“La barca dei folli”: Stefano Dionisi e il racconto lucido del disagio mentale
Il disagio mentale non è facile da dichiarare apertamente. Perché suscita paura, imbarazzo, senso di inadeguatezza, in alcuni casi disprezzo. Se poi a raccontarlo è un attore noto, vuol dire che lo stigma resiste e che lui ha sentito il bisogno di intaccare questo muro, di romperlo per far vedere alla luce del sole cosa succede quando vieni risucchiato in un tunnel dentro la tua testa e ti senti (o chi dovrebbe curarti ti fa sentire) come «delle merde incapaci di stare al mondo».
Con un linguaggio crudo e struggente Stefano Dionisi mette nero su bianco i ricordi della sua esperienza durante un trattamento sanitario obbligatorio, «il ricovero coatto di pazienti con disturbi psichici presso i reparti psichiatrici degli ospedali pubblici», spiega in La barca dei folli, sottotitolo “Viaggio nei vicoli bui della mia mente”, pubblicato a settembre 2015 da Mondadori (144 pagine, 18 euro).
«Tutti i pazienti vengono prelevati, in un giorno qualsiasi della loro vita, nell’attimo in cui danno in escandescenze», spiega Dionisi come spettatore e insieme protagonista di un dramma che non ha nulla di poetico. Per lui quel giorno qualsiasi si è materializzato in Spagna, dove stava girando Sant’Antonio di Padova. A causa di un attacco di panico, fugge dal set e si abbarbica sul tetto di una casa, dopo aver gettato il passaporto e il portafogli.
Un disagio profondo che per i 14 anni successivi viene curato in varie cliniche, con psicofarmaci e psicoterapia freudiana. Distorsione della realtà, manie persecutorie, crisi psicotiche e molto altro derivano da un disturbo ereditario: alcuni geni non funzionano come dovrebbero. L’attore romano, oggi 49enne, ha condiviso questa situazione con un’umanità dolente che suscita empatia, sprofondata com’è in una solitudine abissale e nella capacità di discernere i gesti umani da quelli falsi, di circostanza.
Nonostante gli ansiolitici e i neurolettici, sopravvive con ostinazione nei protagonisti una lucidità impressionante nel riconoscimento dei veri affetti, delle cure che fanno bene, così come la consapevolezza di quanto siano illusori ma benefici i piaceri passeggeri di una sigaretta, di un caffè, di una luce accesa. Piccoli riti che scandiscono il ritmo di giornate replicate all’infinito, sempre uguali, all’interno di un reparto psichiatrico. Dove la ricerca della propria identità è un bisogno a cui aggrapparsi con le unghie e con i denti.
Dionisi ha il merito – e il coraggio – di squarciare il velo di pietismo che ricopre con ipocrisia questo mondo parallelo, che nessuno vuole vedere. Con la forza di una testimonianza in prima persona, di chi non si erge a giudice ma tiene per mano coloro che hanno condiviso la discesa nella «Calle del Infierno».
Sabato 28 novembre alle 18.00 Stefano Dionisi, intervistato dal giornalista e scrittore Gianluca Nicoletti, sarà protagonista della seconda giornata di “Frontiere”, il 22° seminario di formazione per i giornalisti organizzato da Redattore sociale presso la Comunità di Capodarco di Fermo. (Laura Badaracchi)