensavo che avrei scoperto qualcosa di completamente diverso, ero convinta che ci fosse qualcosa che non andasse in questo sistema, ed ho intuito che questo qualcosa è il condizionamento. La mia idea insomma era: studierò questo sistema per individuare come rimuovere questo condizionamento. Però mano a mano che avanzavo nella ricerca mi sono resa conto che invece la mia idea di partenza era totalmente sbagliata, quindi sono partita dal punto A e sono arrivata al punto Z…

L'economia canaglia, fenomeno ricorrente nella storia

Questo fenomeno si è già ripetuto nel passato, l'abbiamo visto durante la rivoluzione industriale, con la caduta dell'impero romano, ossia nei momenti di grande trasformazione, politica, sociale ed anche economica, quando l'economia si sgancia dalla politica, perché la politica non riesce a starle dietro e quindi diventa una forza canaglia. Canaglia non vuol dire necessariamente una forza negativa, però sicuramente è una forza che lavora contro chi non riesce ad usufruire dei vantaggi di queste grandi trasformazioni e quindi nel caso della globalizzazione, diciamo le masse.
Questo è in un certo senso un fenomeno penosissimo, chiaramente per chi lo vive in prima persona, però nello stesso tempo è il motore del progresso. Senza lo sfruttamento dei deboli, dei bambini, delle donne durante la rivoluzione industriale, noi oggi non potremmo essere qui a godere dei vantaggi della tecnologia moderna. E' stato difficilissimo man mano che procedevo nella ricerca, accettare il mio errore e questo è un altro elemento importante: bisogna essere umili, bisogna avere l'umiltà di ammettere di aver sbagliato. Ciò mi riporta al giornalismo finanziario: nessuno ancora ha scritto "abbiamo sbagliato, non ci siamo resi conto che stava succedendo tutto questo". Tutto ciò, oltre alla mancanza di onestà, contribuisce al senso di incertezza generale del lettore in una crisi di questo tipo, dove veramente non sappiamo da dove siamo partiti, ma tanto meno dove arriveremo, rendendo ancora più penosa la situazione. Non si capisce se questo sistema capitalista in effetti funziona o no. Di chi è la responsabilità: delle banche, dei governi…?
Lo stesso discorso si può estendere al terrorismo, è la stessa storia… Si crea un'industria che praticamente vive e guadagna sulla base di questi messaggi di una ambiguità totale.

I giornalisti senza memoria

Posso capire il lettore, ma non il giornalista che non ha memoria; forse non sapete che anche Obama nel suo gruppo di transizione economica ha nominato tutti pupilli dei neoliberisti di Clinton, quelli che hanno attuato il processo di deregulation, come ad esempio Lawrence Summers.
Non ho letto da nessuna parte che Summers era il presidente dell'Università di Harvard che in un suo discorso di apertura dell'anno accademico disse che biologicamente le donne sono inferiori agli uomini e per questo fu cacciato, ma questo nessuno se lo ricorda …
Guardate che se noi oggi siamo nella crisi del credito non è perché George Bush è salito al potere nel 2000, è stato Clinton nel 1994 che ha dato l'avvio alla deregulation.
Le fondamenta di questo disastro stanno nell'amministrazione Clinton mentre Bush gli ha dato il colpo di grazia. Il nostro caro Obama non sta facendo i cambiamenti che ci vogliono far credere, rielegge gli stessi che ci sono stati negli ultimi 20 anni, dalla caduta del muro di Berlino ad oggi; hanno celebrato il capitalismo occidentale, ci hanno ridotto praticamente alla crisi economica e faranno, dal mio punto di vista, un altro disastro catastrofico.

Interventi

Marco Magari

Terrorismo e SpA, i numeri del terrore e economia canaglia, tutti libri basati sulla lettura attenta di fenomeni attraverso per esempio i bilanci delle aziende, i flussi di denaro, ecc. Quanti analisti finanziari, quanti giornalisti finanziari leggono i bilanci e quanti si affidano invece come diceva lei, ai comunicati delle società finanziarie, delle banche, ecc? Il secondo punto: chi si sta arricchendo con questa crisi? Terzo punto: quali altri pezzi di tutela della privacy e di libertà personali perderemo alla fine di questa crisi?

Ivano Liberati - Giornale Radio Rai

Piccola richiesta di chiarimento: sono d'accordo che si è creata un'industria fatta di network, opinionisti, strateghi del terrorismo che ci speculano però dal discorso che ha fatto lei sembra che l'assunto di base sia una fiction e tanti ci vivono intorno, ma quello che è accaduto non è una fiction. Potrebbe chiarire meglio questo discorso sull'enfasi, sull'esaltazione, perché comunque ci sono stati degli attentati che hanno causato centinaia di morti.

Maria Grazia - Ufficio stampa Caritas di Vicenza

Normalmente ci dicono che bisogna far ripartire i consumi e volevo sapere cosa ne pensava del movimento della decrescita felice: se decresciamo non lavoriamo più? L'ho sentita una volta per radio dare come consiglio, per come si prospettano i tempi, di coltivare un pezzo di orto… Che ne pensa di Roubin che adesso tutti incensano, l'unico invece che mi sembra abbia previsto la crisi?

Intervento

Prima ci si affidava, alcuni incautamente, in maniera quasi esclusiva alle agenzie di rating, pagate dalle società piuttosto che dai governi; stiamo aspettando un nuovo regolamento globale che sottoponga tutte le case di rating a delle regole condivise, di fatto il paradosso… Queste agenzie di rating ci tengono a precisare che danno solo opinioni. Allora mi chiedo: paghiamo le opinioni?
La seconda domanda: chi ci guadagna? Purtroppo il nostro e il mio lavoro mi permette di pagare il mutuo e il resto, è un lavoro a somma zero, non creo nulla, dove io guadagno un altro perde, non è che arrivando alla fine della giornata ho creato qualcosa…

Loretta Napoleoni

La domanda sugli analisti, se si leggono i bilanci o cose del genere, a dire la verità non saprei rispondere, perché ci sono tantissimi giornalisti ed economisti bravissimi, purtroppo sono poco conosciuti. Ci sono tantissimi bravi analisti ed economisti, che però non riescono ad arrivare alla grande massa, perché se voi andate al supermercato o nelle grandi librerie, i libri in vetrina e ben esposti sono sempre gli stessi; quindi o uno lavora in questo settore e quindi conosce, oppure è praticamente impossibile. Questo è un altro problema della globalizzazione, questo è l'effetto Harry Potter, non ci sta niente da fare, è così.

La riduzione delle libertà : non so se la crisi finanziaria ridurrà le nostre libertà, credo però che la crisi finanziaria ci costringerà a vivere una vita dove per motivi contingenti, pur avendo le libertà non le potremmo esercitare perché non avremo i soldi per farlo. Ecco quindi sotto questo  punto di vista, avrà un'influenza. 

Nell'ultimo anno, all'incirca due volte al mese, in India c'è stato un attentato; quello di pochi giorni fa non è che uno dei tanti, però per l'informazione non è così. Quanti di voi sanno che 80 persone sono morte nella città di Assam? Perché non riportate queste notizie? 80 indiani non contano quanto 7 italiani presi in ostaggio? La stampa italiana negli ultimi 12 mesi ha ignorato l'aumento esponenziale della violenza politica in India, però siccome adesso sono stati presi in ostaggio 7 italiani, improvvisamente si dà in pasto alla popolazione questa notizia come se da un giorno all'altro in India sia iniziato il terrorismo.
E' giusto dare l'informazione nella prospettiva che da un anno ci sono questi attacchi e che la gente muore come le mosche sotto gli attacchi terroristici, quindi non è normale che in un albergo a 5 stelle la gente può entrare e uscire senza un metal detector, senza un minimo di controllo; sicuramente c'è stato un attacco però non come quello dell'11 settembre che arriva a ciel sereno improvvisamente, fa bensì parte di una serie di attacchi, rientra in una escalation di violenza politica in cui sono morte centinaia e centinaia di persone e noi nemmeno ce ne siamo accorti.
La stessa cosa succede nel Pakistan dove pure la gente muore come le mosche ogni settimana perché ci sono attacchi terroristici eppure non se ne parla.
Io sono sicura che se c'è un attacco a Islamabad e un italiano ci finisce per caso, esce in tutte le prime pagine dei giornali, purtroppo è così.

Un modello alternativo: il problema è che le nostre economie occidentali poggiano essenzialmente sull'aumento dei consumi; dalla caduta del muro di Berlino fino ad oggi praticamente, abbiamo sostenuto la nostra economia sulla base dell'aumento dei consumi.
Guardiamo anche alla distribuzione del reddito: la situazione è peggiore di quello che avevamo negli anni Settanta perché non c'è stata redistribuzione. Per esempio negli Stati Uniti l'1% della popolazione ha intascato la maggior parte della crescita del Pil, mentre il rimanente 99% si ritrova al netto dell'inflazione ad avere meno soldi di quanti ne aveva negli anni Settanta.
Chi sostiene il consumo è quel 99% e come ha fatto? Indebitandosi. Questa è la storia. Allora in un momento di crisi del credito tipo questa qui in cui è praticamente impossibile prendere dei soldi in prestito, come facciamo a sostenere il consumo? E' un cane che si morde la coda, bisogna spezzare in un modo o nell'altro questo meccanismo, però per spezzarlo ci vuole un cambiamento strutturale. Io suggerivo l'orto perché secondo me i tempi futuri saranno tremendi, per cui chi avrà l'orto almeno mangia. Non c'è il modello alternativo perché tutti quanti gli economisti negli ultimi 20 anni si sono concentrati sulla finanza dato che quello era il settore trainante. Io non faccio la teorica, ci vorrebbe un'equipe di economisti che produca un modello alternativo: chiunque adesso si sta lambiccando il cervello per produrre il nuovo modello, ne sono sicura, però non è che si crea una teoria economica dal giorno alla notte. 

Il web come alternativa: Il problema è che uno deve vivere, deve lavorare, è impossibile lavorare in un giornale e dire: no, questa cosa non la posso fare in 3 ore, mi servono 3 giorni; nello stesso tempo i giornali non hanno le possibilità finanziarie necessarie. Io penso che un'alternativa possa essere il web, dove ci sono tantissime cose false, però anche tantissime informazioni buone. Se uno cerca nel suo settore, un settore che conosce, ci sono delle pubblicazioni che fanno un ottimo lavoro e che chiaramente costano molto di meno, perché non ci sono i costi della stampa, della carta, della distribuzione… Io mi sposterei sul web, perché sulla carta stampata la vedo durissima, specialmente con la crisi economica; tutti i quotidiani hanno visto un calo delle vendite, perché con la crisi chiaramente una delle prime cose che si taglia è il quotidiano, tanto uno accende la televisione, le notizie le vede e le ascolta lì…

Intervento

Io faccio il Tg Salus che va sul web e poi sulle televisioni e il tempo in cui vengono prodotte le notizie è tanto quanto quello del telegiornale, anzi pure più veloce, perché devi anticipare l'uscita di altre testate internet e quindi alla fine l'approfondimento non riesci a farlo neanche in quel caso.

Loretta Napoleoni

Nel web appunto c'è il negativo e c'è il positivo, bisogna che uno se lo vada a cercare, però quello che dicevo io è che il web è uno strumento per poter abbassare i costi e quindi abbassando i costi, avere più tempo. Il problema dei giornali è che hanno aumentato il numero delle pagine, aumentando di conseguenza i costi ma non potendosi così più permettere di avere tanti giornalisti. Sul web questo aumento dei costi dovuto all'aumento delle pagine non c'è, perché chiaramente non c'è la pagina, è più economico da quel punto di vista.

Angelo Perrino - Affari Italiani

Io penso che Loretta abbia detto una cosa importante e cioè che i giornalisti e gli editorialisti in sostanza non possono dire la verità, non perché sono cattivi, ma perché la proprietà dei giornali è dei gruppi industriali e finanziari, che sono quelli lì collusi con i noti movimenti. E' quindi impossibile strutturalmente, in filosofia diremmo che è un'aporia, che i giornali dicano la verità perché sono controllati dai gruppi industriali e finanziari, quegli stessi che prestano i soldi per indurre a consumare di più, quegli stessi che influenzano la politica: quindi la colpa non è dei giornalisti. Non se ne viene fuori con una seduta di autocoscienza o con riunioni autoflagellanti, la riflessione deve essere marxiana, strutturale e dunque attiene alla questione del controllo, dei mezzi di produzione, ahimé dobbiamo riscoprire Marx. Cari colleghi e amici giornalisti ed aspiranti giornalisti, la parola che dobbiamo tirar fuori è "autonomia", questa è la parola chiave. I giornalisti devono recuperare autonomia. E come si fa? Ci vuole una rifondazione giornalistica. Bisogna ripartire dal processo di costruzione dell'autonomia, cercando di controllare i mezzi di produzione. Tutto ciò oggi è possibile grazie a internet, il concetto che ha detto Loretta: è possibile costruire piccoli luoghi di controinformazione che stanno in piedi con poco e oggi anche grazie a forme di pubblicità, come ad esempio Google, che con la tecnica delle parole chiave consente anche al piccolo editore di fare un piccolo fatturato, quindi di costruire modelli d'informazione dal basso, piccoli progetti editoriali che magari possono diventare cose importanti.

Corrado Fontana

La politica in questo discorso che ruolo ha? Lei diceva che la politica non riesce a stare dietro agli andamenti finanziari e dell'economia, per cui, come dire, viene superata e in qualche modo qualcuno ne fa a meno… La politica che peso ha in questo tipo di relazioni? Noi sappiamo che per esempio George Bush e tutti i suoi amici si sono arricchiti così come l'America in Iraq ha fatto un sacco di soldi con la ricostruzione, tanto per fare esempi semplici.
Come funziona l'avanzamento delle carriere dei giornalisti finanziari e degli analisti finanziari?
Se funziona come la media, senza stare troppo a sottilizzare, è chiaro che chi va in alto tende a diminuire la libertà di dire le cose e di avere il tempo di studiarle: la formula meritocratica riempie i giornali anche in questi  periodi, poi bisognerà applicarla  prima o poi, se si vuole cambiare…
L'ultima domanda è sul modello economico. Lei diceva che probabilmente molti si stanno scervellando per trovare un modello economico alternativo, ma si tratta di un modello economico eurocentrico occidentale o è pensato a livello globale? Se si tratta solamente di  procrastinare l'egemonia culturale ed economica dell'occidente ricco, il problema è diverso, è lo sfruttamento che è necessario al progresso… Non è che tra un po' finiremo per esser noi quelli sfruttati?
E' vero che internet ha una grandissima potenzialità, ma stiamo attenti perché qualcuno le mani sui grandi motori di ricerca le sta già mettendo.
La Cina qualcosa ha fatto durante le olimpiadi, in Argentina qualcosa è successo con google di recente, tagliando i risultati di alcune ricerche; anche lì io credo che qualcuno che ha interesse che non escano le notizie proverà a trovare delle contromisure, purtroppo.

Vania de Luca - Rainews 24

Aumentare i consumi per far ripartire l'economia; un altro tipo di teoria è quello di investire sui settori in crisi. L'altro giorno ho intervistato Paolo Savona, il presidente di Unicredit Banca di Roma, il quale diceva appunto di spendere nei settori in crisi, che sono l'automobile, gli elettrodomestici e i mobili, dando anche delle cifre: 30 milioni di euro in tempi brevi in questi settori, produrrebbero 12 milioni di euro di entrate, che consentirebbero anche di rientrare nella parte elastica del patto di stabilità europeo. Ho chiesto: ma in una fase di crisi chi va a cambiare la macchina, i mobili o la lavatrice che magari ancora funziona, ma è di modello vecchio?
Quello che non si dice in tutte queste analisi è "chi ha i soldi consumi", e allora succede che si incentiva il debito e la parte di popolazione che "abbocca" è quella di ceto medio-basso che s'indebita sempre di più. Il grosso problema negli Stati Uniti sono stati proprio i mutui. Non si dice: "chi ha liquidità consumi", perché chi ha liquidità in questa fase sta investendo in immobili.

Mi fanno un po' preoccupare quelle critiche al sistema dell'informazione, il fatto di non fidarsi delle informazioni delle grandi testate; se sono vere le cose che si dicono a me fa paura pensare che c'è una classe giornalistica italiana, soprattutto quella delle grandi testate, che viene un po' delegittimata in blocco; la sfiducia nei confronti dell'informazione non fa bene a un sistema democratico. Mi piacerebbe che da certi mondi dove c'è uno sguardo diverso, uno sguardo più completo, se volete più critico, venissero delle pressioni anche verso le grandi testate, verso le grandi firme. E poi penso che anche nelle grandi testate, nei grandi giornali, senza nulla togliere ai problemi della proprietà, dell'editore, ecc., ci sono delle voci libere, delle voci che in qualche modo cercano di dare un'informazione più completa. Perché guardate altrimenti si rischia una marginalizzazione di certi mondi che si parlano tra loro, che diventano un po' alternativi…

Intervento

Per quanto riguarda il discorso degli analisti finanziari premetto che io non sono un'analista finanziario, però sono esperta in mercati emergenti. La carriera dell'analista finanziario ha subìto una grossa battuta d'arresto con gli ultimi scandali che sono avvenuti in Italia i quali hanno fatto emergere delle collusioni importanti. Purtroppo il problema è che si è ricorsi, nel caso degli analisti finanziari, a un rigido albo con tanto di regolamento etico e di discarico di responsabilità, si erano create delle commissioni di conflitto di interessi sull'attività dell'analista finanziario; adesso finalmente queste nuove regole negli ultimi anni sono cambiate radicalmente. Non cambia nulla il fatto che l'analista finanziario è pagato da una banca piuttosto che da un'entità finanziaria.
Per quanto riguarda le regole adesso ci sono, sono chiare e quindi l'analista è molto più limitato, di fatto però un livello di pressione esterna c'è.

Loretta Napoleoni

Consumare indebitandosi. In effetti quello che ci dicono è praticamente impossibile anzi consiglierei di non farlo perché non è la soluzione. Il problema, e questo si riallaccia alla domanda su quale sia il ruolo della politica, è che nel modello neoliberista, che praticamente è stato applicato dall'89 in poi in tutto il mondo, la manovra fiscale non esiste più, diventa obsoleta; questo perché in realtà la sostituzione del mercato allo stato, dà la possibilità ai governi di abbassare le tasse, perché chiaramente le tasse servono per un sistema sociale gratuito ed accessibile a tutti.
Se si decide che questo sistema sociale funziona meglio privatamente e quindi se l'individuo pagherà di tasca sua quando è malato o qualsiasi altro servizio sociale e in cambio paga meno tasse, è chiaro che la manovra fiscale scompare. Questa implicitamente è un'ammissione che lo stato non è capace di fare determinate cose, chiaramente non è stata presentata in questo modo, ci è stata presentata come una teoria rivoluzionaria che ha dato la possibilità a Regan prima, a Bush padre ed anche a Bill Clinton poi, di essere eletti dicendo "non alzerò le tasse", che è un'assurdità. Bill Clinton è stato fortunatissimo perché funziona nei momenti di congiuntura economica positiva quando sale l'indebitamento, poi si scopre che la gente è indebitata fino al collo avendo preso soldi in prestito che gli venivano dati a tassi sempre più bassi, a condizioni sempre più vantaggiose. 

L'unico metodo: tassare i redditi più alti: Negli Stati Uniti esiste un sistema di tassazione come in Inghilterra che è praticamente quasi piatto. Io per esempio in Inghilterra pago l'aliquota più alta del 40% esattamente come chi ha guadagnato 10 miliardi lavorando nella City di Londra; adesso si sta parlando di aumentarla del 5%.
Negli anni Settanta eravamo nell'eccesso opposto, l'aliquota massima di chi guadagnava 10 miliardi nella City era del 90%, chiaramente poi era scaglionata. L'unico modo per utilizzare la manovra fiscale è che in un modo o nell'altro vengano tassati quelli che hanno i redditi molto elevati. E voi cosa pensate che succede se fanno una cosa del genere? Che chi ha i redditi molto elevati cambierà il proprio domicilio fiscale. Bisogna dire però che gli americani hanno un problema perché vengono tassati i redditi globali, il che vuol dire che gli americani non possono avvantaggiarsi come per esempio avviene per gli italiani. Circa 4900, se non di più, società italiane hanno il domicilio fiscale in Inghilterra e quindi pagano le tasse usufruendo di una legge che dà la possibilità di pagare tasse solamente su quell'ammontare di reddito che entra in Inghilterra, che lì viene speso, tutto il resto non è tassabile. Finalmente adesso che l'Inghilterra sta quasi a bancarotta - è il paese con previsione di crisi più alte di tutto quanto l'occidente - ci si è finalmente decidi di cambiare questa legge, perché chiaramente si vuole aumentare il gettito fiscale.
Cosa pensate che succederà? Che moltissime di queste società cambieranno il loro domicilio fiscale e se ne andranno ad esempio Monaco, questo è il problema: se noi viviamo in un sistema globalizzato, il rischio è proprio questo. Immaginiamo di reintrodurre i controlli monetari che c'erano negli anni Settanta, sarebbe veramente inaccettabile, specialmente all'interno della Comunità Europea… Ecco perché ci dicono "consumate, consumate", perché alla fine l'unico modo per sostenere l'economia è quel 90% della popolazione che non può usufruire di questi vantaggi fiscali, che non guadagna abbastanza e che purtroppo si ritrova a dover fronteggiare la crisi in prima persona. Questo vale secondo me un po' in tutto il mondo. Io credo che questo sia il problema fondamentale del modello: siamo arrivati ad una situazione in cui il modello non funziona più e anche l'idea della manovra fiscale è un'illusione, è una parola che piace, ma io non vedo come potranno applicarla, staremo a vedere, tanto è questione di pochi mesi.

* Testo non rivisto dall'autore.