Comunicazione sociale? Non è un problema di quantità, ma di qualità
ROMA - Com’è cambiata la comunicazione sociale al tempo del coronavirus? Che effetti ha avuto la pandemia sulla narrazione dei fatti e quale sarà il ruolo del giornalismo di domani alla luce di quanto emerso dall’esperienza vissuta in questa sfida inedita? A queste domande ha cercato di rispondere il nuovo appuntamento di formazione per giornalisti “Intervista col territorio” tenutosi questa mattina a Roma presso lo Scout Center. L’incontro è parte di un ciclo di seminari formativi a livello nazionale promosso dal Giornale Radio Sociale, insieme a Redattore Sociale, con il Forum del Terzo Settore e il sostegno della Fondazione con il Sud e in collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti del Lazio.
Tanti e diversi gli interventi che hanno animato una mattinata di formazione che ha avuto come parole chiave il territorio e le relazioni. A fare da sfondo, il mondo del terzo settore che secondo Ivano Maiorella, direttore del Giornale Radio Sociale, rappresenta “un settore in crescita nel nostro paese e che può essere un’occasione anche per noi giornalisti, in un periodo in cui siamo in una crisi di ruolo, di valori e anche di lavoro”. Ad aprire i lavori, in collegamento da Venezia, Beppe Giulietti, presidente della Fnsi. “Non credo ai giornalisti separati dal mondo - ha spiegato Giulietti -, per me i giornalisti sono cittadini e i cittadini che amano la Costituzione sono nostri alleati”. Giulietti ha poi richiamato l’attenzione su due termini “ormai spariti”, ovvero “sobrietà e rigore”. “Sobrietà vuol dire più sostantivi e meno aggettivi - ha aggiunto il presidente della Fnsi -. Rigore vuol dire verifica delle fonti. Ogni parola sia giustificata dai numeri affinché ci sia una percezione reale di quello che ci circonda”.
A minare la qualità dell’informazione, ha aggiunto Paolo Spadari, presidente dell’Ordine dei giornalisti del Lazio, i tagli e i ridimensionamenti, ma il “banco di prova” costituito dall’emergenza coronavirus è stato affrontato e superato con professionalità. “I nostri colleghi escono da un periodo difficile - ha aggiunto Spadari -. Hanno affrontato un banco di prova difficilissimo, quello di fornire ai cittadini una informazione il più possibile di qualità. Credo che questo banco di prova la nostra categoria l’ha superato: hanno fatto un patto con la società scientifica, un patto con le istituzioni e con le fonti primarie per fornire un’informazione corretta. Credo che i cittadini abbiano capito e per la prima volta hanno aggiornato un rapporto che deve essere importante con l’informazione corretta e verificata”. E il tema delle fake news non poteva non essere all’ordine del giorno. “Sicuramente uno degli obiettivi dell’Ordine dei giornalisti che dovrà essere rieletto nel mese di ottobre - ha spiegato Guido D’Ubaldo, segretario dell’Ordine dei giornalisti nazionale - deve essere quello di combattere le fake news, un fenomeno sempre più dilagante”.
Ad introdurre il tema del terzo settore e delle opportunità - non solo lavorative - che può offrire in questo contesto in termini di approccio verso una nuova narrazione e una informazione più attenta alle persone è lo stesso Ivano Maiorella che però sottolinea la necessità di un intervento del legislatore non solo a sostegno dell’informazione sociale, ma anche nel dare continuità alla riforma del terzo settore. “C’è la necessità di avere strumenti in più - ha spiegato Maiorella - e di avere una legislazione a sostegno. La legge sull’editoria così com’è non va bene. È una legge vecchia che non rispetta il nuovo andamento dell’informazione. L’Iva al 4% come contributo indiretto è qualcosa che guarda al passato e non al futuro, così come il credito d’imposta sull’acquisto della carta” quando sono ormai in pochi, nel terzo settore, a produrre informazione su carta stampata. “Oggi, per quanto riguarda il terzo settore, le testate cartacee si contano sulle dita di una mano - ha affermato Maiorella - ma abbiamo la nascita importante e spontanea di una serie di testate che utilizzano canali informativi e nuove tecnologie. Questa situazione non è fotografata dalle leggi vigenti”.
Sulla necessità di “costruire una comunicazione equilibrata rispetto ai temi che riguardano tutti i cittadini” è intervenuta Claudia Fiaschi, portavoce del Forum del terzo settore. “Per il terzo settore, l’emergenza Covid ha fatto da acceleratore di processi di cambiamento”, portando alla “riscoperta dell’essenziale”, ha affermato Fiaschi. Un cambiamento che deve coinvolgere anche la comunicazione. “Negli ultimi anni, il mondo del terzo settore è stato a tempi alterni bersagliato da campagne stampa che non hanno aiutato a raccogliere il valore positivo delle esperienze ed hanno esaltato in modo significativo le criticità che c’erano - ha spiegato Fiaschi -. Oggi abbiamo bisogno di costruire un’educazione civica in positivo e credo che il tema della responsabilità di chi fa comunicazione di trattare la realtà attraverso i propri strumenti per costruire una visione di ciò che è buono, di quello che serve in una comunità, di rimettere al centro l’essenziale, sia un tema più forte e significativo di prima”. La strada, ha aggiunto Fiaschi, è quella di trovare “luoghi condivisi che mettano in relazione mondi, momenti di formazione, ma anche conversazioni con chi la progetta la comunicazione. Una sfida non solo per noi, ma anche per l’intera collettività perché essere consapevoli del patrimonio che abbiamo nelle comunità, come mobilitarlo e metterlo in gioco nei momenti d’emergenza è indispensabile e lo abbiamo visto molto bene in un tempo che abbiamo appena attraversato”.
Per Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione Con il Sud, è tempo di fare un salto di qualità anche sul mondo dell’informazione che si occupa di tematiche sociali. “Non c’è una questione di quantità della comunicazione sul terzo settore - ha aggiunto Borgomeo -, il punto sul quale bisogna ragionare è la qualità dell’informazione”. Per Borgomeo, infatti, il terzo settore “non è quello che aiuta lo Stato a fare il suo mestiere, che arriva di corsa quando lo Stato non ce la fa, non è quello che fa le cose meglio dello Stato in alcuni settori, ma è quello che insieme al pubblico, che non deve scomparire, reimposta la politiche. Perché non si capisce che è una poderosa forza di cambiamento del paese che può dettare le regole di un nuovo modo di concepire lo sviluppo? Al Sud, dove le questioni di sviluppo sono più gravi, si vede un po’ di più che dal sociale si mettono in moto percorsi di sviluppo economico e occupazionale”. Per Borgomeo, il compito dell’informazione, in questo caso, è cruciale. “Sarebbe molto importante che si faccia uno sforzo in più per far comprendere alla pubblica opinione, ai decisori politici, che non si tratta di aiutare qualcuno che fa del bene agli altri, ma di prendere atto che siamo di fronte ad una fondamentale leva per lo sviluppo”.
Sul ruolo della comunicazione nel promuovere coesione sociale è intervenuto Stefano Caredda, direttore di Redattore Sociale. “Linguaggio, accuratezza dell’informazione e contestualizzazione dei dati sono essenziali non solo per la correttezza dell’informazione, ma anche per consolidare la coesione sociale e per rafforzare la cultura dei diritti - ha affermato Caredda -. Qual è la conseguenza reale e concreta dell’informazione? Quando viene fatta a partire da questi tre elementi è chiaro che sviluppa coesione sociale: è una comunicazione che punta non alla distruzione delle relazioni sociali, ma alla loro cura. Questa è in fondo una sovrapposizione con quello che fa il mondo del terzo settore. L’esperienza della pandemia non ha fatto altro che confermare quello che già la comunicazione in questo conosceva”. Per Caredda, “garantire coesione sociale e promuovere una cultura dei diritti è una conseguenza dell’azione del terzo settore ma anche di una buona informazione”.
Particolare attenzione occorre prestare, inoltre, al fenomeno della disintermediazione che, come sta accadendo in altri settori, sta interessando anche quello del giornalismo, come ha spiegato
Andrea Volterrani, dell’Università Tor Vergata. “Il vostro lavoro è cambiato, nei fatti - ha ricordato ai giornalisti presenti -. C’è un sistema industriale ed economico rispetto a tutto ciò che ruota attorno all’informazione che va evidentemente in una direzione, ma anche perché c’è un cambio di paradigma profondo e reale”. Per questo, ha spiegato Volterrani, c’è bisogno di “nuove modalità di lavoro sui territori”, anche nel settore dell’informazione, “quei giornalisti che lavorano bene lavorano insieme alle comunità e insieme alle persone sono riconosciuti”. Non si tratta di citizen journalism, ha chiarito Volterrani. “Fare giornalismo comunitario significa fare cose insieme e costruirle attraverso piattaforme comunitarie”. Per Volterrani occorre “rendere le persone protagoniste, non solo come fonti”, ma per fare questo occorre “acquisire competenze sulla comunicazione di prossimità e sulla comunicazione con il territorio”.
A ricordare l’importanza del contatto e del confronto con il territorio è Paolo Borrometi, vicedirettore di Agi. “Siamo abituati a raccontare la vita politica del Paese con una visione romanocentrica - ha detto Borrometi -, invece spesso i fatti ci riportano nelle periferie lontane”. Un tema che si intreccia anche con quello delle mafie. “Se noi perdiamo il contatto col territorio e dimentichiamo quelle che sono le relazioni - ha affermato - non facciamo altro che fare un favore immenso alle organizzazioni criminali di stampo mafioso. Pensate a cosa è accaduto nella crisi sanitaria e anche economica dettata dal coronavirus: in una crisi totale di liquidità le organizzazioni criminali di stampo mafioso altro non hanno fatto che arricchirsi per svariate ragioni”. A raccontare la propria esperienza giornalistica ai partecipanti al corso Marino Bisso, giornalista Repubblica, e Maurizio Di Schino, inviato Tv 2000. Tra gli interventi conclusivi anche quello di Roberto Natale, Rai per il sociale, secondo cui fake news e coronavirus “hanno mostrato a milioni di nostri concittadini che il discorso sulla disintermediazione poi non è così privo di conseguenze. Questa situazione ha portato un vantaggio dal punto di vista della riconoscibilità sociale e dell’utilità sociale della nostra professione. Si è riconosciuto che di alcune competenze professionali c’è bisogno. Il punto è esserne all’altezza”. Ricordando il lungo percorso dell’informazione sociale in Italia, Natale ha messo in guardia dal non esaurire l’informazione sociale alla denuncia. “Dobbiamo saper raccontare meglio le esperienze positive - ha concluso -. Se raccontiamo il nostro Paese solo e soltanto come il regno degli sprechi, delle corruzioni, delle mafie, delle violenze, di quello che non va nella pubblica amministrazione e delle lungaggini, facciamo un’importante denuncia, ma alla lunga c’è il rischio di contribuire, pur con le migliori intenzioni, ad una sorta di corrosione dello spirito pubblico”.