Carta di Roma. Il ritorno del termine "clandestino": "Sbagliato e discriminatorio"

02ott2018

Dal 2017 è tornato con forza nel dibattito politico e nel linguaggio giornalistico. È quanto denuncia la terza edizione delle linee guida del codice deontologico sull’immigrazione e sull’asilo. “Contiene un giudizio negativo aprioristico e suggerisce l’idea che il migrante agisca come un malfattore”

Carta di Roma. Il ritorno del termine "clandestino": "Sbagliato e discriminatorio"

ROMA - Richiedente asilo, rifugiato, beneficiario di protezione sussidiaria o umanitaria, vittime di tratta: non sono la stessa cosa. A portare ordine nell’informazione, in un momento in cui il dibattito politico è fortemente incentrato sull’immigrazione, sono le nuove linee guida per l’attuazione della Carta di Roma, il codice deontologico nato dieci anni fa per un’informazione corretta sui temi dell’immigrazione e dell’asilo. La terza edizione è stata presentata oggi a Roma e oltre a rappresentare un aggiornamento rispetto a quanto previsto dal Protocollo (che resta tale), fornisce indicazioni utili ai professionisti dell’informazione. “Richiedente asilo, rifugiato, vittima di tratta, migrante non possono essere usati come sinonimi perché rimandano a condizioni giuridico–amministrative diverse - spiega il documento -. Tanto meno le persone che arrivano nel nostro paese irregolarmente possono essere accomunate sotto la definizione comune di “clandestini”, termine non solo fortemente connotato negativamente, ma anche inesistente giuridicamente”.

Nonostante le linee guida si soffermino su tante e diverse parole “nuove” di uso comune ormai nel linguaggio giornalistico, è proprio il ritorno di termini che sembravano superati, proprio grazie alla stessa Carta di Roma, a preoccupare maggiormente. Come, appunto, il termine “clandestino” tornato nel dibattito pubblico e nel linguaggio giornalistico "a partire dal 2017", spiega il documento. “Carta di Roma invita a non usare questo termine - si legge nelle linee guida -, sostituendolo con ‘irregolare’, ‘senza permesso regolare’, ‘illegale o presente in modo illegale sul territorio’”. Il termine, infatti, “contiene un giudizio negativo aprioristico - spiega il testo -, suggerisce l’idea che il migrante agisca al buio, di nascosto, come un malfattore. È un termine giuridicamente sbagliato, impiegato per definire: chi tenta di raggiungere l’Europa e non ha ancora avuto la possibilità di fare richiesta di protezione internazionale; chi invece ha fatto la richiesta ed è in attesa di una risposta (i migranti/richiedenti asilo) e chi ha visto rifiutata la richiesta d’asilo e ogni altra forma di protezione (gli irregolari). Soprattutto, il termine clandestino è una delle colonne portanti dei discorsi di tipo discriminatorio, un termine per dare un nome a un “nemico” che può sollecitare rifiuto e paura”.

Il linea con quanto prevede il primo principio della Carta di Roma, ovvero quello di “usare termini giuridicamente appropriati al fine di restituire al lettore e all’utente la massima aderenza alla realtà dei fatti, evitando l’uso di termini impropri”,  il documento presentato oggi offre un vasto glossario di termini usati quotidianamente dai media: si va dalla distinzione tra rifugiato e richiedente asilo, a termini usati più di recente, come push pull factor (ovvero le circostanze che hanno spinto una persona o un gruppo di persone ad abbandonare un paese e quelle che determinano un’attrazione: ci sono motivazioni economiche, ma anche legate a persecuzioni religiose, guerre e altro ancora); oppure come refoulement, ovvero “il ritorno di un individuo in uno stato in cui questi possa essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinione politica, oppure dove sarebbe esposto a un rischio di tortura - spiega il testo con un approfondimento curato dall’Asgi -. Il suo opposto (non-refoulement) è il principio fondamentale del diritto internazionale dei rifugiati, che vieta agli Stati di far tornare in qualsiasi modo i rifugiati nei paesi o nei territori in cui la loro vita o la loro libertà possano essere messe in pericolo”. Il testo affronta anche il tema delle operazioni di ricerca e soccorso in mare con un glossario ad hoc, partendo dagli acronimi spesso utilizzati negli articoli di cronaca. 

Il testo, tuttavia, non si ferma soltanto alle parole. Tra le indicazioni in merito al racconto dei soccorsi in mare, ad esempio, ce ne sono alcune che riguardano anche l’uso delle immagini. “Si raccomanda di non privilegiare esclusivamente inquadrature di gruppi di migranti/rifugiati - spiega il testo - onde rimandare una visione stereotipizzata di “masse informi” di individui”. Le linee guida, inoltre, tornano inoltre a chiedere all’informazione di tutelare i richiedenti asilo, i rifugiati, le vittime della tratta ed i migranti che scelgono di parlare con i giornalisti. “Chi proviene da contesti socio-culturali diversi - spiega il testo -, nei quali il ruolo dei mezzi di informazione è limitato e circoscritto, può non conoscere le dinamiche mediatiche e non essere quindi in grado di valutare tutte le conseguenze dell’esposizione attraverso i media”. Nel caso di richiedenti asilo, rifugiati e vittime di tratta, “quando opportuno - aggiunge il testo -, è necessario evitare la pubblicazione di qualsiasi elemento che possa portare alla loro identificazione”.