Sport sociale. Senza record, ma con una storia inclusiva da raccontare

05dic2019

Ieri a Bari il secondo appuntamento del ciclo di incontri per giornalisti “Intervista con il territorio” organizzato dal Giornale Radio Sociale, Redattore Sociale, Forum del terzo settore e Fondazione con il Sud. Giampiero Bellardi, ex vicedirettore Rai Sport: “Lo sport sociale è una miniera di buone notizie”

ROMA - Lontano dai record mondiali, dai podi internazionali, ma vivo nei territori dove rappresenta un vero e proprio stimolo per l’inclusione. È lo sport sociale a cui è stato dedicato il secondo degli appuntamenti del ciclo di seminari dal titolo “Intervista con il territorio” organizzato dal Giornale Radio Sociale, insieme a Redattore Sociale, Forum nazionale del terzo settore, l’Ordine dei giornalisti della Puglia e con il sostegno della Fondazione Con il Sud. L’incontro si è svolto mercoledì 4 dicembre a Bari nella sede dell'Ordine dei giornalisti della Puglia. “Abbiamo un mondo che produce tantissimi fatti che hanno difficoltà a diventare notizia - ha ricordato Ivano Maiorella, direttore del Giornale radio sociale -. Avvicinare questi due mondi significa alimentarsi l’un l’altro. Noi giornalisti abbiamo bisogno di fatti da trasformare in notizie, il terzo settore ha bisogno di fare in modo che i fatti quotidiani che produce diventino notizia e nello sport abbiamo tantissimi protagonisti solitari e anonimi che chiedono di essere raccontati”. 
 
Lo sport è una delle anime del Terzo settore, ha aggiunto Maiorella. Tra gli “854 mila occupati, 5,5 milioni di volontari, 320 mila organizzazioni sociali nel nostro paese compongono il terzo settore, la parte più importante che abita nel territorio che spesso è ignorato dalle prime pagine dei giornali è proprio l’associazionismo sportivo”. Nel suo saluto iniziale, invece, Piero Ricci, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Puglia, ha ricordato ai giornalisti presenti la necessità di riscoprire la mission del giornalismo esiste poiché ha nel suo “core business” anche il “racconto delle periferie”, degli ultimi e di chi fa più fatica, per renderli partecipi, mentre lo sport “è materia sensibilissima per educare al rispetto” e non è solo uno “sport professionistico fatto di business i cui modelli sono i contratti miliardari”.

Dello sport come “terreno di emancipazione, dei diritti e delle pari opportunità” ha parlato invece Elena Fiorani, responsabile sport del Giornale Radio Sociale. “Per questo è importante raccontare questa realtà spesso senza record e campioni, utilizzando un linguaggio improntato sul rispetto delle persone di cui si parla e delle storie che si raccontano”. Secondo Fiorani, sui territori gli “oratori, i centri sociali, gli impianti sportivi e le diverse realtà di quartiere sono un collante e una cassa di risonanza utile a comprendere la società e capirne gli umori”. Eppure, lo sport sociale fa fatica a raccontarsi come vorrebbe. “Lo sport sociale può e sa andare oltre il gesto atletico - ha aggiunto Fiorani -, il risultato e la performance per sedimentare significati più duraturi che vanno a costruire storie ed esperienze che possono svilupparsi sul territorio ma che hanno bisogno di comunicazione e visibilità per svilupparsi e prosperare”.
 
“Se il nostro secolo ha uno specchio della sua vita questo è lo sport”. A ricordare una citazione dello scrittore francese Jean Cocteau è Giampiero Bellardi, ex vicedirettore Rai Sport. “Lo sport che muove passioni, regala emozioni per le imprese di campioni e grandi squadre, ma che purtroppo, sempre più spesso, è il luogo in cui si rispecchiano le pulsioni più negative che negli ultimi tempi hanno segnato l’anima del nostro Paese - ha aggiunto Bellardi -: un’Italia sempre più segnata da comportamenti offensivi, aggressivi, violenti nei confronti di chi è più debole e bollato come diverso”. Per Bellardi, si tratta del risultato di una “crescente e sempre più diffusa assenza del senso della comunità che ha fatto del nostro Paese una vera democrazia. Periferie degradate, emarginazione di intere fasce sociali sono il dato più visibile di una crisi economica e di valori che colpisce chi è più in basso nella scala sociale”. E se lo stato non riesce a dare risposte sui territori, ha aggiunto Bellardi, “diventa vitale l’associazionismo, la risposta solidale e vitale di quelle realtà come la Uisp che puntando sullo sport riescono a dare una risposta a chi chiede attenzione con voce sempre più flebile, a chi chiede di non essere dimenticato o anche cancellato dall'intervento pubblico”. Per questo, ha aggiunto Bellardi, è un “dovere dell’informazione scoprire e raccontare quelle iniziative che coinvolgendo giovani e non che vivono situazioni di disagio materiale e fisico possano ridare loro il ruolo di protagonisti”. Sebbene lo sport sociale non abbia record o campioni di cui fregiarsi, per Bellardi è “l’impegno generoso, l’onestà, il rispetto delle regole” il punto di forza, “soprattutto lì dove c’è una comunità che non ha voce ma chiede attenzione”. Un mondo dove “si possono scoprire tante storie, personaggi veri, che danno il massimo e che spesso lavorano in silenzio, ma il cui lavoro merita di essere raccontato. Lo sport sociale è una miniera di buone notizie”. 
 
Una "miniera" che  troppo spesso, soprattutto al Sud Italia, fa fatica a fare notizia, come ha raccontato Marco Massafra, vicepresidente dell’Associazione Circo Laboratorionomade di Taranto, una realtà che da 10 anni svolge attività di ginnastica acrobatica e circense lavorando anche in centri diurni e con minori con difficoltà dell’apprendimento o autismo. “Quello che cerchiamo di promuovere è la cultura contrapposta al rancore - ha spiegato Massafra -. Nei nostri corsi cerchiamo innanzitutto di spiegare ai nostri allievi l’importanza di essere in cerchio, di guardarsi tutti negli occhi e di stare uno di fronte all’altro, non uno dietro l’altro. Non siamo un’attività sportiva agonistica e ne siamo fieri e proprio per questo ci ritroviamo da diversi anni a lavorare anche con i centri diurni”. Tante attività che spesso restano nell’ombra.  “La comunicazione è un nostro problema - ha spiegato Massafra -. Purtroppo facciamo parte di un ambiente molto silenzioso e spesso non riusciamo a raccontarci”.

E’ stata poi la volta di Daniele Iacopini, giornalista dell’Agenzia Redattore Sociale. Parafrasando il titolo dell’incontro (“Raccontare il sociale attraverso lo sport”), Iacopini ha sottolineato come lo sport sia appunto uno strumento fondamentale per interpretare e conoscere il sociale. Un settore, quello sportivo, dove i fenomeni si palesano in tutta la loro forza, sia per ciò che riguarda gli aspetti positivi e inclusivi, sia con riferimento agli aspetti negativi e deteriori. Ma ricordando l’incidenza positiva della pratica sportiva e la sua forza comunicativa, tre sono gli aspetti messi in luce: “Il contributo all’acquisizione della consapevolezza dei fenomeni; l’approccio educativo; una naturale predisposizione all’inclusione.

Quanto al primo aspetto, Iacopini ha ricordato il contributo dato dallo sport paralimpico alla conoscenza del tema “disabilità”, in una società italiana dove – dati Istat – solo il 9,1% delle persone con disabilità pratica sport. E sono solo 15 mila circa gli atleti tesserati con le società affiliate al Cio o al Coni. “Ma la crescita, pur lenta, della pratica sportiva tra le persone con disabilità e la presenza di grandi campioni come Alex Zanardi o Bebe Vio hanno sicuramente contribuito a dare una visione diversa della disabilità: non più solo chiusa o ‘difensiva” ma addirittura ‘performante’. La persona con disabilità, insomma, è una persona che può accettare le sfide della quotidianità, vincendole”. Non secondario il contributo dello sport anche alla crescita della qualità della vita: “Questo è il settore, infatti – ha affermato – dove più stretto è il rapporto tra fattore umano e aspetto tecnologico. Si pensi allo studio e agli sviluppi della ricerca nel campo degli ausili e delle protesi”. Il secondo aspetto, quello educativo, è stato evidenziato con la storia giunta da Reggio Calabria dove – ha ricordato – un giudice del Tribunale per i minori ha ‘condannato’ un ragazzo che aveva picchiato un arbitro a frequentare il corso da arbitri! Lo sport utilizzato a fini sociali, per dire indirettamente a quel ragazzo: ‘adesso mettiti nei panni dell’altro. E impara quelle regole che probabilmente, nella vita, non hai mai avuto!’”.

Infine l’aspetto inclusivo. “Lo sport fa molto anche per i tantissimi ragazzi stranieri presenti in Italia. Rispetto ad altri ambiti, esso sembra facilitare l’inclusione dei ragazzi privi di cittadinanza, pur in un contesto di regole tra le diverse federazioni sportive non omogeneo”. Anche in questo caso numerosi gli esempi, ma la storia segnalata in finale di intervento è stata quella di un minore straniero non accompagnato (ne sono arrivati oltre 70 mila in Italia dal 2014). E’ la storia di Ebrima Darboe, 18 anni appena compiuti, originario del Gambia, arrivato in Italia nel 2017 da solo, dopo aver passato un periodo nell’inferno dei campi in Libia. Diventato maggiorenne e non potendo più contare sulla protezione umanitaria (in base al decreto Salvini) , è stato però contrattualizzato dalla Roma e per la prima volta si è seduto in panchina il 27 ottobre scorso, per il prestigioso match con il Milan. La storia di un ragazzo di talento che ce l’ha fatta. Ma quanti come lui aspettano solo di potersi esprimere secondo il proprio talento?

Negli interventi conclusivi Mara Cinquepalmi, dell'associazione Giulia Giornaliste, ha affrontato il tema dello sport da una prospettiva di genere, stigmatizzando le circostanze in cui lo sport praticato da donne viene raccontato con un linguaggio non idoneo, mentre Gianluigi De Vito, vice capo servizio sport della Gazzetta del Mezzogiorno, ha parlato della situazione specifica, attraversata da mille difficoltà, della carta stampata e del ruolo che, pur in tale contesto, continua a ricoprire nel racconto pubblico dello sport.