“Il peso delle parole” nel linguaggio di genere

18apr2013
La giornalista e scrittrice Loredana Lipperini ha aperto la discussione all'interno del seminario "Parlare civile". De Mauro (Internazionale): “Il nostro mestiere è sempre più marginale perché ci siamo impigriti e rinchiusi"

ROMA - La parola "femminicidio" è entrata prepotentemente nelle pagine dei quotidiani italiani ma il termine non è stato da tutti ben compreso. Si continua a parlare di follia, di donne che fanno perdere la testa agli uomini e per questo vengono uccise, i titoli dei giornali "tendono a raccontarlo come frutto di un amore malato", ma le "parole sono pietre non si può parlare di raptus quando si tratta invece di femminicidio". Con una riflessione sul linguaggio di genere la giornalista e scrittrice Loredana Lipperini ha aperto la discussione dell'incontro "Il peso delle parole" all'interno del seminario "Parlare civile", in corso di svolgimento oggi a Roma. "Secoli di letteratura ci hanno abituati a ragionare dando nobiltà a chi uccide, e non a chi viene ucciso - continua Lipperini -. Quello di cui abbiamo bisogno è di imparare a pesare e a dare significato alle parole che usiamo".

Insieme a Loredana Lipperini hanno dato vita al workshop il direttore della rivista Internazionale Giovanni De Mauro e  l'esperta di comunicazione Annamaria Testa. Quest'ultima ha sottolineato come nel volume "Parlare civile" ci sia "qualcosa di più di un puro lavoro sulle parole". "Si tratta di un lavoro che va a indagare i pensieri che le parole sviluppano - sottolinea -. Non esiste una comunicazione che non sia sociale, così come non esiste una comunicazione che non abbia un difetto".

"I termini contenuti nel libro sottolineano le pigrizie e i malfunzionalmenti del giornalismo italiano che sono parte di una quadro più ampio da cui è difficile prescindere - aggiunge Giovanni De Mauro - oggi si vendono in Italia tanti giornali quanti se ne vendevano negli anni '50: il nostro mestiere è sempre più marginale perché ci siamo impigriti e rinchiusi".