Quando l’attore non recita. Dionisi: "Il mio viaggio sulla barca dei folli"
Tutto comincia mentre gira un film su Sant’Antonio da Padova in un paese sperduto della Spagna. È qui che Stefano Dionisi, attore con all’attivo un David di Donatello, è stato investito, per la prima volta, da un episodio psicotico. Abbandona il set, getta i documenti e il portafoglio e si rifugia sul tetto di una casa, dove alla fine viene recuperato da personale medico e rappresentanti della produzione, solo per cominciare un lungo percorso tra ospedali e cliniche psichiatriche. Su questa esperienza, l’attore ha scritto un libro autobiografico, lucido e coraggioso, “La barca dei folli” (Mondadori 2015), che ha presentato nel corso della ventiduesima edizione del seminario Redattore sociale, intitolato quest’anno “Frontiere”. A questo primo episodio segue un Tso, un trattamento sanitario obbligatorio, durante il quale Dionisi conosce tanti e indimenticabili personaggi: il Furioso, Tacchi a spillo, Ciuff Ciuff.
“La nostra società nelle sue forme esteriori ed esteriormente condivise può tollerare tutto, ma una persona che per un momento della sua vita perde la capacità di avere pieno controllo su azioni, emozioni e pensieri viene considerata un pericolo per l’equilibrio generale della società”, ha detto lo scrittore e giornalista Gianluca Nicoletti, presentando il volume. “Ero disadattato – ha affermato Dionisi – perché venivo da una famiglia in cui mio padre si era allontanato a 5 anni e l’ho rivisto dopo 25 anni. Anche lui era stato in cura”.
Ma come si è trovato Dionisi con gli operatori sanitari che ha incontrato durante il suo percorso? “Dopo l’ospedale e il Tso sono stato in una clinica privata dove, a prezzo altissimo, sono stato riempito di psicofarmaci”. Potendo pagare, era nella “clinica dei ricchi”, dove un operatore seguiva il paziente 24 ore su 24. “C’era tanta professionalità, poca umanità”, è il commento dell’attore. Terribile anche l’esperienza nelle cliniche private sovvenzionate, dove Dionisi ha assistito a due suicidi da parte di pazienti ricoverati. Nel libro però non mancano momenti leggeri che strappano il sorriso, soprattutto nella descrizione dei tanti, pazienti e operatori, che l’attore ha incontrato durante il suo percorso. Ma c’è anche la sensazione che tante siano le cose sbagliate. “Ci sono tanti ragazzi che entrano in clinica per quantità minime di droghe – ha raccontato –. C’erano tossicodipendenti e alcolisti, che sarebbero dovuti stare in altri tipi di strutture e avrebbero avuto bisogno di cure diverse”.
Rispondendo a una domanda dal pubblico circa la scelta di mettere la propria esperienza nero su bianco, Dionisi ha detto: “Ho fatto un’intervista per il Corriere della sera, dove alla fine parlavo del funerale di mio padre. Poi mi ha chiamato un’editor di Mondadori, proponendomi di scrivere un libro. Suggeriva di farmi aiutare da un ghostwriter, ma io non ho accettato: avendo letto tante sceneggiature, ho un’idea di come si scrive e, soprattutto, in quel periodo non avevo un euro e preferivo che non ci fosse un’altra persona da pagare. Così ho mandato le prime 20 pagine e sono andate bene. Non pensavo neanche di riuscire a finire e invece tutto è andato al meglio, il libro ha ricevuto anche tante critiche positive”. (ap)
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