Con Bomprezzi se ne va un pezzo di storia del giornalismo sociale in Italia
Franco Bomprezzi ha fatto la storia del giornalismo sociale in Italia. E’ stato il primo, il più autorevole, il più brillante e autoironico giornalista disabile a essere riuscito a fare passare il suo handicap in secondo piano rispetto alle sue eccezionali capacità di professionista. Bomprezzi è stato un marchio di qualità, un brand, uno stile che in tanti cercavano di imitare senza riuscirci. Un galantuomo, anche. Oltre che un innovatore sfrenato.
Bomprezzi è stato il punto di riferimento in Italia per una generazione di giornalisti sociali, il primo a trattare temi scomodi, come quello della sessualità ad esempio, l’unico a cercare di arginare quel lento scivolamento verso il “politically correct” che tanto male ha fatto alle persone disabili, e ai progetti di inclusione delle loro associazioni. Un giornalista vero, e un grande commentatore. Una mente fertile e giocosa, con quella leggerezza che solo in pochi riescono a mantenere quando, anche solo per scendere dalla macchina e infilarsi dietro una scrivania, doveva spendere il triplo delle energie di qualunque altro comune mortale.
"Il giornalista sociale non deve essere buono - aveva detto ad un seminario organizzato da Redattore sociale a Milano nel 2011 - Deve essere bravo e fare bene il suo mestiere" (qui il video dell'intervento).
Sue le tante idee suggerite nel codice di autoregolamentazione della Rai per le persone disabili (un codice etico-linguistico), varato dal Segretariato Sociale del servizio pubblico radiotelevisivo nel 1998. Un documento innovatore e coraggioso per quegli anni (l’aveva curato Giuliana Ledovi, con Stefano Trasatti, Giovanni Anversa, Salvatore Nocera e lo stesso Bomprezzi), una summa di quelle “buone prassi” con cui tanti si sono sciacquati la bocca dalla fine degli anni novanta, e che pochi poi hanno messo in pratica nei loro palinsesti o anche solo sulle pagine dei loro giornali. Sulle news, ad esempio, Bomprezzi invitava a chiudere il ciclo della notizia, a tenere conto delle persone disabili anche in contesti informativi non specifici, a completare le notizie di servizio anche con le informazioni per i disabili. Poi spazio all’accessibilità, alla mobilità per tutti. Per una nuova cultura della disabilità. Facile a dirsi, meno a praticarsi.
Sul fronte del linguaggio aveva continuato a lavorare per anni, come nel 2013 quando aveva contribuito sostanzialmente alle schede sulla disabilità realizzate per “Parlare civile”, il progetto sulle parole a rischio di discriminazione realizzato da Redattore Sociale in collaborazione con l’associazione Parsec.
“Sentiamo Bomprezzi cosa dice”. La frase era ricorrente, e non solo nelle redazioni delle riviste specializzate, ma anche sul mainstream Bomprezzi da tempo aveva trovato casa. Così, tra Superabile.it e il Corriere.it, quello strano giornalista in carrozzina sempre disponibile, gentile, mai sopra le righe, ha costruito un pezzo importante di storia dell’informazione sulla disabilità in Italia. E forse il pezzo più importante.
Diceva: “Per una informazione corretta sulla disabilità, bisogna eliminare dal linguaggio giornalistico (e radiotelevisivo) locuzioni stereotipate, luoghi comuni, affermazioni pietistiche, generalizzazioni e banalizzazioni. Concepire titoli che riescano a essere efficaci e interessanti senza cadere nella volgarità o nell’ignoranza e rispettando il contenuto della notizia”. Ecco, ora come faremo? (Mauro Sarti)