Migranti, i cinque modi per fare cattiva accoglienza

28nov2015

Su circa 100 mila posti disponibili nei centri, 60 mila sono "straordinari". E l’emergenza porta con sé conseguenze negative: gestione affaristica dei centri, allarmismo, cattiva formazione degli operatori. Forti: disallineamento tra l’immaginario della gente e la realtà

Migranti, i cinque modi per fare cattiva accoglienza

Ci sono almeno cinque modi di fare cattiva accoglienza dei migranti. Il primo è quello di concepirla sempre come un’emergenza. Su circa 100 mila posti disponibili nei diversi centri, 60 mila sono “straordinari”, ossia provvisori e allestiti in fretta. E l’emergenza porta con sé conseguenze negative: gestione affaristica dei centri, rischio di arruolamento dei migranti nella criminalità organizzata, eccessivo allarmismo nella popolazione, cattiva formazione degli operatori. È questa la faccia poco nobile del sistema italiano di gestione del flusso dei migranti emersa durante il workshop “L’accoglienza riluttante. Non c’è più posto” al XXII seminario di Redattore sociale “Frontiere”. “C’è un disallineamento tra l’immaginario della gente sul fenomeno e la realtà di quel che sta succedendo”, ha sottolineato Oliviero Forti, responsabile dell’Ufficio immigrazione di Caritas Italiana.

Gestione emergenziale. Nel nostro Paese c’è un esempio virtuoso di accoglienza ed è lo Sprar, il sistema di protezione e accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati che prevede un coinvolgimento dei comuni e del terzo settore. “Il problema è che finora hanno aderito solo 500 comuni su 8mila –ha spiegato Oliviero Forti-. Gli enti locali sono riluttanti, non vogliono essere coinvolti, ma poi succede che, per far fronte all’arrivo di migliaia di migranti, i prefetti impongano nei territori l’apertura dei centri di accoglienza. E la gestione di questi centri viene affidata attraverso bandi e non sempre chi li vince ha la capacità di rispondere alle esigenze delle persone ospitate e di creare con il territorio un percorso di accettazione e integrazione”.

Gestione affaristica dei centri di accoglienza. I bandi per la gestione dei posti straordinari vengono vinti anche da personaggi legati alla criminalità organizzata. “In Campania alcuni alberghi, che ospitano migranti inviati dalla prefettura, sono di famiglie camorriste ben conosciute – ha sottolineato Yasmine Accardo, attivista dei diritti umani della rete ‘Lasciatecientrare’-. Ma abbiamo trovato situazioni drammatiche anche nelle regioni del Nord. In Lombardia, a Sondrio, ci sono migranti senza scarpe e senza vestiti pesanti”. Uno dei requisiti per partecipare ai bandi è quello di aver già avuto esperienza di accoglienza durante l’emergenza nord africa del 2011. “Ma questo permette a chi allora ha lucrato di ripresentarsi di nuovo. E i controlli sono pochi e inefficaci”.

Sfruttamento e criminalità. Il destino di molti richiedenti asilo è la raccolta di pomodori nei campi del Sud Italia. “Finiscono per essere sfruttati o per diventare manovalanza della criminalità organizzata – ha aggiunto Yasmine Accardo-. Ed è spesso la concentrazione dei migranti in pochi centri a favorire queste situazioni. Senza una programmazione e una buona organizzazione il risultato è drammatico”.

Allarmismo nella popolazione. L’Italia non è il Paese con più rifugiati, sia a livello europeo che mondiale. Eppure c’è un immaginario che descrive il fenomeno con parole come “invasione” o “esodo”. La realtà è diversa e spesso non conosciuta anche da chi è aperto all’accoglienza. “Quando il Papa ha chiesto alle parrocchie di ospitare profughi, ci hanno chiamato anche molte famiglie dando la loro disponibilità -racconta Oliviero Forti-. Il problema è che tutte volevano solo famiglie siriane con bambini, mentre in Italia stanno arrivando soprattutto giovani dall’Africa sub sahariana. Appena spiegavamo questa cosa, non davano più la loro disponibilità”.

Cattiva formazione degli operatori. Anche se ci sono tanti enti e operatori che con competenza stanno accogliendo migliaia di migranti, non mancano gravi falle nella preparazione del personale, soprattutto in quelle realtà che vedono la gestione dei centri solo come un’occasione per fare affari. “Spesso vengono messi a fare da mediatori persone che sanno solo l’inglese -spiega Yasmine Accardo-. Ma è ovvio che questo non basti. Non solo sarebbe necessario avere personale che conosca altre lingue, ma anche la cultura dei paesi d’origine dei migranti”. “C’è poi un problema di pagamento degli stipendi degli operatori –aggiunge Oliviero Forti-. Se dalle prefetture o dal governo arrivano in ritardo i compensi, gli enti si trovano nella situazione di non riuscire a fare gli stipendi ogni mese con puntualità. Solo i grandi enti ci riescono”. (dp)

 

Guarda il video sul workshop “L’accoglienza riluttante. Non c’è più posto”