25 anni dalla parte degli ultimi. "Oggi più che mai serve formazione"

30nov2019

Una storia fatta di oltre 50 iniziative di formazione e più di 8 mila partecipanti. Sono i numeri del seminario per giornalisti organizzato dalla Comunità di Capodarco di Fermo nelle Marche e da Redattore Sociale. Oggi l’apertura della venticiquesima edizione dal titolo “Guerra e pace”

CAPODARCO DI FERMO – Una storia lunga venticinque anni, fatta di oltre 50 iniziative di formazione e più di 8 mila partecipanti. Sono i numeri del seminario per giornalisti organizzato dalla Comunità di Capodarco di Fermo nelle Marche e da  Redattore Sociale. Oggi l’apertura della venticiquesima edizione dal titolo “Guerra e pace” con un intenso dibattito sui cambiamenti dell’informazione e sulla necessità della formazione tra il presidente della Comunità di Capodarco don Vinicio Albanesi, il presidente dell’Ordine dei giornalisti delle Marche Franco Elisei, Stefano Trasatti, già direttore dell’agenzia Redattore Sociale, Vittorio Di Trapani, segretario dell’Usigrai, Roberto Natale (Responsabilità sociale Rai), Piergiorgio Severini, segretario del Sindacato giornalisti delle Marche e Maurizio Blasi, caporedattore del tg della Rai delle Marche. Con l’obiettivo di ripercorrere la storia del seminario ma anche di costruire un bagaglio di nuove idee e orizzonti da esplorare.

“Celebriamo le nozze d’argento dell’agenzia – ha detto don Vinicio Albanesi – e lo facciamo nel nostro stile che va alla sostanza delle cose. Il tema è ‘guerra e pace’: viviamo in un mondo inquinato ma in questo inquinamento ci sono zone fertili e libere. Ripercorrendo i titoli dei seminari degli anni passati mi sono meravigliato per i titoli  brillanti che sono stati scelti: ‘Algoritmi’, ‘Disorientati’, ‘Il dittatore’, ‘Sotto il tappeto’, ‘Volo radente’, ‘Periferie umane’, ‘Nascondigli’. In tutto 56 iniziative in tutta Italia: Milano, Roma, Napoli, Trento e Palermo”.

Stefano Trasatti il compito di ricordare le origini del seminario e i momenti salienti. “Ricordo l’incontro con Ryszard Kapuściński, leggenda del giornalismo: quando venne gli regalammo due paia di scarpe realizzate in un calzaturificio di Montegranaro che allora pagammo un milione di lire e lui si commosse perché ci raccontò che lui, nato in Bielorussia, non le aveva mai avute fino a 6 anni. Ricordo la dolcezza di Svetlana Alexievic, di Mario Dondero, unita alla loro solidità e bravura. E ancora, il carisma di Gad Lerner: quando è venuto conduceva ‘Milano Italia’ ed era popolarissimo e adorato. E poi la serenità di Roberto Morrione, la commozione di Ferruccio De Bortoli davanti alla platea con ospiti di una casa protetta per malati psichiatrici. Marco Damilano che mostra a tutti ancora oggi la sua tessere ‘Nip’, not important person; Marino Sinibaldi che sudava mentre intervistava Tullio Altan che rispondeva a monosillabi”. Poi ci sono stati quelli che non sono venuti, ad esempio padre Giulio Albanese, tanti che si sono offesi per non essere stati invitati e tante persone che hanno reso possibile la realizzazione dei seminari, da Goffredo Fofi ad Alessandro Leogrande, da Miriam Giovanzana a Daniela De Robert.

“Il tema di questa edizione può essere declinato nell’ambito della professione che è cambiata con velocità infinita in questi anni– ha sottolineato Franco Elisei - . La categoria ha dimostrato di essere capace di resilienza. Tuttavia viviamo in conflitti perenni e in una pace che è solo apparente. Per esempio le vicende dei giornalisti minacciati ci fanno capire che c’è sempre più bisogno di noi, di questa professione, contro chi è interessato a eliminarci. C’è chi pensa di poter fare giornali senza i giornalisti, con l’intelligenza artificiale. Ma quello che non si capisce è che verrebbero meno le funzioni fondamentali dell’elaborazione e della interpretazione e la consapevolezza che è solo umana. Ma consapevolezza significa anche responsabilità che dobbiamo assumerci fino in fondo. Questo significa risolvere il conflitto con l’utente multimediale. Un esempio sono le inchieste, che sono il cuore della nostra professione, e che richiedono tempo e responsabilità”. In sostanza, “dobbiamo ritrovare sintonia e credibilità con i nostri lettori e una delle terapie per farlo è usare le parole giuste, e non la spettacolarizzazione della paura o la paura che fa spettacolo,  che ha un ritorno immediato, ma non sulla lunga distanza”. Infine, “dovremmo fare pace con i lettori ma anche con gli editori e tra noi giornalisti”.

“Questo posto ha un grande fascino – ha detto Blasi – perché ha una storia rara sul come vivere insieme ascolti, tolleranza che declina il noi e non l’io, dalla disabilità fisica a quella psichica. Questo posto piaceva a chi cercava una sponda per leggere la professione in modo più affascinante e piacevole ed era l’unica possibilità di interpretarla contro i poteri e la politica. La sfida è stata quella di far lavorare insieme operatori dell’emarginazione e giornalisti, per una speranza di vita migliore, di futuro. Quell’operazione funzionò, ma la cosa che serve oggi è avere più punti di vista possibili. La direzione in cui avete remato è stata quella giusta, anche quando il vento era contrario. E certamente noi non ci arrenderemo mai”.

“Perché è importante Capodarco?”. E’ partita da questa domanda la riflessione di Roberto Natale. “Siamo durati per 25 anni e abbiamo passato indenni la fase della disintermediazione. Oggi più che mai c’è bisogno della responsabilità dei giornalisti: dobbiamo essere sacerdoti rispetto alla verità sostanziale dei fatti perché siamo un paese in cui l’agenda dell’informazione la fa la politica. Si parla di sicurezza e criminalità e non di istruzione. Siamo il paese dei messaggi di odio dilaganti che si costruiscono sul sociale: terreno dove avvengono speculazioni sordide. Perciò la  battaglia sul sociale è davvero decisiva”. Tuttavia, “dobbiamo ancora imparare a raccontare il sociale perchè raccontare la guerra è facile mentre raccontare la pace e la bellezza delle esperienze positive è difficile”.

“Oggi serve ancora di più la formazione – ha aggiunto Vittorio Di Trapani - , perché  altrove i libri vengono bruciati per tenere le periferie sotto il giogo della corruzione.  Altro esempio l’attacco a Liliana Segre oppure la paura degli striscioni. Come disse Roberto Morrione, il bravo giornalista è un redattore sociale il che non significa essere buonisti, ma essere dalla parte parte degli ultimi” .

“Viviamo tempi pericolosi in cui la gente non sa più cosa è vero e cosa non lo è, come ha detto Barack Obama con amarezza”, ha concluso Piergiorgio Severini. “Questo dà il senso del perimetro planetario che stiamo vivendo, questa è l’era della comunicazione, tutti i giorni abbiamo sotto mano la logica delle multinazionali con tantissimi soldi che vanno ad alterare la realtà dei fatti e a fare comunicazione e non informazione a livello planetario. C’è una concentrazione di risorse che finiscono in Usa, Cina e Germania e condizionano la realtà dei fatti” .